- Viola, querida, buona
giornata!-
Viola alzò lo sguardo e un altro sorriso le apparve sul
volto quando incontrò gli occhi di zia Janine, in vestaglia, un pelo fuori dalla
porta di casa.
Janine aveva circa trentacinque anni ma sembrava molto
più giovane: era alta, snella, grandi occhi scuri e lunghi capelli ricci e
castani. La sua carnagione era abbronzata, cosa assai strana per chi ha sempre
vissuto a Clapham, e pure per chi vive a Brighton, doveva vivevano adesso. Ma
Janine, difatti, non aveva vissuto sempre lì con loro.
-
Buona giornata anche a te,
Janine - biascicò aprendo appena le labbra.
Janine sorrise accingendosi a rientrare, poi si arrestò
sentendo un rumore di tacchi provenire dall’interno della
casa.
La mamma corse fuori.
-
Viola, tesoro, ciao! Non
tornare tardi, d’accordo? Hai preso le chiavi di casa? Brava... e, Janine, non
dimenticarti del pranzo, okay? Diamine, ho fatto di nuovo tardi...un bacio,
amore, vieni qui tesoro! Ecco, brava...ehi, come sei carina! Salutami i tuoi
amici, okay? Ciao Viola!-
Viola avanzava il passo, come spesso faceva quando
camminava da sola, verso la scuola. Alzò la testa all’incrocio, dove di fronte a
se campeggiava il cartello indicante il nome della strada, e sotto di esso “City
of Brighton”.
Brighton, già. Viola Lens si era trasferita a Brighton
quando la zia Janine, misteriosa sorella di sua madre, era ricomparsa nelle loro
vite, dopo aver chiuso il matrimonio con uno studente spagnolo, di cui tempi
immemori si era innamorata. Viola non aveva mai conosciuto nessuno con tanto
spirito persuasivo quanto ne avesse la zia Janine: in quattro e quattr’otto
aveva convinto la mamma a mollare Clapham e a trasferirsi a Brighton, lontano da
papà.
Viola aveva vissuto bene la separazione dei suoi
genitori, specialmente perché nessuno dei due viveva nella sofferenza e
l’atmosfera che regnava tra loro non era pesante.
Brighton era più soleggiata rispetto a Clapham e
l’ambiente appariva quasi del tutto nuovo per Viola e mamma Marianne; ma
nonostante questo Viola imparò sin da subito ad amare il quartiere e i nuovi
punti di riferimento. Uno di questi era la Casa sulla Settima Strada: era la
casa più grande del quartiere; con un cortile ben curato, dipinta di un rosa
antico tendente all’arancione e la porta verde. Nel quartiere tutti conoscevano
quella casa come la Casa sulla Settima Strada, ma nessuno sapeva chi ci
abitasse. Era un pò una leggenda, tanto era bella e grande: Janine sosteneva che
soltanto un ricco uomo politico poteva permettersi una casa del genere, la mamma
credeva si trattasse di un imprenditore. Ad ogni modo, Viola non era mai
riuscita a capire chi effettivamente ci abitasse, lì.
A Viola piaceva Brighton, le piaceva davvero, anche se
di tanto in tanto si lasciava prendere dalla nostalgia pensando a Clapham, a suo
padre e a tutto quello che aveva lasciato in quella città.
Ma il tempo dei pensieri era finito, era arrivata a
scuola; due mani calde si poggiarono sulle sue spalle, cogliendola di sorpresa e
facendola sobbalzare.
-
Ho vinto!- gridò Luce, mentre
i capelli biondi, corti e scompigliati le coloravano il
viso.
-
Ma sei impazzita?- esclamò
Viola voltandosi verso l’amica mentre riprendeva fiato.
Luce scoppiò a ridere osservando l’espressione spaesata
della ragazza.
Viola spostò lo sguardo su Daniel, che, a pochi
centimetri da loro, teneva lo sguardo semi divertito su
entrambe.
-
Che le prende?- chiese poi
Viola rivolta verso l’amico, - cosa ha vinto?-
-
Una scommessa- rispose
Daniel, sfoderando uno dei suoi sorrisi simpatici, - una scommessa contro di me!
Abbiamo scommesso sul fatto che, anche oggi come gli altri giorni, saresti
arrivata a scuola esattamente alle otto e sei minuti ...e ha vinto
lei!-
Viola si fece scappare un sorrisetto, diede una pacca
sulla spalla a Luce.
-
Complimenti, conosci ogni mia
mossa! E sentiamo, cos’ hai vinto?-
Daniel sbuffò, i capelli scuri ondeggiarono sul viso e
sugli occhi neri, poi tirò fuori dalla tasca cinque sterline e li posò tra le
mani bianche di Luce.
