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Autore: Roberta87    13/11/2011    10 recensioni
One shot ispirata da un contest al quale, alla fine, non ho mai partecipato.
[...]
" Con il pollice accarezzo la seta morbida del nastro appena ritrovato e mi pare incredibile che dopo tutti questi anni sia ancora di quel blu così intenso che ricordavo. Mi sento davvero un fesso colossale, ho il cuore che batte come un tamburo ed è la seconda volta in tutta la mia vita da lupo che sudo per l’emozione.
La prima è stata il giorno in cui ho rubato questo nastro."
[...]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black | Coppie: Bella/Jacob
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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nastro


Blue Ribbon

 

Sul pavimento, sul tappeto, perfino attorno a me sul divano, regna il caos.
    Ogni anno è sempre la stessa storia, ci metto tutto l’impegno possibile ma puntualmente, prima di arrivare al risultato finale, combino solo un gran casino.
     Il soggiorno sembra ancora più piccolo, nonostante gli scatoloni aperti sul tappeto siano solo un paio. Puzzano incredibilmente di muffa, l’unico odore schifoso al mondo che viene associato a qualcosa di bello. Ricordi stipati in soffitta o in cantina. La cosa buffa è che questi due scatoloni non avrebbero dovuto contenere nessun pezzo di passato, nessuna bambola orribilmente spettinata, nessun disegno con uomini colorati di verde da mani di bambino. Li recupero dalla soffitta ogni anno e dentro ci trovo sempre le stesse cose, comprate quattro anni fa.
    Conosco a memoria ogni cianfrusaglia stipata in quel cartone impolverato, potrei tirarle fuori bendato una ad una nello stesso identico ordine in cui le ripongo ogni anno.
    Eppure, stavolta sono rimasto di sasso.
    Sono in ginocchio sul tappeto e sto per mettere via uno scatolone dopo averlo svuotato, quando una striscia colorata sul fondo attira il mio sguardo. Il cuore lo riconosce ancora prima della memoria, resto senza fiato. Come ci è finito qui dentro? Lo cercavo da anni.
    Lentamente mi trascino a sedere sul divano alle mie spalle che sbuffa sotto il mio peso. Dalla finestra alla mia sinistra entra un fascio di luce arancione davvero strano per quest’ora del mattino. Minuscole particelle di polvere danzano mentre lo attraversano, catturare nel loro movimento dai miei occhi sempre vigili. Inclino leggermente la testa di lato mentre osservo la luce arrivare dritta al palmo della mia mano, come un riflettore puntato sui miei ricordi e se in questo momento lei mi vedesse riderebbe come al solito, perché tu non ti rendi conto, Jake, ma sei la copia sputata di un cucciolo. Sorrido e penso che potrebbe dirmi qualsiasi cosa con quella bocca e quegli occhi che mi hanno sempre fatto impazzire.
    Con il pollice accarezzo la seta morbida del nastro appena ritrovato e mi pare incredibile che dopo tutti questi anni sia ancora di quel blu così intenso che ricordavo. Mi sento davvero un fesso colossale, ho il cuore che batte come un tamburo ed è la seconda volta in tutta la mia vita da lupo che sudo per l’emozione.
    La prima è stata il giorno in cui ho rubato questo nastro.

 

 

 

