Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Blackvirgo    15/11/2011    2 recensioni
Il tempo di Berlino corre in fretta. Sicuramente più in fretta delle acque della Sprea, il fiume che la attraversa. Sicuramente più veloce di un vecchio che osserva le sue acque da un ponte teso fra l’alba e il tramonto.
Seconda classificata al contest "Travel Awards" indetto da MrsLovett sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota introduttiva:questa fanfiction ha partecipato al Travel Awards contest indetto da MrsLovett sul forum di EFP ottenendo un secondo posto. La sfida consisteva nello scrivere una storia su una città in modo che la città stessa fosse la protagonista. La mia scelta è ricaduta su Berlino, a cui sono legata da un sentimento di odio e amore. Di seguito quello che ho prodotto per il concorso, anche se prima della pubblicazione l’ho mondata da alcuni strafalcioni che mi erano sfuggiti.

Titolo: Ich bin ein Berliner 
Fandom: Originale
Genere:  Introspettivo
Rating: Verde 
Avvertimenti: nessuno  
Promt / canzone / citazione usata: Ich bin ein Berliner (John Fitzgerald Kennedy)
Note ed eventuali dell'autore: Sensazioni, ecco quello che spero di trasmettere. Sensazioni che mi sono rimaste a distanza di anni dopo un periodo della mia vita vissuta in quella strana città.  
Introduzione: Il tempo di Berlino corre in fretta. Sicuramente più in fretta delle acque della Sprea, il fiume che la attraversa. Sicuramente più veloce di un vecchio che osserva le sue acque da un ponte teso fra l’alba e il tramonto.   
 


Photobucket


Ich bin ein Berliner
 – JFK

 
 

