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Autore: ignorance    15/11/2011    5 recensioni
«È l’effetto dell’alcohol, mi fa dire un sacco di cose stupide, il genere di cose che di solito direbbe James»
Wolfstar.
Genere: Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Commenti dell'autrice: Okay, okay. Continuiamo con questo mio masochistico annegamento nel Fluff. C'è da dire che non la faccio nemmeno più di proposito, mi escono e basta. Perdio, devo assolutamente fare qualcosa. Coo-munque. Full immersion nei pensieri alcolistici, effetti, lucidità da post-sbronza et similia. Ma non è importante, adesso. C'è una comunicazione che devo assolutamente fare, mettendo da parte i pomodori che potrete eventualmente tirarmi perchè vi chiederò di lasciarmi una recensione anche piccola piccola - siete proprio avidi di recensioni, eh. La comunicazione è impossibile da ignorare, è proprio qua sotto, dopo i Disclaimers *indica con il pollice*, ed è anche in rosso. *ride*
Disclaimers: I personaggi non mi appartengono. Ma lo sapete, percui 'via, andate a leggere la comunicazione *sorride*



COMUNICAZIONE DI SERVIZIO: Udite udite! ignorance cambia nickname! D'ora in poi sarò "Arlandria" (appena l'amministrazione me lo avrà cambiato). Se avete rimostranze, obiezioni o altro ditelo pure *ridacchia*. Ormai les jeux sont faits, ma pareri e altro sono ben accetti comunque.



Sommario: (ebbene sì, da oggi in poi inserirò anche un Sommario, tanto per dire) Alcohol, confessioni post-sbronza, incantesimi al dentifricio alla menta e... Aberforth Dumbledore che russa!



***



«But I just wanna be drunk so I can forget about you and all the stupid things that love has put me through.
Even when I've had too much, I still feel your touch.
Maybe this just means that I`m not drunk enough.»




***



Remus ormai l’aveva capito. Non esisteva cosa più cretina, imbecille, deficiente, di dar retta ad un Sirius Black predisposto all’ubriachezza. Il che, nel novantanove virgola novantanove percento, salvo casi straordinari in cui lo zero virgola zero uno percento si aggiungeva miracolosamente per amor di matematica e giusto un po’ per arrotondare il numero, era una cosa che si ripeteva ogni weekend, precisa come un orologio Svizzero, sin dal primo, orribile, giorno di scuola.

Ogni weekend, Sirius proponeva di andare a bere qualcosa, giusto un pochino, un bicchierino innocente di Whiskey; James era dell’idea che gli facesse bene, al cagnaccio, staccare un po’ - come se non fosse già completamente scollegato-, e sorridendo annuiva vigorosamente. Peter… Be’, era Peter, non potevi pretendere che parlasse in qualunque lingua diversa da quella di James. Stoicamente, Lupin aveva sempre declinato cortesemente l’offerta, per poi trovarsi catapultato da una o due mani su una sedia e costretto ad ingollare più alcohol di quanto un solo corpo potesse sopportare.

Stavolta, invece, per un caso fortuito o forse no, aveva rinunciato all’idea di rifiutarsi perché, insomma, le braccia gli facevano male a forza di essere sbattuto sulle sedie, e l’idea di bere qualcosa non lo disgustava nemmeno poi tanto, visto che aveva appena realizzato che c’era qualcosa che non andava in lui – come se ci fosse qualcosa che davvero andava, poi.

Preparata a tutto, la piccola ma compatta combriccola, completamente consenziente, per una volta, si era diretta alla (Testa di Porco). Un posticino proprio carino, c’è da dire. Sporco e unto dappertutto, bicchieri e calici sbeccati, un’atmosfera degna del peggior film splatter che Remus avesse mai avuto il coraggio di guardare –spinto ovviamente dalla passione filo-Babbana di Sirius-, assi scricchiolanti e tavoli traballanti a parte, s’intende. Almeno, comunque, motteggiava Black, era un posto tranquillo.

«Ehi, Ab!», aveva sbraitato Sirius, non appena varcata la soglia, ricevendo un burbero cenno d’intesa: Aberforth non faceva problemi, fintanto che gli altri non davano problemi a lui. Con la sua miglior camminata smargiassa, Black si era diretto ad un tavolo libero a caso, agguantando Remus per un polso e sbattendolo su di una sedia, per poi accomodarsi al suo fianco con nonchalance.

La faccia di Lupin sarebbe stata da fotografare, sul serio. Era seccante: per una volta che era consenziente, veniva comunque trattato come uno Schiopodo recalcitrante. Cogliendo l’occhiata al vetriolo lanciatagli, Black aveva indirizzato un sorriso di scuse a Remus e si era stretto nelle spalle. «La forza dell’abitudine, Remie», aveva flautato, in tono salottiero. Dopodiché, ricominciando ad ignorarlo come soleva fare prima di tuffarsi in un’azione che ben sapeva non approvata, aveva chiamato con un cenno il barista e ordinato, con un certo compiacimento: «Il solito.»

