Fay aveva cominciato a guardare Kurogane quando era certo di non essere visto. Aveva cominciato a guardarlo prima per curiosità, perché aveva capito presto che quell'essere che sembrava così rozzo e primitivo nascondeva - nascondeva molto bene - delle profondità inaspettate.
Poi aveva cominciato a guardarlo con ammirazione. Nonostante facesse di tutto per farlo arrabbiare, affibbiandogli i nomignoli più ridicoli, apprezzava la sua fermezza rocciosa, la sua semplicità intoccabile, la grazia perfetta con cui, in battaglia, era capace di muovere quel suo corpo grande e forte.
A un certo punto l'aveva guardato con rabbia, perché si ostinava caparbiamente a strattonarlo dalla parte del vivere quando lui avrebbe soltanto voluto sprofondare dalla parte della morte.
Infine, quasi senza rendersene conto, aveva cominciato a guardarlo con desiderio. Gli veniva da rabbrividire leggermente quando vedeva sulla nuca i suoi capelli scuri e corti che si rizzavano come il pelo di qualche animale pericoloso, quando la bocca si tendeva leggermente a scoprire i denti in un ghigno mortale, quando le mani grandi e dure si stringevano sulla spada con una forza inattaccabile.  La forza con cui, non riusciva a dimenticarlo, gli aveva tenuti stretti i polsi mentre il suo corpo si trasformava violentemente in quello di un vampiro. Anche se in quel momento urlava e si contorceva dal dolore la sensazione di quella stretta così decisa a trattenerlo non l'aveva più lasciato. Avrebbe voluto sentirle ancora quelle mani, sentirle strette a lui, le avrebbe volute sentire su di lui ancora e ancora. Non se ne sarebbe mai saziato.
Ma lì, nel perenne inverno di Celes, in mezzo ai frammenti congelati e sanguinanti della sua patetica esistenza, gli arrivò come una pugnalata l'idea che questo, come tutti gli altri suoi sogni, sarebbe stato irrealizzabile.
 
Non aveva ancora capito, il mago, che Kurogane all'irrealizzabile non si rassegnava.
Mai.