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Autore: Preussen Gloria    15/11/2011    3 recensioni
Ludwig e Feliciano si amano e si sono sempre amati.
Lovino non lo accetta e non lo accetterà mai, non importa quanto Antonio provi a farlo desistere.
Arthur continua a combattere per l'integrità del suo orgoglio riufiutandosi di accettare i suoi secolari sentimenti per Francis e autoconvincendosi di odiare Alfred, ma entrambi sono sempre stati bravi a non assecondare mai i suoi piani.
Gilbert sta segretamente diventando tutt'uno con una persona, a suo parere, molto meno magnifica di lui.
Il resto è solo storia... di una famiglia internazionale particolarmente allargata!
[GerIta] [RusPru] [SpaMano] [FrUk\FACE]
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I
La Febbre Del Sabato Sera

Roma, Italia

Era la più bella giornata di primavera che si fosse vista a Roma da tanto tempo, uno di quei bei pomeriggi di sole resi particolarmente gradevoli da quella brezza fresca che sapeva di mare. Le campane di una chiesetta del centro storico suonavano a festa e, facendo silenzio, si poteva udire l’inconfondibile melodia di una marcia nuziale. Quel piccolo quadretto paradisiaco dalle sfumature tipicamente italiane, per Lovino Vargas era la sintesi di tutti i mali del mondo o, meglio, la realizzazione della sua versione personale dell’apocalisse. “Feliciano!” abbaiò spalancando il portone della chiesa augurandosi di aver fatto il più rumore possibile. “Feliciano!”
Uno dei due giovani in piedi sull’altare si voltò rivolgendogli il sorriso più radioso che avesse mai visto.  “Fratello!” Esclamò il gemello con felice disinvoltura, come se quello che stava succedendo non fosse la più orribile delle tragedie possibili nel mondo conosciuto. “Feliciano! Vedi di scendere da lì senza farmi incazzare!” Lovino non sapeva da dove gli venisse il fiato sufficiente per gridare e quel cazzo di altare sembrava non avvicinarsi mai. “Feliciano!”
All’ennesimo richiamo il giovane biondo davanti a suo fratello si voltò nella sua medesima direzione rivolgendogli lo stesso sorriso luminoso. L’inferno, ecco cos’era quello. L’inferno!  “Fratello!” Esclamò con gioia una voce troppo virile, con una accento troppo… troppo… decisamente non italiano. Prima ancora che potesse rendersene conto, si ritrovò abbracciato a quel biondo, bastardo, invasore, barbaro, mangia patate, tedesco del cazzo! “No!” Gemette come l’uomo che vede concretizzarsi tutto ciò per cui ogni notte ha pregato che non accadesse mai. “No! No! No!”
“Lovino?”
“No!”
“Lovino?”
“No, non lo accetto!”
“Lovino!”
Due occhi nocciola si aprirono di colpo fissando con aria truce l’essere che continuava a ripetere il suo nome invano. “Chi sei?” Chiese con fare che solo lontanamente suonava minaccioso. “Ma come chi sono, Lovinito!” Antonio abbozzò un sorriso cercando di liberare il malcapitato cuscino dalla stretta ferrea dell’amante. “Lo stavi stritolando e mi sono preoccupato, non volevo farti arrabbiare!”
Ma Lovino non lo ascoltava nemmeno lontanamente, troppo occupate a fissare il muro di fronte a sé scuotendo la testa con l’espressione più disperata del suo repertorio. “Perso! L’ho perso!”
Antonio si rabbuiò per un istante. “È successo qualcosa, Lovinito?”
“Antonio!” Lo spagnolo sobbalzò sfruttando il cuscino come scudo difensivo. “In quanti siamo?”
“Come in quanti siamo, Lovinito? Io e te!”
“No quanti siamo nel mondo!” E così dicendo Lovino fece un ampio gesto teatrale con entrambe le braccia. “Tesoro mio, l’ultima volta che hanno controllato eravamo quasi…” Antonio venne interrotto da un calcio che lo fece sbalzare giù dal letto. “Di tutte le persone che ci sono nel mondo, se escludiamo donne, bambini e vecchi e… tutti i francesi, tutti gli inglesi, tutti gli americani, tutti i sovietici attuali e di una volta, tutti i barbari evoluti e… ma sì! Anche tutti gli spagnoli!”
