Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: ValeEchelon    12/11/2011    4 recensioni
" Ogni giorno viveva, con la consapevolezza che da un momento all’altro poteva non esserci più, non che la cosa la preoccupasse, intendiamoci: non aspettava altro, voleva morire, evaporare, andarsene da questo schifo di posto, e sebbene non credesse né in Dio, né in nessuna delle puttanate che si predicava, lei in realtà sperava in qualcosa. Sperava di poter vivere un’esistenza decente, almeno da morta, visto che da viva la sua vita aveva fatto schifo."
Dal primo capitolo.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sola, su quel letto macchiato di sangue.
Sola, in quella stanza che sapeva di erba.
Sola, in quell’ambiente ostile che non riconosceva più.
“Tesoro, hai dimenticato di prendere le tue medicine?”
Quella voce le risuonava in mente, detta da sua madre, detta da suo fratello, e ora detta pure da Brian.
Era un tormento, un tormento che martellava nella sua testa, incessante, inconsapevole che tutto questo non faceva altro che aggravare la sua situazione.
Si era ritrovata da sola, ancora una volta, con milioni di pillole e antidepressivi che la fissavano con aria di sufficienza, tutte belle e colorate se ne stavano lì a guardarla, aspettando di essere ingollate, magari con un bel sorso di vodka secca. 
Il telefono squillava pigramente, richiamava la sua attenzione, ma lei era troppo stanca per alzarsi e rispondere, era troppo stanca per parlare con qualcuno che non fosse il suo pusher.
Aveva bisogno di qualcosa, ma non sapeva ancora cosa: erba? Ce l’aveva. Cocaina? Pure. Eroina, forse? Sì.
Ecco, sì, voleva dell’eroina.
Eppure era ancora distrutta da quello che aveva passato poche ore fa, era ancora distrutta dalle posizioni scomode mentre scopava e dalle piste di coca fatte troppo in fretta. Era ancora distrutta perché il suo corpo ormai non reggeva più quei ritmi, stava morendo lentamente, era come una foglia sul punto di cadere dall’albero, ma questo non le interessava; doveva passare gli ultimi giorni della sua vita così, aveva fatto una promessa e non aveva intenzione di violarla.
La testa le girava, un rivolo di sangue colava giù per le labbra violacee, livide.
Gli occhi, ridotti a fessure iniettate di sangue, erano stanchi e vedevano tutto a righe. Il respiro era rotto e affannato, ogni volta che inspirava era una coltellata al fianco, ogni volta che espirava un grido muto.
La sua testa era ridotta ad un ammasso informe di pensieri, di preoccupazioni e di paure.
Il problema era fondamentalmente sempre lo stesso, la domanda sempre uguale: “Quando morirò?”
Se lo chiedeva da ormai un mese, ma della mitica mietitrice non c’era ombra.
Ogni giorno era peggio, ogni giorno i dolori lancinanti non la lasciavano respirare, si portavano via felicità e tranquillità.
Ogni giorno viveva, con la consapevolezza che da un momento all’altro poteva non esserci più, non che la cosa la preoccupasse, intendiamoci: non aspettava altro, voleva morire, evaporare, andarsene da questo schifo di posto, e sebbene non credesse né in Dio, né in nessuna delle puttanate che si predicava, lei in realtà sperava in qualcosa. Sperava di poter vivere un’esistenza decente, almeno da morta, visto che da viva la sua vita aveva fatto schifo.
Due volte aveva provato a suicidarsi, due volte aveva preso quel freddo revolver e se l’era infilato in bocca, pronto a fare esplodere tutto, ma per ben due volte quell’immagine l’aveva fermata, per ben due volte le aveva detto: “Farà troppo male, passa ad altro”, e lei, per ben due volte, si era seduta sulla poltrona, aveva preso il suo bel bicchierone pieno di tante belle capsulette colorate, ed era finita dritta dritta in ospedale sotto ai ferri, con tanto di lavanda gastrica.
Questa volta però aveva fatto il lavoro per bene, si era concessa l’ultima scopata della sua vita, s’era sfondata di canne e alcool, si era fatta due belle piste di coca e, per ultime, le sue amate pillole.
Forse così la faceva veramente finita.
