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Autore: Sophie Hatter    18/11/2011    8 recensioni
“Ciò che dirò non ha nulla a che fare con il motivo per cui i McKinnon sono stati uccisi. È soltanto necessario a spiegare perché Marlene è stata l’ultima a morire. Quindi, vi prego... non giudicate.”
[Gideon Prewett/Marlene McKinnon]
La storia si è classificata prima al "Phoenix Order Contest" di Shadow_Soul e al contest "Scegli una coppia e vinci un pacchetto!" di Chu, nell'ambito del quale ha ricevuto anche il premio speciale "miglior utilizzo del dialogo". Entrambi i giudizi sono stati aggiunti all'interno.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Fabian Prewett, Gideon Prewett, Marlene McKinnon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'I've not stop crying since you went away.'
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fraris Nota d’inizio: questo ultimo delirio - ehm - fatica che mi ritrovo a pubblicare è una fanfiction che è stata scritta per due contest indetti sul forum di Efp: uno è il "Phoenix Order Contest" di Shadow_Soul, che prevedeva la scelta di un membro dell'Ordine e di un incantesimo (ho scelto Marlene McKinnon e Prior Incantatio); l'altro è "Scegli una coppia e vinci un pacchetto" di Chu, in cui ho scelto il pairing Gideon/Marlene. Sono in attesa dei risultati, perciò credo proprio che aggiornerò la storia con i giudizi non appena li riceverò.
Preciso fin da subito che non sarà una storia "facile". Si parlerà di omicidi, adulterio e altre cose non esattamente felici. L'ho scritta pensando ad una Marlene diversa da ciò che si trova di solito nel fandom, madre di famiglia e non coetanea dei Malandrini (sono del parere che, se si fosse trattato di una vecchia amica di scuola, Lily avrebbe speso un po' più di una riga scarsa per parlare della sua morte a Sirius nella lettera che gli aveva scritto e che Harry ritrova in HP7). Ci saranno salti temporali frequenti e non sempre in ordine cronologico. Lo so, mi incasino sempre la vita XD in ogni caso ringrazio di cuore Hariken, che ha accettato di betare questa storia e mi ha dato un parere splendido, aiutandomi a correggere alcuni passaggi non troppo chiari e a scrivere un finale decente.
Da ultimo, preciso che il titolo cita un dialogo del film Brokeback Mountain, che parla di una relazione extraconiugale, proprio come questa storia; per tale motivo mi sembrava più che adatta. Sperando che qualcuno possa trovarla di suo gradimento, vi auguro buona lettura :)






Finché riusciamo a rimanere in sella





1
Settembre 1981


“Sale sul banco dei testimoni il signor Gideon Ignatius Prewett.”

In quel momento, Gideon era consapevole di avere molti occhi puntati addosso. La gente si stava chiedendo cosa ci facesse lì, i suoi compagni dell’Ordine non sapevano quello che aveva da dire alla giuria; solo Fabian ne era stato messo al corrente. Lasciare che lo scoprisse al processo, davanti a tutti e senza alcun preavviso, sarebbe stato un gesto troppo meschino anche per uno come lui.
Perciò, Gideon aveva troncato la faccenda sul nascere: gli aveva confessato tutto il giorno prima, appena dopo aver saputo che sarebbe stato chiamato a testimoniare.
Fabian aveva reagito come si sarebbe aspettato. Aveva accolto le sue parole con un silenzio pesante, carico di muta disapprovazione e di sconcerto.
“Signor Prewett, racconti alla corte quello che sa riguardo alla notte in cui i McKinnon furono uccisi.”
Centinaia di facce grigie fissarono Gideon, serrando le labbra e protendendo il mento in avanti, pronte all’ascolto.
Lui cercò di individuare Fabian, ma non ci riuscì. La confusione era troppa lì dentro.
Questa volta era completamente solo.
“Avrei solo una richiesta da fare, prima di cominciare,” disse, spinto da un impulso improvviso – forse un po’ troppo avventato, ma non per niente Gideon era un fiero ex-Grifondoro.
“Ci dica, signor Prewett.”
Fece una pausa e un sospiro profondo, calamitando nuovamente tutti gli sguardi su di sé. Voleva avere la piena attenzione di tutti prima di pronunciare quelle parole.
Il momento di uscire allo scoperto è arrivato, Marlene.
“Quello che sto per raccontare è... è qualcosa di molto personale,” spiegò, chinando il capo mentre nella sua testa si affollavano ricordi di capelli scuri sul cuscino, polsi stretti nelle sue mani, lenzuola disfatte, fughe silenziose, bigliettini via gufo per non farsi scoprire e, infine, lo sguardo disgustato di Fabian.
“Ciò che dirò non ha nulla a che fare con il motivo per cui i McKinnon sono stati uccisi. È soltanto necessario a spiegare perché Marlene è stata l’ultima a morire. Quindi, vi prego... non giudicate.”
Avrebbe dovuto rivolgere la stessa supplica a Fabian, prima di confessargli ogni cosa. Forse, così, il suo fratellino si sarebbe trattenuto e anziché biasimo avrebbe manifestato un briciolo di pietà, accogliendo la sua confidenza con un abbraccio e qualche parola di conforto.
Invece, Marlene era morta e lui non sarebbe stato consolato da nessuno.
“Signor Prewett... ci racconti cos’è successo quella notte.”
Gideon scambiò un’occhiata con l’uomo che lo stava interrogando: il suo sguardo si fece duro, ora non provava più alcuna indulgenza per se stesso e per le sue azioni.
Se ci fossero state conseguenze, le avrebbe affrontate con la piena consapevolezza di esserne stato il responsabile.
“Quello che è successo, in realtà, l’avete già spiegato voi poco fa,” rispose, fronteggiando la platea a testa alta. “Marlene McKinnon non avrebbe dovuto morire.”


2
Giugno 1980


“Posso vedere una foto dei tuoi figli?”

“Assolutamente no.”
“Ma che diamine, perché?!”
“Perché non dovranno mai sapere che esisti, mi sembra piuttosto ovvio.”
“Era solo curiosità. Sta’ tranquilla, non mi presenterò mai a casa tua con un mazzo di fiori e due scope giocattolo.”
“Sarà meglio per te.”
Marlene si girò dall’altra parte, le labbra strette e un muscolo sulla guancia visibilmente contratto. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma ormai ci era finita. Tutto ciò che poteva fare era alzarsi da quel letto, raccogliere le sue cose in fretta e furia e scappare di corsa, come una perfetta codarda.
Non capiva perché fosse così frenata: in fondo, fra le due persone presenti in quella stanza, quella smistata a Grifondoro ai tempi di Hogwarts non era stata certo lei. Perciò, non rientrava nei suoi obblighi morali dimostrare al mondo di essere audace e coraggiosa. Avrebbe potuto fuggire tranquillamente, senza alcun rimorso; eppure, provava pena e vergogna per se stessa.
Si rannicchiò istintivamente in posizione fetale, finendo per sfiorare, senza volerlo, il braccio di Gideon.
Lui restò immobile, a dispetto del modo in cui l’aveva toccata fino a pochi minuti prima.
Anche quando non lo conosceva bene, non le era mai sembrato un tipo particolarmente affettuoso. Piuttosto, aveva avuto l’impressione che ogni tanto avesse come il bisogno di toccare qualcuno, di instaurare un contatto che andasse al di là di un semplice scambio di parole o di sguardi. Perciò, capitava spesso che cominciasse a strattonarle il braccio in un momento di noia, che le battesse una mano sulla coscia se erano seduti a fianco o che le scompigliasse i capelli. Non era mai riuscita a cogliere il reale senso di quel suo modo di fare, pertanto era giunta alla conclusione che non avesse un particolare significato. Non per forza doveva esserci una logica spiegazione per ogni cosa, nonostante lei si sforzasse sempre di trovarla.
In ogni caso, ora non si aspettava certo di essere coccolata.
La cosa le riusciva estremamente congeniale: Marlene odiava le smancerie. Le sue compagne di scuola la chiamavano donna di ghiaccio, i suoi suoceri si erano sempre dimostrati scettici nel vederla stare a fianco di suo marito in perfetta calma, senza mai prendergli la mano o chiedergli una carezza con lo sguardo. Solo con i suoi figli si lasciava andare, perché loro non erano adulti bisognosi di attenzioni.
“Non credo che tu me l’abbia mai detto, come si chiamano?”
In tutta risposta, lei si irrigidì. Ancora domande.
“Tori e Jesse,” rispose, sperando che ora Gideon la lasciasse in pace.
“Sono dei nomi carini.”
“Ehi, ora basta, voglio riposare almeno qualche minuto.”
“Come se tutto il lavoro l’avessi fatto tu, poco fa...”
Io ti ho salvato la vita perché tu eri troppo impegnato a distrarti, perciò devi ammettere che meritavo una ricompensa.”
“Mi sembra di avertela data.”
“Appunto. Che bisogno c’è di parlare ancora?”
Marlene infilò un braccio sotto il cuscino, assumendo così l’unica posizione in cui riusciva a dormire da quando potesse ricordare. Il calore emanato dal fuoco del camino aveva un effetto calmante, quasi soporifero. Provò a chiudere gli occhi, ignorando il respiro di Gideon al suo fianco. Era troppo stanca per scappare; la sua ciclica insonnia era giunta al culmine, perciò ora, dopo tre notti quasi in bianco, sapeva già che sarebbe riuscita a prendere sonno.
Mentre scivolava nel dormiveglia, si augurò di non sognare nulla che potesse risvegliare il suo senso di colpa.


3
Settembre 1981


“Lei è il signor Jude Travers?”

