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Autore: lilly81    17/07/2006    18 recensioni
Ancora il periodo antecedente all’arrivo dei cyborg…
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta, Yamcha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Infine fu l’orgoglio…”

“Infine fu l’orgoglio…”

 

 

 

Questa storia è la terza parte di un ciclo di fanfiction dedicate a Bulma e Vegeta,  ambientate nel periodo antecedente all’arrivo dei cyborg.

Consiglio pertanto di leggere prima “E fu il principio…”, “E poi passione…(nc17)”. Nda

 

 

 

 

 

Il carrello traboccante di cibarie avanzava faticosamente verso l’uscita del supermercato.

La cassiera che registrò il conto avrebbe potuto pensare che fosse destinato a sfamare un intero plotone di soldati o ad allestire una festa con numerosi commensali, se a condurlo non ci fosse stata la stessa ragazza che puntualmente, a giorni alterni, raccattava tutto quanto ci fosse di commestibile dagli scaffali.

Giovane, energica, attraente, scavava a lungo nella borsetta, quasi non avesse avuto fondo, prima di riuscire ad esibire con l’immancabile piglio seccato di chi ha mille altre faccende da sbrigare la propria carta di credito.

Bulma Breif sapeva bene cosa significasse avere sotto lo stesso tetto un uomo che non era come tutti gli altri.

Da un anno che dava alloggio al principe dei saiyan, aveva imparato a fare la spesa e a cucinare come si confà ad una diligente casalinga, malgrado l’insignificante particolare che la persona per la quale si prodigava non le aveva mai rivolto un grazie.

Aprì il bagagliaio della propria auto e scaricò pasta, biscotti, salumi, carni e quanto altro servisse a saziare la voracità del suo insolito ospite.

Quando chiuse vigorosamente il cofano, l’uomo che sonnecchiava nell’auto parcheggiata a tergo della sua si destò di soprassalto.

Stropicciati gli occhi e allargata la bocca in un languido sbadiglio, si sistemò meglio sul sedile pronto a riaddormentarsi, ma l’auto davanti, in retromarcia, lo urtò mandando definitivamente all’aria la gustosa  dormitina.

“E’ questo il modo di parcheggiare?!” scese Bulma dall’auto “mi ha stretta senza lasciarmi possibilità di manovra!”.

“Non ha visto che ero in macchina? Avrebbe potuto bussare e mi sarei spostato!” uscì pure l’altro.

Una reciproca occhiata e Bulma e Iamcha si riconobbero all’istante.

“Sono felice di rivederti…” gli sorrise lei dopo alcuni istanti.

“Lo sono anch’io”.

Era trascorso quasi un anno da quando si erano lasciati, per sempre.

Erano state queste le intenzioni di Bulma quando aveva scoperto l’ennesima leggerezza del fidanzato, non meno imperdonabile di tutte le altre, ma giunta nel momento fatidico in cui le sue attenzioni erano tutte calamitate da un’altra parte.

Pure Iamcha aveva percepito l’incomprensibile fascino che Vegeta aveva preso ad esercitare su di lei, un cancro inguaribile che a poco a poco le stava logorando l’organismo senza che lui potesse fare niente.

L’aveva derisa perché era troppo incapace di credere che qualcuno fosse disposto ad amare il malvagio principe dei saiyan, troppo ferito per accettare che quello che provava Bulma fosse amore e non soltanto una sbandata a cui si era aggrappata per fargli dispetto.

“Non… non ti trovo… molto bene…” commentò Bulma osservando la barba incolta e la camicia a cui mancavano due bottoni.

Lui si raspò la nuca.

“Hai ragione” sorrise “lavoro qui da tre settimane, al supermercato, addetto all’imballaggio…” fece con enfasi beffarda “ho finito un paio d’ore fa il turno di notte”.

“E Pual è a casa?”.

“Ehm…” abbassò gli occhi “diciamo che siamo stati sloggiati una settimana fa dal proprietario, ci stiamo arrangiando qui…” diede dei piccoli colpi sul tettuccio dell’auto “in attesa di trovare qualcosa di disponibile ed economico”

“In macchina?!” sgranò gli occhi “Perché?! Che cosa è successo?”

Ma Iamcha pensò fosse meglio non raccontarle di come era andata a finire con la figlia del suo padrone di casa.