Già l’ultima volta il medico le aveva detto delle condizioni gravi in cui versava, già l’ultima volta le aveva detto che aveva rischiato di morire e che se avesse continuato con gli stessi ritmi violenti, non avrebbe fatto altro che accelerare il tutto.
Ma lei voleva morire, loro non capivano, ma lei voleva morire.
Una voce flebile le sussurrava.
Non capiva bene cosa, ma le sussurrava parole d’affetto, parole dolci che avrebbero dovuto tirarla su ma che in realtà la trascinavano ancora giù, verso quegli abissi profondi e oscuri. Aveva aperto a fatica gli occhi, aveva cercato quel qualcuno, ma non c’era nessuno accanto a lei, non ora, non c’era.
Che senso aveva allora, vivere ancora?
Che senso aveva la vita, quella vita che prima aveva desiderato così ardentemente e che ora voleva che sparisse?
L’indifferenza con la quale viveva era presente in ogni gesto, in ogni momento.
Era diventata cinica, era diventata tutto quello che non avrebbe mai voluto essere, ma le piaceva, le piaceva perché almeno così poteva starsene sola, sola con i suoi libri e le sue parole sudate. Aveva vissuto una vita ad aspettare una risposta, una risposta che non era arrivata e che non sarebbe mai arrivata, se non dopo la sua morte.
Manoscritti su manoscritti, parole su parole, fogli su fogli: era questo che rimaneva della sua passione, niente altro.
Non ricordava nemmeno quante pagine aveva riempito, e la malattia di certo non aiutava.
La malattia, un demone oscuro che si era insinuato dentro lei, le confondeva le idee ogni volta che prendeva la sua stilografica in mano e tentava di mettere quattro parole in fila, le faceva tremare le mani e scrivere parole sbavate e senza senso.
La sua esistenza era, ancora una volta, resa inutile dalla sua malattia ma non le dava una colpa perché lei, tutto questo, se l’era meritato ed era inutile l’autocommiserazione.
Sophie Schneider era nata in un paesino sperduto della Svizzera, al confine con la Germania, precisamente a Riehen.
Era nata in un freddo giorno d’inverno, il 29 novembre del 1986, nello stesso paese in cui viveva da una ricca famiglia di banchieri del posto.
Sophie aveva passato la sua infanzia nel lusso, aveva avuto tutto quello che un bambino potrebbe chiedere e, a differenza degli altri bambini, a quattro anni esatti sapeva già leggere e scrivere.
Sophie era una bambina strana, amava stare in disparte e giocare da sola; le bambine la prendevano sempre in giro per i suoi comportamenti strani, per i viaggi mentali che si faceva, per tutta la sicurezza e la voglia di vivere che aveva, della gran voglia di scoprire il futuro che la caratterizzava.
Sophie sognava di diventare una scrittrice, sognava di diventare una pietra miliare della letteratura, sognava di vedere il suo nome stampato sul dorso di un volume grosso quanto la Bibbia, a caratteri dorati e lucidi.
Sophie sognava, le piaceva pensare che la gente, leggendo ciò che scriveva, cambiasse, o comunque voleva che le sue parole lasciassero segni nella mente e soprattutto nel cuore.
Sophie era un maschiaccio, odiava le gonne e i nastrini, i pompon e i luccichini e adorava indossare pantaloni larghi e magliette lunghe, cose che i suoi genitori si erano ormai abituati a comprare.
Sophie aveva una stanza tutta sua, una stanza verde e arancione, nella quale teneva tutti i libri che, precocemente, si era fatta regalare dal papà e che puntualmente ogni mese reclamava.
Sophie aveva una grande passione oltre la scrittura, ovvero la musica: era cresciuta con Bach e Mozart, da parte di madre, con i Queen e i Pink Floyd da parte del padre.
Sophie aveva vissuto fino a ventidue anni, a ventitré era morta, ma non fisicamente, mentalmente.
Sophie aveva il cancro.
Sophie doveva morire.

Ricordava ancora l’espressione addolorata del medico che gli aveva dato l’esito delle analisi, ricordava ancora la reazione violenta della madre e il pianto disperato, ricordava ancora gli occhi del fratello, inondati di lacrime, sebbene fossero gli unici ricordi che la sua mente riusciva a darle.
Sophie aveva il cancro da due anni e stava lentamente, inesorabilmente, debolmente morendo. 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: ValeEchelon