Quando poggio la bottiglia di birra in vetro marrone sul tettuccio dell’Hummer mi libero con un rutto che fa tremare il finestrino del passeggero. Cacchio, ci voleva.
    Sto impazzendo dal caldo chiuso qui dentro. Spalanco la porta della rimessa e, pioggia a parte, non vengo investito da aria gelida. Butto un occhio al calendario di fianco all’interruttore. E’ il 6 gennaio, porca miseria, non dovrebbe far freddo? Dovremmo essere tutti sommersi da un metro abbondante di neve e con i denti che ci battono in bocca – sì, perfino noi lupi – invece mi ritrovo quasi a sudare e con uno schifo di pioggia grigia e sottile a riempirmi il terreno di pozzanghere.
    Torno al motore del mostro di SUV che quel fesso di Mike Newton mi ha lasciato dopo le vacanze di Natale. Ci ripenso. Più che lui, è il padre ad essere un coglione. Come si fa a dare in mano ad un fesso come Mike un macchinone del genere, quando sono sicuro che non saprebbe prendersi cura nemmeno della catena di una bicicletta? La risposta è semplice. Il signor Newton in questi anni si è fatto tanti di quei soldi da far schifo e per l’estate ha fatto recapitare al bel figliolo un regalino grigio metallizzato da centomila dollari per l’ultimo anno di college e tanti cari saluti. Chi se ne frega se il figliolo è un idiota che ha trovato la patente nella busta delle patatine? Tanto, male che vada c’è sempre
coso lì, quell’indiano poveraccio che ripara l’impossibile.
    Quello che però papino non ha calcolato è che il fesso del figlio avrebbe ridotto il regalino a un rottame in meno di cinque mesi e che, questo indiano qui, ha intenzione di chiedergli una parcella così alta quando verrà a ritirarlo la settimana prossima che dovrà ammetterlo perfino lui che il figlio è coglione almeno quanto se stesso.
    Sghignazzo a quella prospettiva. Sono giorni che il mio vecchio cerca di “farmi ragionare” e di convincermi a non tirare troppo la corda perché “soldi non ce ne sono, Jake, altrimenti ti avrei mandato al college. Cerca di tenerti buoni clienti come Newton”.
    Non me ne fotte un cazzo. Del college, dei soldi, dei clienti, del progetto di una vera officina. Saranno passati anche anni ma io quel coglione di Mike Newton ce l’ho sempre sulle palle.
    Accendo la vecchia radio che gracchia mentre si sintonizza sulla stessa stazione di sempre, alzo il volume al massimo, non voglio sentire i miei pensieri. Voglio che questo pezzo schifoso che stanno mandando in onda soffochi l’amaro che mi sale in bocca quando penso che tutti stanno gettando le basi per la loro vita, tranne me. Recupero una chiave dal banco da lavoro e mi immergo fino ai gomiti nel vano motore, sperando che quell’assolo di chitarra carbonizzi la voce che mi urla nel cervello che è per scelta mia se non mi sono mai mosso di qui, se non sono mai andato avanti. Immergo le mani nel grasso nero e familiare degli ingranaggi, mentre mi impongo di nascondere sotto l’urlo finale del cantante il vero motivo per il quale ogni anno scelgo di non cambiare nulla nella mia vita. Sospiro.
    La musica cambia proprio nel momento in cui non dovrebbe farlo, passando ad un pezzo a dir poco sdolcinato. Il mio udito da lupo riconosce un suono ormai familiare quanto lo squittio delle ruote della sedia di Billy sulle piastrelle in cucina. Maledizione, il destino non la smetterà mai di prendermi per il culo?
    Faccio finta di niente e continuo ad armeggiare con il motore mentre il cuore inizia a battermi in petto come una furia. Muovo le mani a casaccio, la verità è che non so nemmeno io cosa sto facendo. Le orecchie si tendono involontariamente a contare il rumore dei passi che si avvicinano. In questi anni ho imparato che impiega esattamente tra i cento e i centodieci passi per arrivare dal cortile alla rimessa. Novantacinque nei giorni di pioggia come questo, quando non inciampa per la fretta. Come ogni volta cerco di prepararmi.
    Ottantatre.
    Un bel respiro profondo. Non posso fare la figura del coglione.
    Ottantanove.
    Mi autoconvinco che in cinque anni ho imparato a mascherare l’effetto che mi fa e che non sono più il ragazzino sconvolto dalle assurdità di una nuova vita, alle prese con cose più grandi di lui come succhiasangue e palle di pelo giganti.
    Novantuno.
    Richiamo alla memoria il suo profumo, che ormai conosco meglio del mio, in modo che non mi stordisca quando entrerà da quella porta.
    Novantaquattro.
    Ricordo a me stesso il vero motivo per cui lei continua sempre a ritornare.
Lo stomaco mi si serra.
    Novantacinque.
    « Jake? »

 

Every day here you come walking
I hold my tongue, I don't do much talking
You say you're happy and you're doin' fine

 Well go ahead, baby, I got plenty of time

 

 