“Al vostro servizio,” rispose una voce carica di sprezzante sarcasmo.
“Questo è il processo per l’omicidio della famiglia McKinnon. Lei è stato accusato di esserne complice. Cos’ha da dire in merito?”
Gideon osservò Travers scoppiare in una risata agghiacciante.
“È stata fatta la volontà dell’Oscuro Signore.”
Strinse forte la balaustra con entrambe le mani. Sapeva che non era vero: il cadavere di Marlene non era mai stato nei piani di Voldemort.
“Lei confessa quindi di aver preso parte all’omicidio?”
“Io non sono che un umile servo dell’Oscuro Signore.”
“Dove si trovava quella notte?”
“Dove l’Oscuro Signore voleva che io fossi.”
“Chi c’era con lei?”
“Sarebbe meschino rivelarlo, non crede?”
“Stuart Gibbon era con lei?”
“Chiedeteglielo di persona.”
In quel momento Gideon avrebbe voluto che Fabian fosse al suo fianco, per potergli sussurrare i suoi insulti nei confronti di quel fottuto Mangiamorte; suo fratello, però, era seduto in mezzo al pubblico e in ogni caso, molto probabilmente, non aveva alcuna intenzione di rivolgergli la parola.
Si sentì assalire da un’ira impotente. Era come se avesse perso il diritto di soffrire per la morte di Marlene, soltanto perché aveva fatto qualcosa che Fabian non approvava. Tuttavia, era sempre stato così: lui lo scapestrato, la testa calda, lo sbandato, Fabian invece il più prudente, misurato ed assennato dei due.
“Lei dunque non rifiuta le accuse di omicidio che le vengono mosse, signor Travers?”
“Ribadisco di aver fatto unicamente la volontà del mio Signore.”
Non c’era alcuna umanità nello sguardo del Mangiamorte. Neppure ora che stava seduto a quel banco, ad un passo da Azkaban. Quando l’aveva catturato, Gideon sapeva che l’avrebbe ucciso, se non ci fosse stato Fabian insieme a lui. Suo fratello faceva sempre la cosa giusta, perciò lo avevano consegnato senza discutere, perché Fabian non avrebbe accettato nessun’altra opzione. Neppure se avesse saputo prima di lui e Marlene.
Gideon strinse i pugni, incapace di placare la collera che gli montava dentro. Non era giusto che suo fratello non fosse lì a consolarlo, non era giusto che avesse scelto consapevolmente di abbandonarlo proprio nel momento peggiore, mentre lui era costretto a guardare in faccia uno degli assassini di Marlene che derideva la morte di una famiglia innocente, che aveva scavalcato nella più assoluta imperturbabilità i cadaveri di due bambini, che aveva osservato con gioia la vita abbandonare la loro madre.
Dopo quella notte, il senso di colpa per non averle neppure detto addio non aveva ancora smesso di ossessionarlo.


4
Ottobre 1968


Al quarto anno di scuola, Marlene non aveva ancora visto Grifondoro vincere neppure mezza coppa di Quidditch. Forse fu per quello che la partita contro Corvonero andò a finire in quel modo così sanguinoso.

Marlene conosceva le regole e sapeva che i Bolidi erano parte del gioco, ma mirare con una tale precisione al volto le sembrò un’azione subdola e vergognosa oltre ogni limite. La sua amica, Vicky Collins, non si aspettava minimamente quel colpo; forse non lo vide arrivare nemmeno. Marlene urlò quando il Bolide era a soli trenta centimetri da lei e quindi, anche se ci fosse stato abbastanza silenzio affinché Vicky la sentisse, non avrebbe probabilmente avuto il tempo di reagire.
Il Bolide la gettò quasi giù dalla scopa, rompendole il setto nasale e facendo volare in aria un violento schizzo di sangue.
Marlene divenne una furia. Scavalcò tutte le persone sedute intorno a lei sugli spalti e piombò in campo in pochi secondi. Dopo il fischio di sospensione, Vicky era stata immediatamente circondata dai suoi compagni di squadra e da Madama Bumb. Lei aspettò che il Battitore di Grifondoro, quell’idiota con i capelli lunghi che faceva il cascamorto con tutte, toccasse terra; dopodiché, si diresse verso di lui con tutte le intenzioni di fargli del male fisico.
“Che diamine hai nel cervello?” gli urlò, imbestialita. Lui tentò di esibire un sorrisetto conciliante.
“Andiamo, non l’ho fatto apposta, mi dispiace...”
“Non l’hai fatto apposta?!”
Marlene tirò fuori la bacchetta.
“Non esagerare, sono un prefetto!” protestò lui, strappandogliela di mano. In tutta risposta, lei gli tirò un pugno nello stomaco.
Lo osservò boccheggiare di sorpresa con estrema soddisfazione. Avrebbe potuto metterci più forza, probabilmente, ma di sicuro gli aveva fatto capire con chi aveva a che fare. Probabilmente Gideon Prewett non si aspettava che una come lei arrivasse a tanto, per quanto fosse visibilmente arrabbiata.
“Ehi, non sei tanto male per essere una ragazza,” le disse, una mano ancora premuta sotto lo sterno, accennando un sorriso provocatorio.
“E tu... tu sei decisamente poco intelligente come tutti i maschi,” replicò astiosamente lei, nascondendo il lieve stupore per quella reazione inaspettatamente diplomatica. Poi sentì Madama Bumb chiedere “Che succede lì?”, perciò si fece ridare la bacchetta senza aggiungere altro e corse da Vicky. La ragazza, che in quel momento aveva il naso ridotto in poltiglia e il viso imbrattato di sangue, era l’unica persona in tutta Hogwarts a cui Marlene avesse mai detto “Ti voglio bene”. Era successo una volta soltanto, in un momento di crisi profonda; tuttavia, a dispetto di questa scarsità di manifestazioni affettive, da un paio d’anni non si vedeva in tutta la scuola una coppia più inseparabile di loro.
A Marlene non importava di nessun altro, perciò smise rapidamente di preoccuparsi di Gideon Prewett e, dopo che lui finì la scuola – un anno prima di lei – non sentì affatto la sua mancanza a Hogwarts, né tantomeno dopo.


5
Settembre 1981


“Insomma, signor Prewett, lei aveva una relazione con la signora McKinnon?”

Gideon pensò che sarebbe stato più facile ammetterlo ora che la famiglia di Marlene era stata sterminata senza che nessuno fosse risparmiato, anche se la disapprovazione di Fabian continuava a gravargli sulle spalle come un baule pesante.
“Sì, avevo una relazione con lei,” rispose infine, dopo un breve sospiro. Era andato lì per raccontare esattamente ciò che era accaduto, perciò ormai non aveva più senso tirarsi indietro.
“Era con lei la notte dell’omicidio?”
“All’inizio... all’inizio Marlene si trovava a casa mia. Poi abbiamo litigato e se n’è andata. Dopo circa dieci minuti ho ricevuto un suo messaggio, in cui mi diceva di essere nei guai. Ho chiamato mio fratello Fabian e siamo corsi da lei, ma loro... loro erano già tutti morti. Siamo riusciti a catturare Travers perché lui e Gibbon stavano discutendo e non avevano ancora lasciato la casa. Gibbon però è riuscito a scapparci.”
Gideon si sentì le mani sudate. Una morsa improvvisa gli torse le viscere e gli fece quasi salire un conato di vomito, al ricordo di ciò che aveva visto quella notte. Dopo due mesi, quelle immagini ancora non avevano smesso di tormentarlo con ogni sorta di incubo possibile.
“Forse sono stati aiutati da altri,” concluse, passandosi una mano sul volto. “Prima che entrassimo in casa, però, abbiamo sentito delle voci. Travers e Gibbon stavano litigando, perché uno dei due sosteneva che Marlene non avrebbe dovuto essere uccisa. Voldemort la voleva viva per estorcerle informazioni riguardo ai Potter, perché sapeva che era loro amica. Ma lei deve essersi... deve aver lottato, dopo aver visto come avevano ridotto i suoi figli...”
Gideon non riuscì ad aggiungere altro. Aveva detto tutto ciò che sapeva, le persone dovevano smetterla di fissarlo con quelle espressioni gravi e silenziose. Era così sconvolto che non riuscì a capire cosa ci fosse di tanto impressionante da meritarsi tutta quell’attenzione, finché quasi per caso non si sfiorò una guancia.
“Va bene così, signor Prewett. Può accomodarsi.”
“La ringrazio.”
Mentre tornava verso il suo posto, Gideon non riusciva a raccapezzarsi di ciò che gli era appena successo. Era scoppiato in singhiozzi di fronte all’intero tribunale, dopo che per mesi aveva tentato inutilmente di versare in solitudine quelle lacrime.


6
Aprile 1976


Il giorno in cui Gideon Prewett rivide Marlene McKinnon, non ricollegò subito i suoi lineamenti fini e il suo sguardo di ghiaccio con quelli della ragazzina che gli aveva tirato un pugno per vendicare un’amica. Ci riuscì solo dopo averle fatto qualche velato apprezzamento, a cui lei rispose con una smorfia d’irritazione non del tutto contenuta; a quel punto, si rese conto della gigantesca figuraccia che aveva fatto e si impose di stare zitto mentre lei controllava i suoi parametri ed esaminava le sue ferite.

