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Autore: TuttaColpaDelCielo    11/11/2011    3 recensioni
Non abbiamo che le nostre cicatrici, e per trovarvi un senso possiamo solo scavare nel passato.
Possiamo solo ricordare.

Respirano aria di morte, guardano il loro mondo coprirsi di cadaveri. Anni più tardi saranno dei reduci senza speranza e senza gloria; ora sono solo formiche che si muovono su una terra agonizzante, ignare che l'Occidente sta per vedere un'alba rossa di sangue.
I loro ultimi giorni, l'ultimo sussulto di vite già distrutte.
Il crollo delle architetture vacillanti su cui hanno modellato il loro mondo.
Seconda classificata al contest Let's fly on fantasy's wings indetto da SunnyPain.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Ferite



Eravamo gli ultimi superstiti di una stirpe quasi estinta, lo diceva l’aria di morte che ci entrava nei polmoni a ogni respiro.

Eravamo l’estremo frutto di una terra agonizzante, nati senza conoscerne il motivo, vissuti cercando un senso che forse nemmeno esisteva.

Eravamo figli e fratelli di una razza matricida, prima accolti nel suo grembo, poi cacciati come mostri e traditori.

Eravamo vittime e carnefici in una tortura senza fine e senza senso, i ciechi giocatori di una partita che ci avrebbe impietosamente distrutti – una lotta intestina che non concedeva grazia.

L’epilogo di tutti noi ci respirava sul collo, ma scambiammo il suo fiato per la brezza invernale.



Un falò divorava i pochi ciocchi rimasti, sorvegliato da sei sguardi tesi. Fiamme incontrollate erano una condanna a morte come il gelo notturno, suggeriva l’istinto a quei corpi pronti a fuggire, e che avessero acceso un fuoco dava l’idea di quanto quell’inverno si stesse rivelando difficile.

Il silenzio, interrotto solo dai loro respiri pesanti e dal crepitio della legna, era sceso nella grotta non appena si erano raccolti in cerchio – ogni parola, ogni ringhio, ogni movimento congelati nell’attesa che l’ultimo arrivato rivelasse ciò che aveva appreso.

Quello, il più vicino alle fiamme, rimase per diversi minuti con le mani tese verso il calore, senza che nessuno osasse porre domande. Anche seduti a terra sovrastava gli altri di almeno mezza spanna, ma la vaga aria di superiorità con cui guardava i compagni sarebbe rimasta immutata anche se fosse stato meno imponente: era qualcosa nel modo in cui teneva le spalle dritte, nel barlume di fierezza che gli animava gli occhi grigi, nell’espressione severa dei tratti marcati – nel timore meno intenso con cui osservava il fuoco, anche.

Infine l’uomo ritrasse le mani e tossì, ottenendo l’attenzione di tutti.

«Sono in zona.» iniziò con voce rauca «Ho trovato le loro tracce vicino al ruscello.»

«Quanti?» chiese un altro, più anziano e tarchiato, riprendendo vitalità.

«Almeno cinque. A cavallo.»

«Ci siamo spinti troppo vicini ai villaggi.» mormorò una donna, con l’aria quieta e il grembo rigonfio di chi ospita una vita.

«Ci avrebbero trovato comunque, Soyi. Sono cacciatori, non contadini armati di forcone. Prima o poi sarebbe successo.»

«E quindi?» gli chiese lei, accarezzandosi il ventre.

L’uomo si passò una mano tra i capelli, esausto ma ancora con la dignità del capo.

«E quindi» sospirò «dobbiamo andarcene.»

Quattro voci si levarono contemporaneamente, suggerendo mete e itinerari; solo una donna rimase in silenzio, dritta e fiera quasi quanto lui, distogliendo lo sguardo dal fuoco per fissarlo in viso. Quegli occhi sembravano sfidarlo – non con la minaccia del suo corpo minuto, né con parole ostili, ma solo con l’ardente orgoglio di chi non contempla la fuga.

Continuarono a scrutarsi anche quando lui ricominciò a parlare.

«Ho sentito dei ragazzini, oggi. È tutto distrutto lungo il corso del Dara, e dalla foce fino a Limne gli Anastatoi hanno preso anche la costa.»