Per quanto mi prepari ogni volta, finisce sempre così. La sua voce mi arriva alle spalle, anche se annunciata da un pezzo, e il cuore mi balza in gola. Che coglione che sono.
    Faccio finta di non aver sentito, in fondo la musica è altissima e poco importa che lei sappia
tutto di me, sta al gioco e la amo anche per questo.
    Amo lei e odio me stesso, ormai, per il semplice fatto di amarla e di non essere riuscito a fare un bel niente a riguardo. La amo da sempre e la distanza in questi anni non ha modificato di un pelo ciò che provo. Il giorno in cui dopo il diploma – dopo averla vista struggersi per l’abbandono di quello stronzo di succhiasangue per un anno intero e dopo tutto l’impegno che mi ci era voluto per farla tornare almeno a sorridere – l’ho accompagnata all’aeroporto di Seattle insieme a Charlie credevo che sarei morto.
    Avevo creduto di essere io il più forte dei due.  Quando io e Charlie tentavamo di tutto per convincerla a partire per il college  mi illudevo di poter sopportare io tutto il dolore per entrambi, di poter essere la sua roccia ancora, anche oltre quell’anno infernale. E invece quel giorno me ne sono stato lì, fermo. L’ho semplicemente guardata salire su un dannatissimo aereo, combattuto tra l’orgoglio che la mia Bells stesse ricominciando a vivere ed una mitragliata dritta al centro del petto.
    Il fatto è che io sono sempre stato un coglione totale, con tanto di sfiga sempre incollata addosso, e quel giorno l’avrà pensato anche Charlie. Sono fuggito via da vero codardo, rifugiandomi nel corpo del lupo appena fuori Seattle per tornare me stesso solo nei pressi della riserva. Pensavo che non l’avrei mai più rivista, che si sarebbe rifatta una vita quanto più diversa possibile da quella che aveva avuto qui. E invece mi ero sbagliato.
    Bella mi ha stupito, come ogni volta del resto. Tornava a Forks ogni volta che poteva, all’inizio addirittura ogni fine settimana. Le mancava Charlie, diceva, ma io non le ho mai creduto. In fondo è come se non fosse mai partita per il college. Ancora oggi, che ormai il college l’ha quasi finito, tengo il numero di telefono di casa sua a Vancouver su post-it incollati dappertutto. Non sono mai riuscito ad impararlo, per me è come se davvero non fosse mai andata via.
    Così, sono quattro anni che Bella continua a tornare, imperterrita e testarda come suo solito. E sempre con la stessa testardaggine continua a ripetere a tutti che sta bene, che è tutto a posto, che se la cava alla grande. Lo dice anche a me, ma anche a questo non ho mai creduto e sono certo che lei lo sappia. I suoi occhi non mi hanno mai mentito.

 

Sad eyes never lie
Sad eyes never lie

 

 

 

« Santo cielo! » la sento ridere mentre abbassa il volume della radio « Non puoi ascoltare questa roba ».
    Mi volto e fingo di essere sorpreso. « Per tutti gli spiriti protettori della riserva, sei ancora qui? Ma ti puzza proprio l’aria di casa? »
    Lei ride ancora e non posso nemmeno darle tutti i torti, quella canzone è da vera checca depressa degli anni ’90. A proposito di spiriti protettori, per la miseria, ma evitarmi qualche figura del cazzo no, eh?
    Bella prova a dire qualcosa, ma un nuovo scoppio di risa glielo impedisce. Ha quasi i lacrimoni, mi fa segno che proprio non ce la fa e si piega in due, con le mani poggiate sulle ginocchia. Sospiro, raccolgo lo straccio dal cofano dell’Hummer e tento di darmi una ripulita alle mani incrostate di grasso. Anche se non so cosa sia più sporco.
    « Figurati, fa’  con calma, Bells. Infierisci pure. »
   « Sc- … scusami è che » tenta di riprendere fiato inutilmente « mi imma- … immagino la faccia di Paul qua- … quando glielo dirò! » e riprende a ridere più forte di prima.
    « Che simpatia. Siamo proprio di buon umore oggi, vedo. »
    Mi appoggio con un piede al paraurti del SUV e in realtà vedo anche qualcos’altro. Vedo una bellissima ragazza che sta diventando donna sotto i miei occhi. Dio, quanto adoro questa sua incongruenza. Anche in questo momento.