Proprio in quel mentre giunse Pual, che, servizievole come sempre nei suoi riguardi, si era preoccupato di non fargli mancare come spuntino un sostanzioso tramezzino:

“E’ davvero bello rivederti!” fece rivolto alla ragazza.

Era stato l’unico a non accorgersi che il litigio di quasi un anno prima non era stato come tutti gli altri.

Continuava ad essere persuaso che prima o poi Bulma e Iamcha si sarebbero rivisti e sarebbero ritornati insieme come ai vecchi tempi.

“Davvero non vi capisco!” li rimproverò la ragazza “arrangiarsi in un’auto… non potevate andare dal vecchio eremita? Avreste avuto vitto ed alloggio gratis!”

“Ci abbiamo pensato, ma non volevo perdere il lavoro che ho da poco trovato, con i turni di notte riesco a guadagnare bene, e di giorno ho il tempo per allenarmi. L’eremita è troppo lontano”.

Bulma restò assorta per una manciata d’istanti, poi propose:

“Potreste venire a stare a casa mia in attesa di trovare l’appartamento che state cercando…”

“Che bello! E’ un’idea fantastica!” esclamò Pual scorgendo la prospettiva tanto sperata di farli ricongiungere.

Ma Iamcha non fu affatto contagiato dalla sua allegria.

Bulma capì quale fosse l’origine di quell’ombra caduta sul suo volto sfregiato e pertanto disse:

“Vegeta è ancora a casa mia” lo sguardo era fermo e serio “ma un posto per voi due c’è ugualmente. Casa mia la conoscete, quanto a lui… sapete bene come è fatto, se non riceve fastidio, sa stare tranquillo…”

Pual osservava l’amico con trepida attesa:

“Ti prego, accetta…”.

Iamcha meditò a lungo.

Acconsentire significava fare un tuffo indietro nel tempo o forse scoprire una realtà nuova, del tutto inimmaginabile, che non gli sarebbe piaciuta per niente.

Solo Pual sapeva quanto Bulma gli fosse mancata, malgrado quello che era successo.

Non era riuscito a dimenticarla come avrebbe voluto e se alla fine accondiscese fu solo perché sperò che pure lei avesse provato lo stesso.

 

* * *

 

 

 

I pettorali si agitavano ansanti, un rivolo di sudore li percorse con flemma, si trattenne nel solco di una cicatrice, ed infine scivolò sul pavimento sul quale stremato si era lasciato cadere.

Così Vegeta restò a guardare il soffitto del trainer gravitazionale.

L’atmosfera rarefatta era tornata normale.

Il volto era contratto in una maschera di sofferenza, con gli occhi iniettati di sangue e le labbra riarse.

Tossì convulsamente, poi si mise su di un fianco e cercò di rimettersi in piedi.

Il quotidiano allenamento era iniziato alle prime luci dell’alba, al meriggio era ridotto già uno straccio.

Ma era stata una battaglia a dir poco entusiasmante.

Kakaroth ed il giovane venuto dal futuro, pur avendo combattuto valorosamente, giacevano ora in una pozza di sangue.

Lui, il fiero principe dei saiyan, li aveva fronteggiati con ardimentosa abilità, e sebbene ancora alla ricerca di quella potenzialità che faceva brillare di oro i capelli e deflagrare una potenza mai vista, li aveva annientati ugualmente.

Quando aprì lo sportello del trainer, un raggio di sole gli ferì lo sguardo.

Per quell’oggi poteva bastare.

Se avesse continuato ad insistere, i suoi muscoli avrebbero corso il rischio di esplodere tanto erano tumidi e gonfi.

Domani avrebbe ripreso le sue battaglie fisiche e mentali.

Intanto, mentre avanzava alla volta della casa, Bulma, Iamcha e Pual uscivano dall’auto appena parcheggiata nel giardino.

Il giovane terrestre lo vide arrivare da lontano.

Il suo incedere lento e superbo lasciava trasparire una fierezza che abbagliava.

Iamcha pensò di certo fosse ormai prossimo a raggiungere lo stato di super-saiyan.

Non era possibile avere un’aura tanto potente e non aver ottenuto alcuna trasfigurazione.

Bulma, nel tragitto, gli aveva raccontato che il saiyan aveva continuato ad allenarsi duramente, ma che ancora anelava ad eguagliare lo stesso livello di Goku e del misterioso ragazzo venuto nel presente.

