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Autore: Claire Piece    14/11/2011    6 recensioni
[storia completamente corretta ed epurata da errori grammaticali e sintattici]
"Ma io non voglio un principe e non voglio che tu lo sia… io voglio L e basta! Trovo che sia molto meglio che avere un principe che continua a chiedermi la mano o a dirmi di amarmi… Io voglio che nulla mi sia detto sempre in modo esplicito... voglio i fraintendimenti… amo proprio l’incapacità nel sapermi prendere, l’incostanza dell’ “a volte sì e a volte no”... voglio l’impulsività, la stranezza, la tentazione celata e costante...
Ecco cosa voglio. Sei tu."

La morte le aleggia costantemente intorno... La Wammy's House, geni, killer e l'amore per una persona irraggiungibile, L.
Una giovane donna stringerà tra sue mani tutto questo.
Ciao ciao a tutti, questa è la mia prima fan fiction.
Mi sono cimentata in un campo non mio, ma era molto che ero ispirata e così ho pensato "o la va o la spacca!" Così mi sono messa di buona volontà e ho iniziato a scrivere, da principio da sola e poi facendomi aiutare (purtroppo non sono un'esperta scrittrice e agli inizi non tutti siamo bravissimi) con la correzione degli errori
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Watari
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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La seguente Fan Fiction contiene Spoiler.

Tutti i diritti sui personaggi e tutto quello che è riguardante Death Note è di proprietà degli autori Takeshi ObataeTsugumi Ohba

 

 

Grazie per essere qui e buona lettura.

Sunshine soundtrack playlist https://open.spotify.com/playlist/5oOmrvehLJBn160GJzYEJm

 

 

                                                  Distrazione

 

 

 

Avete mai avuto quella sensazione che paralizza e immobilizza, che preannuncia qualcosa a volte orrendo o più semplicemente di bello e inaspettato? Sorprende comunque, questo è certo.

In una fase della mia vita così fosca e tediosa, dove tutto stava diventando un lento scorrere e sembrava che nulla potesse più scuotermi, è comparso Lui. Sento ancora il suo penetrante sguardo addosso. Se dovessimo dare un'unità di misura agli sguardi, credo che il suo sia inqualificabile, immisurabile.

Ad ogni modo, andiamo per piccoli passi.

Adesso, dopo tre lunghi anni che ho passato con Lui, mi ritrovo in questa suite vuota.

Sola a raccontare di ciò che mi terrorizza di più: il dolore.

Ho paura che se non gli darò sfogo,  morirò come è morto Lui. Con un dolore che squarcia il petto e che non lascia il tempo nemmeno per un’ultima parola. Ho conosciuto molti tipi di pena, ma mai così straziante, mai un concentrato di sofferenza pura.

Mio Dio non riesco a trattenere le lacrime...

 

Credo di essere pronta adesso, chiedo perdono.

 

 

Era il primo Gennaio 2001.

Tre anni prima ero rimasta orfana di mia madre. Avevo solo quindici anni.

Prima di allora non pensavo che la morte potesse fare scelte e discriminazioni semplicemente attraverso l'atto di scrivere un nome su un foglio di carta. Allora non ero cosciente del fatto che la morte potesse prenderti in qualsiasi momento, senza preavviso. Come ha fatto anche con Lui. Anzi con lui era stata ancora più crudele, perché Lui sapeva, la conosceva molto bene.

Prima di incontrarlo passarono anni.

Anni in cui il mio trascorso familiare non fu dei più sereni e allegri, come ci si aspetta che accada quando hai dai quindici ai diciannove anni. Mio padre decise di risposarsi ed io non ce la facevo. Anche se lo adoravo, mal sopportavo di dover stare con lui. Un nuovo modo di vivere, un nuovo posto in cui vivere. E poi quell’estranea al suo fianco, era troppo per me.

Così decisi che se proprio dovevo cambiare radicalmente la mia vita, avrei preferito vivere da sola e lo feci. M’imbarcai sul primo aereo per l’Inghilterra, trovai un posto in cui vivere in un piccolo e grazioso quartiere nei dintorni di Winchester e la fortuna, almeno per una volta, mi sorrise. Forse sarà stato per quel maledetto diploma magistrale che riuscii a prendere con le unghie e con i denti, ma trovai un piccolo lavoro come educatrice di bambini dai tre ai cinque anni presso l’orfanotrofio Wammy’s House.

Era un posto grazioso. C’era tutto quello che un bambino o un ragazzo potesse desiderare, sotto ogni punto di vista, nonostante le tristi e travagliate situazioni che avevano vissuto e in cui si erano trovate quelle piccole creature. In minima parte li potevo capire, perché anch’io non avevo più una parte d’amore che pretendevo di avere e che mi era stata tolta prematuramente.

Adoravo le particolarità di quelle creature così perfette che non conoscevano errori.

Geni.

Io ero una semplice educatrice con nessun talento in particolare, diciamo l’essere meno adatto a vivere in quel posto. Eppure il signor Wammy, quando mi vide passeggiare davanti al cancello del suo orfanotrofio, mi pregò, quasi supplicò, di entrare a parlare.

Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Come sempre rimanevo a stazionare meravigliata dallo scorcio di giardino che intravedevo tra le aste di ferro del grigio cancello e alcuni bimbi incuriositi mi si avvicinarono accompagnati da un anziano signore.

Era un uomo molto distinto con i capelli totalmente imbianchiti, come anche i folti baffi. I tratti del suo viso erano gentili sebbene resi un po’ duri dalla mascolinità. Indossava una bianca camicia con sopra un golfino sul giallino. Era la fine di Marzo e si stava abbastanza bene. I marroni pantaloni, morbidi ed eleganti, gli cadevano su delle scarpe

brune e lucidissime. Il ritratto di un perfetto uomo inglese.