    Si sta letteralmente svaccando dalle risate, come direbbe Seth, in pieno stille Bella-Swan-eterna-adolescente-scoordinata, ma il suo corpo è quello di una bellissima donna. Noto solo in questo momento che, in effetti, è più curata del solito. Nonostante abbia ormai 22 anni e viva da quattro da sola, la sua incompatibilità con la moda e lo stile non è mai cambiata.
    Per questo mi stupisco nel notare che oggi i suoi soliti jeans scuri e t-shirt hanno lasciato il posto ad un vestito bianco. Non so perché, ma contrariamente a quanto ho sempre visto sulle altre, il pallore di Bella si sposa perfettamente con quello del vestito. La stoffa morbida strofina sulle sue cosce magre quando si afferra più saldamente le ginocchia con le mani mentre ride e io riesco a sentirne perfino il fruscio. Mi si secca la bocca e deglutisco a fatica, pensando con una punta di fastidio che non dovrebbe andarsene in giro con un vestito tanto corto. Bella si solleva lentamente, lasciando scorrere le mani sottili sul suo corpo, su fino ai fianchi. Non c’è niente di sensuale nel modo in cui si muove, sta solo cercando di riprendere fiato goffamente come ha sempre fatto, ma il mio corpo reagisce comunque.
    Non riesco a staccarle gli occhi di dosso, e nemmeno voglio. Risalgo con lo sguardo anch’io lentamente, insieme alle sue mani, lungo i fianchi morbidi, la pancia piatta, per poi proseguire senza riuscire a fermarmi. E’ naturale arrivare a sbirciarle dentro la scollatura quadrata, che le fascia il seno talmente bene che le mani mi prudono d’invidia. Veramente non mi prudono solo le mani. Mi sento il collo e la faccia in fiamme, posso quasi sentire il sangue corrermi nelle vene sempre più veloce, specialmente dove proprio non dovrebbe. Mi rendo conto in un momento di quello che sta succedendo.
    Porca puttana, ma si può essere più coglioni?
    Tolgo immediatamente il piede dal paraurti e fingo indifferenza quando abbasso lo straccio davanti a Black Junior che ha deciso di svegliarsi proprio adesso. Continuo a pulirmi le dita tranquillo, Bella ha appena smesso di ridere. Si asciuga le lacrime dagli occhi e poi mi sorride.
    Paul avrebbe altro buon materiale sul quale prendermi per il culo se sapesse che quel sorriso e quegli occhi mi eccitano molto di più del suo corpo.
    Mi do mentalmente del coglione per la milionesima volta e mi costringo a riprendermi. Inutile scaldarsi tanto, io resto sempre e solo Jake, la spalla su cui piangere con il bonus del gene della licantropia.
    « Che dici, ce la fai a non ridere per cinque minuti e a dirmi chi si sposa oggi? »
    Mi guarda perplessa, le faccio un cenno con la testa verso il vestito e sollevo un sopracciglio. E’ più forte di me, non riesco a trattenere un sorriso malizioso.
    « Oh, già … questo » sorride imbarazzata e abbassa la testa per guardarlo.
    Il viso viene completamente coperto per un attimo dalla cascata scura dei suoi capelli. Si sarà acconciata anche quelli perché delle onde morbide e composte hanno preso il posto del solito arruffamento che porta in genere. Proprio al centro della testa spicca un nastro di raso del blu più intenso che abbia mai visto. Quando solleva di nuovo il viso il contrasto tra quel blu incredibile, il castano scurissimo dei capelli e degli occhi e il pallore del suo viso mi mandano per un secondo in tilt il cervello. Come se non avessi mai visto una bella ragazza, patetico.
    « Come sto? Sono ridicola, vero? » le guance le vanno in fiamme e si morde le labbra.
    I denti affondano nel labbro inferiore, coperto di un rossetto talmente chiaro che se non fosse stato lucido non l’avrei nemmeno notato. Riesco a vederlo da questa distanza solo grazie ai miei occhi da lupo. Occhi da predatore. E mi sento come se davvero stessi fissando la mia preda.
Mi passo la lingua sulle labbra per riflesso.

