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Autore: princess_sparklefists    14/11/2011    3 recensioni
Le mie mansioni come primo assistente della Signora iniziavano ogni mattina con una scarpinata nei lunghi corridoi che portavano ai Suoi appartamenti, in modo da raggiungerla non appena avesse finito la colazione.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ero un ragazzino, i miei genitori spesso facevano visita alla capitale, per lavoro o per qualche impegno mondano. A volte, se la mia salute cagionevole non era stata minacciata recentemente, mi portavano con loro.

La mia stanza aveva un terrazzino da cui si aveva un’ottima vista sul Palazzo e, come qualsiasi ragazzetto di provincia, soccombeva al suo fascino e passavo ore a guardarlo.
Non era bello, non era fatto per esserlo. Persino il piccolo maniero dei miei, che erano semplici signorotti di campagna, era più ornato e artisticamente rilevante. Ma il Palazzo non era stato costruito per impressionare. Era enorme, ma non era grandioso. Nessun sottile espediente era stato attuato per farlo sembrare più imponente. Il Palazzo era stato costruito per essere pratico, resistente e il più possibile atto alle sue funzioni. Funzioni che si limitavano sostanzialmente a tener dentro tutto ciò che era all’interno delle mura e fuori tutto il resto (a meno che non si trattasse di piccole parti di tutto provviste di autorizzazione su carta bollata), ovviamente con il minor dispendio di risorse e tempo possibile; come scoprii circa quindici anni fa, quando la Signora mi prese al suo servizio.

 

Le mie mansioni come primo assistente della Signora iniziavano ogni mattina con una scarpinata nei lunghi corridoi che portavano ai Suoi appartamenti, in modo da raggiungerla non appena avesse finito la colazione.

Anche quel giorno oltrepassai gli uomini di guardia alle porte delle Sue stanze private, che mi salutarono con un cenno del capo. Siamo in pochi ad avere il permesso di avvicinarci alle porte di quelle stanze: oltre alle otto guardie scelte che le sorvegliano a turno, solo Henrietta Havelock, la cameriera, e io stesso. Questo ci ha portato a un cameratismo che passa sopra le differenze di sesso, educazione o classe sociale. La Padrona si fida ciecamente di noi, per il semplice motivo che ci paga più di quanto potranno mai fare i suoi oppositori, e che nessuno potrà mai ricattarci, dato che si è assicurata da tempo di avere in mano tutti i possibili mezzi tramite cui farlo.
Proseguendo incrociai Henrietta che portava indietro i resti della colazione. Diedi il buongiorno anche a lei e, con un certo sollievo, mi avviai verso la stanza della Signora. La trovai impegnata nella lettura dell’agenda giornaliera, con un’aria piuttosto truce dipinta sul viso, i capelli biondi raccolti sulla nuca perché non la intralciassero.
“Buongiorno, vostra Grazia”.
“Buongiorno, Fiddlestibbs. Si sieda”.
Sulle spine, mi accomodai su quella che considero ormai la mia poltrona. Scricchiola un po’ quando uno ci si siede e ha uno strano colore tendente all’arancione, ma nel complesso è una buona, vecchia, onesta poltrona.
“C’è qualche problema con l’agenda giornaliera, vostra Eccellenza?” domandai, teso.

“No, no… immagino che Lord Yeremia prima o poi dovrò riceverlo, quel dannato imbecille. Giù a Gins sta svolgendo un ottimo lavoro, ma nemmeno questo riesce a rendermelo meno odioso” sospirò Lei.
“Si tratterrà solo per un paio di giorni, poi non sarete costretta a rivederlo per almeno un altro anno, vostra Signoria.- tentai di consolarLa, sperando segretamente che non decidesse di riversare su di me la sua irritazione -Senza contare che a pranzo arriveranno i Generali”.
“Ha ragione, Ebenezer, ha ragione. Come farei senza di lei?”.
“Immagino,- esordii imbarazzato -che cercherebbe un altro giovanotto sveglio e di nobili natali e gli insegnerebbe tutto il mestiere da capo, vostra Magnificenza”.
Forse mi ero spinto un po’ oltre. Forse mi avrebbero ritrovato tra qualche giorno nel fiume, considerevolmente morto.
Per mia fortuna quella piccola perla di cinismo venne accolta con un: “Già”.
Che, dopo qualche altro secondo di pensieroso silenzio,  fu seguito da: “E, Fiddlestibbs?”

“Sì, vostra Signoria?” risposi, visibilmente sollevato.
“La smetta con le Signorie e le Grazie, non credo di poterle sopportare prima di pranzo. Non oggi”
“Sì, vos-… Sì”.

Il resto della mattinata lo impiegai piuttosto oziosamente a far da platea alle prove della Signora per un discorso che doveva pronunciare qualche giorno dopo, all’apertura del nuovo porto di Tunnarf.