Il tramonto sull’Oberbaumbrückeera uno spettacolo imperdibile. Non tanto per il sole, che ogni giorno aveva il vizio di colorarsi di rosso prima di sparire dietro l’orizzonte, ma proprio perché indicava l’ovest. Come ogni alba, altrettanto rossa, indicava l’est.
E il ponte stava lì, in mezzo, con la Sprea che gli scorreva sotto, riflettendo tutto quello che succedeva in quella città il cui tempo scorreva più veloce della sua acqua, senza mai condividere un pensiero. Ci passavano le barche sulla Sprea, piene di merci o di turisti che avevano scelto di vedere la città da un altro punto di vista.
Era estate, estate piena. Con i suoi momenti di caldo soffocante, le sue nuvole che coprivano il cielo e accarezzavano la pelle con un brivido di freddo. Sempre a ricordarti che il cielo continua a correre anche quanto tu sei fermo in contemplazione, sempre a ricordarti che quelle giornate di giugno erano lunghe solo perché il dì rosicava la notte. 
Anche se erano chiare, le notti cominciavano presto a Berlino. Anzi, forse proprio perché erano chiare, a volte ci si dimenticava che fosse ancora giorno. Altre volte ci si dimenticava che fosse già notte. Era facile finire in un locale lasciandosi alle spalle le luci del giorno e uscire per venire investiti dalla luce del giorno dopo. Così come d’inverno era facile cadere nella depressione, nell’attesa spasmodica di quelle poche ore che portavano una luce diversa da quella dei neon.
Aveva scelto di scandire il tempo sulle note di un organetto, il giorno in cui aveva deciso di essere diventato vecchio. Aveva deciso di trasformare in note i ricordi e le sensazioni.
La sua vita insomma.
Aveva scelto di vagare per le vie di quella città regalando un sorriso a chi ancora aveva voglia di ascoltare una musica che raccontava di tempi andati e che cambiava ogni giorno.
Perché ogni giorno si aggiungeva una nota che era un viso, una voce o una sensazione.
Perché ogni giorno perdeva qualcosa, un accento, un ricordo, una lacrima lungo il viso.
C’erano stati i mercanti di buoi che affollavanoOchsenplatz. Aveva mutato nome, quella piazza, e la polvere era diventata asfalto. Non c’erano più bestie e mercanti, ma c’era una fontana che voleva essere simbolo dell’amicizia fra i popoli, c’era un orologio che voleva misurare il tempo di tutte le città del mondo. Era una piazza piena di superbia quella che ora portava il nome dello scaltro bizantino*. Una piazza sovrastata da una torre così alta che da lassù si poteva vedere tutta la città a perdita d’occhio, fino Charlottenburg, fino a Postdam. Poteva seguire il nastro della Sprea dall’alto e vederlo riposare nei suoi laghi, per poi riprendere il cammino fino al mare. Ma al vecchio non piaceva salire sin lassù. La piattaforma d’osservazione di quella torre girava per permettere ai turisti di vedere il panorama a trecentosessanta gradi restando immobili. Mentre a lui, ai suoi vecchi occhi che ci mettevano tanto tempo a mettere a fuoco l’obiettivo, toccava camminare all’indietro: nello spazio, nel tempo. E poi quella torre così alta non permetteva ai suoi occhi miopi di guardare lontano. Doveva ricostruire quelle immagini coi ricordi e si sa che la memoria dei vecchi fa spesso cilecca. Si perde e indugia in momenti che non c’entrano niente. Come le bolle di sapone. Sì, quando era andato ai mercatini di Natale a Neukolln aveva visto un artista di strada che faceva bolle di sapone enormi, che si libravano nell’aria, leggere e impalpabili, colorate di tutti i colori che si potevano immaginare, trasparenti come la felicità più pura. E, come essa, troppo delicate, troppo inafferrabili.  Per questo era salito solo una volta in cima a quella torre. Gli ascensori non gli piacevano. Quello poi era troppo veloce: arrivavi in cima senza essertelo guadagnato. Era solo un respiro, una vertigine, un vuoto d’aria nello stomaco. Ma lui non era abituato ad associare quelle sensazioni a un ascensore.
Eppure i buoi, i mercanti, la piazza, la fontana e l’orologio erano diventate note della sua melodia. Così come l’ombra di quella torre svettante che ogni tanto arrivava sino ad accarezzare Marx ed Engels, due figure affiancate in mezzo a quel parco che ti faceva dimenticare di essere in città. E i visi di pietra dei due filosofi sembravano così assorti che il vecchio si fermava in religioso silenzio ad ammirarli, quasi ad aspettare una perla di saggezza vecchia di secoli.
E poi c’erano le stazioni, ad Alexanderplatz. C’era quella per la metropolitana e quella per i treni di superficie.
Strani posti le stazioni. Anche lì c’è sempre gente che va e viene e non si sa mai dove. Perché i treni passano e i binari restano. Il vecchio prendeva il treno solo per non arrivare in ritardo al suo appuntamento all’Oberbaumbrücke. Ostbahnhof lo vedeva due volte al giorno, ma sembrava non riconoscerlo mai. Si sentiva diverso dai treni e dai binari il vecchio, si sentiva estraneo nelle stazioni: lui non era un viaggiatore, lui non era una strada tracciata, non portava nessuno da nessuna parte, se non i suoi occhi che vagavano sempre, incapaci di rimanere troppo a lungo sullo stesso punto. Se non il suo fido organetto, costretto a seguirlo per le strade di quella città vecchia e nuova al tempo stesso. Mai ferma.
Al vecchio invece piaceva fermarsi: mancava il fiato se camminava troppo a lungo, se si sforzava di tenere dietro al tempo degli altri. Si fermava spesso, si sedeva su una panchina – lungo la strada, nella metropolitana, in mezzo a un parco – e guardava i volti dei passanti. Erano tutti uguali e tutti diversi quei visi, come le loro voci e i loro accenti. Tutti uguali e tutti diversi, come i loro pensieri che si perdevano nell’aria insieme al loro respiro e che per il vecchio diventavano un’altra nota da suonare.
Nascondeva tanti luoghi, Berlino.
C’era il mercato delle pulci del Mauerpark dove la gente si affollava con bancarelle improvvisate a vendere pezzi di passato che non portavano ricordi, ma solo polvere.
C’erano le stradine di Prenzlauerberg, con le sue case colorate, con quella sensazione di essere fuori da una metropoli, di essere in un borgo in cui avresti anche potuto conoscere il tuo vicino se solo lo avessi voluto.    
C’erano i ragazzi che bevevano fuori dalla vineria, quella schiacciata tra il negozio di strumenti musicali e il fruttivendolo, ragazzi che parlavano inglese con accento spagnolo, italiano e croato.
C’era Hauptbahnhof fatta di vetro di acciaio, come la cupola del parlamento che stava un po’ più in là, immerso nel Tiergarten, sulle sponde della Sprea.
C’era lo zoo e le sue bestie – uomini e animali. E la triste quanto famosa stazione dello zoo. Chissà se quella ragazza, Christiane§, chissà se anche lei si era mescolata alle sue note.
C’era la chiesa lì fuori, quella diroccata che i restauratori avevano lasciato a pezzi, perché le bombe c’erano state e non andavano dimenticate.
C’era Potsdamer platz con i suoi palazzi di vetro dalle forme strane che avrebbero fatto la gioia di qualsiasi architetto e che sfidavano la prospettiva di qualunque fotografo.
C’erano i palazzoni Frankefurte strasse che parlavano di operai, di vite grigie e tutte uguali. Che puzzavano della paura di non riuscire a essere abbastanza utili per la società e che questo diventasse insoddisfazione e poi un pretesto per essere schiacciati. Come se l’infelicità non fosse già un peso abbastanza gravoso.
C’era quella stradina subito dopo la Rotten Rathaus che sembrava portarti in un altro mondo, in un paesino tirolese, con la piazzetta e la statua di San Giorgio e la birreria che ti cucina lo stinco di maiale con crauti e patate. Doveva essere rimasta uguale a quando Alexanderplatz si chiamava ancora Ochsenplatz. E c’era anche la Sprea sotto la statua di San Giorgio. Era dappertutto quel fiume.
C’era Treptower Park con quella statua enorme di un soldato che porgeva una mano che sembrava buona come il pane anche se doveva aver ucciso.
E c’era quel ponte sulla Sprea che da sempre aveva unito l’est e l’ovest. Prima che ci fosse un muro, mentre c’era stato e ancora era lì e resisteva. Era stato un passaggio controllato per transitare da un lato all’altro della città nel tempo in cui esistevano le stazioni fantasma della metropolitana. Nel periodo in cui il Cafè Adler era diventato famoso per i ritrovi di spie, lì vicino al Checkpoint Charlie. C’era quando Kennedy aveva detto Ich bin ein Berliner, ma poi se n’era tornato a casa sua. C’era nel periodo del ponte aereo su Tempelhof e quando l’unica strada per arrivare a una città che non fosse Berlino era la Grenzübergangsstelle Drewitz-Dreilinden. Erano diventati tutti monumenti ora. Monumenti alla memoria, per ricordare la guerra mentre morivano quelli che l’avevano vissuta. 
Il vecchio però continuava a preferire il suo posto sul ponte, a contemplare l’ovest ogni sera e l’est ogni mattina. Mentre l’acqua del fiume gli scorreva sotto i piedi e il tempo fra i capelli. Immutabile in quel tempo troppo veloce, ma grato che attorno a sé le cose potessero cambiare così in fretta da essere nuove a ogni alba e pronte a essere rimpiante a ogni tramonto.
 