 

 

Well for a while I've been watching you steady
Ain't gonna move 'til you're good and ready
You show up and then you shy away
But I know pretty soon you'll be walkin' this way

 

 

 

Come stai, mi chiedi. Dovrei risponderti che non sei mai stata così bella. Se sei ridicola? Mai quanto questo fesso che ti sta di fronte. E chiamandomi fesso mi sono fatto proprio un complimento.  A vent’anni sono ancora qui che ti guardo da lontano, rispettandoti e aspettando il momento in cui sarai pronta per andare avanti. Senza muovermi mai, semplicemente aspettandoti.
    Ci sono state delle volte in cui mi ha sorriso diversamente, guardato diversamente, ma subito dopo è tornata a nascondersi nella timidezza che la divora. Poche, pochissime volte. Riesco quasi a contarle sulle dita di una mano. Per questo mi sono convinto che fossero solo dei viaggi mentali che mi facevo, degli scherzi di questo cervello annacquato che mi ritrovo. Di sicuro saranno stati il riflesso di quello che mi sarebbe piaciuto vedere. Tutta un’illusione.
    All’inizio questa storia che continuasse a tornare a Forks ogni volta che poteva mi ha mandato in pappa il cervello. Non nego che nei momenti di più totale idiozia ho fantasticato sul fatto che magari tornasse per me. Poi però ho capito.
    Bella non riesce a stare lontana da Forks perché sono convinto che speri di veder tornare quel bastardo. Mi giocherei la testa che lo aspetta ancora. Quasi quanto io aspetto che lei ritorni ogni volta. Certo, non sono uno stupido, so che anche lei tiene a me. In questi anni ho capito che sì, non riesce a lasciare Forks per la sanguisuga, ma ha bisogno di me per andare avanti.
    Lo capisco dai suoi occhi, dalle sue parole, dai suoi gesti. Torna a Forks e mi parla di tutto quello che succede nella sua vita, le scelte che fa, le persone che frequenta, e so che in quel momento cerca il mio sostegno. Ha bisogno di sapere che, nonostante tutto, io sia sempre lì a supportarla. E siccome ormai l’hanno capito anche i muri che sono un masochista testa di cazzo, non riesco a dirle di no. Mai.
    « Sei bellissima.»
    Quasi mi mordo la lingua dopo averlo detto. Ma che idiota! Mi preparo a qualche sberla o a qualche sfottò, perché il Jacob di sempre non l’avrebbe mai detta una cosa simile, piuttosto ci avrebbe scherzato su. Ma anch’io sono umano, e per quanto mi possa trattenere, prima o poi la cazzata mi scappa.
    Invece Bella sorride, imbarazzata. Abbassa per un attimo lo sguardo e sussurra « Grazie ».
    E mi spiazza. Per la prima volta in tutta la mia vita non so che fare. Penso che ci deve essere una muffa killer nella rimessa che ci sta friggendo il cervello, oggi. C’è un attimo di imbarazzo, uno di quelli che ti sembrano infiniti e che, soprattutto, fra me e lei non ci sono mai stati. Poi, così come è arrivato, il momento passa.
    Bella prende un grosso respiro e si avvicina con la sua andatura scoordinata, sorridendo. Inizia a toccare distrattamente gli attrezzi puliti sul banco.
    « Ancora alle prese con il macchinone di Mike? » lo dice con aria indifferente, ma lo vedo lontano un miglio che è in difficoltà.
    « Non ci provare » le dico e lei fa finta di non capire a cosa mi stia riferendo. « Andiamo, Bells. Il vesito, addirittura il rossetto. Non cambiare argomento che tanto non mi freghi. Che succede? »
    La guardo spostare il peso da una gamba all’altra, passarsi una mano fra i capelli e mordersi il labbro e so già che non mi piacerà affatto quello che mi dirà.
    « Io … sì … beh, insomma, diciamo che … » sbuffa infastidita e poi sussurra « … Dio! » quasi si arrabbia con se stessa.
    Mi viene da ridere, è troppo buffa quando deve vedersela con la sua timidezza.
    « La vuoi smettere? » ridacchio ma lei non sembra rilassarsi, il che è strano. In genere mi basta sorridere per farle cambiare umore.
    « Giuro che non mi arrabbio se sei stata invitata a qualche festa qui in riserva senza che abbiano chiamato anche me. Davvero, li capisco, ormai passo più tempo qui dentro che … »
    « Ho un appuntamento ».

 

 

I know you think you'd never be mine
Well that's okay, baby, I don't mind
That shy smile's sweet, that's a fact
Go ahead, I don't mind the act

 

 