“Per farla breve, escludendo tutti meno te e Feli?”
“Esatto!” Esclamò l’italiano con aria trionfante, “Me e Feli, senza ulteriore rotture di palle!”
Antonio sospirò con un sorriso intenerito sul volto. “Lovi…” E tentò di abbracciarlo, riuscendovi senza incontrare troppe resistenze. “Siamo nel ventunesimo secolo, non puoi fare il medievale e scegliere tu l’uomo di tuo fratello.”
“Eccome se posso!” Sbottò Lovino spingendolo di nuovo giù dal letto con poca grazia. Antonio si arrampicò su per il materasso per la seconda volta: erano solo le due e mezza del mattino e già si sentiva stremato. Lovino, dal canto suo, sospirò con fare melodrammatico cercando di tirarsi in piedi e inciampando rovinosamente tra le coperte che erano andate ad ammucchiarsi sul pavimento. Quando riemerse, accompagnato da un colorita colonna sonora di imprecazione e insulti rivolti ad ignoti, Lovino appoggiò una spalla al muro con l’espressione più sconsolata che Antonio gli avesse mai visto fare. “Io non sto bene, Antonio.”
Lo spagnolo non aveva bisogno di fare appello a tutte le sue forze per tirarsi in piedi, gli veniva semplicemente e inverosimilmente naturale. “Vieni, Lovinito, vieni, prenditi una boccata d’aria!”
Lovino si fece condurre alla finestra senza troppe remore e Antonio decise di restargli vicino nel caso gli fosse venuta la malsana idea di buttarsi di sotto, ma non appena l’italiano ebbe modo di guardare cosa vi era al di là del vetro, un rantolo gli uscì dalla gola quasi automaticamente. Antonio gli fu subito accanto per identificare la causa di una simile reazione e non poté fare a meno di abbracciare con calore il suo Lovinito lasciandosi trasportare dall’atmosfera della scena sottostante. “Oh, Lovi, guardali! Non sono un amore?”
Lovino era diventato di marmo, incapace di rispondere propriamente all’idiozia appena pronunciata dall’idiota spagnolo che ora aveva preso a torturargli la guancia di baci. Se c’era qualcosa di lontanamente amorevole in Feliciano che se ne stava impalato sul cancello di casa, senza le chiavi in mano ed un biondo di razza bastarda completamente incollato addosso, Lovino non riusciva proprio a realizzarlo. Sì! Dopo un quasi… Quanti anni, ormai? Non aveva importanza, erano comunque troppi! Lovino non era ancora riuscito a farsi una ragione del perché Feliciano, il suo ingenuo, adorabile, a tempi alterni idiota Feliciano avesse fatto di Ludwig Beilschmidt l’oggetto della sua felicità. Per non dire altro.
Lovino rimase a fissare la scena senza la minima discrezione, con il naso quasi spiaccicato contro il vetro gelido, mentre suo fratello si decideva ad estrarre dal cappotto le chiavi di casa solo per finire tra le braccia del crucco ancora una volta. Feliciano rise, Lovino non poteva sentirlo, lo capì solo guardandolo e il crucco stronzo pronunciò parole che all’italiano non era dato sapere ma che a suo fratello dovettero fare particolarmente piacere perché si baciarono ancora. “Ma basta!” Lovino roteò gli occhi con fare esasperato, senza accorgersi che Antonio era passato dalla guancia al collo. “Perché non facciamo le persone mature e non diamo il buon esempio?” Domandò con sensualità lo spagnolo tirando appena la manica del pigiama per lasciare scoperta la spalla dell’italiano.
“Che cazzo fanno?!” Esclamò Lovino di colpo dando involontariamente una gomitata in pieno stomaco al suo povero amante. “Oh! No! No! No! Non esiste!” Nella foga Lovino picchiò la fronte contro il vetro mentre, sotto di loro, Feliciano aveva finalmente aperto il cancello di casa ma l’avevano varcato in due. “Fermi! Fermi! Questa è una violazione territoriale del cazzo!”