“…ed è con immensa gioia che ringrazio tutti coloro che si sono impegnati nella realizzazione di quest’opera. Sono strutture come questa che ci portano ogni giorno più vicino alla vittoria finale contro la gente delle Conche. Alla fine della guerra saranno queste meravigliose opere dell’uomo che lanceranno la nazione, finalmente libera dal nemico, verso un radioso futuro di pace e”.
La interruppi: “Aspetti un secondo! Fine della guerra?”
“Non sul serio, lo sa, la guerra ci serve”.
“Bé, ma sarebbe una gran bella cosa no? Pace, prosperità, andare in campagna senza temere di essere attaccati da quei bifolchi di Concaioli…”.
Dopo quest’uscita Lei mi squadrò come se avessi perso del tutto il lume della ragione.
“Sa Fiddlestibbs, a volte mi domando se ho scelto bene affidandole quest’incarico.- disse alla fine –A volte mi pare quasi che lei sia, lo sa, un po’ troppo un idealista”.
Mi sentii un po’offeso a quest’accusa: “Uno di quelli non sarebbe di sicuro riuscito a durare ben cinque anni al mio posto,” rimuginai “nossignori, neanche mezza giornata sarebbe durato uno di quella schiatta.”
“In ogni caso” proseguì la Signora “non possiamo certo dire alla gente che la guerra non finirà: non capirebbero che è necessario concentrare l’odio delle masse verso un nemico per evitare che si ammazzino a causa di tensioni interne ”.
“E se i Concaioli si arrendessero? Voglio dire meglio in fondo alle Conche che sterminati, no?” chiesi in preda a un dubbio improvviso.
“Non lo faranno. Sono idealisti, e per la maggior parte anche stupidi. Senza contare che non lo permetterei mai. Come le è venuta in mente una domanda così stupida?”
“Ehm,  er… un dubbio? Sì, decisamente un attimo di dubbio”
“Non la pago per aver dubbi, signor Fiddlestibbs. Ora lasci perdere e mi faccia finire di scrivere”.
I Concaioli…
Ho i brividi se ci penso. Le Conche sono stretti crepacci nel sud del paese. Contro ogni buonsenso e probabilmente diversi tipi di logica ci sono persone che vivono sul fondo di quei burroni. Uomini pallidi ed emaciati, che vivono cacciando le creature là sul fondo. Incubi del color della luna , per cui nessuno fa niente. Stupidi che hanno rifiutato la possibilità di unirsi al Regno e sottostare alle nostre leggi per un qualche senso patriottico, condannandosi a strisciare nell’oscurità finché qualcuno non avrà pietà di loro. Per più di un secolo ormai siamo stati impegnati in una guerra costante contro di loro. Ma, se prima l’obiettivo era sterminarli, da dieci anni a questa parte regna la Signora, e Lei è più sottile dei suoi predecessori: ha trovato il modo di usare la gente delle Conche per mantenere l’ordine. Lei ha un piano.
Ha fatto diventare i Concaioli il nemico. Ha instillato la paura nelle menti del popolo. Il fervore bellico in cui la gente vive immersa li distrae dai problemi quotidiani, li rende ciechi di fronte all’orrore. Tutti si struggono per la Vittoria Finale, che è a un passo da noi da… quanti anni? Intanto la Signora sta nel Palazzo e scrive un altro discorso, e sorride perché in fondo li sta prendendo tutti in giro, anche se per il Bene Superiore. Ed io, seduto sulla mia poltrona sgualcita, tremo perché sono una delle cinque persone in tutto il paese che conoscono davvero la verità, e in tanti pagherebbero per conoscerla tutta, a costo di tirarmela fuori dai polmoni a calci.