Aberforth, annuendo, si era eclissato con velocità sorprendente, davvero, per tutta quella stazza, lasciandoli soli, ognuno con i propri pensieri.

Remus aveva pensato solo, mordicchiandosi l’interno guancia, che forse avrebbe fatto meglio a rifiutare ancora una volta. Poi Sirius l’aveva squadrato un po’, gli aveva sorriso, e ogni pensiero coerente era sfarfallato via.

Quattro o cinque Butterbeer e un paio di Whiskey dopo, con la testa metaforicamente leggera e tanto fisicamente pesante da crollare sul tavolo, Lupin aveva solo tirato fuori un rauco mugolio e pian piano, con molta calma, si era assopito. Ma non mai abbastanza, comunque, da non sentire gli schiamazzi dei suoi compagni di brigata che, da qualunque lato la si volesse guardare, l’acohol lo reggevano sicuramente meglio di lui.

Remus ormai l’aveva capito. Non esisteva cosa più cretina, imbecille, deficiente, di dar retta ad un Sirius Black predisposto all’ubriachezza.

Sentendo l’urgenza impellente di andare in bagno, Remus si svegliò. Aprì gli occhi, faticosamente, con le palpebre tanto incollate l’una all’altra da domandarsi se gli avessero lanciato qualche strano incantesimo Pastoia, e tirò su la testa. Mise a fuoco, in un’era circa, prima i dettagli rozzi e poi quelli più fini. Un tavolo, delle sedie, figure accasciate contro il suddetto tavolo, una fonte di luce artificiale non tanto potente da ferirgli gli occhi. E poi ancora, gli occhiali di James di sghimbescio sul suo naso, la mano grassoccia di Peter stretta intorno ad un boccale di Butterbeer, con il naso schiacciato contro il tavolo, le venature circolari del legno, l’ondeggiare pigro della matassa di capelli di Potter. E ancora, le finestre lerce del locale, il buio totale della notte, le bottiglie in esposizione sugli scaffali, Sirius con la testa abbandonata sul bancone.

Più lenti, i suoni. Il sonoro ma musicale russare di quel trombone di James, i singulti quasi impercettibili di Peter, il frusciare del vento fuori dalla porta, e lontano un russare molto più rumoroso, quello di Aberforth, sicuramente. Curiosamente, Remus registrò anche i dettagli mancanti. Qualcosa mancava al solito quadro notturno: non aveva sentito il lento respiro di Sirius, quello no.

Con un enorme sforzo di volontà, Remus si tirò su. Black non si mosse. Lupin sgusciò via dalla costrizione del tavolo contro le sue gambe troppo lunghe e barcollò un po’, prima di riuscire a superare la nausea. Si mise dritto, azzardò un paio di passi lenti e calibrati, e quando seppe di avere ripreso il controllo, se non totale, quasi completo delle sue funzioni motorie, fece qualche falcata sino a raggiungere lo sgabello su cui Sirius stava seduto.

La testa era sepolta tra le braccia; ne spuntavano solo i capelli, arruffati e neri come l’inchiostro, forse troppo lunghi ma ugualmente bellissimi, e una piccola porzione scoperta di carne, quella della punta dell’orecchio. «Sirius», sussurrò Remus, senza sapere il perché. Nessuna reazione. «Lo so che sei sveglio». Ci aggiunse un po’ di compiacimento, in quel soffio, così come una punta di rimprovero.

Da sotto tutti quei capelli, in risposta giunse uno sbuffo. «Non ti si può fregare, eh, Moony?» fece Black, in un sussurro quasi seccato, ma innegabilmente divertito. Lupin sbatacchiò piano la testa. Pessima mossa. Si accasciò sullo sgabello vicino a quello su cui stava stravaccato Sirius e abbandonò la testa affianco alla sua.

Dopo un attimo di silenzio, si decise a rispondere: «Proprio no», e rise. Rise pianissimo, per provocare un danno minimo alla sua situazione già non ottima, ma Sirius lo sentì ugualmente.

«Senti», fece Remus, piano, «Ammetto che devo andare in bagno. Non voglio ancora smuovere James e Pet, non ce la farebbero. Quindi non se ne fa niente. Ma se prometti che mi aspetterai ancora sveglio magari non mi sentirò così solo da riaddormentarmi pietosamente».

I capelli di Black si mossero, pianissimo, mentre la punta dell’orecchio andava a seppellirsi di più tra le sue braccia. «Ti aspetto, Moony», promise.