Lo sputa fuori talmente veloce e basso che per un secondo credo di essermelo immaginato. Poi la sua faccia, rossa, imbarazzata, con gli occhi puntati sulle sue scarpe, mi da la conferma che invece ho capito benissimo. Mi manca l’aria. Sospetto di avere anche la bocca spalancata e mi sento anche coglione oltre che stordito.
    Ha un appuntamento? Bella? La mia Bella? Ma allora io sono proprio il campione mondiale dei coglioni!
    E involontariamente insisto nel definirla la mia Bella, come se non fosse abbastanza chiaro. In questo momento è chiaro come la luce del sole che lei non è mai stata mia. Il punto è che fino ad oggi non mi è mai pesato. Lo sapevo che non era davvero mia ma solo perché pensavo che il suo cuore appartenesse ancora a qualcun altro. E invece no, invece sono stato più idiota che mai.
    Dio, come ho fatto? Il cervello mi gira a mille, cercando di capire come diavolo ho fatto a non rendermi conto di niente, a non capire che era andata avanti. Poi mi rendo conto che il problema è sempre stato uno solo: io.
    Io, il fesso che pensava che pur di vederla felice gli sarebbe stato bene saperla lontana.
    Io, l’idiota che non ha mosso un muscolo credendola ancora troppo fragile.
    Io, il coglione che non si è mai esposto.
    Io. Lo stronzo.
    Quello che vorrebbe morire in questo stesso istante perché, cazzo, ho un dolore che mi squarcia il cuore ma allo stesso tempo mi sento sollevato. Sollevato perché, hey, vuol dire che sta bene. Ed io mi odio, così profondamente che se fossi ancora il ragazzino inesperto di qualche anno fa mi trasformerei su due piedi dalla rabbia. Come si può, nello stesso istante, morire di dolore ed essere quasi felici?
    Non lo so, non lo capisco. Sono sopraffatto dalle emozioni e lei ha alzato lo sguardo. Mi fissa, si aspetta che dica qualcosa. Ma cosa? Cosa posso dirle se non so nemmeno cosa sto pensando davvero? Una parte di me vorrebbe chiederle come ha potuto farmi questo. Ma all’altra parte di me, quella più grande, in realtà non importa affatto. Non mi interessa che non sia io l’uomo giusto per lei. L’importante è vederla felice.
    Merda, devo dire qualcosa. Devo parlare, devo fare qualcosa, qualsiasi cosa per uscire da questo momento. Deglutisco a fatica, mi sento come se qualcuno mi stesse strozzando.
    « Ehh … beh … wow »
    Oh, complimenti!
Il dicorso dell’anno. Ma si può essere più imbecilli? Mi passo una mano fra i capelli e dalle labbra mi scappa una mezza risatina nervosa. Bella sembra stare peggio di me e per un nanosecondo quasi gioisco della sua posizione più scomoda della mia.
    « L’ho conosciuto qualche mese fa e … è un tipo a posto ». Mi guarda di sottecchi.
    Forse si aspetta che dica qualcosa, ma proprio non ci riesco. Mi sento come se mi avessero strappato la lingua portandosi dietro anche cuore e polmoni. Cosa posso dirle? “Hey, sai, stai facendo una cazzata perché sono io l’uomo della tua vita” non mi sembrano proprio le parole più adatte al momento ma sono le uniche che mi vengono in mente.
    Bella si tortura le mani, le labbra, ha un’espressione quasi sofferente ed io mi sento in colpa. Sta finalmente ricominciando a vivere, era quello che volevo, no? Lei sospira ed inizia a riempire di nuovo il silenzio che io non riesco a rompere in nessun modo.
    « E’ di Seattle, ma segue una ricerca a Vancouver e ci siamo incontrati in biblioteca » si guarda per un attimo intorno, poi ricomincia a parlare senza guardarmi negli occhi « ti piacerebbe, ha un debole per i motori. »
    Vorrei dirle che non me ne frega un cazzo dei motori e che in questo momento se ce l’avessi davanti gli spaccherei le ossa una ad una. Vorrei sapere perché diavolo ha scelto di uscire con lui proprio mentre era qui a Forks ma è in questo momento che mi si accende qualcosa in testa.
    Improvvisamente so esattamente cosa devo dire. Nell’immensa confusione che ho nel cervello c’è una cosa che spinge più delle altre. L’unica cosa dalla quale può dipendere tutto e non me ne fotte un cazzo se sono parole da checca. Non provo vergogna quando me le sento scivolare fuori dalle labbra.
    « Bells, tu … lui ti … ti piace davvero? Insomma, sei … sei felice? »
    Esita.
    Bella semplicemente esita, con il fiato sospeso e in quel momento mi si aggroviglia lo stomaco. Perché per me quest’esitazione potrebbe significare tutto. Andiamo, dillo, mi ripeto nella testa, dimmi di no. E nello stesso momento mi maledico per il mio desiderio, che razza di stronzo posso essere se spero che mi dica che non è felice?
    « Ah … » espira forte, come se buttasse fuori tutta l’aria dai polmoni.
    Continua a guardare per terra, sposta il peso sulle gambe e si passa una mano fra i capelli con le labbra increspate. E’ imbarazzata, come suo solito, e non riesco a capire se sulle labbra ha un sorriso o una smorfia. Balbetta un paio di vocali a caso e più secondi passano più il mio cuore prende il volo.
    « Ma che … che domande fai, oggi? … Certo »
    « Certo cosa? » le rispondo immediatamente, ormai ho il cuore in gola senza nemmeno sapere perché.
    Bella finalmente alza gli occhi, li punta dritto nei miei e poco importa che mi sembrino lucidi.
    « Sono felice, Jake ».

 

 

Sad eyes never lie
Sad eyes never lie

 

 