A sua discolpa, Gideon poteva dire che era ancora leggermente intontito a causa della botta alla testa presa durante la battaglia della notte precedente. Inoltre, Marlene era cambiata molto e la frangia, che non portava ai tempi di Hogwarts, modificava parecchio la fisionomia del suo viso. Tuttavia, non poté proprio fare a meno di sentirsi in imbarazzo nel farsi visitare da lei.
“Se dopo tutto questo tempo fai ancora così con tutte, devi essere proprio sull’orlo della disperazione,” osservò lei, inarcando un sopracciglio mentre srotolava delicatamente le bende intorno alla sua testa.
“Se invece ti avessi offeso cos’avresti fatto, mi avresti tirato un altro pugno?” domandò lui, in tutta risposta. Dato che lei l’aveva riconosciuto, non c’era motivo di continuare a far finta di nulla.
“Sono abbastanza professionale da trattenere questi impulsi, non ti preoccupare,” replicò Marlene, poi cominciò ad occuparsi della brutta lacerazione che Gideon aveva riportato sulla tempia. Per fortuna lui aveva smesso di portare i capelli lunghi come ai tempi di Hogwarts, altrimenti sarebbe stato un vero pasticcio.
“Come te la sei procurata?”
“Affari segretissimi, tesoro. Mi spiace ma non posso dirti nulla.”
“Verosimilmente sei volato giù da una scopa, data la quantità di terra che ho dovuto rimuovere ieri notte. Hai corso un bel rischio, avrebbe potuto infettarsi tutto e non sarebbe stato piacevole.”
“Non preoccuparti, non stavo giocando a Quidditch. Con quello ho chiuso.”
“Un gran sollievo per tutti.”
“Come ti ho già detto non posso rivelarti di più, mi dispiace.”
“Bene. Non mi interessa. Ti ho chiesto cosa fosse successo soltanto per distrarti mentre disinfettavo la ferita, in genere la gente si lascia impressionare e comincia ad agitarsi rendendo tutto più difficile.”
“Che cosa bizzarra, in genere voi donne siete sempre così curiose.”
“Oh, forse allora non ci hai provato proprio con tutti gli esemplari femminili del pianeta.”
Gideon sbuffò, poi scostò la coperta con il braccio sano per lasciare che lei gli esaminasse la frattura all’arto sinistro.
“Perché me l’hai fatto immobilizzare in questa posizione così scomoda?” domandò, osservando la fasciatura.
“Perché è il modo migliore per conservare i movimenti in flessione del gomito anche dopo che la Pozione Cresciossa avrà fatto il suo lavoro. Se ti avessi steccato il braccio in estensione, l’articolazione sarebbe risultata molto più compromessa,” spiegò lei, in tono puramente professionale. Gideon si lasciò sfuggire un sorrisetto.
“Sembra che io sia in buone mani, dunque.”
“Ho terminato la specializzazione da meno di un anno, penso che tu possa ancora considerarti una specie di cavia per i miei esperimenti.”
Gideon annuì, poi si stiracchiò e allungò una pacca sul braccio di Marlene.
“Mi sto annoiando a stare qui a far niente, si può avere un po’ di musica?” le chiese. Probabilmente lei avrebbe preferito mandarlo a quel paese, ma anche in quel momento si attenne alla professionalità del suo ruolo.
“Ho solo un disco dei Flying Broomsticks, per il momento ti dovrai accontentare.”
“Quale? Halloween Night?”
“No, Dancing In The Clouds. Quello mi manca.”
“Te lo farò avere. Comunque va bene, hai gusto.”
“Il migliore comunque è Stories From The Banshee’s Land, ma quello rimarrà ben lontano dalle tue grinfie.”
“Ne riparleremo dopo che avrai ascoltato Halloween Night.”
Marlene uscì senza salutare, con una scrollata di spalle. Gideon la vide infilarsi un paio di occhiali da vista per scorrere velocemente una pergamena clinica che teneva in mano. Aveva notato l’anello al dito e il cognome sulla targhetta, che non corrispondeva a quello da nubile con cui l’aveva conosciuta ai tempi di Hogwarts; sapeva qualcosa di quella famiglia, i McKinnon, e se non ricordava male proprio suo marito si era di recente esposto contro Voldemort, nonostante il suo fosse un cognome rispettabilmente Purosangue.
Era difficile, perciò, che sua moglie potesse pensarla diversamente.
Era brava nel suo lavoro. Non avevano ancora un Medimago nell’Ordine, ma sarebbe stato decisamente utile. Prese mentalmente nota di lavorarsela il più possibile nei giorni seguenti, abbastanza da poterla presentare a Silente come nuova affiliata in tempi brevi.


7
Settembre 1981


“La corte può ora ascoltare la testimonianza dell’imputato Stuart Gibbon.”

A differenza di Travers, il secondo Mangiamorte aveva l’aria molto meno spavalda. Sembrava chiaramente terrorizzato dalla prospettiva di finire ad Azkaban: rimase con lo sguardo fisso a terra per tutto il tempo, tormentandosi le maniche della veste con gesti nervosi, finché non iniziarono ad interrogarlo.
“Signor Gibbon, lei riconosce di essere stato presente sulla scena del crimine?”
“Io... a dire la verità sono molto confuso. Non ricordo granché di quella notte. Ho iniziato a riprendere coscienza di dove mi trovassi solo dopo che tutto era successo, e se sono scappato è stato solamente perché avevo paura...”
“Paura di che cosa, signor Gibbon?”
“E-ecco, vede... quando ho ripreso coscienza mi sono ritrovato in quella casa piena di corpi, con tutto quel sangue a terra... lei capisce, chiunque ne sarebbe stato terrorizzato...”
“Quindi lei afferma di non aver assistito né preso parte all’omicidio dei McKinnon?”
“Non... non ne sono così sicuro, signore, anche se non ricordo nulla di ciò che è successo prima di un certo momento... credo di essere stato vittima di un equivoco, signore, credo di essere stato messo sotto la Maledizione Imperius...”
“Non è vero niente!”
Gideon si era alzato improvvisamente, e aveva urlato prima che qualcuno potesse trattenerlo. Il Mangiamorte lo guardò con odio, tentando di mascherare il tremore.
“Io ho udito quest’uomo discutere dell’omicidio di Marlene McKinnon con Travers in maniera assolutamente lucida, tutta questa storia della Maledizione Imperius è una gigantesca idiozia!” esclamò con veemenza, pur consapevole del fatto che non avrebbe dovuto intervenire senza essere stato interpellato. Non era sua abitudine essere eccessivamente impulsivo, ma non tollerava assolutamente il fatto che il Mangiamorte stesse cercando di farla franca.
“Sapete bene tutti quanti che una persona sotto Imperius si limita ad eseguire degli ordini come un automa. Quest’uomo parlava in piena coscienza, non sono il solo ad averlo sentito!”
“Signor Prewett, questo non è il suo interrogatorio. Lei ha già rilasciato la sua testimonianza. La richiamo all’ordine.”
Gideon non poteva fare altro per insistere, così si limitò ad annuire.
“Signor Gibbon, lei dunque si dichiara non colpevole?”
“Io non avrei mai... c’è stato sicuramente un errore, voi dovete credermi...”
“Qual è l’ultima cosa che ricorda con certezza di quella notte?”
“Io davvero non saprei...”
“Non ho altre domande. L’imputato può accomodarsi.”
Il Mangiamorte evitò con accuratezza lo sguardo di Gideon mentre tornava a sedersi, ma lui non lo perse di vista un solo istante. Voleva che quel processo facesse giustizia una volta per tutte, senza errori né dimenticanze, dopo che lui non aveva avuto neppure il diritto ad un ultimo saluto. Marlene se n’era andata troppo presto, lui era arrivato troppo tardi. Nulla era andato correttamente. Ma anche se spedire ad Azkaban i responsabili della sua morte non l’avrebbe riportata indietro, era l’unica cosa per cui Gideon poteva ancora lottare.


8
Giugno 1980


“Spiegami perché hai insistito tanto.”

“A quale proposito?”
“Perché era necessario che venissi proprio io?”
“Beh, ti ho passato i dischi di Wilma Wand per tutto lo scorso inverno, mi sembrava di averti preparata abbastanza bene per un suo concerto.”
“Quindi devo sentirmi in debito con te.”
“Ma no, ma no... è che non volevo venirci con qualcuno che sbadigliasse ogni due secondi e mi dicesse che perdo ancora tempo ad ascoltare musica da fighetto.”
“Capisco. Allora, visto che non ti devo niente, ridammi i soldi della tua pinta di Idromele.”
Gideon sgranò gli occhi, stupefatto, poi portò una mano alla tasca del mantello con aria estremamente riluttante.
“Sei proprio una brutta persona,” la prese in giro, con una smorfia. Lei inarcò un sopracciglio.
“Lo sei di più tu, dato che sei talmente tirchio da farti offrire da bere da una donna. Comunque stavo scherzando, non fare quella faccia sofferente. Puoi tenerti i soldi.”
Marlene non aveva ancora ben capito come fosse finita lì. Non era più una ragazzina, ma una madre di famiglia, e le madri di famiglia non vanno ai concerti. Anche se in missione per conto dell’Ordine, dato che avevano ricevuto una soffiata sulla possibilità che Wilma Wand venisse attaccata dalle schiere di Voldemort nel corso del suo tour per via delle sue origini dichiaratamente Babbane. La cantante non ne aveva mai fatto un mistero, anzi; le sue ultime canzoni inneggiavano in maniera particolare alla ribellione contro quel metro di giudizio razzista ed ingiusto. Così facendo, però, si era rapidamente guadagnata l’elezione a possibile capro espiatorio dell’odio di Voldemort contro i Sanguesporco.
Tuttavia, nonostante si trattasse di una missione, Marlene non si sentiva sufficientemente all’erta. Era nervosa, ma per altri motivi. Una buona parte di lei continuava a dirle che non avrebbe dovuto essere lì.
Di fianco a lei, Gideon sorseggiava il suo Idromele in assoluta tranquillità, battendo il piede a ritmo della musica di sottofondo che era stata messa in attesa dell’inizio del concerto. Marlene ancora non riusciva a credere di essersi fatta trascinare nell’Ordine della Fenice da un individuo simile. Non perché le dispiacesse combattere contro Voldemort – al contrario, se avesse saputo in precedenza dell’esistenza dell’Ordine vi si sarebbe unita diverso tempo prima – ma per il modo in cui tutto era iniziato, un’assurdità dopo l’altra.
Sapeva che Gideon l’aveva coinvolta con tanta insistenza soltanto perché lei era un elemento utile alla squadra. Aveva imparato a conoscerlo più a fondo in quei cinque anni e si era resa conto di quanto spesso le sue mosse avessero un secondo fine ben preciso, che a volte confessava implicitamente lui stesso. Tuttavia, capitava ugualmente che scivolasse con lei in discorsi ambigui, o che si permettesse di invadere il suo spazio fisico con assoluta noncuranza e senza preoccuparsi del fatto che lei fosse sposata. Era un comportamento la cui logica le sfuggiva irrimediabilmente.
“Sai che non dobbiamo dare nell’occhio, vero?”
“Certo, non c’è bisogno di puntualizzare simili ovvietà.”
“Perfetto. Perciò, non appena inizierà il concerto, tu verrai con me sotto il palco, in prima fila.”
“Ti sembra un modo per non dare nell’occhio?”
“Assolutamente sì: ci mescoleremo con la folla, entreremo nel vivo talmente bene che nessuno riterrà sospetta la nostra presenza. Andremo a sederci sulle transenne che separano il palco dal pubblico, così potremo osservare la platea con una buona visuale e renderci conto se qualcuno di nostra conoscenza si avvicina.”
“Wow. E io che pensavo che tu volessi davvero goderti il concerto.”
“E perché non dovremmo? Faremo entrambe le cose.”
“Credi di saper gestire due impegni alla volta?”
“Certo, ho avuto un sacco di relazioni clandestine. E tu?”
Marlene lo osservò, perplessa, mordendosi il labbro. Dovevano essere le sue pupille perennemente dilatate a rendere così penetrante il suo sguardo.
“Ci proverò,” disse infine, poi tornò a far vagare lo sguardo tra il pubblico. Si rese conto di essere nervosa ed eccitata per via di quell’evento imminente, ma non riusciva a trovare una spiegazione logica per quelle sensazioni. Non aveva grandi motivi per mettersi a fare la quindicenne scapestrata: la sua adolescenza era stata già piuttosto soddisfacente, ed essere rimasta incinta a soli ventun’anni si era poi rivelato un trauma minore di quanto si aspettasse. Adorava i suoi bambini: aveva dato loro tutto l’affetto che, prima della loro nascita, non era mai riuscita a riversare su qualcun altro. Vicky era morta quasi all’improvviso di Porpora del Vampiro, una malattia magica incurabile, ma era successo ormai tanti anni fa e lei era più che convinta di averlo superato. Infine, per quanto il suo matrimonio fosse piuttosto disastroso, aveva almeno dato ai suoi figli la garanzia di una famiglia, di un padre e di una nonna che si prendevano cura di loro quando lei non c’era. Non era una situazione tanto orribile da giustificare la sua presenza lì. Gideon non era suo amico, per quanto tante cose apparentemente li legassero, né aveva interesse nel farla felice. Eppure non si era tirata indietro di fronte a quell’incarico, ben sapendo cosa comportava; non aveva chiesto a qualcun altro di andare al suo posto. Per quanto non lo facesse volontariamente, si ritrovava sempre a chiacchierare con lui di qualche sciocchezza, perché sembrava che Gideon avesse la capacità di riempire un certo tipo di vuoto che Marlene non si era mai resa conto di avere dentro, finché non aveva incontrato lui.