A tal punto, se non era riuscito a trasformarsi era solo perché il suo cuore era scellerato ed empio, pensò Iamcha.

Vegeta lo aveva riconosciuto ancor prima di approssimarsi.

Non vedeva più lui né la sua bizzarra ombra da molti mesi: non si aspettava il loro ritorno.

Per questo, la tempia madida di sudore ebbe un impercettibile movimento.

Non che la cosa gli importasse, ma la donna terrestre, una mattina, inviperita più del suo solito, aveva gridato ai quattro venti di aver chiuso una volta per tutte con quell’impenitente dongiovanni.

Queste erano state le sue testuali parole.

“Non preoccuparti, tesoro…” le aveva parlato quella specie di oca che aveva per madre “tanto adesso c’è Vegeta,  è molto più affascinante…”.

Lui le aveva rivolto un’occhiata assassina ed era tornato ad allenarsi.

 

“Hai finito prima del solito?” gli chiese Bulma vedendolo arrivare “perché non ci aiuti a portare la spesa dentro?”.

Per un istante solo posò lo sguardo su di lei, con lo stesso interesse che avrebbe avuto per una mosca che gli aveva ronzato nell’orecchio.

Diede loro le spalle e se ne entrò in casa:

“Tre quarti della roba che ho comprato è per sfamare la voragine che hai al posto dello stomaco! Potresti almeno qualche volta renderti utile!” gli gridò contro.

“Lascia perdere…” mormorò Iamcha che già si era caricato le braccia “ci penso io”.

Lo rividero in cucina, intento a tracannare un’intera bottiglia d’acqua.

Iamcha posò le buste della spesa sul tavolo, Bulma lo raggiunse trascinandosene un’altra dietro, anche Pual cercò di rendersi utile portando il sacchetto più leggero delle verdure.

Vegeta invece restò a guardarli.

Prese respiro asciugandosi la bocca con il dorso della mano.

Bulma aveva già messo le mani sui fianchi:

“Spero tu non abbia intenzione di pranzare ridotto in queste condizioni…” storse il naso “hai bisogno quanto meno di una doccia!”.

Lui le tese uno sguardo carezzevole ed insultante:

“Chissà perché mi piace fare l’esatto opposto di quello che tu mi dici…” addentò una mela caduta sul tavolo e andò a poggiare la schiena contro il muro.

Iamcha ebbe allora l’impressione che tra loro due non fosse cambiato un bel niente.

Così li aveva lasciati, così li ritrovava a quasi un anno di distanza.

“Iamcha e Pual resteranno qui fino a quando non avranno trovato un appartamento in cui sistemarsi. Ci siamo incontrati per caso proprio al supermercato…” gli disse a titolo informativo mentre collocava la spesa in frigo.

Lo sentirono sogghignare:

“Non mi pare che tu ti sia allenato abbastanza in questi mesi” fece rivolto al terrestre “il tuo infimo potenziale non si è mosso di una virgola”

Iamcha digrignò torvo.

Odiava sentirsi inferiore, odiava quel volto insolente.

“Neanche tu sei riuscito a diventare un supersaiyan” osò sbattergli in faccia.

Vegeta tornò ad irrigidire la schiena, gli occhi scintillavano come brace:

“Il momento è più vicino di quanto tu creda” strinse i pugni “e quando questo accadrà… potrete incominciare a tremare tutti!”

“Ehi, ragazzi…” la briosa voce di Bulma fu come lo zucchero messo al posto del sale “preferite  a pranzo pollo con patate o salsiccia e melanzane…?”

 

 

* * *

 

 

Pual si affrettò a chiudere la finestra prima che le gocce di pioggia degradassero a tempesta.

Il giardino esalava già gli odori della terra umida.

Gettò una sbirciata dietro i vetri: la sera ovattava i profili della casa ed i rumori dell’isolato circostante.

Poi chiuse le tende e si voltò a fissare l’amico, sdraiato sul letto con le scarpe ancora ai piedi ed un cuscino sistemato dietro alla schiena.

“Sono contento che siamo ritornati qui” gli disse.

“Non resteremo per molto” fece grave il ragazzo “siamo soltanto ospiti, non dimenticarlo”

“Anche Vegeta lo era, eppure è qui da più di un anno…” osservò con arguzia l’altro.

