Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |       
Autore: cecchino_2028    17/11/2011    0 recensioni
E' la storia di tre ragazze che fanno un lavoro particolare, ognuna di loro ha una storia, si troveranno al cospetto del feldmaresciallo Radetzky...
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il mio nome è Vittoria, sono figlia di due contadini di un piccolo paese nei dintorni di Varese, per circa tre anni ho lavorato come serva nelle cucine di Palazzo Savoia, dove ho conosciuto uomini e donne dal grande nome, come Francesco Giuseppe, Carlo Alberto o Sofia di Wittelsbach. Nessuno di loro ricorda il mio volto, sono solo un umile serva, ma sono anche un abile lottatrice, è per questo motivo che a vent’anni sono scappata di casa. Nel mio paese la povertà era dilagante, così ho deciso di andarmene da Palazzo Savoia per tornare a vivere con i miei genitori, ora ho vent’anni e vogliono darmi in sposa ad un uomo che non amo, ma con il quale i miei genitori hanno un debito, lui ha detto che se avesse visto i miei bei occhi tutte le mattine accanto a lui non sarebbe successo nulla. Non lo amo, lui non ama me, però ho accettato per amore dei miei genitori e ora me ne pento, ora che sto per arrivare all’altare, ora che lui è di fronte a me e mio padre mi tiene al braccio, ora che sto per diventare sua moglie. Mio padre poggia la mia mano sulla sua e lui sorride, è un sorriso lascivo, carico di disprezzo e malizia, di voglia di prendermi anche lì, di fronte alla folla perché per lui quello che conta è questo, avere chi lo osserva e lo invidia. Lo guardo negli occhi, facendo trasparire l’odio che provo nei suoi confronti, sa che questo matrimonio non lo voglio, così ha deciso di portarmi in dote il suo pubblico, per far vedere la sua magnificenza ai miei occhi, per deridermi, per farmi soffrire già dall’inizio. Inizia la funzione ma i miei pensieri sono rivolti altrove, verso una radura nel bosco adiacente al paese in cui amavo passare le giornate. Un urlo mi ridesta dai miei pensieri, mi volto e vedo il mio promesso sposo accasciarsi a terra, in un lago di sangue, non ho parole, non riesco ad articolare nessun suono, sento gli sguardi di tutti rivolti verso di noi.
“Razza di bestia!” urla un uomo dal fondo della navata. Mi alzo, ho riconosciuto la sua voce, ha il volto coperto dal cappuccio di un lungo mantello che tocca terra.
“Cosa volete?” rispondo in un sussurro, che però fa eco nella chiesa, poiché il silenzio è tombale.
“Voi madama!” dice avvicinandosi ed inginocchiandosi sulle scale.
“Ma non sono né ricca né di buona famiglia!” rispondo impaurita.
“C’è qualcuno che vi desidera!” dice l’uomo prendendomi per le gambe e issandomi sulla sua spalla, urlo forte e mi dimeno, ma lui mi tiene stretta, usciti dalla chiesa inizia a correre fin quando non arriviamo nel bosco, mi adagia ai piedi di un albero e dopo essersi guardato intorno cala il cappuccio e vedo quel volto così famigliare, alto e dinoccolato, capelli biondi alcuni bianchi, occhi nocciola profondi e un odore inconfondibile, che sa di buono.
“Maestro!” dico facendo un profondo inchino.
“Vittoria sai che odio questo tipo di cose quindi ora alzati e parliamo!” dice, seguo alla lettera i suoi comandi, pendo letteralmente dalle sue labbra.
“Non potevo sposarlo!” rispondo.
“E i tuoi genitori?” chiede.
“Lui è morto non può più fargli del male!” dico.
“Ma i suoi fratelli?” domanda.
“Si è allontanato da tutti, non discutiamone più!” rispondo tutto d’un fiato.