Quando spalancai la porta della sala da pranzo trafelato la Signora mi trafisse con lo sguardo.
“Che c’è, Fiddlestibbs?” chiese gelida, mentre i Generali ridacchiavano crudeli. Mi bloccai. Odio quelle riunioni. La bellezza mi mette sempre piuttosto a disagio, e posso dire senza esitazione che i Generali sono le donne più belle che mi sia mai capitato di vedere, con i capelli quasi bianchi a incorniciare il volto bruciato dal sole. Sfortunatamente  gli unici esseri umani per cui la Signora provi una qualche specie di affetto sono proprio i Generali, e le loro frequenti visite sono sempre attese con trepidazione. Le conosceva dai tempi dell’Accademia Militare e immagino siano la cosa più simile a delle amiche che abbia mai avuto. Le malelingue avevano a lungo sostenuto che la Signora se le portasse a letto. I pettegolezzi erano cessati di colpo quando Lei stessa aveva dichiarato che erano assolutamente veri e aveva cortesemente invitato i maldicenti a trovare una ragione valida per cui non avrebbe potuto farlo.
In ogni caso, interrompere una di quelle riunioni significa scatenare l’irritazione di tre iene molto potenti. Senza contare il rischio –che più che altro è una certezza- di trovarle in atteggiamenti teneri.
Dopo aver boccheggiato per un paio di secondi ripresi il controllo di me stesso.
“Signora, hanno catturato il capo del Fronte per la Liberazione delle Conche!” dissi, la voce strozzata per il fiatone.
“Di nuovo?” replicò lei, strabuzzando gli occhi.
“Sissignora”.
“L’hanno portato a palazzo?”
“Sì”.
“Fatelo entrare” ordinò, a voce un poco più alta.
Subito tre guardie gettarono nella stanza un giovane terrorizzato. Aveva tratti fini, sarebbe anche stato attraente, se non fosse stato troppo magro e disgustosamente pallido. Anche un bagno avrebbe aiutato. Chiusero le porte, serrandogli ogni via di fuga. L’uomo stava carponi sul pavimento, con il capo chino. Quando la Signora gli si avvicinò, sussultò.
“Potete aspettare fuori.- intimò alle guardie –Voglio fare due chiacchiere con questa feccia”.
I soldati ubbidirono prontamente. Stavo per seguirli ma Lei mi fermò.
Come i battenti si chiusero l’atteggiamento del prigioniero cambiò totalmente. Si rizzò in piedi con una mossa fluida e, distribuendo ampi inchini a un pubblico inesistente, avanzò verso la tavola.
“Salve zietti- ci salutò, acchiappando una mela dalla fruttiera –sembra che oggi ci siamo proprio tutti. Miglioro di giorno in giorno, come attore intendo, neh?”.
Diede un morso al frutto.
“Cosa vuoi, Immanuel? C’è qualche problema giù?” sospirò la Signora.
“Sono in visita di piacere, zietta… Sto scherzando, coppia di psicopatiche, a cuccia!”
Le gemelle erano saltate su dalle loro sedie con fare bellicoso.
“Zietta, sai che ti voglio un gran bene, vero? Ecco, te ne vorrei ancora di più se le facessi smettere di ringhiare. Sono venuto perché stiamo avendo qualche problema con il Piccolo Popolo.”
“Non dovrebbero essere morti tutti da tempo?” chiesi perplesso.
“Lo sono, Ebenezer, solo che ora qualche piccolo genio laggiù ha trovato un modo di incastonare le fate nelle armi, come se fossero cristalli magici o roba del genere. Credo abbia qualcosa a che fare con il decadimento della magia”.
“E queste armi sarebbero abbastanza potenti da causarci fastidi?” domandò la Signora.
“Figurarsi! I cristalli magici erano obsoleti anni fa” sbottò una delle gemelle
“Allora non c’è nient’altro da dire.- tagliò corto Lei -Gu”
“ASPETTA!” urlò Immanuel “Naturalmente sapevo che i cristalli sono obsoleti da tempo, sono venuto a parlarti perché in pratica in questo caso ci hai messo in mano un’arma. Sarebbe il caso di ponderare meglio le tue decisioni in futuro, zietta? Questa ha fatto un po’ acqua”.
Il viso della Signora si irrigidì e i suoi occhi si fecero distanti.
“La magia porta disordine. Il Popolino andava distrutto” disse.
“Caspiterina, zietta, che freddezza! E meno male che in teoria siete voi i buoni, gli adepti della Luce che lottano contro le armate del Buio invasore…” rise Immanuel.
“Non esistono Buio e Luce, Bene e Male…esistono solo punti di vista. Per quello che m’importa l’Ordine e il Caos. Noi dobbiamo perseguire l’Ordine, con qualsiasi mezzo. Non c’è tempo per stupide dispute morali” rispose Lei gelida.
“Senza contare che sta parlando un eroe-prescelto-dalla-profezia-per-liberare-il suo-popolo che si è venduto al nemico per undici talleri all’anno” lo apostrofò una delle gemelle.
“Eh, zietta, pensa ai ragazzini nelle parti più buie delle Conche, anche nelle Conche c’è chi aspira a qualcosa di meglio che passare la sua vita nel fango. Vita che, nel caso di un eroe, può rivelarsi molto più breve del previsto grazie a te e alla tua graziosa sorellina”
“Abbiamo capito, ora fila fuori di qui. E vedi di evadere in fretta, stavolta.- lo zittì la Signora –Non ho intenzione di continuare a mantenerti nelle mie celle”.

“Certo, zietta, striscerò fuori con l’aiuto del Buio, come sempre. Questa volta sarà la cella con le sbarre estremamente cedevoli o quella con il comodo tratto di muro removibile?” stava ancora blaterando Immanuel mentre io lo accompagnavo fuori.