“Ma per noi è diverso, o almeno lo è per me. Io e Bulma non stiamo più insieme, non possiamo restare qui, questa non è più casa nostra. E poi c’è Vegeta… preferisco dormire sotto i ponti piuttosto che saperlo sotto il mio stesso tetto!”.

Pual non riusciva a capacitarsi di come Bulma avesse accettato la presenza del saiyan per tutto questo tempo.

Iamcha non gli aveva mai raccontato cosa davvero lui e Bulma si dissero, quando quest’ultima gli aveva sentenziato la fine della loro storia.

L’emozione che ella aveva palesato nel parlare di Vegeta lo aveva lacerato più di mille percosse subite nei combattimenti.

Era una cosa così inaudita che non aveva osato farne più parola neanche con la propria coscienza.

Semplicemente aveva bandito quell’immagine come fosse la più blasfema avesse mai visto.

Avrebbe dovuto odiare quella ragazza, ma alla fine si era convinto che non era per colpa di Vegeta che la loro storia si era spezzata in modo definitivo.

L’aveva persa perché non era stato capace di tenersela stretta, perché, per la sua superficialità, lei aveva sentito il bisogno di aggrapparsi ad una fantasia impossibile.

Questo aveva pensato Iamcha in quei lunghi mesi prima di rivederla.

“Perché non provi a riavvicinarti? Non può essere che lei ti abbia veramente dimenticato…” si sentì dire ad un tratto.

Allora si scosse, movendosi a disagio sul letto.

“Non lo so… è soltanto che…”.

Un tocco alla porta:

“Vi disturbo?” fece capolino una frangetta azzurra.

“Sono venuta a darvi la buona notte” si chiuse la porta alle spalle.

In dosso un pigiama di taglio maschile.

Si andò a sedere sul ciglio del letto:

“Sembra una rimpatriata dei vecchi tempi… non vi pare?”

“Ehm… io vado in cucina a bere, mi è venuta una gran sete…” pigolò il piccolo trasformista, togliendo con acutezza il disturbo.

Restarono soli.

Iamcha sembrava fosse più imbarazzato di lei:

“Allora, tra quando inizia il tuo turno?”

Il ragazzo sbirciò l’orologio sul polso:

“Tra un’ora…”

“Ma raccontami…” fece loquace come al solito “che cosa hai fatto tutto questo tempo, hai per caso rivisto gli altri?”.

Gli raccontò allora di aver incontrato solo una volta Olong, alcuni mesi prima, per una commissione che era venuto a fare in città per conto dell’eremita:

“Ma tu guarda… non sapeva fare un salto a trovarmi?”

“Il problema è che da quando qui c’è Vegeta, preferiscono tenersi alla debita distanza”.

Bulma sembrò non risentirsene:

“Dunque devo dedurre che abbia saputo che tra noi due è finita già da un pezzo…”

“Nessuna meraviglia, saperci litigati non è una novità per nessuno, piuttosto dicono che ritorneremo insieme come è sempre successo…” disse, ma se sperava di sortire in lei un effetto rimase molto deluso.

“Chissà Goku come se la passa…” guardò in direzione della finestra, come non ci fossero state le catene montuose a separarli.

“Io sono invece curioso di sapere come te la passi tu…”

“Ehm… dici a me?” ritornò alla realtà della stanza “perché… non mi trovi forse in forma?”

Lui sorrise.

Bulma non aveva perso i vezzi di una volta.

“Intendevo dire se stai bene” la fissò serio come mai era stato “in questi mesi, sono stato in pensiero per te…”

“E perché mai, scusa?” agitò le lunghe ciglia.

O Iamcha non era stato ancora chiaro o lei fingeva di non capire.

“Perdere la testa per il principe dei saiyan non è cosa che capita a tutti…”.

Bulma restò in silenzio.

Questa volta abbassò gli occhi.

Non gli avrebbe permesso di scavarvi dentro.

Iamcha avrebbe voluto essere discreto, ma il dubbio lo logorava più di ogni certezza:

“E’ successo… qualcosa… tra… voi due…?” inquisì con timore.

“Ma che dici!” scattò lei “Vegeta pensa solo ai suoi allenamenti, lo hai forse dimenticato? Così ha fatto quando è arrivato qui e così fa tuttora, per lui sono come un fantasma!”.

Allora il giovane trasse intimamente un respiro di sollievo.

Forse c’era ancora qualche speranza per lui, se Bulma era riuscita a sbarazzarsi di quella malsana infatuazione.