“Già!” dice e mi lancia una borsa, la apro e trovo le cose che gli avevo dato,  un paio di braghe e una maglia di tela, una giacca e un paio di stivali di pelle, mi spoglio e me li infilo, non mi vergogno del mio Maestro, è stato lui a iniziarmi verso l’arte del sicario, prendo le armi e le ripongo nei luoghi giusti. Il mio armamentario è formato da due pugnali, entrambi nelle braghe, coperti dalla giacca, una spada con il fodero nello stivale, una daga e un gladio nell’altro stivale, un sais e un cerchio rotante in due piccole tasche nascoste sotto la giacca. Sono armata di ogni sorta di arma bianca, chiunque intralci il mio camino non ne esce vivo. Ecco cosa sono realmente, un sicario. Ho conosciuto il Maestro quando ero a Palazzo Savoia, lui faceva parte dell’esercito privato del re, ha iniziato ad addestrarmi così, per scherzo. Una sera ero in giardino a passeggiare e lui non mi aveva notata, poi aveva avvertito la mia presenza e aveva sfoderato la spada con la quale mi aveva attaccata, io mi ero abbassata per evitare la spada e lui aveva iniziato a colpirmi, avevo schivato tutti i colpi, poi con il chiarore della luna mi aveva conosciuta e mi aveva iniziato ad addestrare. Non so nulla del suo passato, non ne ha mai parlato, ma non mi interessa perché ognuno ha i suoi segreti. Camminiamo su un piccolo sentiero nel bosco per tutta la notte, quando inizia ad albeggiare arriviamo in un piccolo paese, entriamo in una locanda e ci sediamo ad un tavolo e prendiamo due birre, poco dopo si accostano a noi due ragazze e si siedono al nostro tavolo, il Maestro non dice nulla e fa solo un cenno con la testa, usciamo dalla locanda e ci nascondiamo in un vicolo.
“Vittoria, loro sono Maria Antonietta e Caterina!” dice il Maestro. Faccio un profondo inchino alle due ragazze, le guardo, Maria Antonietta è bassa, ha gli occhi marroni e i capelli castani, mentre invece Caterina è poco più bassa di me, è bionda e i suoi occhi sono nocciola.
“Dove dobbiamo andare?” chiede Maria Antonietta.
“A Vigevano, tra due giorni si incontreranno il feldmaresciallo Radetzky e il generale sardo Salasco!” risponde il Maestro.
“E qual è il nostro compito?” domanda Caterina.
“Scoprire cosa sta per accadere, tutti i popoli si stanno ribellando ai loro padroni, abbiamo l’incarico di informare il nostro mandante il prima possibile!” dice il Maestro.
“Bene, quindi ora dobbiamo andare a Vigevano?” chiedo.
“Sì, partiremo domani e saremo lì in un giorno! Comprate ciò che vi serve per i vostri mestieri in questo paese, prendete solo cose leggere, che vi facilitino il cammino!” dice lui. Annuiamo e usciamo dal vicolo insieme, il Maestro se ne va per la sua strada e noi passeggiamo per una via.
“Qual è la tua specialità?” mi chiede ad un certo punto Caterina.
“La lotta, so usare ogni tipo di arma e conosco ogni mossa! E voi?” domando.
“Sono un alchimista!” risponde Maria Antonietta.
“Tiratrice, so uccidere da distanze inimmaginabili!” dice Caterina. Sono sicuramente le migliori nel loro campo, altrimenti il Maestro non le avrebbe scelte.
“Siete anche voi allieve del Maestro?” domando.
“No, il mio Maestro è morto un anno fa!” dice Caterina.
“Il mio è scappato non appena ho compiuto diciotto anni!” risponde Maria Antonietta. Entriamo in una piccola bottega di armi, vengo subito attratta da una grande spada a due mani, il manico è intarsiato in oro e la lama è in ferro e argento ed è molto affilata. Vorrei prenderla ma i miei denari non bastano, la mia povertà mi perseguiterà sempre, la frustrazione si impossessa di me, così esco e inizio a correre, mi ritrovo in un piccolo spiazzo erboso non lontano dagli inizi di un bosco, estraggo la spada ed inizio a fare degli affondi ad un immaginario nemico di fronte a me, poi salto a destra e a sinistra sempre menando fendenti con la spada, come se fossi stata attaccata da un esercito. Un fruscio attira la mia attenzione, è appena percettibile, ma ho sviluppato molto i sensi dell’udito e della vista, infilo di nuovo la spada nello stivale e metto le mani sui pugnali, intanto continuo a far finta di nulla, poi estraggo i pugnali e li lancio contro la persona alle mie spalle, con l’unica soluzione di infilarli nell’albero, poiché il ragazzo di fronte a me si è scostato. Mena un fendente con il braccio destro, in cui tiene la spada, estraggo anche io la mia spada e inizio a rispondere ai suoi fendenti, l’uomo ha almeno un complice perché un altro fruscio richiama la mia attenzione, ma i pugnali sono troppo lontani, così con la mano libera estraggo il sais e lo lancio contro un altro albero, piantandolo nel petto dell’uomo che si accascia ai piedi dell’albero.