Wammy ispirerebbe fiducia anche alla persona più diffidente del mondo e  fu così anche per me.

Aprii pacatamente un’imposta del cancello ed entrai, lui esordì dicendo “Credo che lei, Miss...”

Quel signore, con quell’eccelsa pronuncia inglese e che non conoscevo, voleva sapere il mio nome, così gliene dissi uno falso. Non so perché, forse perché non amo molto il mio vero nome. Il suo suono non mi ha mai esaltato e non sono mai stata molto patriottica, date le origini del mio nome, e così farfugliai il nome della protagonista di una fiaba che mi piaceva molto “Belle, signore.”

“Oh! Miss Belle, è un paio di settimane che la vedo passare qui davanti al mio orfanotrofio, mentre guarda i bambini, e vorrei proporle un contratto di lavoro come educatrice. Trovo che lei abbia un innato senso materno e in più è incantevole quanto una Madonna rinascimentale, la figura perfetta per questo tipo di mansione. Immagino che possa essere un’ottima proposta, dato che sarà sicuramente in cerca di lavoro. Sa, non l’ho mai vista prima da queste parti ed ho subito pensato che debba essersi trasferita da poco, Miss Belle.” Mentre il signor Wammy mi mostrava un radioso sorriso, io arrossii vistosamente e replicai sorridendo a mia volta, pensando di non essere poi una così bella ragazza e soprattutto mi lasciò stupita per via del fatto che avesse capito che non ero di quel posto e che ero in cerca di un’occupazione.

Dei bambini ci girarono intorno ridendo, poi scapparono via. Non so se fu per quelle grida felici in quel incantevole giardino dove passeggiavamo io e il signor Wammy, o per il fatto che alzai lo sguardo su una finestra del palazzo che si ergeva di fronte a noi e al giardino.

Lì, lo intravidi per la prima volta. Lui intento ad osservare fuori dalla finestra.

Nel modo in cui era fermo a guardarci, avrei giurato, e lo penso tutt’ora, che  avesse architettato lui quel modo di attirarmi lì e la conseguente proposta del signor Wammy.

Per un attimo rimasi quasi ipnotizzata a scrutarlo, la figura non era nitida ma mi incuriosiva molto e mi aveva deconcentrato dalla risposta che dovevo dare al signor Wammy. Le parole sul momento sembrarono non uscirmi di bocca, ma fui ridestata dalla mia distrazione grazie al signor Wammy “Miss Belle, cosa ne pensa allora?”

Mi voltai come se avessi appena preso una vetrata in pieno viso e risposi, finalmente “Oh! Sì...certo, certamente! Per me va benissimo. Grazie!”

Quando mi voltai ancora verso la finestra, Lui non c’era più. Credetti di aver avuto un’allucinazione e maledissi me stessa per essere stata così distratta. Accidenti a me e alla mia capacità di perdere il contatto col mondo! Effettivamente sono stata così fin da bambina, sempre con la testa tra le nuvole.

Passarono splendide giornate all’orfanotrofio e il ritmo di vita mi andava perfettamente a genio. Sebbene il mio compito fosse pressoché lavorativo, trovavo appagante passare le mie giornate in quel posto. Non avevo mai adorato svegliarmi presto la mattina, ma la Wammy’s House era riuscita a farmi venire la voglia di farlo. Divenni molto più positiva, mi andò giù perfino il guardarmi allo specchio con un aspetto quantomeno orribile: con i miei capelli color cioccolato fondente, lunghi e scompigliati, nonostante li spazzoli finiscono in dei ricci finali sulle punte; la frangetta che adora prendere le forme quanto meno picassiane, gli occhi castani contornati da delle lievi occhiaie, il mio colorito bianco, che correggo con del rosso sulle guance. Riuscivo ad essere comunque contenta e felice, perché andavo alla Wammy’s House.

 

Un altro giorno passò come gli altri, tra i giochi mirati alla stimolazione mentale dei bambini e lo svago in giardino in un qualsiasi giorno d’Aprile.

In un batter d’occhio arrivarono le sei del pomeriggio ed i bambini, come al solito, andarono in mensa per la cena. Decisi di non tornare subito a casa, così approfittai di quel momento di pausa per girare un po' l’edificio. Il signor Wammy non mi guidò molto al suo interno, era molto occupato col suo lavoro di direttore. Ma c’era qualcosa che non mi convinceva in questo suo atteggiamento. Non ho mai ricordato che la mansione del direttore di un orfanotrofio fosse così, che avesse, come dire, quei ritmi serrati. Lo trovavo abbastanza strano.

E come sempre, mentre macinavo questi pensieri, mi ritrovai in una zona dell’edificio che non conoscevo molto. Se non sbaglio il signor Wammy mi aveva anche ammonito di non avvicinarmi, per via di non so quali motivi. La mia distrazione, ricordate? Be', aveva preso il sopravvento anche quella volta. Inoltre la mia curiosità a volte è così morbosa che mi fa cacciare nei guai. Sì, posso dire che sono esperta anche in questo campo.

Camminando per il lungo corridoio, intravidi una luce, non una luce di una lampada accesa. Una luce azzurrina più somigliante a quella che emana il monitor di un computer.

Non resistivo e mi avvicinavo piano, finché, arrivata alla porta, la aprii provando a non far rumore.

E vidi Lui, di spalle… colta dalla sorpresa, istintivamente trattenni il respiro.

   
 
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