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Autore: Sylence Hill    18/11/2011    8 recensioni
[REVISIONE]: Possibili cambiamenti nel nome dei capitoli e aggiunts o tagli in alcune parti della storia!
Lei: nuova arrivata, tipa dura, lingua tagliente, leale con gli amici.
Lui: bad boy, due occhi come l'oro, mani dure come l'acciaio.
Loro: Gente strana che nasconde più di un segreto.
Ciò che Lei sta cercando può rivelarsi un percorso più insidioso di quanto pensasse.
Il Passato che torna, Misteri da svelare, un Amore da vivere.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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CAPITOLO 1
 
Lexis High School
 

Sapevo che il primo giorno in quella scuola sarebbe stato complicato, tra aule e armadietto da trovare e professori da conoscere e ricordarmene i nomi. Mi ero preparata già il giorno prima. Sarà complicato, mi dicevo, ma tu ce la farai. Puoi farcela.
Non sapevo quello che mi aspettava.
Il problema fu che appena misi piede nel cortile della Lexis High School il mio cervello si fece prendere dalla confusione che regnava in quel luogo d’inferno giovanile.
Me l’ero già aspettata, ci ero passata tante altre volte, ma mai come questa.
In tante di quelle scuole che avevo girato a causa del lavoro di mio padre – che non avevo ancora capito di cosa si trattasse – i ragazzi non erano così pieni di vita e frenetici. Sembrava di essere nel pieno dei festeggiamenti di una qualche festa e anche abbastanza importate, visto dai numeri di cartelloni e striscioni che vedevo appesi in giro e nelle mani di ragazzi che continuavano ad agitarti davanti agli occhi di tutti.
Le cheerleaders sventolavano i loro pon-pon neri e dorati nel cortile davanti all’imponente edifico di vecchio stampo fatto di mattoni rossi e legno pregiato, con due grosse statue come monili posizionate ai lati del portone, raffiguranti l’animale simbolo della scuola: una tigre seduta sulle zampe posteriori con una zampa posata su un pomo che si suppone doveva essere d’oro.
Come in un normale liceo, vari gruppi erano sparpagliati per il campus: c’erano gli sportivi e le cheerleaders vicino all’entrata, quelli del club d’arte in circolo in mezzo al prato poco più in là, i nerd persi nei loro mondi virtuali di giochi interattivi cosparsi di personaggi immaginari con nomi strani sotto uno degli alberi che costeggiavano il vialetto d’entrata e una cerchia ristretta di ragazze che se ne stava per i fatti loro sedute su uno dei muretti che intervallava la fila degli alberi, toccandosi i capelli a vicenda e ammirando le une lo smalto delle altre.
Tutto normale ma a un tempo diverso dalle solite scuole che avevo frequentato. Qui era tutto circondato da un alone di opulenza, come se fossi in uno di quei college dove i ragazzi portano la divisa e sono figli di persone importati, che possono permettersi il lusso di poter mandare i figli un quel luogo di prestigio.
Solo che quello era un liceo ed era pubblico, non privato, e i ragazzi non portavano la divisa – non l’avrei mai indossata; non avrei mai rinunciato ai miei jeans e alle Converse.
Parcheggiai la mia New Beetle bianca nuova di zecca – regalo di papà per i miei diciassette anni – in un posto vuoto, accanto ad un SUV che faceva sembrare la mia auto un moscerino, recuperai la borsa con i documenti che mi servivano dal sedile del passeggero e scesi.
Un’ondata di suoni e odori m’investirono. L’agglomerato delle voci provenienti da più parti del campus risuonò nell’aria intorno a me, come un turbine; le narici vennero invase dall’odore dei gas di scarico delle auto che stavano transitando per il viale d’accesso al parcheggio, il profumo dell’erba appena tagliata e un aroma dolciastro che non riuscii a definire.
Ah, il liceo!
Scansasi una cabriolet nera e mi avviai verso l’entrata. Una ragazza con gonna a pieghe, camicia bianca e una criniera di capelli biondo-castano mi venne incontro, agitando leggermente una mano per salutarmi.
«Ciao.» disse, tendendo quella stessa mano. «Tu devi essere Sylence Hill, giusto? Che strano… nome.» finì sussurrando.
«Non dirlo a me. Non sapevo neanche cos’era un nome quando mi hanno affibbiato il mio. Comunque, sì, sono io.» Strinsi la sua mano. «Chiamami Sy.»
La scossi leggermente per risvegliarla.