9
Settembre 1981


“Sale sul banco dei testimoni il signor Fabian Nicodemus Prewett.”

Gideon sussultò. Non se l’aspettava. Fabian non gli aveva detto che anche lui era stato chiamato e, se avesse potuto fare qualcosa per evitare di coinvolgerlo, avrebbe agito sicuramente. Ma ormai era troppo tardi: lo osservò alzarsi e dirigersi al posto che prima aveva occupato anche lui, il volto ridotto ad una maschera impenetrabile.
“Signor Prewett, ha qualcosa da aggiungere rispetto alla testimonianza fornitaci da suo fratello?”
“Nossignore. È andato tutto come ha già spiegato lui. Siamo accorsi insieme, appena abbiamo potuto, ma era già troppo tardi per tutti. Ho suggerito io di entrare di nascosto in casa dei McKinnon, così abbiamo sentito le voci di Travers e Gibbon. Abbiamo catturato Travers, ma l’altro ci è sfuggito, così ci siamo messi subito in contatto con gli Auror.”
Fabian era sempre stato così. Il più preciso, il meno impulsivo. Tutti gli volevano bene. Con quel tono di voce pacato e sicuro, sarebbe stato in grado di rincuorare chiunque.
“In ogni caso, Marlene McKinnon sarebbe stata uccisa comunque, in qualsiasi momento fosse rientrata a casa. Voldemort voleva che gliela portassero, ma lei era una donna forte e non si sarebbe mai lasciata prendere viva.”
Gideon sentì una specie di scossa percorrerlo lungo la spina dorsale. Non si aspettava che il suo fratellino parlasse così bene di Marlene, dopo ciò che gli aveva confessato. Fabian era sempre stato una persona corretta e fedele, con un sistema di valori ben saldi e precisi, e al momento della sua confessione aveva reagito secondo la sua indole; tuttavia, ora, Gideon non era più così sicuro del fatto che gli avesse definitivamente voltato le spalle.
“È tutto, signor Prewett?”
“Sissignore.”
“Bene, può tornare ad accomodarsi.”
Solo alla fine Fabian si voltò verso di lui, quando ormai era troppo lontano per poter decifrare correttamente la sua espressione: quello sguardo silenzioso avrebbe potuto significare qualsiasi cosa. Tuttavia, Gideon scelse di credere che il suo fratellino l’avesse perdonato, perché altrimenti non avrebbe avuto nient’altro a cui aggrapparsi.


10
Giugno 1980


Gideon sapeva bene che stava approfittando volutamente del fatto che Marlene fosse ubriaca. Prevalentemente ci era arrivata per merito suo, ma lei non aveva mostrato di disdegnare nessun nuovo bicchiere. Era anzi rimasta piacevolmente sorpresa della sua decisione di tirar fuori il portafoglio: le aveva spiegato che non era una questione di avarizia, quanto piuttosto del fatto che, ormai, offrire una cena o qualcos’altro a una donna era un gesto che veniva fatto esclusivamente con scopi poco nobili. Lui, invece, pagava il conto solo se davvero ne valeva la pena.

“E quale delle tante ingenue fanciulle con cui sei uscito di recente hanno beneficiato della tua generosità?” domandò lei, con un sorrisetto storto.
“Ultimamente nessuna,” rispose lui, stringendosi nelle spalle.
“Ah, allora devo ritenermi un caso fortunato,” rise lei, e forse fu la prima volta che Gideon la vide esprimere una tale allegria. Alle riunioni dell’Ordine era sempre attenta e silenziosa, pronta ad agire senza scomporsi. Prendeva tutto molto sul serio e non si soffermava a scherzare con gli altri, come ad esempio facevano Sirius e James. Alle volte aveva quasi avuto l’impressione che lei li guardasse storto: per questo l’aveva inizialmente giudicata una barba. Tuttavia, le loro discussioni culturali erano piacevoli. Lei ascoltava buona musica, leggeva bei libri, aveva dei gusti precisi ma si lasciava consigliare da lui senza pregiudizi, aprendosi volentieri a nuove scoperte. Era praticamente l’unica, tra quelli dell’Ordine, con cui si potessero condurre conversazioni di quel tipo. Per questo Gideon si ritrovava sempre ad avvicinarla, a dare l’impressione di essere uno dei pochi con cui lei si soffermasse un po’ di più rispetto a dei semplici saluti.
“Il fatto è che cerco un tipo di donna ben precisa,” riprese poi, grattandosi distrattamente la nuca. “Ma probabilmente non la troverò mai. Deve essere intelligente e deve avere buon gusto... ma allo stesso tempo è necessaria almeno una quarta di reggiseno.”
Marlene lo fissò ad occhi sgranati.
“Vorresti dire per caso che per tutto il resto potrebbe avere anche l’aspetto di un Troll di montagna?”
“Ma no, certo che no, è implicito che debba piacermi anche l’aspetto fisico globale. Però certe misure sono importanti per un uomo.”
“Sei veramente un cafone.”
“Voi donne la pensate uguale, solo che fate attenzione a non dirlo.”
“Non dire fesserie, per piacere...”
“Sentiamo, allora, perché avresti sposato tuo marito? Soltanto perché andavate d’accordo?”
A quel punto, Gideon si rese conto di aver fatto con lei l’ennesima figuraccia: la vide ammutolire e diventare seria di colpo, mentre lo fissava quasi con rimprovero da sotto la frangia.
“Mi sono sposata perché ero rimasta incinta e mi sembrava orribile l’idea di abortire o di negare il diritto di una famiglia a un bambino che avrebbe dovuto pagare per i miei errori, non lo trovavo giusto e perciò ho fatto quello che era meglio fare,” gli spiegò, poi distolse lo sguardo. Gideon annuì lentamente, sentendosi invadere da un cocente imbarazzo.
“Capisco... beh, sono cose che possono succedere,” commentò, cercando di assumere un tono rincuorante, ma con scarsi risultati.
“Se vai a raccontare in giro questa cosa, per te saranno guai,” lo minacciò lei qualche secondo più tardi, realizzando probabilmente di essersi sbottonata troppo più del normale.
“Ma che dici?! È l’ultima cosa che mi è passata per la mente!”
“Non mi fido di te.”
“Non ci credo.”
“Ah, sì? E perché no?”
“Perché mi hai appena fatto una confidenza importante, ecco perché.”
“Ti ho solo detto la verità!”
“E allora perché ti interessa tanto che rimanga un segreto?”
“Perché sono affari miei!”
“Ma sei stata tu a dirmelo!”
“Sai una cosa? Vai al diavolo. Siamo qui per un motivo ben preciso, non certo per parlare del mio matrimonio.”
Marlene si alzò e se ne andò, scomparendo in mezzo alla folla nel giro di mezzo secondo; lo lasciò lì come un’idiota, senza altre spiegazioni. Gideon scosse la testa, insultandola mentalmente: erano in missione per conto dell’Ordine, eppure lei si prendeva il lusso di comportarsi come una ragazzina.
Tornò a fissare il fondo del suo bicchiere di Idromele, lasciandosi sfuggire un impercettibile sospiro. Si era reso conto di quello che poteva esserci sotto solamente quella mattina, quando aveva informato Fabian del fatto che lui e Marlene sarebbero andati insieme al concerto per tenere d’occhio la situazione. Ovviamente era stato lui a proporre il tutto a Silente, compresi i loro due nomi, ma in precedenza non aveva pensato alle implicazioni di quella mossa. Di fronte all’espressione sorpresa di Fabian, però, si era sentito improvvisamente come se avesse avuto la coda di paglia. Si era giustificato in fretta e furia, precisando che l’aveva fatto soltanto per la musica. Sembrava che suo fratello gli avesse creduto. Anche di fronte a lei, ora, aveva fatto di tutto per non tradirsi; Marlene però si era lasciata andare, gli aveva dato un appiglio di speranza a cui non era riuscito a non aggrapparsi.
Del fatto che fosse diventata molto carina se n’era già reso conto anni addietro, quando l’aveva incontrata al San Mungo, ma tutto il resto l’aveva scoperto così lentamente che fino a quella mattina non ci aveva nemmeno pensato, a mettere insieme i pezzi.


11
Settembre 1981


“Sale sul banco dei testimoni il signor John Dawlish.”