***

Note finali dell’autrice: (mai scritte tante note!)
- * nome che Napoleone dà a Alessandro I di Russia, ossia colui in onore del quale venne appunto denominata Alexanderplatz.
- § la protagonista di “noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”.
- ... chi è il vecchio? Nessuno, mi verrebbe da dire, ma non sarebbe vero. Io ho un debole per i menestrelli e gli artisti di strada in genere. Il vecchio è un personaggio inventato, ma ispirato a un suonatore di organetto in costume bavarese che incontravo di tanto in tanto nei paraggi della stazione di Friedrichstrasse.

Grazie per essere arrivati fin qui!
E soprattutto un grandissimo ringraziamento a MrsLovett per l'idea del contest, per i giudizi e per i bellissimi banner *__*
Invito tutti a leggere anche le altre storie che hanno partecipato al contest.

Di seguito il giudizio di MrsLovett:

ICH BIN EIN BERLINER di BLACKVIRGO 
Grammatica: 9,5/10 
Stile: 9,5/10 
Originalità: 9,5/10 
Gradimento personale: 5/5 
Descrizione della città: 5/5 
Punti bonus: 5/5 
TOTALE: 43/45 

Secondo posto anche per te: del resto le vostre storie sono talmente ben scritte che son stata “costretta” a un ex aequo. 
E' un originale scritto molto bene e in modo scorrevole ma ho notato che da metà storia inizi le frasi con “c'era” e sembrava un po' un elenco della spesa. A parte ciò ho trovato il tuo stile ottimo e molto fluido con una grammatica pressoché perfetta. 
Hai ripercorso tutti i quartieri di Berlino creando una successione di visioni oggettive/soggettive ed è stata la cosa che ho apprezzato di più. Non ti sei soffermata più di tanto sui particolari ma hai descritto un po' di tutto, lasciando al lettore un giusto spazio di immaginazione. 
Stupenda la descrizione del tempo berlinese: dei giorni che si susseguono l'uno dopo l'altro durante l'estate e l'eterna notte invernale. 
Hai creato una serie di visioni della città: da Potsdamer platz, fulcro dell'architettura e della tecnologia (bellissimo il Sony center :P), a Prenzlauerburg, dove l'antico si mescola con il nuovo; da Neukolln, che durante il periodo natalizio è costellata di bancarelle, al famoso Checkpoint Charlie, luogo di grande importanza storica. 
Chi si accinge a leggere questa storia si troverà immerso completamente nelle strade e nelle piazze che compongono la capitale: chi non ha mai visitato Berlino vorrà assolutamente andarci (e magari fare anche un salto a Rotten Rathaus per assaggiare le specialità tirolesi) e chi ci è già stato non vedrà l'ora di ritornarci, perché da questa storia si riesce ad assaporare il vero fascino della capitale tedesca. 


PS: ma chi è il vecchio? :P

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Blackvirgo