Le si arrossarono leggermente le guance e ridacchiò scioccamente. «È un piacere conoscerti, Sy. Io mi chiamo Gabrielle Ruths, Gabby, e sono la presidentessa del consiglio degli studenti. Mi hanno avvisato del tuo arrivo quest’oggi tramite una chiamata di tuo padre – che uomo simpatico! – perciò sono tenuta a farti fare un giro della scuola e ad accompagnarti fino alla tua aula.» disse tutto d’un fiato, cercando senza riuscirci di non fissarmi negli occhi.
È portata per l’apnea, la ragazza. «Non preoccuparti, posso farcela anche da sola. Sono abituata avere a che fare con scuole nuove, mi capita spesso.»
«Lo so. Il vicepreside si è fatto spedire il tuo fascicolo tramite fax dalla tua precedente scuola e abbiamo constatato che hai girato parecchio.»
«Che vuoi farci? I rischi del mestiere di mio padre.»
«Comunque, benvenuta a Lansing City.»
Mentre parlavamo, Gabby mi condusse nel salone d’entrata in quell’imponente edificio. Un enorme scalone che si fletteva verso i due lati del piano superiore occupava lo spazio in fondo alla sala. Nel centro era esposta, in una teca di vetro, la coppa che – lessi – avevano vinto i ragazzi della squadra di pallacanestro l’anno precedente, mentre ai due lati dell’entrata c’erano due larghi corridoi con addossati su entrambi delle file di armadietti di metallo neri e gialli.
«La Lexis High School è stata fondata nel 1836 dal visconte Francis Reginald Lucius Lexis. Ci sono voluti solo tre mesi per inaugurala. Vedi questa prima era un ospedale psichiatrico, per questo il visconte ha potuto facilmente adibire le stanze dei pazienti ad aule per studenti. Il vecchio laboratorio ora è una palestra, ma prima era adibita a sala di pugilato per tenere in forma i ragazzi e insegnare loro a difendersi. Vedi quei vetri lassù?» Alzò una mano ad indicare il soffitto.
Avevo la certezza che stesse divagando come scusa per non guardarmi, comunque la feci contenta e alzai gli occhi.
Vidi sopra la mia testa un’enorme cupola di vetro che faceva da lucernario all’intero salone. Il sole filtrava attraverso il vetro riscaldando le guance.
«Non te ne eri accorta, vero?» chiese maliziosa Gabby. «Il visconte Lexis lo fece costruire e l’effetto è fantastico. Non ci si accorge di essere entrati dentro fino a che non ci si guarda torno. Il lucernario dà l’illusione di essere ancora là fuori.»
Mi prese per un braccio e mi pilotò verso lo scalone e salimmo al piano superiore. La vitalità che c’era nei corridori facevano sembrare quelli degli ospedali un angolo di paradiso.
Ragazzi che chiacchieravano, chi prendeva i libri, chi scherzava con gli amici, chi pensava a studiare seduto per terra davanti agli armadietti.
Mi piaceva quel posto, mi piaceva sul serio.
Ero sempre stata una fan della vitalità, non mi piaceva l’inattività e tutta quella frenesia, quel divertimento, quell’attività era come una specie di multivitaminico.
Dopo alcuni minuti, svoltammo a destra dirette verso la porta con su scritto “SEGRETERIA” .
Dietro la scrivania c’era una signora di mezz’età con una caschetto nero che incorniciava un viso un po’ rugoso e un paio di occhi castani.
«Salve, signora Flinn. Come sta? Questa è Sylence Hill,» disse indicandomi. «È una nuova studentessa venuta qui da St. Louis.»
«Oh, che bello vedere un viso nuovo.» esclamò la donna. «Dopo tanti anni a vedere sempre le stesse facce è bello vederne di nuove. Benvenuta a Lansing City.»
Tirai fuori dalla borsa i documenti per l’iscrizione che avevo preparato e glieli tesi. La mano della signora si bloccò a mezz’aria e spalancò li occhi. Le costrinsi il foglio in mano.
«È un piacere conoscerla.»
La signora Flinn si riscosse e prese il foglio. Si girò di spalle e ne prese un altro. Me lo allungò.
«Questi sono i tuoi nuovi orari.» sorrise, «E la tua prima ora di lezione è con il professor Drawn. Insegna letteratura.» Si avvicinò come per confidarmi un segreto. «Sembra un tipo freddo, all’apparenza, ma ti posso garantire che sotto sotto è un tenerone, testimoni ne sono i suoi tre figli e l’adorabile moglie che adora e venera.»