Gideon osservò avvicinarsi, quasi a passo di marcia, l’uomo sulla trentina che Moody aveva inviato quella notte in risposta alla sua chiamata. Era lui l’Auror che aveva catturato Gibbon, dopo che era riuscito a sfuggire a lui e Fabian.
“Signor Dawlish, vuole raccontarci la sua versione?”
“Certamente, signore.”
Gideon si attaccò con forza ai braccioli della sedia. Non voleva più ascoltare una sola parola, sapeva già tutto. Le prove cruciali sarebbero state presto sotto gli occhi di tutti e il processo si sarebbe concluso con la giusta sentenza: Azkaban. Eppure, un ergastolo in compagnia dei Dissennatori non era abbastanza disumano rispetto a ciò che quelle bestie avevano fatto alla famiglia di Marlene.
“Quando è giunto alla casa dei McKinnon, signor Dawlish, cos’ha visto esattamente?”
“Beh... non lo augurerei a nessuno. Davvero a nessuno.”
Dawlish fece una pausa, ma Gideon evitò di guardarlo. Ormai riviveva quei momenti ogni notte, non avrebbe fatto differenza sentirne il racconto un’altra volta.
“Sono entrato in casa dalla porta sul retro. In cucina c’era il cadavere di Ruth McKinnon, la madre di David McKinnon. Era pieno di bruciature, come se qualcuno avesse infierito su di lei dopo la morte.”
Non avevano risparmiato neppure la suocera di Marlene, una donna anziana che non aveva nessuna colpa, se non quella di essere andata ad accudire i nipotini nel momento sbagliato.
“Sono andato oltre. In salotto c’erano segni di colluttazione: molti mobili erano rovesciati, le finestre rotte. Sulle scale, poi, ho visto il cadavere di David McKinnon. Era stato legato e aveva i vestiti strappati. Il volto era tumefatto, come se fosse stato preso ripetutamente a pugni. Sul torace gli era stata incisa a sangue una scritta: traditore.”
I McKinnon, come la famiglia di Gideon, erano Purosangue. Voldemort aveva tentato di portarli dalla sua parte, ma non ci era riuscito. Per questo si erano divertiti tanto con quell’uomo.
“Ho scavalcato il corpo e ho salito le scale, fino al piano di sopra. In corridoio c’era Marlene McKinnon, riversa in una pozza di sangue. Il muro dietro di lei era macchiato: sembrava che ve l’avessero scagliata contro con un incantesimo estremamente violento. In mezzo al sangue c’erano delle impronte. La bacchetta della donna era a terra, spezzata, e la sua mano sinistra era stata calpestata con forza, fino a romperle le ossa.”
Gideon non riusciva ad immaginare cosa Marlene poteva aver provato poco prima di morire. Probabilmente era entrata in casa poco dopo avergli inviato il Patronus, sola, con un’angoscia mortale nel cuore. Quasi sicuramente aveva visto i cadaveri di sua suocera e di suo marito, ma il peggio era arrivato dopo, quando era salita al piano di sopra. Lì doveva aver urlato.
“Sono entrato nella camera di fronte al corpo della signora McKinnon. Lì dentro...”
La voce di Dawlish s’incrinò. Gideon osservava il pubblico, smarrito, e improvvisamente riconobbe Fabian: anche lui lo fissava, con la stessa vuota disperazione negli occhi, la stessa immobilità impotente.
“Lì dentro c’erano i corpi dei due bambini. I loro occhi erano stati strappati o bruciati... non sono riuscito a distinguere bene. Intorno ai colli c’erano segni violacei, come se li avessero soffocati lentamente con un incantesimo. C’era sangue per terra, dappertutto. Non... non ho avuto la forza di guardare più di così.”
Gideon continuava ad osservare la platea. Alcune persone piangevano, incapaci di trattenere le lacrime. Fabian fece una specie di cenno col capo. Gideon pregò che significasse che l’aveva perdonato, che non l’avrebbe lasciato solo. Non aveva la forza di stare solo in un momento come quello.
La cosa peggiore di tutte, pensò Gideon mentre Dawlish scendeva dal banco per tornare al suo posto, era che i Mangiamorte non avevano lasciato a nessuno un solo briciolo di dignità, neppure dopo averli uccisi. No, era troppo allettante la prospettiva di martoriare ed umiliare dei corpi indifesi. Nel corso di tutti quegli anni a servizio dell’Ordine, Gideon era stato costretto ad uccidere un suo avversario più di una volta, ma mai aveva provato l’impulso di infierire barbaramente su un cadavere, o di osservare la vita scivolare via da un essere umano con più lentezza possibile.
Checché ne dicessero tutti, la colpa non era interamente di Voldemort. Lui si era semplicemente fatto portavoce ed interprete di bieche tendenze e di crudeli impulsi che già facevano parte della natura di alcuni uomini. Aveva raggruppato un vasto numero di pazzi e assassini sotto il suo comando, ma molti di loro erano entrati nelle sue fila solamente per guadagnarsi il diritto di uccidere nel nome di qualcuno, fornendo così una giustificazione per il loro desiderio di violenza. Ancor più sconvolgente dell’omicidio di Marlene e della sua famiglia, secondo Gideon, era il fatto che simili impulsi esistessero e che alcuni esseri umani dessero loro sfogo, senza alcun rimorso di coscienza.


12
Giugno 1980


Durante quel minuto e mezzo in cui Gideon rimase incosciente, Marlene si sentì male quasi come durante il parto. I suoi tempestivi sforzi per rianimarlo sembravano non funzionare affatto, nonostante fosse sicura di non aver sbagliato nulla. Provò altre manovre e altri incantesimi, ma lui sembrava non volersi assolutamente svegliare.

Si costrinse a non pensare che Gideon Prewett era un idiota. Un idiota che aveva notato i Mangiamorte entrare nel locale e aveva deciso di agire da solo. Un idiota che aveva pensato di poterne fronteggiare quattro senza farsi dare una mano da nessuno, finché non ne era arrivato un quinto alle sue spalle. A quel punto, quando il suo corpo esanime aveva toccato terra, Marlene era riuscita ad intervenire. Prima aveva dovuto eseguire un Sortilegio Scudo abbastanza forte da far capire alla gente del locale che doveva scappare verso l’uscita sul retro. Aveva chiamato immediatamente gli altri membri dell’Ordine disponibili, che stavano pronti al quartier generale in attesa di un loro segnale. Solo a quel punto era riuscita a trascinare fuori Gideon, ma fino all’ultimo secondo tremò al pensiero di essersi mossa troppo tardi.
Poi, lentamente, il suo polso ricominciò a farsi sentire. Il viso riprese colore, le vie aeree tornarono pervie e il suo corpo rigido si sciolse dalla Maledizione.
Gli posò un orecchio sul torace, per sentire il cuore.
Lui probabilmente riprese coscienza in quel momento, perché d’istinto tentò di risollevarsi e strinse le braccia intorno a lei di colpo, senza lasciarle il tempo di reagire. Una mano risalì lungo la nuca e s’infilò fra i suoi capelli. Marlene si sentì a disagio: non voleva che qualcuno li vedesse così. Sollevò rapidamente da terra il corpo di Gideon con un incantesimo e si Smaterializzò insieme a lui, fino alla porta di casa sua.
Entrò con lui in un ambiente piccolo ma piacevole, decorato come la stanza di un adolescente. Possedeva qualsiasi tipo di giradischi esistente, da quelli magici a quelli Babbani. La stanza d’ingresso aveva tre pareti ricoperte da una gigantesca libreria, i cui scaffali cambiavano di posto ogni due ore, scendendo, salendo, dividendosi a metà o richiudendosi su se stessi. Marlene sapeva che era un regalo del padre, un dono prezioso che perfino Hogwarts gli avrebbe invidiato.
Percorse il corridoio con passo incerto, non sentendosi pienamente autorizzata ad invadere un ambiente non suo. Depositò Gideon sul letto di camera sua, osservando con curiosità le pareti tappezzate di poster animati, alternati ad alcune fotografie; in una di queste riconobbe lui e Fabian, insieme ad una terza persona. Doveva trattarsi di Molly, la sorella maggiore: Marlene non l’aveva mai incontrata, ma il colore dei capelli la rendeva facilmente identificabile.
Tornò a gettare un’occhiata a Gideon, che si stava lamentando come se fosse in punto di morte.
“Che ti succede?” domandò lei, non riuscendo a capire se dovesse allarmarsi o meno.
“Ti stavi già disinteressando di me,” bofonchiò lui, allungandole un colpetto stizzito sul braccio. “Non ti dimenticare che sono stato gravemente colpito.”
Marlene alzò gli occhi al soffitto e scosse la testa. Il fatto che riuscisse a muoversi e a parlare senza problemi costituiva un indizio molto forte di un’ormai completa restitutio ad integrum¹ delle sue funzioni vitali.
“Mi hai davvero salvato da quei Mangiamorte cattivi? Wow, allora è vero che non sei tanto male per essere una ragazza.”
“Se non sbaglio questo me l’hai già detto un po’ di tempo fa.”
“Hai ragione. Ma ho confermato quell’impressione. Tu, invece, non ti sei ricreduta sul fatto che io sia poco intelligente?”
“Assolutamente no.”
Il sorrisetto storto che lui le rivolse subito dopo aver pronunciato quella frase le causò un improvviso ed inspiegabile brivido. La stessa sensazione di sbagliato che aveva avvertito quando erano ancora al locale la mise di nuovo in allerta, ma lei stessa non riusciva a capire. In allerta da cosa?
Si sentiva strana. Era abituata a ragionare freddamente e secondo logica, ma quell’improvvisa situazione d’emergenza l’aveva scombussolata. Non era da lei: in ospedale era in grado di controllare e gestire bene ogni situazione, aveva sempre saputo di essere portata per quel lavoro. Si rese conto che forse poco prima, con Gideon, si era lasciata coinvolgere troppo. L’idea che la Maledizione non fosse reversibile l’aveva gettata nel panico, un panico che di solito non provava.
Si disse che doveva andarsene da lì, subito dopo essersi accertata che Gideon fosse in grado di badare a se stesso.
“Pensi di stare bene adesso?”
“No.”
“Qual è il problema? Riesci a muovere bene tutti gli arti? Hai la vista offuscata?”
Gideon si tirò su a sedere, avvicinandosi leggermente.
“Niente di questo genere... ma oggi c’è stata troppa tensione. Dovrei sciogliermi un po’. Anche tu dovresti.”
Quando lui cominciò a massaggiarle il collo con apparente noncuranza, Marlene si irrigidì di colpo. Non riuscì a domandarsi niente se non che diavolo stesse facendo. Non si mosse. Magari non significava nulla e mettersi a urlare sarebbe stato fuori luogo; era abituata ad essere toccata da lui, ormai. Aveva imparato che lo faceva senza malizia, che era il suo modo di stare a contatto con la gente e, nonostante non fosse un comportamento in linea con la sua indole, aveva imparato ad accettarlo.
Dopo una trentina di secondi, però, le mani scesero lungo la schiena e i fianchi e furono sostituite dalla bocca. Non riusciva a vederlo in faccia e quindi non era in grado di capire a che gioco stesse giocando. Avrebbe dovuto ribellarsi, si stava prendendo troppe libertà. A che scopo poi? Lei non gli piaceva. Le parlava di altre donne, la calcolava solo perché avevano degli interessi in comune. L’aveva portata nell’Ordine unicamente perché sarebbe stata utile come Medimago. C’era sempre un secondo fine, ma stavolta non riusciva a comprendere quale fosse. Il momento d’indecisione passò e Marlene non riuscì a fermarlo; si accorse di avere tutti i muscoli del collo in tensione mentre lui ci passava sopra la lingua, arrivando fino al lobo dell’orecchio. I battiti aumentavano in fretta e così il suo desiderio di contatto, un desiderio anomalo, istintivo, incontrollabile. Non disse una parola quando Gideon iniziò a spogliarla. Solo alla fine si voltò per baciarlo, a lungo e profondamente; lui ne rimase quasi sorpreso e sembrò fermarsi momentaneamente, perciò fu lei a spingerlo sul letto, per non concedersi la possibilità di mettersi a pensare con coerenza.