Antonio riuscì a rimettersi in posizione eretta appena in tempo per sentire la porta dell’ingresso aprirsi e Feliciano mormorare qualcosa tipo: “Facciamo piano, mio fratello è di sopra, non vogliamo che c’interrompa, vero?”
Seguito dall’accendersi simultaneo di tutte le luci di casa. “Tuo fratello invece sembra proprio che ne abbia una voglia matta, Feliciano!”

***

Londra, Gran Bretagna

“Ha il cellulare spento… Che ore sono?”
“Che ore sono? Che ore sono? Che ore sono? Che ore sono?!” Arthur sbuffò sonoramente al limite dell’esasperazione. “Me lo hai chiesto cinque minuti fa, Francis! Sono le tre del mattino e Alfred ancora non torna, nonostante sappia che domani la sveglia suona presto!”
Francis alzò gli occhi dal cellulare per fissare il compagno che continuava a tamburellare impazientemente un dito sul tavolo del soggiorno. “Perché aggredisci me? È colpa tua che non l’hai saputo educare!”
“Ah! Adesso è colpa mia!” Sbottò l’inglese battendo un pugno contro la superficie di legno lucido. Francis si alzò dal divano marciando per la stanza dritto e fiero, alla stregua di un generale al comando delle sue truppe. “Gli faccio vedere io appena torna!” Esclamò con aria minacciosa che Arthur si preoccupò di smontare immediatamente con un risata di puro sarcasmo. “Gliela fa vedere lui! Lui che non è mai stato capace di rimproverarlo ad Alfred! Come quando ha deciso che doveva diventare uno stato indipendente, tu che cosa hai fatto?”
Francis decise di nascondersi dietro un dignitoso silenzio. “Niente!” Esclamò Arthur. “Anzi, l’hai appoggiato!”
“Mamma mia quando ti lamenti, Angleterre! Stavolta gli faccio vedere io!”
Francis fece appena in tempo a finire di parlare che entrambi udirono la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi con forza eccessiva, seguita dal canticchiare di un ragazzino che per qualche incomprensibile volere divino era divenuto la potenza mondiale per eccellenza e tutto questo nonostante la scarsa maturità psicologica. “Ah! Ciao Arthur! Ciao Francis!” Cinguettò il diciannovenne Alfred F. Jones entrando nel soggiorno come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. “Ciao…” rispose laconico Arthur lanciando un’occhiata molto eloquente a Francis, il quale si avvicinò al ragazzino in un atteggiamento che all’inglese ricordò ironicamente quello da padrone del mondo che il suo compagno usavo sfoggiare durante il periodo napoleonico. “Che ora sono?” Chiese il francese con freddezza, Alfred scrollò le spalle, “Dovrebbero essere le tre, ormai.”
Francis annuì simulando l’espressione più severa del suo repertorio, ben sapendo che Arthur lo scrutava con occhio critico. “Com’era la festa?”
Un’altra scrollata di spalle. “Molto inglese…”
“Che commento sarebbe?” Intervenne Arthur con fare acido, per poi imprecare qualcosa di inudibile a bassa voce. “Ora fila a letto che è tardi e domani la giornata è impegnativa!” Aggiunse Francis sempre con una voce gelida che Alfred non dovette cogliere, sorrise con fare accondiscendente. “Va bene! Buonanotte Francis! Buonanotte Arthur!” Fece per uscire dalla stanza ma si voltò di colpo. “Ah! Francis?”
“Sì?” Chiese in automatico il francese. “Domani ce ne andiamo tutti e quattro a cena da McDonald’s, a Matt piacciono queste scenette da famiglia felice.”
“Se Matt è contento e se mammina vuole…”
Un grugnito fu l’unica risposta da parte di Arthur.
“Offri tu?”
“Offro io.”
Alfred uscì dalla stanza con un sorriso trionfante, mentre Francis si auto-proclamava genitore vittorioso per quel sabato sera. Arthur, però, non doveva essere dello stesso parere dato che lo fissava in un surreale silenzio trafiggendolo con quel quegli occhi verdi che, per quanto fosse strano da pensare, sapevano essere tanto dolci in altri contesti. “Che c’è?” Domandò con un filo di timore il francese.