Adagio, Remus si alzò di nuovo e si diresse verso il bagno –se bagno si poteva definire- della (Testa di Porco). Vomitò tutto l’alcohol che aveva in corpo, come faceva sempre il suo organismo in segno di ammutinamento, si sciacquò la bocca con dell’acqua (e un Incantesimo che gli riempì la bocca di un gusto al dentifricio alla menta e che gli aveva insegnato Frank, che sia benedetto) e tornò a sedersi silenziosamente al fianco di Sirius, molto più lucido. «Cosa c’è?», disse infine, dopo un po’.

La risposta arrivò lenta. «Eh?»

Lupin sembrò rimuginarci un attimo. «Sirius, mi hai appena detto che “non mi si può fregare”, testuale. Hai bevuto non meno del solito, ma non sei crollato addormentato come fai di solito. Si vede che hai qualche pulce nell’orecchio».

«Hey!», protestò Black, in un sussurro rabbioso, «l’antipulci che mi ha dato James ha funzionato benissimo, e-»

«Scusa, scusa», lo bloccò l’altro, velocemente. «È l’effetto dell’alcohol, mi fa dire un sacco di cose stupide, il genere di cose che di solito direbbe James». Abbandonò la testa contro il bancone e tirò un sospiro. «È ovvio che ci sia qualcosa che ti turba».

Sirius lasciò per qualche istante che il silenzio si prolungasse, poi tirò a sua volta un lungo sospiro. Un sospiro bizzarro, visto che era lui a farlo. «In effetti sì, qualcosa c’è», ammise riluttante. «Hai appena usato il verbo “turba” quando dovresti essere teoricamente nella fase post-sbronza, lingua incollata al palato e capacità mentali pari a zero», sviò all’ultimo momento, soffiando una risatina sciocca contro la manica.

Remus rimase in silenzio per un po’. «Ho sviluppato una sorta di antidoto fisiologico», confessò. «Credo sia per via di tutte le sbronze che mi costringete a prendere», rettificò poi, sconsolato. «Comunque, sinceramente, non credo sia tutto qui, il problema. Sai, odio dovertelo ripetere, ma mi hai appena detto che non mi si può fregare – mai Sirius Black disse cosa più vera», sussurrò, per poi buttare fuori in uno sbuffo: «Scusa, l’alcohol mi fa anche questo effetto egocentrico. È una delle tante ragioni per cui cerco di rifiutare ogni volta, sai.»

Black sbatacchiò leggermente i capelli, ancora sepolti sotto le braccia, e ridacchiò cautamente. «Lascia stare. La trovo una cosa carina». Calò il silenzio. Un silenzio vagamente imbarazzato e teso, perché Sirius aveva appena definito un comportamento di Remus come “carino” e, perdio, adesso entrambi stavano sperando che l’altro non si accorgesse del battito frenetico del proprio cuore, che rimbombava nella cassa toracica come a farla apposta, nel silenzio schietto della notte. «…Un problema», sbottò Sirius, infine. «Un grande problema, ecco cosa c’è». Seppellì l’orecchio ancora un po’ tra le sue braccia e premette la fronte sul bancone, sperando sinceramente di assistere ad una fusione tra la sua pelle e il legno lercio. «Non credo tu sia la persona adatta a cui andarlo a dire, però, non mi fraintendere», disse infine, con voce bassa e un po’ scocciata, vedendo che la sua fronte era ancora al proprio posto. «Cioè, visto che sei… tu il problema», ammise finalmente, in un soffio.

Lupin ebbe un tuffo al cuore. Pensò freneticamente a come scusarsi, perché in effetti se n’era accorto anche lui, ultimamente stare vicino, così vicino a Sirius gli faceva uno strano effetto, ma insomma, era roba da nulla, sarebbe bastato una sorta di periodo di pausa e tutto sarebbe tornato come prima. …Almeno, lo sperava. Aprì bocca per far uscire fuori un borbottio che sarebbe potuto essere “scusa”, ma anche “lo so”, e poi “andrà tutto bene”, ma soprattutto “ho paura di quello che potrebbe essere, ne sono terrorizzato”, ma Black non gliene diede il tempo. Si sporse verso di lui e premette brevemente le labbra contro le sue, per un solo istante, che sarebbe anche potuto sembrare finto, ma era vero, e il calore di Sirius e il suo sorriso appena accennato e un po’ triste illuminato appena dalla luna, ed era vera la tachicardia che aveva appena colto Remus, e il tremore delle mani, e una cosa orribile, orribile ma dolcissima, alla bocca dello stomaco – come se ti rigirassero l’intestino, ecco.

Sirius fece un gesto misurato con la mano, guardandolo negli occhi, come a dire anche lui “ecco”, e gli scoccò un sorriso enigmatico. «Scusa, Moony», mormorò, abbattuto, «è tutta colpa mia».