¹ termine usato in medicina, sta ad indicare il completo recupero delle funzionalità di un distretto corporeo o dell’organismo nel suo insieme; dato che in questa storia Marlene è un Medimago, non mi dispiaceva l’idea di utilizzare per i suoi pensieri espressioni tipiche di quell’ambito.


13
Settembre 1981


“Verrà ora eseguito l’Incantesimo Reversus sulle bacchette dei due imputati, il signor Jude Travers e il signor Stuart Gibbon.”

Le due bacchette vennero consegnate all’esaminatore da un impettito Bartemius Crouch, presente al processo in qualità di presidente della giuria. Gideon si voltò verso sinistra, cercando Fabian con lo sguardo: avrebbe dovuto ringraziarlo, dato che era stato lui a disarmare Travers.
Il giudice, dopo aver ricevuto le bacchette, si rimboccò le maniche con calma e solennità. Un silenzio quasi improvviso calò su tutto il tribunale, mettendo a tacere perfino i più ostinati. Quella era la prova cruciale per dimostrare la colpevolezza dei due Mangiamorte: a Gideon sembrava assurdo aver dovuto perdere tanto tempo in rallentamenti puramente burocratici. Neppure Gibbon l’avrebbe fatta franca, nonostante avesse cercato di salvarsi con la carta della Maledizione Imperius e nonostante Travers non avesse dichiarato la sua complicità. La giuria non poteva dimostrarsi tanto ingenua: era un trucco ormai abusato in casi come quello.
Quando il giudice pronunciò la formula, Gideon si stava sforzando di non pensare; venne dunque colto totalmente impreparato da ciò che gli apparve davanti agli occhi.
Prior Incantatio.
Ci furono scintille e diversi boati, ma i primi ad apparire furono gli spettri, accompagnati da urla agghiaccianti. Le luci si spensero di colpo. Marlene uscì dalla bacchetta di Travers, in sottofondo le grida di protesta di Gibbon, che ricordava all’altro che Voldemort la voleva viva. In seguito apparvero i due bambini: prima il maschio, il più piccolo, poi la femmina. Intorno ai loro colli semitrasparenti persistevano quei segni bluastri che Gideon aveva visto con i suoi occhi sui loro cadaveri: un incantesimo li aveva soffocati, uccidendoli lentamente. Se li erano spartiti, uno per ciascuno. Poi comparve il padre, quell’uomo che probabilmente avrebbe ammazzato Gideon a mani nude se fosse sopravvissuto. Perché prima o poi l’avrebbe scoperto: Marlene non era una persona capace di mentire a lungo, anche se non aveva mai avuto alcuna intenzione di distruggere il suo matrimonio per il bene dei bambini. La nonna fu l’ultima; l’aveva ammazzata Gibbon, senza pietà.
Per la prima volta in vita sua, Gideon pensò a quanto l’uso della magia potesse essere grottesco. In quel momento stava osservando quattro persone morte, mutilate e torturate fino al loro ultimo respiro, e quei fantasmi a loro volta lo fissavano con sguardo vitreo, spento, assente. Eppure, rivedere un loro barlume d’immagine fluttuare davanti a sé provocava l’inevitabile desiderio di sporgersi per afferrarli, per poterli toccare un’ultima volta. Tutti i presenti si aspettavano che parlassero, che pronunciassero qualche frase solenne di condanna o di assoluzione, ma nessuno di loro disse una parola: erano solo ombre, evocate artificialmente da un incantesimo, e come tali sarebbero svanite di lì a poco.
Ai piedi di Marlene si allargava lentamente una pozza di sangue, la stessa in cui l’avevano ritrovata i due fratelli Prewett. Gideon si fece forza e smise di guardare.


14
Luglio 1981


Quella notte, Marlene era stata davvero fin troppo scontrosa. Aveva fatto la difficile, l’aveva morso e graffiato durante il rapporto e aveva reagito con astio quando lui, per sdrammatizzare un po’ la situazione, aveva risposto assestandole una sculacciata; a quel punto, Gideon si era rotto le scatole. Non l’aveva certo obbligata a venire da lui, se proprio non ne aveva voglia.

La osservò mezzo imbronciato mentre si rivestiva dandogli le spalle. Ancora adesso se ne stupiva ma, per quanto incredibile potesse sembrare, Marlene era davvero il suo ideale di donna. Fisicamente non troppo appariscente – si nascondeva bene dietro la lunga frangia e gli occhiali squadrati – ma con un’ottima testa, e un corpo gradevole. Peccato fosse così difficile da avvicinare sul serio, con quell’atteggiamento chiuso e quel carattere così facile all’ira.
“Non volevo offenderti,” le disse, cercando di fare ammenda con un tono non troppo solenne. Lei si strinse nelle spalle con aria fredda.
“Non c’è bisogno che ti preoccupi troppo,” rispose, in maniera evidentemente sarcastica. Perfino uno scemo se ne sarebbe accorto. Gideon si girò dall’altra parte e cercò di non cogliere la provocazione, ma alla fine non ce la fece.
“Qual è il problema, ti scatta il coprifuoco?” replicò, in tono altrettanto sferzante. Lei gli rivolse un’occhiata rabbiosa, subito dopo aver finito di rivestirsi.
“Forse il problema è che la gente intorno a te ha una vita molto peggiore della tua, ma il pensiero non ti sfiora nemmeno per sogno. Non sei tu che devi tornare a casa da gente che ti odia perché non ci sei mai, perché hai scelto di combattere una guerra giusta e di fare qualcosa per gli altri, anche se questo viene semplicemente interpretato come un segno di egoismo e di indifferenza. Non sei tu che tutte le sere devi sopportare gli attacchi di tuo marito e tua suocera e poi dipingerti un sorriso in faccia per andare a mettere a letto i tuoi figli, che sicuramente avranno sentito tutto. Perciò grazie, ma della tua mancanza di comprensione non me ne faccio nulla.”
Gideon rimase senza parole per alcuni secondi. Di certo non aveva previsto di scatenare una reazione simile. Marlene non aveva mai parlato con lui dei suoi problemi a casa, perciò non le aveva mai chiesto nulla per non invadere la sua sfera privata. Ovviamente lei aveva rigirato tutto, giusto per poterlo accusare di qualcosa.
“Non puoi svegliarti adesso a cominciare con le confidenze, tesoro,” le rispose quindi, in tono assolutamente non conciliatorio. Odiava quando le donne decidevano di voler litigare e finivano per trovare a tutti i costi il modo per farlo, anche il più stupido ed insulso possibile. Era un atteggiamento infantile e lui non aveva alcuna intenzione di darle corda. In fondo era vero: non era affar suo se suo marito era un fedele del Ministero, che non vedeva di buon occhio le iniziative indipendenti e non ufficializzate di Albus Silente, organizzate senza il consenso degli Auror o di chiunque altro. Inoltre, grazie al cielo non aveva figli, perciò poteva evitare di pensare a cosa significasse dover combattere contro una madre spesso assente e dover giustificare il tutto agli occhi di due bambini di sei e quattro anni.
Marlene non si era mai aperta con lui, perciò non era suo dovere fare nessun tipo di sforzo per cercare di capirla.
“Ci vediamo,” disse lei, prima di aprire la porta.
“Nemmeno un bacio?” ironizzò Gideon. Sapeva di aver pronunciato una frase fuori luogo, ma non fece altro che compiacersene. Lei uscì senza voltarsi.


15
Settembre 1981


“Un nucleo familiare completamente estinto. Non rimarrà più nulla del loro cognome.”