Averla di nuovo accanto gli procurava adesso un ritrovato benessere fisico e mentale.

Iamcha aveva capito quanto quella donna fosse importante soltanto quando l’aveva persa definitivamente.

Lei aveva di nuovo chinato lo sguardo.

Non si avvide che lui la stava fissando, quasi volesse suggellare nella memoria il profilo grazioso del suo volto e poi toccarlo per scoprire che non era soltanto un sogno.

Bulma si sentì delicatamente afferrare il mento ed il volto dell’uomo appressarsi alle sue labbra:

“Ma che cosa stai facendo?” balzò dal letto come fossero spuntati aculei invisibili tra le lenzuola.

Iamcha restò spiazzato per una manciata d’istanti, poi si riprese:

“Scusami… ehm…” si grattò la nuca “non volevo, davvero non so cosa mi abbia preso…”.

“Il fatto ti abbia invitato a restare qui non vuol dir niente” non voleva essere dura, ma la frase sortì il medesimo effetto.

“Hai ragione, ho sbagliato… come sempre” affettò una risata che non la persuase per niente.

“Mi dispiace, ma io non ho cambiato opinione su noi due” parlò in tutta franchezza, appigliandosi al lato più gentile potesse avere in quel momento “se la cosa può esserti di conforto, per me resterai un grande amico, ma niente altro che questo”

“E’ meglio così… allora… ” non sapeva davvero cosa altro dire.

Un groppo era salito ad occludergli la gola.

Infine lei si congedò dopo avergli augurato buon lavoro.

Iamcha sprofondò sul letto comprimendosi la faccia con un cuscino.

 

 

* * *

 

 

Bulma restò immobile sostenuta ad una parete del corridoio.

Non pensava Iamcha potesse avere ancora dell’interesse per lei.

Forse era stato un errore quello di proporgli di venire a stare a casa sua, ma aveva agito soltanto per amicizia, non nutriva per lui altra tenerezza che questa.

Per dirla tutta, non aveva neanche sofferto molto l’epilogo della loro storia.

La rabbia per la sua ennesima infedeltà era durata il tempo di una sfuriata, prima di dissolversi come fumo dissipato dal vento.

Iamcha non era riuscito ancora a capire che ella non aveva affatto dimenticato Vegeta, né aveva soppesato la vera portata dei suoi sentimenti, che non erano come zefiri incostanti, ma ardevano come le fiamme inestinguibili dell’inferno.

Non aveva la più pallida idea di quanto lei avesse sofferto per quel saiyan e per la sua freddezza, di come fosse riuscita a scorgere proprio in questa la sua profondità, fatta di rabbia, orgoglio, solitudine e di un’infinita desolazione.

Di lui amava tutto questo.

Ma forse nessuno l’avrebbe mai capito, nessuno sarebbe mai riuscito a fare altrettanto.

Sospirò scotendo piano la testa.

Si mosse poi in direzione dell’ultima stanza e, sebbene fosse quella occupata da Vegeta, non ci fu esitazione nelle sue gambe.

Il saiyan si stava sfilando la maglia quando lei entrò chiudendosi la porta alle spalle.

“Che cosa vuoi?” non la guardò neanche, piuttosto pensò a rigirare l’indumento.

Lei in risposta avanzò slacciando la casacca del pigiama.

Vegeta lo vide cadere a terra sulla moquette.

Poi alzò lo sguardo per soffermarlo sui suoi seni discinti.

“Cosa c’è? Hai voglia?” sogghignò “pensi forse che io sia il tuo trastullo?”

“Anche se così fosse, alla fine non sembra dispiacerti…” fu ad un palmo dal suo volto.

Lo baciò sul collo facendolo rabbrividire.

La sua voce era già roca quando le disse:

“Prima o poi finirai per farti ammazzare, nessuno si avvicina così incautamente al principe dei saiyan”.

“Nessuno, hai ragione… tranne che me” gli saltò al collo cingendogli i fianchi con le sue gambe.

Lui la resse come fosse stata un fuscello.

Succhiò una sua esile spalla prima di gettarla sul letto, un rogo dove gli piaceva arderla viva come si era abituato a fare ormai da due lunghi mesi.

Tanto era trascorso dalla loro prima volta.

Dopo, era stata lei per prima a volerlo di nuovo.