Arthur sbatté di nuovo il pugno sul tavolo facendolo sobbalzare. “Ma guardatelo! Guardatelo! E questo sarebbe un rimprovero? Pure il pranzo da McDonald’s!”
“Ehi…”
“Ma ti ricordi Roderich com’era severo con Gilbert, Ludwig e Feliciano? Alfred è cresciuto viziato… da te! Per questo è cresciuto male!”
Francis fece una rapida analisi mentale di quello che il suo compagno aveva appena affermato. “A me non pare che il nostro giovanotto sia meno indipendente da te rispetto a…” Dovette bloccarsi nell’incrociare lo sguardo killer dell’inglese. “Ma ovviamente hai sempre ragione tu, amore!”


***

Berlino, Germania

Roderich s’infilò la vestaglia alla male e peggio inforcando gli occhiali al buio, rischiando anche di cavarsi un occhio nel tentativo. Infilatosi le pantofole, se ne andò a passo di marcia verso l’ultima camera del corridoio da cui aveva sospettato provenire il filo di luce che lo aveva destato dal suo dormiveglia. Imprecò a bassa voce ringraziando mentalmente che non ci fosse nessuno ad assistere a quella scena decisamente priva di classe. Almeno due week end al mese era sempre la stessa storia: Lovino minacciava di dichiarare guerra alla Germania se Feliciano non si fosse degnato di mettere piede a Roma prima del sorgere del sole della domenica mattina e Ludwig si ritrovava a dover passare una notte fuori di casa, lasciando i sacro santi confini della dimora sua e di Gilbert incustoditi. Se qualcuno avesse indagato a fondo sulle paranoie iperprotettive del più giovane dei fratelli tedeschi, probabilmente si sarebbe scoperto che, dietro quella calma apparente, Ludwig conviveva con la paura di lasciare Gilbert da solo per poi non ritrovarlo più doveva l’aveva lasciato. Timore mai del tutto esternato ma che lo spingeva comunque a chiedere a Roderich o Elizaveta di badare a Gilbert in sua assenza. Roderich non sapeva nel dettaglio quale fossero le idee di Gilbert in merito a queste misure di sicurezza per l’integrità della sua persona, la cosa certa era che per convincerlo a non scappare di casa per capriccio, Ludwig doveva inventarsi qualcosa di nuovo ogni volta.
Nessuno dava altrettanta importanza ai pensieri del malcapitato austriaco che, ogni sacro santa volta, gli sembrava di essere tornato a qualche secolo prima… quando Gilbert era un moccioso impossibile, Feliciano non si poteva perdere di vista per il rischio che combinasse o si cacciasse in qualche casino internazionale e Ludwig…
Ai tempi della sua vita come Sacro Romano Impero, Ludwig probabilmente era stato tra i bambini più viziati ma, al contempo, meno presi in considerazione della casa. Forse era per questo che nessuno si era accorto di quanto fosse malato e nessuno aveva potuto fare niente quando la dissoluzione ufficiale l’aveva strappato alla sua famiglia. Forse era proprio per questo, meditò Roderich, che nonostante tutti i disastri, Ludwig sapeva essere un fratello migliore di lui.
Stava per bussare con educazione alla porta di quella che poteva, in tutti i sensi, definirsi una delle peggiori disgrazie della sua vita, quando si rese conto che Gilbert non stava né giocando con un videogioco uccidi-neuroni, né si stava dedicando all’ennesimo dei suoi progetti web. Alle tre del mattino passate, Gilbert Beilschmidt stava facendo l’ultima cosa che una persona normale dovrebbe fare: parlare animatamente al telefono con qualcuno.
“Smettila di ripetere quelle tre parole, mi stai facendo venire la nausea!”
Non era nella prassi di un uomo classe spiare e origliare, ma Roderich era tenuto a riferire a Ludwig qualsiasi comportamento anche solo lontanamente sospetto. Gilbert camminava avanti ed indietro nella stanza, col cellulare premuto contro l’orecchio e un’espressione di pura contrarietà sul volto. “E non chiamarmi coniglietto, non sono il tuo coniglietto!”