“Assassina!” grida l’uomo che sta combattendo contro di me.
“Chi sei?” urlo in risposta.
“Quello che si sta per riprendere la vita che hai stroncato!” dice ed estrae un pugnale e lo lancia contro di me, ma lo schivo e meno un altro fendente con la spada, un altro pugnale e mi abbasso, torno a fronteggiarlo con la spada e dopo un altro paio di fendenti lancio la sua spada lontano, con un paio di mosse di lotta lo getto a terra e gli punto la spada alla gola.
“Chi sei?” chiedo di nuovo.
“Nessuno!” risponde.
“Dimmi chi sei!” domando.
“Puoi anche uccidermi ma non parlerò!” dice, gli strappo la casacca con la lama della spada.
“Chi sei?” domando di nuovo. “Non voglio farti del male, perché mi hai affrontata?”
“Ho bisogno di soldi!” dice.
“Un mercenario dunque!” rispondo.
“Esattamente!” conclude continuando a fronteggiarmi con gli occhi.
“E perché proprio me se laggiù c’è un villaggio?” domando.
“Perché una donzella sola faceva più gola!” risponde.
“Peccato che la donzella ti abbia battuto!” dico.
“Già ma ti ho lasciato vincere, sei così bella!”dice.
“Ti dovrei uccidere, mi hai vista in volto!” concludo sorridendo.
“Non farlo, magari posso aiutarti!” dice.
“E come?” domando.
“Qualsiasi tipo di servigio!” dice.
“Quanto sei abile a rubare in una bottega?” chiedo.
“Cosa devo rubare?” domanda diretto.
“Una spada, con intarsi d’oro sul manico e la lama di argento e ferro!” dico.
“E dov’è?” chiede.
“Giù, in paese, in una bottega!” rispondo.
“Andiamo!” dice. Lo aiuto ad alzarsi, vado a recuperare i pugnali e il sais.
“Mi spiace di aver ucciso il tuo amico!” dico.
“Lo avrei fatto io!” risponde.
“Ah ecco!” rispondo mentre pulisco il sais. Scendiamo al villaggio, mi siedo non lontano dalla bottega mentre il ragazzo entra, aspetto un po’, poi lo vedo correre con la spada in mano, gli corro dietro fino allo spiazzo dove ci siamo affrontati, si sdraia a terra e io dietro a lui, iniziamo a ridere, lui mi passa la spada.
“Grazie!” dico.
“Mi hai risparmiato la vita!” risponde.
“Già!” concludo pensierosa.
“Sono Giovanni, come il re senza terra!” dice.
“Non posso dirti il mio nome!” dico.
“Hai ragione!” risponde.
“Però hai rischiato per me quindi io sono Vittoria!” concludo alzandomi e sfilo la daga e la infilo nell’altro stivale mentre la nuova spada la metto al posto della daga. Sorrido a Giovanni che si alza, ci avviamo verso il villaggio, è quasi il tramonto così mi fermo davanti alla locanda dove ho appuntamento con il Maestro, Maria Antonietta e Caterina.
“Addio!” dico abbracciandolo.
“Addio!” risponde lui stringendomi nell’abbraccio. Sorrido mentre si allontana, è un bel ragazzo, alto, occhi marroni, capelli scuri e un fisico mozzafiato, simbolo di duri allenamenti e di Madre Natura. Entro nella locanda e vedo Maria Antonietta e Caterina sedute ad un tavolo,le raggiungo e mi siedo, poco dopo arriva anche il Maestro, consumiamo un pasto frugale in silenzio, dopo cena il Maestro mi porge la chiave di una stanza.
“Tu, Maria Antonietta e Caterina starete nella stessa camera, domani all’alba ci vedremo da basso e partiremo per Vigevano!” conclude il Maestro salendo le scale. Lo seguiamo ed entriamo nella nostra stanza, ci sono tre piccoli letti fatti di paglia, si nota che la locanda è gestita da persone povere, mi spoglio delle mie armi e mi getto sul letto, tento di dormire, sapendo che mi aspetta una dura giornata di cammino, però il sonno stenta ad arrivare, mentre le altre due ragazze si addormentano io fisso il soffitto scrostato, pensando alla giornata appena finita, non mi rendo conto che lentamente scivolo tra le braccia di Morfeo.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: cecchino_2028