«Non è possibile.» ringhiò la donna che lo fissava «Avrai sentito male. Meno di una luna fa non erano ancora a Stoma, non possono aver conquistato tutto quel tratto in così poco tempo.»

«Ho sentito bene. O forse non ti fidi di me, Ahdle?»

Lei sorrise, ma fu più una smorfia ferina, selvaggia come tutto il suo aspetto – dai lineamenti decisi ai capelli scuri, ribelli e aggrovigliati.

«Certo che mi fido di te, Hetrir. È che non mi fido dei ragazzini umani.» rispose, ma sembrò intendere tutto il contrario.

«Anche noi siamo umani. E ora lasciami parlare.»

La donna sorrise di nuovo e mosse una mano, in un invito beffardo a continuare.

«Dicevo, prima che qualcuno m’interrompesse, che ormai il sud e quasi tutta la costa non sono più sicuri. E le Epaeidi del Dara stanno fuggendo verso la capitale, dovremo evitare anche loro.»

«Ho sempre sognato di incontrarne una.» intervenne con aria svagata un ragazzino dalla pelle scura, probabilmente il più giovane di loro «È vero che possono stregare cantando?»

«Non ho intenzione di andare a chiederglielo, Khai.» rispose l’altro con un’occhiata di rimprovero.

«Potremmo tornare indietro.» suggerì Soyi, lanciandogli un breve sguardo prima di tornare a fissare il fuoco.

«È rischioso. Non sappiamo com’è la situazione: forse ci sono ancora cacciatori, o si è insediato un altro branco, e lottare attirerebbe l’attenzione.» o il fronte è arrivato fin lì ed è stato distrutto tutto, pensò con un brivido «No, non possiamo neanche tornare indietro. L’unica sono le montagne.»

Una risata stridula riempì l’aria odorosa di fumo della grotta.

«Oh, certo. Che sciocchi.» commentò Ahdle, ferocemente ironica, continuando a guardarlo negli occhi «Le montagne. Perché non c’abbiamo pensato prima?»

«Ahdle.» la richiamò l’uomo.

«Credi che moriremo prima di freddo o di fame, Hetrir?» continuò, ignorandolo «O magari ammazzati per aver sconfinato nel territorio di qualche branco?»

«Ahdle.» ripeté lui, con un ringhio di gola.

«E come pensi che possa sopravvivere un cucciolo?» indicò con un cenno del capo il ventre di Soyi, e le braccia di lei scattarono istintivamente a circondarlo «Là ci sarà neve per almeno altre due lune. Pensi di chiedere a tuo figlio di nascere più tardi?»

«Proprio tu ti preoccupi di mio figlio?»

Lei sgranò gli occhi; per un attimo sembrò che le iridi nocciola fossero diventate lucide, ma poi sbatté le palpebre e tutto tornò come prima, se mai era cambiato.

«Potete continuare senza di me.» sibilò, prima di alzarsi e voltare loro le spalle.


* * *


Seduta all’entrata della grotta, con la schiena poggiata alla gelida roccia e gli occhi chiusi, sembrava dormire. Un’impressione ingannevole: sensi ben più fini della vista erano vigili, non ultimo l’istinto animalesco del predatore braccato, e i suoi pensieri erano ben distanti dal confuso rincorrersi dei sogni. Insensati e angoscianti, ma comunque spaventosamente lucidi – le era negato anche il conforto del non essere in sé.

L’aveva umiliata di fronte a tutti, e la sua voce era stata una lama più crudele dell’acciaio: le parole avevano morso nei punti più teneri fino a strappare brandelli di orgoglio, come artigli e zanne non avrebbero potuto osare su di lei, una femmina del branco – tabù radicati nella loro natura bestiale.

Inspirò, più per distrarsi che per senso del dovere. Muschio e neve e foglie marce e animali che si tenevano a distanza. Nessuna traccia umana nell’aria gelida, solo quella che permeava la coperta rubata in cui era avvolta. Fumo e l’odore confortante del branco, dall’interno della grotta.