Fu in quel momento che Remus s’irritò seriamente. «No, spiegami. È colpa tua?», stridé, ma sempre sottovoce. «Pensi davvero che sia colpa tua? Cioè, perché sei così affascinante da attirare chiunque come il miele con le api, sei troppo bello e brillante e dannatamente macho misterioso, o roba del genere? Davvero sei così stupido, Sirius Black? Perché mai dovrebbe essere colpa tua se mi sono innamorato di t-», s’interruppe, perché Sirius lo stava guardando con gli occhi sgranati, e temette seriamente di essersi perso qualcosa, qualche pezzo importante, e allora ammutolì, mentre Sirius continuava a fissarlo con tanto d’occhi. «Oh», fece.

Ci fu un istante in cui Remus ebbe seriamente paura che Black volesse ucciderlo, ridurlo in tantissimi pezzettini minuscoli e buttarli al vento, ma Sirius si allungò e premette disperatamente le labbra contro le sue, afferrandogli con le mani i capelli e sbilanciandosi tanto da trascinarlo con sé in un’inesorabile caduta verso terra.

Il tonfo fu orribile, una cosa anche piuttosto dolorosa, se dobbiamo dirlo, ma Black si stava aggrappando al maglione di Remus e muovendo le labbra morbide sulle sue, ed era imbarazzante ammetterlo, ma in quel momento null’altro importava. Che quei bonzi di James e Peter si svegliassero, che Aberforth li buttasse a calci nel sedere fuori dal suo locale; Sirius che schiacciava la fronte sulla sua e gli invadeva la bocca con la lingua, il torace compresso da quello di Sirius, e Sirius ovunque, in ogni direzione, era terribilmente più importante.

Quando l’istante finì, Remus riacquistò nel giro dell’istante successivo la lucidità che aveva tanto lottato per ottenere vomitando anche l’anima e, senza staccarsi troppo da Sirius, ma ribaltando le posizioni sino a poter alzare di un po’ il busto, analizzò velocemente la situazione. I due bonzi, come aveva avuto l’impulso di catalogarli, sembravano non aver notato cambiamenti fondamentali né, fortunatamente, sentito il tonfo allucinante. Ci fu un momento agghiacciante in cui James parve risvegliarsi, ma girò solo la testa dall’altra parte con un grugnito e ricominciò a russare. Con un sospiro grato, Remus registrò anche che Aberforth aveva il sonno così pesante da non aver sentito nulla, e si accasciò sul petto di Black, esausto e un po’ dolorante.

L’imbarazzo lo assalì solo dopo, quando la risata canina di Black gli sfiorò calorosamente l’orecchio, e due mani calde lo strinsero per i fianchi. Avvampò furiosamente, fino alle orecchie, e il cuore cominciò a rintoccare rumorosamente nel suo petto, mentre Sirius gli sussurrava con la voce impastata: «Era una confessione di colpevolezza, quella?»

«Idiota», replicò Lupin, asciutto. «Sei ubriaco».

La risata di Black ritornò impavida ad incantare le sue orecchie. «Ovvio», concordò, con voce ruvida. «Altrimenti non avrei mai avuto il coraggio di fare… Be’, questo», e gli sorrise contro il collo, posandovi un bacio giocoso. «No, davvero, Mo-ony», incalzò quindi, in un sussurro, «davvero pensi che io sia bello e brillante e dannatamente macho misterios- ouch! Siamo aggressivi, eh, lupastro? Ci diamo alla boxe?»

Remus incastrò il naso contro la curva del collo di Black e tirò un lungo, esasperato sospiro. «Pads, sei veramente un’idiota senza speranza. Come diavolo ho fatto ad innamorarmi di un tizio così? Ma dico, io-» si tappò la bocca in fretta e tossicchiò. «Scusa», ripetè.

«L’effetto dell’alcohol», completò Sirius per lui, facendo un largo sorriso. «Moony, mi piaci un sacco sotto gli effetti del Whiskey Incendiario, lo sai?», ridacchiò piano. «Cioè, mi piaci sempre, ma così disinibito sei ancora più bello».

Lupin arrossì impietosamente, ma si limitò a sbottare: «Sei proprio stupido, eh.»

Black lo strinse ancora di più a sé e rise. «Domani sera ti porto a bere, mmm?», propose allegramente. «Credo che anche ai ragazzi non dispiacerà affatto.»



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Ci tengo solo a precisare che in quanto alla parola alcohol tendo sempre a scriverlo in inglese per mere ragioni stilistiche.
...Suvvia, date spazio alla vostra fantasia negli insulti! Me lo sento proprio, di aver fatto schifo anche stavolta. Cosa ci devo fare? È più forte di me.

Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
(© elyxyz)

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)

   
 
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