“Certo, stragi come queste ce ne sono tante... sono stati fortunati stavolta, ad aver preso i colpevoli... ma sai quante volte non succede.”
“Lo so, lo so. Pare che li abbiano presi gli Auror. Per una volta sono riusciti a fare il loro dovere.”
“Perché questo sarcasmo? Il loro lavoro lo sanno fare. Sai quanti ci rimettono la pelle?”
“In questo caso però si trattava di un’importante famiglia Purosangue, infatti si sono mossi subito. Sarà solo una coincidenza?”
Gideon passò a fianco ai giornalisti raggruppati fuori dal tribunale, sentendosi pieno di rabbia per i loro pettegolezzi e i loro discorsi fuori luogo. Qualcuno aveva persino pubblicato su una delle minori testate le foto dei cadaveri, una cosa totalmente priva di umanità e di rispetto. Avrebbe voluto intromettersi, urlare loro che un cognome non aveva nessuna importanza. Tutto ciò per cui lui continuava a provare quel senso di vuoto e quel desiderio di morire era il fatto che Marlene non ci fosse più. Che la loro relazione fosse andata così male. Che l’avesse lasciata andare giusto in tempo per trovarsi davanti agli occhi i corpi straziati dei suoi figli.
Non si erano mai scambiati grandi gesti d’affetto. Andare a letto insieme era una faccenda puramente meccanica. Non c’era mai stato niente di particolare fra loro, soltanto rabbia: rabbia da parte di Marlene perché la sua vita faceva così schifo, perché nonostante avesse tutto o quasi non riusciva ad essere felice e doveva ricorrere a lui per cercare conforto. Rabbia da parte di Gideon perché l’unica donna che avesse mai trovato come davvero la voleva era sposata.
In un anno di appuntamenti saltuari, sicuramente non aveva avuto il tempo per conoscerla a fondo. Lei gli lasciava intravedere ben poco, da sotto quella sua spessa coperta di diffidenza e scontrosità. La complicità profonda che a poco a poco si era venuta a creare riguardava soltanto il lato fisico del loro rapporto: Gideon aveva imparato cosa le piaceva, ma non cosa la rendeva felice. Probabilmente perché non si era mai sforzato abbastanza, o forse perché lei era morta troppo presto.
Nonostante tutto, Marlene non gli era mai appartenuta. C’era sempre qualcun altro da cui doveva tornare di corsa, dopo essere fuggita dalla sua camera. Lui non aveva idea di cosa significasse avere una famiglia propria, né aveva mai lasciato intendere di volerlo sapere. Non si era preoccupato di informarla del fatto che non andava più a letto con altre donne: lei credeva il contrario e lui non aveva mai smentito, per non complicare la vita ad entrambi. Il fatto che lei lo ritenesse un uomo di quel genere non la metteva nella posizione di doversi chiedere se non fosse meglio abbandonare tutto per fuggire con lui.
La loro era stata una triste e squallida serie di scappatelle, nulla di più. Aveva trovato l’occasione di una vita e non aveva saputo sfruttarla, preferendo lasciare le cose come stavano. Si era comportato da vigliacco e non aveva mai mosso un dito per portarla verso di sé.
Non gli sarebbe mai capitata una seconda opportunità. La morte di Marlene aveva inesorabilmente segnato la fine di tutto.
Con questa consapevolezza che gli pesava sul cuore, era uscito dall’aula proprio quando era stato annunciato, di lì a qualche momento, il rientro della giuria. Si era reso conto che la sentenza perdeva quasi tutta la sua importanza di fronte al fatto che Marlene non sarebbe stata lì ad ascoltarla. Nessuno l’avrebbe risarcita per la sua infelicità, né per l’orrore che i suoi occhi avevano dovuto vedere quella notte; nessuno avrebbe risarcito lui per essere stato testimone di uno spettacolo così tragico e raccapricciante, senza aver potuto fare niente per evitarlo. Azkaban non era una punizione sufficiente per i due Mangiamorte, come non lo era per nessuno di coloro che agivano in maniera simile.
Tuttavia, probabilmente per Marlene era più facile, ora. Non doveva più preoccuparsi di tante cose. Chi restava, invece, pagava le conseguenze della perdita, dei rimpianti, delle ingiustizie. Gideon aveva finito per sobbarcarsi di un fardello non suo, perché la famiglia di Marlene non era mai stata la sua famiglia. Lui neppure conosceva i suoi figli. Eppure si era sentito in dovere di lottare ancora per lei, avendo comunque la consapevolezza che un’eventuale vittoria non gli avrebbe restituito niente in cambio dei suoi sforzi.
Sopraffatto da quelle sensazioni di frustrante impotenza, aveva deciso di non rimanere. Era uscito in fretta e aveva misurato la bianca scalinata che portava all’ingresso del tribunale con passi lenti e distratti. Non si accorse di quando la gente cominciò a varcare le porte per compiere il suo stesso percorso, finché non si sentì appoggiare delicatamente una mano sulla spalla.
Si voltò e si trovò di fronte Fabian. Aveva i suoi stessi occhi castano liquido e i suoi stessi capelli, rossi e ricci, ma le somiglianze fra loro finivano lì. Il suo fratellino aveva un sorriso solenne ed austero, capace di renderlo rispettabile agli occhi di tutti, che mai Gideon sarebbe riuscito ad eguagliare. Fu proprio con quel debole sorriso che gli restituì lo sguardo.
“È fatta,” gli disse. Gideon rimase lì a fissarlo, titubante, chiedendosi cosa Fabian pensasse ora di lui. Suo fratello sembrò intuirlo e abbassò lo sguardo, tentando di celare il fatto che gli occhi gli si fossero fatti improvvisamente lucidi.
“Anch’io le volevo bene,” mormorò. “Di sicuro non quanto te, ma...”
Gideon non lo lasciò finire e lo abbracciò forte. Fabian all’inizio reagì con sorpresa immobilità, ma poi cedette. Il vuoto nel cuore del fratello maggiore si fece improvvisamente meno pesante, perciò capì che non c’era bisogno di aggiungere altro, almeno per il momento.
Fissò il portone d’ingresso del tribunale per diversi minuti, sperando di poter vedere il fantasma di Marlene, evocato in precedenza dall’incantesimo, uscire insieme alla folla per lasciare definitivamente il mondo terreno. Si crogiolò nell’idea che si sarebbe fermata per rivolgergli un saluto, per fare ciò che non aveva fatto quella sera e concedergli così una sorta di assoluzione dalle sue colpe. Perché Gideon sapeva di essere colpevole: per averla indotta a tradire suo marito, per averla allontanata dalla sua famiglia, per averla spinta verso la morte senza essere riuscito a fermarla in tempo.
L’immagine di lei che gli si avvicinava per sfiorargli la guancia con un’ultima carezza si costruì così vividamente nella sua fantasia che, per qualche secondo, fu tentato di giurare che fosse successo davvero.
“Dai, andiamo via di qui,” gli disse a un certo punto Fabian, risvegliandolo da quella specie di sogno ad occhi aperti. Dopo qualche attimo di incerta esitazione, Gideon si voltò e lo seguì.


*fine*









Nota conclusiva: se siete riusciti ad arrivare fino in fondo non ho molto altro da aggiungere, se non una piccola spiegazione sul finale: non me la sentivo di dare un senso di positività a questa storia. Volevo che esprimesse pura disperazione, nel senso letterale di mancanza di speranza: la morte non dà la possibilità a Marlene di tornare indietro, né a Gideon di sistemare le cose. È definitiva, brutale, e per questo la loro storia finisce qui. Il fatto che magari resti un certo senso di incompletezza è voluto, vorrei che all’ultima riga chi legge si chiedesse “ma davvero è finita così?” e poi, riflettendoci, pensasse “sì, in effetti è più realistico”. Perché nella maggior parte dei casi non c’è una seconda possibilità per sistemare le cose, e soprattutto dalla morte non si torna indietro, nemmeno per i maghi. Mi rendo conto che sia un finale “da tagliarsi le vene”, ma era così che volevo che fosse.
Fine delle noiosissime e lunghissime spiegazioni XD se per caso aveste trovato questa storia piacevole e voleste farmelo sapere, ovviamente ne sarò lieta.
Alla prossima!
S.


Edit (22/12/11): sono giunti i risultati del "Phoenix Order Contest", a cui la storia si è classificata prima con mio sommo stupore. Aggiungo qui il bellissimo giudizio ricevuto.
Grammatica e sintassi: 9/10
Stile e Lessico: 10/10
Originalità: 10/10
Caratterizzazione del personaggio: 15/15
Uso dell’incantesimo: 5/5
Gradimento Personale: 10/10
Per un totale di: 59/60
L’unica minuscola pecca in tutto il tuo scritto è stata la grammatica. Anzi, a dire il vero, l’unico errore di grammatica è stato un verbo sbagliato, mentre per il resto gli errori sono di punteggiatura. Ogni tanto, infatti, alla fine di un dialogo hai messo la virgola e non il punto, anche se il dialogo era finito e prima di alcune “e” hai posizionato una virgola che non andava. So che sono piccolezze, ma avendole trovate più di una volta nel testo ho voluto segnalarle. Credimi…mi dispiace davvero, ma ho ritenuto giusto farlo dato che ho segnato questi errori anche ad altri.
Credo che sullo stile non ci sia proprio nulla da dire. È bellissimo leggere un testo scritto così! Il lessico è accurato, dettagliato, preciso; le frasi sono ben costruite, non troppo lunghe, ma nemmeno troppo brevi; la storia si legge in modo fluido e scorrevole. Ti invidio moltissimo per questa tua caratteristica: è uno stile davvero da 10!!
L’idea del processo, l’intera storia costruita così bene e in modo così coerente è qualcosa di assolutamente unico. Le cose da dire sarebbero altre mille, ma aggiungo solo che la scelta del titolo è il fiore all’occhiello. Dice tutto. Anche se non ho mai visto il film di cui parli, l’ho trovato azzeccatissimo. Ultimissima cosa: l’invenzione del nome della pozione, o del gruppo amato da Marlene e Gideon (le scope volanti) sono piccoli accorgimenti che rendono la storia ancora più originale e unica.
Ho cercato su internet qualche informazione sui fratelli Prewett e Marlene, qualcosa di diverso dalle idee che avevo io di loro. Ma non c’è praticamente niente.
Parto col dire che io avevo sempre immaginato come coppia Marlene/Sirius, anche se, come hai detto giustamente tu, poco probabilmente avevano uno stretto rapporto.
Quindi ho accettato questa Marlene/Gideon per ciò che era e l’ho letta senza neanche pensare a Sirius. Però, alla fine, i due personaggi mi sono sembrati simili nel carattere, non perché io sia fissata (ripeto non pensavo neanche a Sirius), ma perché entrambi sono un po’ arroganti, sfrontati, cascamorti…si forse sono solo queste le loro analogie, però volevo chiederti: per caso ti sei leggermente ispirata a Sirius, mentre scrivevi di Gideon?
Bene, dopo questa enorme digressione, torno alla caratterizzazione: non si sa praticamente nulla di Gideon…tu hai creato un personaggio praticamente da zero e mi hai molto stupito. È perfettamente credibile e reale. Forse, essendo il fratello di Molly, me lo sarei aspettato un po’ più … scanzonato. Però lo hai reso…unico. Il fatto che al contempo sia attento a Marlene, la ritiene la sua donna ideale, e la tratti, però, anche in modo superficiale (non cerca di sapere di più su di lui), lo rendono , ai miei occhi, davvero speciale e umano. Potrei stare qui ore, ma è meglio che tagli: sei riuscita a creare un personaggio che da un lato mi attira e dall’altro mi respinge…o meglio sono io che in qualche modo lo respingo…non è il mio “personaggio ideale”, è menefreghista, a volte troppo superficiale…ma è umano. È davvero…lui(anche se non abbiamo neanche una minima descrizione di Gideon)!
L’incantesimo in sé è piuttosto particolare, ma nonostante questo quasi si perde tra la moltitudine di avvenimenti e la carica di emozioni che traspaiono- quasi urlano- da questa storia. Eppure colpisce. La tensione legata al processo, al momento decisivo di esso, viene squarciato da quelle poche parole: “Prior Incantatio”. E mentre vengono descritti i componenti della famiglia che escono dalla bacchetta, riappaiono nella mente le immagini descritte poche prima da Dawlish… io ho provato solo un’immensa tristezza. Sono persone spezzate. Nel corpo e nello spirito. Ci si aspetta un’ultima parola, un ultimo sguardo, ma non c’è nulla. Si sente solo l’orrore e la disperazione, riempiono quel vuoto e ti lasciano distrutto. Forse ho un po’ divagato, ma ho trovato giusto cercare di descrivere l’effetto di quell’incantesimo che si è riversato anche su di me!
Sono senza parole. Non ho mai trovato una storia che mi colpisse così tanto. In ogni senso: i temi che hai trattato, non proprio leggeri; il tuo stile, così dettagliato e chiaro; il lessico preciso e appropriato, la tua precisione cronologica, lo spessore dei personaggi descritti…insomma tutto. Mi hai lasciato senza fiato. Io generalmente non apprezzo storie troppo crude, ma questa non era solo questo… era così piena. So che è davvero una cosa banale continuare a dire:” mi hai stupito”, ma non riesco a dire nient’altro. Il mio cervello è completamente resettato. Ti ammiro davvero molto per questa storia. È fuori da tutti gli schemi, è completa, è davvero qualcosa che colpisce.
Grazie di cuore per aver partecipato. Se non l’avessi fatto mi sarei persa questa storia.
Cavolo…mi viene quasi da piangere…devo riprendermi!
Complimenti, complimenti, complimenti!