Non c’era nulla nemmeno da udire, se non fruscii e richiami animali: la discussione era cessata da tempo, giungendo a una soluzione che non le interessava conoscere.

A un tratto percepì dei passi alle sue spalle e li riconobbe dall’insolita pesantezza.

«Soyi.» salutò a bassa voce, aprendo gli occhi «Non toccava a Nemunas il turno dopo di me?»

L’altra si rannicchiò goffamente accanto a lei, impacciata dal ventre gonfio, mormorandole: «Ho pensato di venire a farti compagnia.»

«Fa freddo, qui. Dovresti stare dentro.»

«Non importa, un po’ d’aria mi farà bene. Ah, ho preparato io le tue cose.»

«Le mie cose?»

«Be’, sì. Non ci hai ascoltati?» sorrise senza ironia, solo con gentilezza «Dopo la tua guardia, se non hai sentito nessuno avvicinarsi, ce ne andiamo.»

«Dove?»

«Torniamo indietro. Se la situazione non è buona, vedremo sul momento cosa fare.»

«Improvvisazione. Finalmente come ai vecchi tempi, eh?»

«Ai vecchi tempi non c’era un branco da guidare.» sospirò.

«Un branco di individui pensanti.» ribatté. E, come a voler stemperare l’atmosfera: «A parte Khai, forse, ma lui è un’eccezione.»

«E se non lo eliminerà la selezione naturale ci penserai tu, immagino.» rise.

«Ovviamente.» poi tornò seria «Perché Hetrir ha deciso di cambiare programma?»

«Perché in effetti le montagne sarebbero impraticabili, con un cucciolo.» si accarezzò il ventre con espressione contrita «Devi scusarlo. Lui-»

«Non preoccuparti.» la interruppe «Non è colpa tua se è un imbecille.»

«Non è nemmeno colpa sua, Ahdle. È tutto questo.» sussurrò, sapendo che avrebbe capito, e le cinse le spalle – un gesto che pochi avrebbero osato, ma che fu ricambiato quasi subito.

Vederle vicine sembrava strano, quasi insensato. Gli stessi lineamenti marcati e gli identici occhi nocciola suggerivano uno stretto legame di sangue, tuttavia nessuno avrebbe potuto confonderle: non era solo per l’evidente differenza di toni – pelle olivastra e chiarissima, capelli bruni e ramati –, ma per qualcosa nell’espressione e nello sguardo che rendeva impossibile lo scambio e ridicolo l’accostamento. Eppure erano lì, violenza e dolcezza a confronto, assurdamente abbracciate; un senso c’era, nascosto nel sangue e nell’infanzia, e la diversità non bastava a distruggerlo.

Rimasero immobili per qualche tempo, strette l’una all’altra, finché Ahdle non si allontanò un poco.

«Torna dentro sul serio, ora. Se ti ammalassi per colpa mia Hetrir tenterebbe di uccidermi, e non nutro troppo fiducia nei tabù, in questo caso.» accennò un sorriso e, rimasta sola, aggiunse in un sussurro: «O nella sua pietà.»

In quella non riponeva alcuna speranza, pensò amaramente, voltandosi a osservarla mentre tornava accanto al fuoco. Incontrò un lampo grigio mentre il compagno l’aiutava a sedersi e distolse in fretta lo sguardo.

Erano occhi inquietanti, quelli che solo lei nel cerchio aveva osato fissare: d’argento, come le lame più spietate, con un bagliore che poteva essere in ugual misura il riflesso delle fiamme o la luce feroce della crudeltà. Non c’era spazio per la compassione, in quello sguardo, ma solo per l’istinto selvaggio del predatore – un istinto che si ostinava a rifiutare, ma senza che la durezza dei suoi occhi ne risultasse addolcita.

Si strinse di più nella coperta, rabbrividendo, come se la lana avesse potuto proteggerla da ferite ben più in profondità della carne – e come se stesse congelando, il che non era poi troppo distante dalla realtà. Avrebbe potuto muoversi per scaldarsi, se avesse avuto energie da sprecare; ma non ne aveva, perciò doveva accontentarsi di porre più tessuto possibile tra il proprio corpo e la roccia gelida. Oppure avrebbe potuto mutare, per resistere meglio al freddo, ma Hetrir aveva ordinato di rimanere normali fino alla partenza.