Sostiene il mio sguardo ancora per qualche attimo e nei suoi occhi vedo tutto tranne che felicità. Mi volta le spalle, finge di studiare gli attrezzi appesi alla parete, poggiata al bancone. Io intanto sto impazzendo. Bella non mi ha mai mentito, nemmeno una volta, ma c’è qualcosa al centro del petto che mi spinge a non crederle. Perché non mi guarda negli occhi? Perché non mi grida la sua felicità invece di nascondermi il viso? Sa che i suoi occhi mi hanno sempre parlato più delle sue labbra.
    Mi agito ancora di più, sento le mani che mi sudano per la prima volta nella mia vita e mi sento un tale cazzone che vorrei soltanto non aver mai fatto quella domanda. Perché ora davvero non so più che fare, cosa pensare. Che motivo avrebbe di mentirmi? Nessuno, quindi se dice che è felice vuol dire che lo è davvero, coglione di un lupo, e tu ti devi rassegnare.
    Però … mi strofino le mani fra i capelli, dietro la nuca, perché, Dio, ho qualcosa dentro che proprio mi impedisce di crederle. La vedo lanciare una breve occhiata all’orologio e chiudo gli occhi, sapendo che mi rimane davvero poco tempo.
    Cosa c’è, eh? Cos’è che non ti torna, lupo? Chiedo alla bestia che mi porto dentro, perché so che è per colpa sua se non credo alle parole di Bella. So che lui ha visto qualcosa che a me sfugge, quindi per la miseria, devo capire!
    Stringo le palpebre, rivivo il momento in cui mi ha risposto. Sono solo flash istantanei quelli che rivedo, eppure sono particolari talmente minuscoli e ravvicinati che potrebbero appartenere a chiunque. Una guancia che arrossisce. Un minuscolo lembo di pelle della nuca sul quale si rizza una minuscola peluria. Un battito di cuore che triplica. Ma cosa più importante, degli occhi senza luce.
    Qualcuno una volta ha detto che la nostra anima si vede attraverso gli occhi, o una stronzata simile. Ma, cazzo se è vero. L’anima di Bella è tutta nei suoi occhi ed io, non per vantarmi, ma ho sempre comunicato molto meglio con quella, senza bisogno di parole. Ci sono state volte in cui gli occhi della mia Bells hanno brillato talmente tanto da accecarmi. Poco fa, invece, tutto quello che ho visto sono stati dei grandi occhi di cioccolata. Punto. Magari leggermente lucidi, ma spenti. Non voglio e non posso credere che Bella mi dica di essere felice con
quegli occhi.
    Quando riapro i miei, di occhi, ho deciso: non le credo.
    Mi basta questo spiraglio di sicurezza per sentirmi leggermente più forte, più sicuro. Perché se Bella è pronta per andare avanti allora
deve essere felice, e io non posso pensare di non poter far parte della sua felicità. La sua felicità potrei essere io, lo so, l’ho sempre saputo.
« Sto facendo tardi, devo andare. Ci … ci sentiamo domani, magari »

 

 

Here you come all dressed up for a date
Well one more step and it'll be too late

 

 

 

Mi saluta con la mano e si volta, dirigendosi verso la porta.
     No, porca puttana, no.
   Ho appena acquistato un briciolo di sicurezza e lei me la butta al vento. Non può andarsene proprio adesso, che sto finalmente cercando di capire cosa devo fare. Prendo fiato un paio di volte, poi però non dico niente perché
non so che dire. Le mani mi sudano tantissimo, tanto che penso che stia per venirmi un colpo. Mi sento il cuore praticamente dietro le orecchie e, se non dovessi mantenere una certa dignità, andrei in panico totale.
    Un passo, due, la guardo avvicinarsi all’uscita della rimessa.
    Ho la bocca più secca dello schifo di arrosto del mio vecchio di ieri sera eppure ingoio. A fatica, ma ingoio. Cerco di mandare giù il cuore, lo stomaco e tutte le budella che mi stanno strozzando mentre prego tutti i miei cazzo di antenati di darmi una mano, direi che ne hanno di debiti per questa storia della licantropia.
    Bella è ormai alla porta, un ultimo passo e sarà fuori. Fuori dalla rimessa.  Fuori dalla mia vita. Fuori dal mio futuro.
    Un altro passo e sarà troppo tardi.
    Mi basta questo pensiero per perdere la testa. In un attimo impazzisco totalmente – o ritrovo la ragione, chi può dirlo? – e mi è improvvisamente tutto chiaro come il sole. Cos’è che mi impedisce di fare finalmente la mia mossa?

 

 

Blue blue ribbon in your hair
Like you're so sure I'll be standing here

 

 

Vedo i suoi capelli scuri ondeggiare, con quel nastro blu che sembra mi stia chiamando, quasi del tutto fuori dalla rimessa. Mi muovo senza pensare, senza nemmeno avere idea di cosa fare. In meno di due passi la raggiungo, le afferro un braccio e la volto senza dire niente.
    La prima volta in cui mi do del coglione è quando i miei occhi incatenano i suoi. Li amo da morire, come ho fatto a stare senza fino ad oggi?
    La seconda volta quando con una mano le avvolgo il fianco e mi accorgo con la coda dell’occhio di averle sporcato il vestito di grasso. Ma a lei sembra non importare tanto quanto a me. Quindi forse questo lo ritiro.
    La terza è quando le mie labbra toccano appena le sue, fresche, dalle quali emette un sospiro altrettanto fresco. Quando piuttosto che sfiorare la sua bocca, come si dovrebbe fare, quasi me la mangio. Ma soprattutto, quando sento le mani di Bella stringersi fra i miei capelli e rispondere al bacio quasi più intensamente di me.
    Lì sì che mi do del grandissimo coglione, senza possibilità di ritirarlo. Coglione. Immenso, patetico, stupido coglione senza speranze. Perché tocco il cielo con un dito, perché mi fa male il petto dalla felicità, perché non avrei mai pensato che tanto amore fosse possibile.
    Coglione, a non averci provato prima.
    Non smetto di baciarla, non ho intenzione di farlo per il resto della mia vita e a quanto pare nemmeno lei. Finalmente mia. Le sfilo con una mano il nastro dai capelli, mentre le mie labbra sorridono sulle sue.