Lo aveva cercato di sera, quando aveva già concluso i suoi allenamenti.

Dopo il gelo iniziale, Vegeta aveva finito per accoglierla tra le sue lenzuola con un ghigno di compiacimento.

Che male ci sarebbe stato nel praticare del sesso?

Non era forse anche questo un modo di far esultare il corpo e lo spirito?

E poi lei gli piaceva… quando teneva chiusa la bocca e non lo assillava.

Gli piaceva sentirla palpitare contro e procurarle quel godimento che faceva urlare.

Si sistemò tra le sue gambe stringendole i polsi contro il cuscino.

“Mi stai facendo male…” sibilò Bulma sentendosi frantumare le braccia.

Allora lui lasciò la presa.

Più volte doveva ricordare che era solo una debole femmina quella che giaceva sotto di lui.

Così lei fu libera di far scivolare le mani sulla linea felina della sua schiena, che sinuosa aveva incominciato a flettersi contro di lei.

Lo desiderava da impazzire.

Solo in quei momenti il principe dei saiyan gli apparteneva.

Altro non le rimaneva.

E per questo, quello che poteva, veniva a prenderselo comunque.

Vegeta emise un gemito strozzato, poco dopo che ella gli ebbe gridato nell’orecchio il proprio appagamento, poi si accasciò su di lei e vi restò qualche minuto.

Bulma gli passò una mano tra i capelli.

Che avrebbe dato per tenerlo così una notte intera, se solo lui non avesse detto quello che ripeteva ogni volta.

Allorché ebbe recuperato il proprio autocontrollo, si spostò da lei e le rivolse la schiena:

“Prenditi la tua roba e vattene via”.

Come una prostituta la trattava alla fine.

Già sentiva incombere sulle spalle un suo sopracciglio infuriato.

“Spero che tu muoia durante il sonno!” ed indossato il pigiama all’incontrario, di fretta e in furia, la sentì lasciare la stanza.

 

 

* * *

 

 

Iamcha era assorto a scorrere gli annunci sulla pagina degli affitti.

Seduto intorno al tavolo del soggiorno, l’inseparabile amico lo osservava con occhio critico.

“Siamo qui soltanto da una settimana, perché hai tanta fretta di scappare?”

“Non sto scappando, ma dobbiamo darci da fare, non capisci?”

“D’accordo… ma Bulma non ci caccerà di certo se aspettiamo di trovare l’occasione giusta”.

Ma a lui non andava più di aspettare.

Non perché l’ospitalità non fosse stata la stessa del passato.

Quanto a cortesia la famiglia Breif aveva molto da insegnare, se aveva scelto di dare un alloggio finanche al principe dei saiyan.

Solo che lui non si sentiva più a casa come una volta, soprattutto da quando Bulma gli aveva fatto capire di non avere più speranze.

Non capiva però quale fosse il problema, considerato che l’ultima sua marachella fatta da fidanzato gli era stata perdonata già da un pezzo, altrimenti Bulma non lo avrebbe neanche guardato in faccia quando gli aveva urtato l’auto e scoperto chi fosse il conducente.

Ora, era inconcepibile che stesse perdendo ancora il suo tempo dietro a Vegeta.

Cosa poi trovasse in quell’individuo era per lui un imperscrutabile mistero.

Vegeta era preso soltanto dai suoi allenamenti e dalla smania di assoluto, intorno a lui altro non esisteva che un abitacolo fatto di lamiere di ferro.

Con i suoi occhi vigili aveva appurato come non la degnasse di alcun interesse.

Era solo una gelida macchina da combattimento e niente altro.

Bulma non poteva sperarci un bel niente eppure, malgrado ne fosse pienamente cosciente, lo aveva respinto lo stesso.

Pual gli aveva suggerito di provare a riconquistarla, ma era certo non servisse a nulla sfoderare il fascino che usava con tutte le altre.

Troppo volitivo era stato il suo piglio quando gli aveva detto che ormai niente altro era se non un amico… importante, ma pur sempre un amico.

“Ehilà…” si avvicinò Bulma appena uscita dal suo studio “trovato niente?”

“I prezzi sono molto cari, ma forse siamo vicini, un paio di occasioni sono trattabili” chiosò Iamcha alzando finalmente la testa dal giornale.

“Non preoccupatevi, fate con comodo” gli poggiò una mano sulla spalla “qui non siete certo di disturbo”.