Normali. L’altra forma non era la loro essenza più profonda, ma la parte scomoda, sgradita – almeno secondo lui, che definendoli umani li insultava ogni giorno.

Perché, si chiedeva lei da anni. Perché ripudiare la loro natura, quando era più semplice accettarla – la velocità e la forza e mordere divorare sopravvivere. Perché fingere di non sentire il richiamo, quando ogni muscolo gridava di essere nel corpo sbagliato – non c’entravano le fasi lunari o altre sciocche leggende infondate, era qualcosa di interiore, l’istinto della bestia che pesava sullo stomaco. Perché negare l’esaltazione della caccia e l’euforia della corsa, quando erano impresse in loro più delle emozioni umane – e tutte le leggi non scritte che seguivano spontaneamente, i tabù e la gerarchia e la lealtà.

«Sentito niente, Ahdle?» le riscosse una voce dall’interno della grotta.

«Niente.» rispose, pur sapendo di non essere stata particolarmente vigile.

Un uomo tarchiato, più anziano, la affiancò ridacchiando «Va’ pure dentro a preparati, qui resto io a controllare neve, neve e... ah, sì, neve.»

«Grazie, Nemunas.»

Si alzò, infreddolita dall’immobilità, e rientrando quasi si scontrò con un uomo.

«Sentito niente?» le chiese, brusco.

«L’ho già detto, Hetrir.» sibilò a denti stretti, obbligandosi a fissarlo negli occhi – argento che apriva ferite infette di umiliazione e rabbia «Niente.»

«Allora muoviti, stiamo già cancellando le tracce.»

Lei inspirò e storse il naso.

«E come pensi di togliere l’odore di fumo?»

«Preferivi morire di freddo?» ringhiò.

«E le tracce?»

«È buio e siamo nel bosco. Pensi che le vedranno?»

«Tra qualche ora sarà giorno.»

«Tra qualche ora saremo lontani.»

Lo urtò con la spalla per passargli accanto e raggiunse il fondo della grotta, dove Soyi e Khai si stavano spogliando. Distolse in fretta gli occhi da lui, chinandosi verso una sacca posata a terra; si tolse la coperta e il mantello e ve li infilò senza cura, poi iniziò a svestirsi.

Un ringhio minaccioso le salì alle labbra quando, slacciando lentamente i bottoni della casacca con le dita rigide, colse lo sguardo del ragazzino sul suo seno – troppo in basso e troppo giovane per poter osare tanto.

«Povero Khai.» ridacchiò Soyi a bassa voce «Mi fa tenerezza.»

«A me fa venire voglia di carne. Viva.» ribatté lei ben udibile, lanciandogli un ultimo sguardo minaccioso prima di girarsi verso la parete.

«Cerca di capirlo.» si voltò come lei per spogliarsi completamente «Siamo in tre, io sono impegnata e Tirani è sua sorella: rimani tu.»

«Che si dia all’incesto, se proprio non sa trattenersi.»

Rimasta completamente nuda, tremante per il gelo che mordeva la carne, controllò la chiusura della sacca e se la assicurò alla schiena.

«Andiamo?» le chiese l’altra, già pronta.

Annuì.


* * *


Alzò il viso di scatto, smettendo di fissare il fuoco.

«Sono qui.»

I compagni lo fissarono straniti, pur essendo ormai abituati al suo istinto quasi inumano.

«Sono qui, vi dico.» ghignò.






Questa storia si è classificata seconda al contest Let's fly on fantasy's wings! indetto da SunnyPain, con 49/50 punti.
Si tratta del prologo di un'altra storia, in fase di stesura, che inizierò a pubblicare poco dopo il termine di questa.
Ringrazio Eclectic_Doll che, con la sua serie Esaetter, mi ha ispirato questa struttura dei capitoli: voce in prima persona e narrazione in terza.
Per motivi di tempo, aggionerò ogni due venerdì. Ci rivediamo, quindi, il 25!
   
 
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