L’austriaco sgranò gli occhi di colpo: Gilbert e Ludwig si erano scambiati i soprannomi più assurdi nel corso della storia. Più Gilbert con Ludwig che non il contrario a dire il vero.
Ma coniglietto… non era esattamente il genere di soprannome che un tipo come Ludwig sarebbe andato a pensare, specialmente non per suo fratello maggiore. Per quel che ne sapeva, non aveva modi particolarmente dolci e romantici di chiamare nemmeno Feliciano.
“No, mio fratello non è qui!”
Roderich sospirò sollevato: non era Ludwig la persona dall’altra parte della linea. Ma chi poteva mai essere così interessato dall’assenza del fratellino di Gilbert?
“No, che non gli ho ancora detto niente! Se non te ne fossi reso conto non si combatte una guerra in Europa da circa sessant’anni e non voglio che allo scoppio della prossima ci sia il mio nome scritto nel centro e quello tuo e di mio fratello ai lati opposti del fronte!”
Ma di cosa stava parlando? Di un colpo di stato? Roderich vide Gilbert voltarsi nella sua direzione e indietreggiò di un passo per evitare di farsi scorgere. L’albino aveva smesso di agitarsi per tutta la stanza ed ora temporeggiava davanti al letto sorridendo tra il divertito, il trionfante ed il… il… Roderich non era sicuro di voler interpretare quella lieve sfumatura che distingueva quell’espressione dal solito ghigno arrogante e sicuro di sé con cui Gilbert era diventato famoso agli occhi del mondo. Era una sfumatura molto simile, forse identica, a quella che arricchiva il quadro di Gilbert Beilschmidt solo in presenza di Ludwig e di una persona scomparsa molto tempo fa. “Tu, invece, non mi manchi assolutamente!”
Ed eccolo! Il Magnifico Prussia che derideva senza essere visto il poveretto dall’altro capo del telefono. Un momento, il tipo ignoto aveva appena detto a Gilbert che gli mancava?
“Ne riparliamo domani…”
Roderich si fece subito sull’attenti avvertendo che la comunicazione sarebbe finita a breve. “Buonanotte e buoni incubi, a domani!” Gilbert gettò il cellulare sul letto e, nel giro di tre passi, era già sul punto di aprire la porta. L’austriaco non poté fare altro che indietreggiare di appena un metro sforzandosi di simulare un’espressione vaga e stando ben attento a fissare il muro per non incrociare gli occhi di Gilbert. “Che cosa ci fai ancora sveglio quattr’occhi?” Chiese la voce sarcastica dell’albino.
Roderich passò gli occhi dal muro al soffitto con rinnovato interesse. “Stavo pensando che questa casa ha bisogno di essere imbiancata…”
Gilbert ovviamente non la bevve. “L’abbiamo imbiancata due mesi fa e comunque non è tua.”
“Sì, ma la Germania è umida, cupa… anche queste pareti sono cupe.”
“Sono bianche, Rod.”
“Ed io cosa ho detto? Troppo chiare, sterili! Avete un artista dentro casa, dategli una botta di vita a questa casa.”
Gilbert sbuffò incrociando le braccia contro il petto. “Mi stavi spiando?”
Roderich temporeggio con un attimo di assoluto silenzio. “Ma stai scherzando?” Chiese guardando l’albino direttamente negli occhi scarlatti. “Sono un uomo di classe, io! Non origlio e non spio!”
“Però sei bravo a fare il cagnolino da guardia, mi pare.”
“Quello…” Roderich si bloccò di colpo per scrutare il più giovane con aria severa. “Ehi, giovanotto, io sono qui per salvaguardare la tua incolumità sacrificando una notte di sano dormire nella mia accogliente dimora. In altre parole, sto sprecando il mio tempo per te e, facendo la nostra analisi storica, può essere definita un’assurdità in piena regola!”
“L’assurdità è che West stia più tranquillo sapendo che oltre a difendere me stesso, in caso di pericolo, mi ritroverei costretto a difendere anche te!”
“Signorino, alla tua età dovresti aver imparato a dimostrare un po’ di rispett.. ah!” Roderich si portò immediatamente una mano al naso contro cui Gilbert gli aveva chiuso la porta della camera finendo anche per scheggiargli entrambe le lenti degli occhiali. “Gilbert!”