Edit 13/01/12: arrivati anche i giudizi del contest "Scegli una coppia e vinci un pacchetto!" di Chu, al quale la storia si è classificata prima, vincendo anche il premio speciale "miglior utilizzo del dialogo". Sono emozionatissima, per questo credo che mi limiterò a tacere e a lasciare spazio al giudizio XD

Proprietà linguistica e Stile: 9,5/10
Innanzitutto ti faccio i complimenti: in un testo così lungo ho trovato ben pochi errori e questo vuol dire che ne hai avuta moltissima cura. Purtroppo, però, alcuni errorini ci sono e dunque te la faccio subito notare:
•    il primo: si augurò di non sognare nulla che possa risvegliare il suo senso di colpa dove al posto di “possa” (riferito al presente) ci va “potesse” (passato). Fai un errore simile qualche pagina più avanti: si era sentito improvvisamente come se avesse la coda di paglia dove sarebbe più corretto scrivere come se avesse avuto la coda di paglia.
•    Non esagerare, sono un prefetto dove “Prefetto” va scritto in maiuscolo.
•    Un utilizzo scorretto di aggettivi e avverbi temporali: la battaglia della scorsa notte, Si rese conto che forse poco fa andrebbero bene in un testo scritto al presente, ma il tuo è scritto al passato remoto e questo implica che “la scorsa notte” diventi “la notte prima” e il “poco fa” diventi “poco prima”, proprio perché le formule da te scelte indicano una vicinanza temporale più immediata con il tempo del racconto.
•    Ho notato un vizio un po’ fastidioso, ovvero l’utilizzo della virgola subito dopo espressioni come “tuttavia”, “ad ogni modo”, “eppure” ed altre congiunzioni e avverbi simili. Di per sé non sarebbe una scelta sbagliata, ma nel tuo testo ho trovato questa costruzione appena dopo un punto, o un punto e virgola, o in generale dopo una pausa molto lunga. Un esempio: quella smistata a Grifondoro ai tempi di Hogwarts non era stata certo lei. Perciò, non rientrava nei suoi obblighi morali. La virgola subito dopo il “perciò” rappresenta una pausa che rallenta la lettura; ma abbiamo già avuto una pausa – anche piuttosto consistente – appena prima di quel “perciò”. In definitiva la presenza di quella virgola rallenta eccessivamente la lettura, mettendo in evidenza più l’avverbio/congiunzione che la frase che segue. All’inizio, in effetti, non ci avevo nemmeno badato, ma a lungo andare la lettura si fa un po’ zoppicante ed è un vero peccato.
A parte queste piccole sottigliezze, la lettura di questa storia è stata molto fluida, nonostante la lunghezza; ho apprezzato molto le tue scelte lessicali, molto semplici, sì, ma mai banali, che danno vita ad uno stile estremamente gradevole e personale. Complimenti!

Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
Partiamo dal presupposto che praticamente stiamo parlando di personaggi originali, eppure, la difficoltà nella caratterizzazione non cessa d’esistere: il rischio è sempre quello di cadere in personaggi piatti o che sono repliche e riproposizioni di altri personaggi.
Va bene, dopo tutta la pappardella iniziale, rilassati e torna a respirare: non è questo il caso. I personaggi sono tridimensionali, vibranti di vita propria, con caratteri e imperfezioni che li rendono pienamente umani.
Partiamo con il dire quanto abbia amato e odiato Marlene: una donna decisa, poco propensa alle smancerie, eppure una mamma perfetta, dolce, premurosa e protettiva (già solo il fatto che sia restia a dire i loro nomi a Gideon, mi dà l’idea di una donna che vuole proteggere quel bozzolo di tenerezza che si crea solo con i suoi figli); eppure l’ho odiata, alcune volte, per il costante trattar male Gideon.
Penso che dal suo punto di vista la loro sia davvero l’incarnazione di una relazione solo sessuale: cede a lui solo quando sono al letto, ma nemmeno, gli tiene sempre testa.
E poi c’è Gideon, il perfetto marpione, dalle conquiste facili e che pure, per una serie di situazioni e anche un’evidente attrazione nei confronti di Marlene, si trova sempre a fronteggiare una donna diversa dalle altre. Ma più di questo, ciò che mi ha colpito di Gideon è la rabbia che ha per tutta la durata del processo: la rabbia per la sua impotenza, per non poter bisbigliare i suoi insulti a Fabian, per tutto. Mi è piaciuto il suo modo scanzonato di fare, invece, nei ricordi: quasi ad ogni incontro con questo personaggio non ho potuto fare a meno di sorridere per i suoi modi di fare. Gli scambi di battute fra lui e Marlene davano sempre vita a dei battibecchi molto vivaci, o a scambi di frecciatine più o meno divertenti a seconda della situazione. I tentativi costanti di Gideon di sdrammatizzare mi hanno sempre colpita moltissimo.
In più, voglio aggiungere due parole sui personaggi di contorno: in primis, Fabian, nel suo sembrare distante e soprattutto nel suo essere estremamente giudicante nei confronti del fratello, e poi i due Mangiamorte, due personalità così diverse e così verosimili all’interno di una storia del genere.
Molto ben riusciti, complimenti.

Inserimento dei prompt:  9,8/10
Non male l’inserimento della stringa di dialogo nella storia; di primo acchito sembrerebbe che la sua presenza si limiti a quello scambio di battute sul campo da Quidditch, ma devo dire che invece quello scambio fa un po’ da sottofondo a tutte le interazione fra Gideon e Marlene, lui che continua a trovarla interessante, una sorpresa continua e lei che continua invece a trovarlo sciocco e presuntuoso. Gli unici momenti in cui la presenza del prompt di fa meno forte sono le parti relative al processo: un po’ inevitabile, probabilmente, ma è giusto per cercare il pelo nell’uovo ;)

Originalità: 10/10
Pienamente originale. Non penso esistano altre storie che affrontano allo stesso modo una relazione extraconiugale, senza sentimentalismi e patetismi, ma con un grado di verosimiglianza molto alto. In più ci sono da aggiungere la presenza di un processo molto ben gestito da parte tua, e la spiegazione della morte dei McKinnon, così approfondita e chiara. Un altro punteggio pieno!

Trama e svolgimento:  10/10
Ottimi entrambi: la trama di per sé non è eccessivamente complessa, ma è sicuramente piena di eventi. Talmente piena che sarebbe stato facile cadere nella confusione; di nuovo, non è successo, perché sei riuscita a tenere benissimo la trama, a condurla in maniera intellegibile e a modo suo lineare: le parti riguardanti il processo si intersecano alla perfezione con le parti riguardanti i ricordi, flashback continui che ci aiutano ad entrare meglio nella trama, nella psicologia dei personaggi, nell’atmosfera di determinate situazioni.

Gradimento personale: 4,9/5
Wow. È tutto quello che avrei da dire, perché la tua storia mi ha tenuta incollata allo schermo nonostante la lunghezza; ma mi rendo conto che non posso permettermi una cosa del genere in quanto giudice e dunque…
La cosa che più mi ha colpito e che mi ha dato qualche momento di “confusione” la prima volta che l’ho letta è il modo in cui gli eventi sembrano trattati con una certa freddezza, con una specie di distacco emotivo; inizialmente ho trovato questa scelta piuttosto strana, anche un po’ destabilizzante e in minima parte mi sembrava che svalutasse la storia. Poi ci ho pensato ed in effetti devo dire che, nonostante la sensazione di distacco emotivo persista, essa è perfettamente in linea con l’idea di un processo: un processo giudiziario non è fatto di emozioni, ma di fatti trattati con logicità e dunque una sorta di freddezza. Persiste in me la sensazione di qualcosa di destabilizzante (ed ecco il perché dello 0,1 in meno ;P), ma è perfetto per la storia che hai deciso di raccontare, dunque, ben venga!
Poi ci sono i personaggi: vivi, tridimensionali, imperfetti, costantemente in lotta con sé stessi e con quello che provano. È una storia d’amore, ma i protagonisti sono i primi a negarlo e io lettrice mi trovo d’accordo con loro: è una storia d’amore inconsueta, dove forse i protagonisti sono troppo testardi per ammettere quel che provano. O meglio: i personaggi non hanno quasi tempo di capirlo, perché la storia finisce prematuramente con la morte di Marlene.
Sei riuscita a gestire la situazione perfettamente, senza mai annoiarmi nemmeno per un momento, perché ero curiosa di andare avanti, curiosa di sapere come sarebbe finita.
Complimenti, sul serio.


Totale: 54,2/55
   
 
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