Note dell'autrice
Bene, intanto ringrazio chiunque abbia letto questa storia. L'ho scritta per il concorso "I cattivi lo fanno meglio" indetto da Sky Eventide sul forum di EFP, e si è classificata seconda, con questa valutazione:

"
Inizio dicendo che è un peccato che la storia sia tanto corta, perché sia la protagonista cattiva sia i comprimari avrebbero meritato molto più approfondimento. Il world build che riesci a creare con queste tre paginette è di per sé davvero articolato e sono certa che potrebbe ospitare racconti a raggio più ampio che possano far apprezzare meglio la Signora, i Concaioli, i Generali e il protagonista stesso, tutte figure interessanti che necessitano spazio per esprimersi. Ho apprezzato la voce narrante che mantiene un buon POV per tutta la storia, senza saltellare nella testa degli altri. Ho apprezzato questo essere “dentro” il palazzo e dietro le quinte di una situazione socio-politica ingannevole, con buone basi di costruzione che se sviluppate con cognizione darebbero vita a una situazione “statale” alquanto credibile.
La Signora non appare come il classico Evil Overlord, è piuttosto un’infida statista, ed è bello vedere la corruzione che riesce a instillare: l’arrivo dell’eroe e il subitaneo voltafaccia sono una bella sorpresa, come anche questa sorta di matriarcato con i Generali che sono donne.
La narrazione è fluida, precisa e non si sbrodola, qualità molto apprezzabile in un testo.
Di contro, c’è una sbavatura temporale che non si rende chiara: all’inizio parti con una narrazione al passato, in prima persona, che suscita l’impressione che il protagonista racconti la propria vita. Dopo lo stacco, trasporti in un tempo presente con “Le mie mansioni come primo assistente della Signora, iniziano ogni mattina con una scarpinata nei lunghi corridoi che portano ai Suoi appartamenti” (tra l’altro la virgola è di troppo), e quindi il lettore crede di essere stato portato nel passato e che viva le azioni della voce narrante nel momento in cui le compie, in tempo reale. Però, subito dopo, passi a “Anche quel giorno oltrepassai gli uomini di guardia alle porte delle Sue stanze private”, ed ecco che pare subito che sia di nuovo un racconto di eventi passati. Non è chiaro quindi il luogo spaziotemporale in cui occorra collocare Ebenezer nel momento in cui sta raccontando: quando i fatti sono già conclusi (e allora andrebbe bene il passato remoto) oppure mentre stanno accadendo (tempo presente)? Le due opzioni sono, o correggere le frasi al presente dentro al testo, o trasportare ogni cosa nella contemporaneità, ed entrambe sono accettabili.
L’altra cosa da segnalare è il gigantesco infodump sui Concaioli (“Le Conche sono stretti crepacci nel sud del paese. Contro ogni buonsenso e probabilmente diversi tipi di logica ci sono persone che vivono sul fondo di quei burroni. […] Ed io, seduto sulla mia poltrona sgualcita, tremo perché sono una delle cinque persone in tutto il paese che conoscono davvero la verità, e in tanti pagherebbero per conoscerla tutta, a costo di tirarmela fuori dai polmoni a calci.”) Si tratta di quasi quindici righe di fatti che sono palesemente inseriti dall’autore per illustrare il lettore su cosa debba aspettarsi riguardo questi Concaioli, quando non era affatto necessario. Nella conversazione di poche righe sopra, come nell’apparizione dell’eroe, sono fornite molte informazioni subliminali al riguardo, mescolate perfettamente alla narrazione dei fatti, senza interromperla né “istruendo” qualcuno. Questi dialoghi sono naturali, non c’è nulla di forzato, quindi sono certa che avresti potuto filtrare anche questo blocco di nozioni attraverso i pensieri della voce narrante, magari allungando un po’ la storia, ma evitando di infiltrarti nel testo come autrice. Un ottimo esempio di informazioni filtrate bene, non infodump, è “La bellezza mi mette sempre piuttosto a disagio, e posso dire senza esitazione che i Generali sono le donne più belle che mi sia mai capitato di vedere, con i capelli quasi bianchi a incorniciare il volto bruciato dal sole”, poiché non ti limiti a dire quanto i Generali siano belle donne o cose alla “erano le più belle in circolazione”, ma usi il pensiero di Ebenezer che fa naturali considerazioni e apprezzamenti su di esse, anche in rapporto ai propri ricordi.
In generale, un buon testo, peccato per la cortezza e il problema dello sfasamento temporale. Sei comunque riuscita ad attirare l’attenzione con un bel mondo e con una cattiva sottile e pratica, oltre che con buoni comprimari. "
   
 
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