***

Roma, Italia

“Bene! Cosa avete da dire in vostra discolpa?”
“Discolpa? Ma Lovino, discolparci di cos…?”
“Signor Vargas per te, crucco!”
“Fratellino, adesso calm…”
“Non ti ho dato il permesso di parlare, Feliciano!”
“Lovinito se non gli lasci dire una parola, come fanno…”
“Zitto tu!”
Lovino si sedette sul bordo del tavolo scrutando dall’alto in basso i due amanti colti in fragrante, battendosi sul palmo destro un cucchiaio di legno che avrebbe dovuto fungere da arma punitiva. “Dunque…”, Lovino puntò il suo ingegno di guerra sulla figura del povero Feliciano, a cui era stato intimamente ordinato di sedersi sulla poltrona opposta a quella di Ludwig per evitare ogni qualsiasi contatto fisico. “Sbaglio o quando sei uscito di casa ti sei giustificato dicendo che dovevi parlare col tedesco?”
Antonio inarcò un sopracciglio. “Lovi… Da che mondo e mondo, Ludwig ha sempre avuto cittadinanza tedesc…”
“L’altro tedesco, intendevo!” Abbaiò Lovino picchiando la testa dello spagnolo con il cucchiaio. “Quello più bassetto, minutino, rumoroso, testa di cazzo almeno quando questo ma almeno comunista invece che nazista.”
“Io non sono nazista!” Protestò immediatamente Ludwig. “E Gilbert non è comunista!”
“Non mi pare di averti interpellato, crucco!” Lovino gli lanciò il cucchiaio mancandolo di almeno un metro, si rivolse poi a Feliciano. “E tu ancora non mi hai detto per quale stramaledetto motivo mi hai detto una bugia!”
“Perché se ti avesse detto che usciva con Ludwig probabilmente tu l’avresti legato e chiuso in cantina con doppia mandata?” Domandò Antonio con un ampio sorriso che aveva come fine quello di rallegrare l’atmosfera. Lovino gli rispose con uno sguardo truce. “Ti ho permesso di pensare?”
“Lovi…” Feliciano sospirò. “Non fare il duce, dai!”
“Che hai detto?! Che hai detto?! Vuoi dormire fuori con il cane, Feliciano?”
“Non ce l’abbiamo un cane, Lovi.”
“Allora i gatti, vuoi dormire fuori coi gatti?!”
“Che dormono in camera mia nella loro cesta?”
“Vorrà dire che dormirai da solo in giardino per punizione!”
“Così il primo tedesco volenteroso che passa se lo carica in macchina offrendogli un posto al caldo a Berlino!” Commentò Antonio strizzando un occhio all’indirizzo di Ludwig che però era troppo impegnato a far appello a tutta la sua pazienza per ricambiare: era stanco, dopo una settimana stressante aveva finalmente trovato modo di stare da solo con Feliciano per più di mezz’ora di fila e invece di essere di sopra a fare l’amore col proprio compagno, come da uomo lavoratore si era guadagnato, se ne stava lì a subire un processo internazionale per aver urtato l’inviolabile – e altrettanto traballante – serenità mentale di Lovino Vargas. “Lovi, non volevamo fare niente di male, solo che… domani è la prima domenica del mese, pensavo che fosse più comodo per Ludwig rimanere piuttosto che…” Feliciano dovette interrompersi per rispondere tremante alle occhiate terrorizzate che gli altri tre presenti nella stanza gli rivolsero di colpo. In modo particolare, Lovino sembrava sulla soglia di un attacco di cuore o di qualsiasi altro colpo improvviso e irreversibile. “Domani?”
Feliciano annuì come fare insicuro. “Questo mese si era detto di stare qui a Roma, ricordi? La prima domenica di maggio la passiamo sempre da noi, no?”
Nessuno gli rispose.
“Ve… Ve ne eravate scordati?”
Lovino sbatté le palpebre un paio di volte cercando di riprendere il controllo della situazione. “Ah, se ne saranno dimenticati tutti, poco male!” Dichiarò democraticamente con un sorriso troppo ottimista per essere spontaneo. Ludwig dal canto suo si schiaffò una mano sopra gli occhi cominciando a prepararsi in anticipo all’ennesimo episodio del giudizio universale versione europea.