 

 

 

In questo momento sono quasi certo di avere lo stesso sorriso di allora stampato in faccia e quel ricordo talmente vivido mi fa sentire immediatamente la mancanza delle sue labbra sotto le mie. Quel giorno era il 6 Gennaio di quattro anni fa. Lo stesso in cui mi raccontò dell’Epifania, questa sorta di strana festa italiana in cui una vecchietta porta dei regali ai ragazzini. Mi disse che prima sua nonna – di origini italiane – poi Reneé, l’avevano costretta a festeggiarla ogni anno e che, quell’anno, evidentemente io ero stato il suo regalo.
    Anche per questo ci siamo sposati proprio il 6 gennaio, tre anni fa. E sempre per questo motivo, da allora, ogni 6 gennaio mi alzo all’alba per addobbare il nostro piccolo soggiorno con qualche calza appesa al caminetto, qualche regalo sul tappeto e circa un migliaio di caramelle e dolci vari sparsi in giro per casa.
    Proprio come in questo momento, che mi guardo intorno soddisfatto del mio lavoro. Alla fine del caos nessuna traccia, se non quello ricreato apposta delle caramelle. Sorrido e il mio udito infallibile registra prima lo sbuffo del materasso e poi lo scricchiolio del pavimento al piano di sopra, segno che si è svegliata.
    Cerco di fare l’indifferente, provo a sedermi sul divano ma sono troppo agitato. Dopo anni, ritorno a darmi mentalmente del coglione, che non guasta. Cerco di guardare fuori dalla finestra, fingendo di non vederla quando arriverà, ma quando sento i passi sulle scale alle mie spalle mi rendo conto che è una stronzata. Sa che la sento, e anche se non lo sapesse sembrerei stupido comunque, in tutti questi anni non le ho mai tolto gli occhi di dosso nemmeno per un momento.
    Quindi alla fine mi volto nello stesso istante in cui i suoi piedi bianchi toccano il parquet del soggiorno. Mi guarda con quegli occhi grandi e lucidi e io mi sento morire, come il primo giorno in cui ho capito di amarla. Mi sorride sorpresa, e io rido della sua ingenuità, ormai dovrebbe aspettarselo. I capelli scuri sono più lunghi di come li abbia mai portati e sfiorano la pancia enorme e rotonda dove tiene poggiate le mani.
    « Jake … »
    Mi viene incontro ed io non riesco più a resistere. L’avvicino a me e la bacio, prendendole il viso tra le mani.
    « Buon anniversario » un bacio sulla punta del naso « e buona Epifania »
    Sorride e mi sciolgo come fossi ancora un ragazzino. Mi metto alle sue spalle e l’abbraccio avvolgendo anche il pancione, non mi sembra vero. La piccola Sarah scalcia sotto le mie mani, come ogni volta che avverte il calore del mio tocco. Insieme guardiamo il caminetto con le tre calze che penzolano con i nostri nomi, stracolme di dolci.
    « Ti amo » mi sussurra la mia Bells.
    Tiro fuori il nastro blu dalla tasca e glielo passo tra i capelli, aggiustandolo proprio come quel giorno di quattro anni fa, quando non sognavo neppure di avere quello che ho oggi.
    Sarò anche un coglione senza speranze, ma sono il coglione più felice del mondo.






Note dell'autrice:
  • Un sentito grazie a J., la miglior Beta che si possa desiderare. Se avete voglia di leggere qualcosa di STRAORDINARIO passate dal suo profilo e pescate a caso. Sono tutti pezzi unici per bellezza, stile ed emozioni. Mi ringrazierete.
  • Questa shot è nata grazie ad un contest indetto da Palm, purtroppo non ho consegnato in tempo, ma ho pensato che fosse giusto pubblicarla comunque. Il prompt che mi era stato dato da rispettare era "epifania". 
  • Chi tra voi segue anche la mia long, Undisclosed Desires, beh ... chiedo umilmente perdono per aver interrotto la pubblicazione. Ho perso l'ispirazione in questi mesi ma, grazie anche a questa shot, pare che io l'abbia ritrovata. Vi chiedo solo un po' di pazienza e ricomincerò ad aggiornarla.
   
 
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