Rimase lì. Tremante in quell’angolo.
Le mani
stringevano la gola in modo spasmodico. E dire che quando l’aveva visto, non
aveva creduto nemmeno ai suoi occhi. Come poteva essere stata così stupida. Ciò
che stava guardando tuttora sembrava frutto di un incubo.
Era una piccola
casa sulla collina. Tutta colorata e decisamente carina. E sulla porta, ad
aspettarmi, Ester.
Cos’era ciò che
Ester stringeva dietro la schiena?
Strofinai le mie
mani piene di terriccio sugli occhi già lacrimanti. Ero caduta poco prima,
accorgendomi solo in quel momento di avere le ginocchia sbucciate. Però non
riuscivo a collocare il momento in cui mi ero fatta male. Dopotutto avevo fatto
parecchie cadute.
Scossi il capo,
chiudendo gli occhi. Li strofinai non accorgendomi che anche le mani erano
sporche di terriccio, così facendo mi bruciarono ancora di più. Sbuffai,
sbattendo le mani sulla gonna macchiata. Gli occhi lacrimarono un altro po’, poi
rimase solo il ricordo del bruciore. Solo un lieve fastidio che mi rendeva la
vista un po’ appannata.
Ester era a
pochi passi da me quando mi chiamò.
Ester aveva il
suo solito sguardo amorevole. Mi piaceva tanto il suo sorriso, la sua dentatura
bianca e candida come le ali degli angeli.
Il suo viso,
invece, esprimeva sicurezza e tranquillità, elementi fondamentali per farsi
amare dalla gente e lei faceva proprio così. Lei era amata da tutti. I suoi
occhi mi scrutavano sempre, stando attenta a ogni mio movimento, attenta a che
non mi facessi tanto male, ma quello che mi attirava molto era il colore di
quegli occhi. Colore dell’ambra.
Quando mi
spiegava il perché avesse quegli occhi, lei mi raccontava di aver preso quel
colore dalla mamma che non aveva mai conosciuto, così com’era successo a
me.
Quando mi
raccontava quella storia sorridevo sempre, uno dei più bei sorrisi che una
bambina come me potesse costruire.
Ester era come
una mamma per me, poiché anche la mia Mamma se ne era andata
via.
Ester mi
trattava sempre bene ed io, a volte, non lo meritavo per niente.
Ricordo che una
volta l’avevo accusata di aver fatto sparire Pallina, il mio gattino di peluche,
bianco e morbido. Era sparito e io mi ero messa a gridare e a sbattere i piedi
in preda ad un attacco isterico.
A volte Ester
rimaneva fuori di casa per alcuni giorni. Lei stava con il mio papà e da quando
era arrivata lei, la nostra vita era cambiata. Papà era più felice. Io ero più
felice.
Poi un giorno il
mio papà sparì. Ma non perché se ne era andato come aveva fatto la mamma, ma
proprio sparito, nel senso che non si trovò più. Ricordavo che mi aveva salutata
il giorno stesso, dicendomi che mi avrebbe portata a giocare il pomeriggio
stesso.
Ester mi aveva
assicurato che sarebbe ritornato e la mia tristezza svanì, sicura che lei mi
stesse dicendo la verità. Sarebbe stata lei a prendersi cura di
me.
Quel giorno,
quando era sparito il mio papà, Ester si era rinchiusa in camera, non volendomi
vedere per qualche giorno. Diceva che mi stava preparando una sorpresa e che non
dovevo sbirciare, altrimenti sarebbe stata triste. Io
obbedii.
Era arrivato il
momento della sorpresa ed io ero caduta tante volte per raggiungere la mia casa
sulla collina. Stringeva qualcosa dietro la schiena e subito mi comparve il
sorriso.
Cos’era ciò che
Ester stringeva dietro la schiena?
Poi un’idea mi
arrivo. Che fosse stato Pallina che era ritornato?
Corsi
velocemente verso di lei. Ero sicura che si trattava di lui. Era sicuramente
lui. Con le mani protese verso di lei, piene di terra. Volevo riabbracciare il
mio peluche. Dopotutto mi mancava tantissimo. Poi mi soffermai sugli occhi di
Ester pieni d’amore. Infine vidi ciò che Ester aveva
nascosto.
La bambina
giaceva ai suoi piedi. Era morta velocemente, senza darle il tempo di prendere
un sospiro di sollievo. Gli occhi sbarrati, increduli, che guardavano Ester in
piedi. La donna si leccava le labbra e il coltello che gocciolava di quel sangue
innocente, era stretto in modo spasmodico.
La lingua di
Ester assaggiò il sangue, goccia per goccia, mentre il sorriso amorevole era
cambiato.
Ester era stata
cattiva con me. Ester non mi voleva bene. Ester doveva pagare per
questo.
Non so perché lo
aveva fatto, non lo so. Ma sapevo che anche al mio dolce e caro papà era
successa la stessa cosa. Perché Ester lo ha fatto?
Solo dopo poco
tempo presi il coraggio e mi avvicinai a lei. Stava dentro la mia casa, la mia
bella e colorata casa di collina.
Strinsi le
sopracciglia per avere uno sguardo ancora più cattivo e poi la chiamai, la mia
voce mi risultava strana. Eppure io ero sempre così come mi ricordavo. Una
bambina dai capelli biondi, chiusi dentro delle lunghe
trecce.
Quando Ester si
girò e mi vide, vidi il suo volto cambiare. Gli occhi, un tempo dolci, erano
sbarrati in un muto grido di terrore. Eppure non ero così brutta da fare così
paura. Feci qualche altro passi verso di lei, ma lei si allontanò. Volevo solo
chiedere perché lo aveva fatto.
Perché aveva
fatto del male a me e al mio papà?
Si chiuse in un
angolo, tremante e singhiozzante di paura. I miei occhi la guardavano senza
avere cattiveria negli occhi adesso, ma solo una muta domanda.
Perché?
Ester non
riusciva a respirare bene e io mi avvicinai ancora di più a lei. Fu allora che
getto un grido agghiacciante. Fece tremare le mani anche a
me.
Ester era
rimasta lì, con gli occhi sbarrati. Le si era fermato il cuore. Guardava gli
occhi della bambina, anzi di ciò che era rimasto della bambina, che erano il
colore dei suoi occhi. Quegli occhi colore dell’ambra l’avevano
uccisa.
Ester era morta
senza neanche spiegare il motivo e di quella casa sulla collina nessuno seppe
più niente.
La gente aveva
paura.
Dicevano che era
la dimora degli Spiriti.