La seguente Fan Fiction contiene Spoiler.
Tutti i diritti sui personaggi e tutto quello che è riguardante Death Note è di proprietà degli autori Takeshi ObataeTsugumi Ohba
Grazie per essere qui e buona lettura.
Distrazione
Avete mai avuto quella sensazione
che paralizza e immobilizza, che preannuncia qualcosa a volte orrendo o più semplicemente
di bello e inaspettato? Sorprende comunque, questo è certo.
In una fase della mia vita così fosca
e tediosa, dove tutto stava diventando un lento scorrere e sembrava che nulla
potesse più scuotermi, è comparso Lui. Sento ancora il suo penetrante sguardo
addosso. Se dovessimo dare un'unità di misura agli sguardi, credo che il suo
sia inqualificabile, immisurabile.
Ad ogni modo, andiamo per piccoli
passi.
Adesso, dopo tre lunghi anni che ho
passato con Lui, mi ritrovo in questa suite vuota.
Sola a raccontare di ciò che mi
terrorizza di più: il dolore.
Ho paura che se non gli darò sfogo, morirò come è morto Lui. Con un dolore che
squarcia il petto e che non lascia il tempo nemmeno per un’ultima parola. Ho
conosciuto molti tipi di pena, ma mai così straziante, mai un concentrato di
sofferenza pura.
Mio Dio non riesco a trattenere le
lacrime...
Credo di essere pronta adesso,
chiedo perdono.
Era il primo Gennaio 2001.
Tre anni prima ero rimasta orfana
di mia madre. Avevo solo quindici anni.
Prima di allora non pensavo che la
morte potesse fare scelte e discriminazioni semplicemente attraverso l'atto di
scrivere un nome su un foglio di carta. Allora non ero cosciente del fatto che
la morte potesse prenderti in qualsiasi momento, senza preavviso. Come ha fatto
anche con Lui. Anzi con lui era stata ancora più crudele, perché Lui sapeva, la
conosceva molto bene.
Prima di incontrarlo passarono
anni.
Anni in cui il mio trascorso
familiare non fu dei più sereni e allegri, come ci si aspetta che accada quando
hai dai quindici ai diciannove anni. Mio padre decise di risposarsi ed io non
ce la facevo. Anche se lo adoravo, mal sopportavo di dover stare con lui. Un
nuovo modo di vivere, un nuovo posto in cui vivere. E poi quell’estranea al suo
fianco, era troppo per me.
Così decisi che se proprio dovevo
cambiare radicalmente la mia vita, avrei preferito vivere da sola e lo feci. M’imbarcai
sul primo aereo per l’Inghilterra, trovai un posto in cui vivere in un piccolo
e grazioso quartiere nei dintorni di Winchester e la fortuna, almeno per una
volta, mi sorrise. Forse sarà stato per quel maledetto diploma magistrale che
riuscii a prendere con le unghie e con i denti, ma trovai un piccolo lavoro
come educatrice di bambini dai tre ai cinque anni presso l’orfanotrofio Wammy’s House.
Era un posto grazioso. C’era tutto
quello che un bambino o un ragazzo potesse desiderare, sotto ogni punto di
vista, nonostante le tristi e travagliate situazioni che avevano vissuto e in
cui si erano trovate quelle piccole creature. In minima parte li potevo capire,
perché anch’io non avevo più una parte d’amore che pretendevo di avere e che mi
era stata tolta prematuramente.
Adoravo le particolarità di quelle
creature così perfette che non conoscevano errori.
Geni.
Io ero una semplice educatrice con
nessun talento in particolare, diciamo l’essere meno adatto a vivere in quel
posto. Eppure il signor Wammy, quando mi vide passeggiare
davanti al cancello del suo orfanotrofio, mi pregò, quasi supplicò, di entrare
a parlare.
Ricordo quel giorno come se fosse
ieri. Come sempre rimanevo a stazionare meravigliata dallo scorcio di giardino che
intravedevo tra le aste di ferro del grigio cancello e alcuni bimbi incuriositi
mi si avvicinarono accompagnati da un anziano signore.
Era un uomo molto distinto con i
capelli totalmente imbianchiti, come anche i folti baffi. I tratti del suo viso
erano gentili sebbene resi un po’ duri dalla mascolinità. Indossava una bianca camicia
con sopra un golfino sul giallino. Era la fine di Marzo e si stava abbastanza
bene. I marroni pantaloni, morbidi ed eleganti, gli cadevano su delle scarpe
brune e lucidissime. Il ritratto di
un perfetto uomo inglese.
Wammy
ispirerebbe fiducia anche alla persona più diffidente del mondo e fu così anche per me.
Aprii pacatamente un’imposta del
cancello ed entrai, lui esordì dicendo “Credo che lei, Miss...”
Quel signore, con quell’eccelsa
pronuncia inglese e che non conoscevo, voleva sapere il mio nome, così gliene dissi
uno falso. Non so perché, forse perché non amo molto il mio vero nome. Il suo
suono non mi ha mai esaltato e non sono mai stata molto patriottica, date le
origini del mio nome, e così farfugliai il nome della protagonista di una fiaba
che mi piaceva molto “Belle, signore.”