Feci fatica a trattenere un sorriso, vista l’espressione seria che aveva in viso. Fui contenta della sua veloce ripresa e anche del suo sorriso. Era una donna molto dolce e gentile.
Annuii. «Me ne ricorderò.»
«Bene,» sopraggiunse Gabrielle.«Allora la tua prima destinazione è l’aula di letteratura al piano terra. Vieni.»
Salutammo la signora Flinn e ci avviammo per la stessa strada che avevamo fatto per salire.
«La signora Flinn è una donna davvero simpatica.» dissi.
«Oh, sì. Non potremmo fare niente senza di lei. È come una seconda mamma per tutti quelli che sono passati per di qua.»
Scendendo le scale, mi accorsi di sentire lo stesso aroma dolciastro che avevo percepito nel parcheggio. Provai a seguirlo e notai che veniva dalla mia sinistra, ma non vidi a chi o a cosa appartenesse.
«Cos’è quest’odore?» chiesi a Gabrielle.
«Quale odore?» mi chiese, guardandosi intorno.
«Questo odore di agrumi e zucchero.»
Lei annusò discreta l’aria. «Io non sento niente.»
Neanche io.Non lo sentii più. «Mah, forse me lo sono immaginata.»
In fondo alle scale, voltammo a sinistra e verso la metà del corridoio ci fermammo davanti una porta recante il nome  “LETTERATURA”.
«Ecco, è qui.» Gabrielle si girò verso me. «Credo non ci sia ancora nessuno, visto che la campanella non suona prima delle otto. Per la prossima ora puoi farti dire dal signor Drawn dov’è l’aula.» disse, continuando a sbattere le palpebre.
«Ti ringrazio tanto, Gabby, per l’aiuto che mia hai dato e per esserti messa a mia disposizione. Spero di incontrarti di nuovo.»
«Beh, se vuoi possiamo incontrarci a pranzo.»
«D’accordo. Allora ci vediamo.»
«A più tardi.»
Se ne andò salutandomi con una mano e sparì su per le scale.
Trassi un respiro profondo ed entrai.
Proprio come Gabrielle aveva detto, nell’aula non c’era ancora nessuno, eccetto un uomo dalla corporatura imponente che osserva all’esterno di una delle quattro finestre dell’aula. Mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione e mi ritrovai a fissare un paio di occhi verdi come smeraldi.
«E tu chi saresti?» chiese, la voce potente e carica come quella di un baritono. «Non ti ho mai vista alle mie lezioni.»
«Lei deve essere il professor Drawn.»
Mi piaceva già per non aver avuto nessuna reazione a guardarmi.
«Sì, esatto.» Si allontanò dalla finestra per avvicinarsi alla scrivania che ingombrava quasi tutto lo spazio davanti alla lavagna a muro. Era davvero grosso, non riuscivo a vedere più la finestra, ed era bella grande. «E tu sei…?»
«Mi chiamo Sylence Hill. Mi sono appena trasferita qui e questo è il mio primo giorno.»
«Quindi una novizia. Che bello, devo ricominciare il programma.»
«Non è detto.» risposi.
Ormai avevo capito come agiva il professore: se mi fossi lasciata intimorire ora avrebbe continuato a torchiarmi anche in futuro, e di sicuro non volevo essere la sua preda preferita.
«Dipende da dove siete arrivati. Se avete superato il mio programma vorrà dire che mi rimetterò in pari, studiando di più. Se invece siete voi ad essere indietro, io me la spasserò a veder lavorare gli altri. Magari sarò clemente e aiuterò qualcuno.»
Scorsi quella che mi parve l’ombra di un sorriso sul suo volto, ma non osai cantare vittoria.
«Siamo arrivati verso la fine del Seicento, più precisamente al milleseicentottantaquattro con Il viaggio del pellegrino di John Bunyan e stiamo per entrare nell’epoca di Jonathan Swift e i suoi Viaggi di Gulliver
Lui mi scrutò in viso come per cercare qualche pecca, ma era sicura che non ne avrebbe trovate.
«Bene,» dissi. «Allora…», gli feci un sorriso a trentadue denti. «Me la spasserò. Mi dispiace, ma io sono arrivata a William Blake.»
Questa volta lui sorrise per davvero, e il ghiaccio nei suoi occhi si sciolse come neve al sole. Si avvicinò e mi tese una mano.
«Benvenuta in questa scuola, signorina Hill.»
Sorrisi e strinsi la sua mano.

  
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