-
Ecco cosa ho vinto! Cinque
sterline!-
Stavolta fu Viola a ridere, osservando l’espressione
contrariata di Daniel.
-
Beh, cos’é quella faccia?
Accetta le sconfitte!- lo prese in giro Viola, sorvolando sul fatto che avevano
giocato su di lei.
-
Già, Daniel, e la prossima
volta impara a scommettere su cose meno ovvie!- lo canzonò Luce mentre riponeva
le cinque sterline nel borsellino con assoluta
tranquillità.
-
Sto già pensando alla
prossima scommessa...- sentenziò Daniel con una punta di divertimento nella
voce.
-
E
sarebbe?-
-
La Casa sulla Settima Strada!
Sarai capace di scavalcare il muro ed entrare nel
cortile?-
-
Altroché!-
-
Non ci
credo!-
-
Solo perché tu sei troppo
fifone per farlo tu non vuol dire che non possa farlo
io...-
La discussione aveva ormai preso piede, Viola lanciò
loro un’occhiata divertita, Daniel poggiò le mani sulle spalle delle due ragazze
e si diressero verso il muretto alla loro destra, dove si sedevano sempre mentre
aspettavano il suono della campanella. Quel muretto vecchio e decadente era il
punto preferito di Daniel e Luce, era quel posto, in una moltitudine di altri
muretti e giacigli, che era soltanto loro. Un posto che anche tra un milione di
anni Viola avrebbe ricordato con il sorriso sulle labbra, con gioiosa
malinconia. Si sedette sul muretto, si poggiò la cartella sulle ginocchia e
rimase in silenzio a guardare i suoi amici che ridevano e scherzavano mentre
giocava distrattamente con i suoi braccialetti.
Stava passando in rassegna a tutti i ragazzi che si
trovavano davanti a lei quando d’improvviso i suoi occhi si fermarono
sull’angolo più lontano dello spiazzo, su un muretto tanto simile al suo. In
lontananza, tra un groviglio di persone, c’era un ragazzo, uno che non aveva mai
visto. Viola alzò leggermente la testa.
Era proprio in mezzo a quel groviglio, eppure sembrava
distante.
Era come la nota che si aggiunge ad un accordo per
renderlo dissonante.
Aveva un cappotto blu e le scarpe bianche con i lacci
neri, i capelli biondi...lunghi, un po’, forse, sugli occhi, le mani in tasca e
la cartella sulla spalla. Smettila di guardarlo, pensò Viola.
Ad un tratto lui si voltò verso di lei, si guardarono
per un attimo negli occhi. Aveva gli occhi azzurri come il cielo d’estate,
lucenti come il sole che illumina le gocce di rugiada sulle foglie degli
alberi.
Smetti di guardare la nota dissonante, si impose.
Ma non ci riusciva.
Lui d’un tratto sbiancò, fu come se fosse preso da uno
spasmo violento. Si voltò di scatto, Viola roteò gli occhi per lo spiazzo per
poi tornare un secondo a guardarlo.
Era sparito.
Suonò la campanella.
-
Diamine...già la
campanella!-
-
Avanti,
entriamo...-
-
Già...Viola?-
-
Viola?-
-
Ma che ha? Viola, ci
sei?-
-
Come é
buffa!-
Viola si risvegliò di scatto. Fu come se il mondo
riprendesse a girare.
-
Eh? Che
succede?-
-
Ci hanno attaccato gli
alieni!- scherzò Daniel.
-
Ma che spiritoso! E’ suonata
la campanella, non l’ hai sentita?
-
Io veramente
non...
-
Andiamo!-
Luce tirò Viola per un braccio, lei si alzò
malvolentieri dal muretto e perse lo sguardo tra la marea di studenti che
stavano per entrare a scuola.
Una musica così liscia, lineare, come una sequenza
perfetta di note.
I ragazzi che entrano a scuola non hanno quasi niente di
imperfetto.
Smetti di cercare la nota dissonante, si
impose.
Note:
Nuovo adattamento per la storia più
lunga che io abbia mai scritto. Ho ridotto in questo capitolo le dieci pagine
previste dalla versione “originale”, sperando di riuscire ad editare questo
racconto che significa tanto per me. Mi scuso per eventuali errori ed
incoerenze, farò del mio meglio e mi auguro che possiate seguire in tanti e
commentare. Questo primo capitolo è forse “floscio”, ma le cose prenderanno
velocità e consistenza con il tempo. Intanto, vi ringrazio per l’attenzione e vi
invito a seguirmi anche in “Calibri”, “Tutte le bugie di Lena” e “Bosikom
Lyubov’- Il beneficio del buio”
Grazie a tutti,
Lara
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