“Oh! Miss Belle, è un paio di
settimane che la vedo passare qui davanti al mio orfanotrofio, mentre guarda i
bambini, e vorrei proporle un contratto di lavoro come educatrice. Trovo che
lei abbia un innato senso materno e in più è incantevole quanto una Madonna
rinascimentale, la figura perfetta per questo tipo di mansione. Immagino che
possa essere un’ottima proposta, dato che sarà sicuramente in cerca di lavoro.
Sa, non l’ho mai vista prima da queste parti ed ho subito pensato che debba
essersi trasferita da poco, Miss Belle.” Mentre il signor Wammy
mi mostrava un radioso sorriso, io arrossii vistosamente e replicai sorridendo
a mia volta, pensando di non essere poi una così bella ragazza e soprattutto mi
lasciò stupita per via del fatto che avesse capito che non ero di quel posto e
che ero in cerca di un’occupazione.
Dei bambini ci girarono intorno ridendo,
poi scapparono via. Non so se fu per quelle grida felici in quel incantevole
giardino dove passeggiavamo io e il signor Wammy, o
per il fatto che alzai lo sguardo su una finestra del palazzo che si ergeva di
fronte a noi e al giardino.
Lì, lo intravidi per la prima volta.
Lui intento ad osservare fuori dalla finestra.
Nel modo in cui era fermo a
guardarci, avrei giurato, e lo penso tutt’ora, che avesse architettato lui quel modo di attirarmi
lì e la conseguente proposta del signor Wammy.
Per un attimo rimasi quasi ipnotizzata
a scrutarlo, la figura non era nitida ma mi incuriosiva molto e mi aveva
deconcentrato dalla risposta che dovevo dare al signor Wammy.
Le parole sul momento sembrarono non uscirmi di bocca, ma fui ridestata dalla
mia distrazione grazie al signor Wammy “Miss Belle, cosa
ne pensa allora?”
Mi voltai come se avessi appena
preso una vetrata in pieno viso e risposi, finalmente “Oh! Sì...certo, certamente!
Per me va benissimo. Grazie!”
Quando mi voltai ancora verso la
finestra, Lui non c’era più. Credetti di aver avuto
un’allucinazione e maledissi me stessa per essere stata così distratta. Accidenti
a me e alla mia capacità di perdere il contatto col mondo! Effettivamente sono
stata così fin da bambina, sempre con la testa tra le nuvole.
Passarono splendide giornate all’orfanotrofio
e il ritmo di vita mi andava perfettamente a genio. Sebbene il mio compito
fosse pressoché lavorativo, trovavo appagante passare le mie giornate in quel
posto. Non avevo mai adorato svegliarmi presto la mattina, ma la Wammy’s House era riuscita a farmi venire la voglia di
farlo. Divenni molto più positiva, mi andò giù perfino il guardarmi allo
specchio con un aspetto quantomeno orribile: con i miei capelli color
cioccolato fondente, lunghi e scompigliati, nonostante li spazzoli finiscono in
dei ricci finali sulle punte; la frangetta che adora prendere le forme quanto
meno picassiane, gli occhi castani contornati da
delle lievi occhiaie, il mio colorito bianco, che correggo con del rosso sulle
guance. Riuscivo ad essere comunque contenta e felice, perché andavo alla Wammy’s House.
Un altro giorno passò come gli
altri, tra i giochi mirati alla stimolazione mentale dei bambini e lo svago in
giardino in un qualsiasi giorno d’Aprile.
In un batter d’occhio arrivarono le
sei del pomeriggio ed i bambini, come al solito, andarono in mensa per la cena.
Decisi di non tornare subito a casa, così approfittai di quel momento di pausa
per girare un po' l’edificio. Il signor Wammy non mi
guidò molto al suo interno, era molto occupato col suo lavoro di direttore. Ma c’era
qualcosa che non mi convinceva in questo suo atteggiamento. Non ho mai
ricordato che la mansione del direttore di un orfanotrofio fosse così, che
avesse, come dire, quei ritmi serrati. Lo trovavo abbastanza strano.
E come sempre, mentre macinavo
questi pensieri, mi ritrovai in una zona dell’edificio che non conoscevo molto.
Se non sbaglio il signor Wammy mi aveva anche
ammonito di non avvicinarmi, per via di non so quali motivi. La mia
distrazione, ricordate? Be', aveva preso il sopravvento anche quella volta. Inoltre
la mia curiosità a volte è così morbosa che mi fa cacciare nei guai. Sì, posso
dire che sono esperta anche in questo campo.
Camminando per il lungo corridoio,
intravidi una luce, non una luce di una lampada accesa. Una luce azzurrina più
somigliante a quella che emana il monitor di un computer.
Non resistivo e mi avvicinavo
piano, finché, arrivata alla porta, la aprii provando a non far rumore.
E vidi Lui, di spalle…
colta dalla sorpresa, istintivamente trattenni il respiro.