“In realtà Alfred è arrivato a Londra questo pomeriggio e mi ha chiamato per confermare che verrà!” Esclamò allegro Feliciano. Ludwig rivide mentalmente il cast di quella tragedia epocale aggiungendo in fondo alla lista: Guest Star, U.S.A.
“Di conseguenza si presenteranno anche Arthur e Francis”, pensò Antonio ad alta voce. Feliciano annuì guardando verso Ludwig, “Ovviamente ci saranno anche Gilbert, Elizaveta e Roderich.”
“Che significa che, probabilmente, Vash e sua sorella seguiranno…” Aggiunse Ludwig, facendo mente locale delle possibili catastrofi che la presenza della sua famiglia in stretto contatto con quelli di Feli poteva provocare. Concluse che, nel migliore dei casi, sarebbe solo scoppiata una Terza Guerra Mondiale.  
Ogni nome era per Lovino come una pugnalata alla schiena: l’intero emisfero tedesco sarebbe emigrato a sud verso la sua divina capitale, seguiti dal pervertito francese con la mogliettina sociopatica inglese e quella sorta di figlio idiota di un americano?!
“Ah che bello!” Antonio lo abbracciò senza che Lovino gli avesse dato il permesso. “Sono queste riunioni familiari che mi fanno passare la nostalgia dei vecchi tempi degli imperi e le conquiste!”
Forse perché finivano sempre per farli rivivere quei vecchi tempi, senza però nessuna dichiarazione di guerra che potesse mettere a repentaglio quel traballante equilibrio su cui l’intera Europa si era appoggiata senza complimenti, pensò Ludwig. Dal suo punto di vista, finché le famiglie coinvolte rimanevano quella sua e di Feli, il tedesco era quasi sicuro di poter domare la situazione… se ce ne fosse stato bisogno.
“Ah, dimenticavo!” Cinguettò Feliciano costringendo sia Ludwig che Lovino a guardarlo con terrore rinnovato. “Forse viene anche Ivan…”
Nessuno ebbe il coraggio di commentare quella lieta notizia, fino a che Antonio, con totale mancanza di tatto, si preoccupò di aggiungere. “Che significa: forse viene anche Natalia e, probabilmente, l’altra sorella… la maggiore, quella col seno grosso.”
Lovino era troppo martoriato interiormente per intavolare una lunga e violenta discussione sul perché Antonio fosse tanto sicuro del fatto che la maggiore delle sorelle del mostro delle nevi avesse il seno grosso, mentre non sembrava ricordare nemmeno l’iniziale del suo nome. “Penso che Feliks parteciperà per principio e di sicuro porterà Toris che, a sua volta, non potrà lasciare a casa i fratelli.”
Lovino rifece in silenzio le somme: emisfero barbaro, più gli Anglo-Francesi, con probabile aggiunta dell’Armata Rossa, nel migliore dei casi. Dell’interna ex Unione Sovietica, nel peggiore.
Dal canto suo, Ludwig si era fermato alla voce Armata Rossa. Fu il primo ad alzarsi dal suo posto e, con un sospiro rassegnato, si diresse verso l’uscita della stanza. “Ludwig, dove vai?” Chiese dolcemente Feliciano.
Il tedesco lo guardò con aria stanca. “A pensare piani di difesa, possibili alleanze vantaggiose, cose così…”
“Crucco!” Lovino scese lentamente dal tavolo, come se avesse paura che le gambe non gli avrebbero retto. “Mi sa tanto che vengo con te!”
Gli altri due non aggiunsero una parola, mentre l’italiano prendeva la strada per la porta e si fermava di botto a metà strada. “Feliciano?” Chiamò con il tono forzatamente dolce di chi si sta trattenendo dall’uccidere violentemente qualcuno. “Non è che… per puro caso… tu abbia invitato anche i nordici oppure… che so? Metà Asia?”
Feliciano ingoiò a vuoto ricevendo il messaggio tra le righe molto chiaramente. “No, fratellino.”
Lovino annuì con fare soddisfatto.“Davvero bravo, Feli.”  


  
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