Chiese loro se gli andava qualcosa da bere ed optarono entrambi per un frullato al cioccolato.

Bulma allora si diresse in cucina a prepararlo.

Iamcha tornò a scartabellare gli annunci quando sulla soglia della stanza comparve il principe dei saiyan.

La divisa da combattimento gli aderiva come una seconda pelle, il sudore gli imperlava l’ampia fronte.

Lo vide guardarsi intorno:

“Dov’è Bulma?” il tono fu spiccio ed autoritario come sempre.

Era la prima volta che lo sentiva chiamarla per nome.

Lei era sempre stata soltanto “donna”.

Provò un indefinibile fastidio, che non riuscì a nascondere:

“Perché? Che cosa vuoi da lei?”

Pual sussultò a quella domanda.

Osservò con timore il saiyan che intanto si era fatto più vicino:

“E a te cosa importa?” lo guardò tagliente.

La camera gravitazionale necessitava dell’intervento della scienziata.

Perso il controllo del proprio organismo, alcuni fusibili del computer principale erano saltati facendo scendere il livello gravitazionale tutto d’un colpo.

La camera doveva essere potenziata perché era la seconda volta che questo accadeva nel giro di pochi giorni.

“Ehm… è andata in cucina…” si affrettò a dire l’animaletto per riparare all’audacia del compagno.

Bulma intanto sistemò i bicchieri su di un vassoio, guarnendoli con due ombrellini di carta colorata e cialde ripiene di panna montata.

Quasi colmi fino all’orlo, procedette con cautela in direzione del soggiorno.

Era sul punto di varcare la porta quando qualcun altro, irreparabilmente, sbucò di fretta e le fu addosso.

Iamcha e Pual accorsero al rumore del vetro infranto.

L’acciaio del vassoio produsse sull’impiantito un pesante rumore metallico.

La scena che si prospettò ai loro occhi era degna di un memoriale: Vegeta aveva i pantaloni cosparsi di frullato al cioccolato.

“Dannazione, donna… sei una inetta buona a nulla!” l’apostrofò vedendo come era stato ridotto.

“Fino a prova contraria, sei tu che mi sei venuto contro!” sbottò pure lei innanzi al disastro che effondeva un odore invitante di zucchero e vaniglia.

“Che pasticcio…” commentò Pual rimasto inerte.

Alla fine Bulma scoppiò a ridere:

“Ricoperto di cioccolato sei…” cercò di trovare la parola più giusta “veramente molto dolce…”.

Vegeta mostrò le zanne, poi con risolutezza si sfilò i pantaloni.

“Non vorrai spogliarti qui davanti” intervenne Iamcha “non le conosci le buone maniere, non vedi che c’è una donna?”

“Resta qui” pensò invece a dire Bulma “vado a prenderti qualcosa di pulito…”

“Io cerco qualcosa per lavare…” pensò di rendersi utile Pual.

Vegeta e Iamcha restarono soli.

I pantaloni furono gettati a terra: due gambe massicce e scalpellate erano ricoperti da un boxer nero molto aderente.

Iamcha lo sentì sogghignare:

“Cosa c’è? Ti scandalizzi solo perché mi spoglio davanti a lei?”.

Il terrestre lo vide leccarsi le dita sporche di cioccolato:

“Penso solo che non dovresti prenderti troppa confidenza”.

Questa volta Vegeta rise di gusto:

“Ed io credo che tu sia soltanto un ingenuo…”

“Che cosa vorresti dire?” si irrigidì l’altro.

“Non pensi che di confidenza me ne prenda già abbastanza quando lei si infila nel mio letto?”.

Iamcha sbarrò gli occhi, uno spasmo gli fece contorcere le viscere.

“Stai mentendo…” spiccicò annichilito.

Vegeta osservò la sua reazione ed allora volle divertirsi:

“Perché…. non te lo ha detto?” gli porse uno sguardo maligno  “non c’è un angolo del suo corpo che non abbia visto e saggiato, ci ho fatto i miei sporchi comodi non una… ma molte volte, credo ormai di aver perso il conto di quante volte mi sia infilato tra le sue gambe…”.

Mentre lui parlava, Iamcha sentiva inabissarsi.

“E’ una donna insopportabile” seguitò il saiyan col piglio esaltato “ma quando gode è uno spettacolo, è un vero peccato che tu non te ne sia approfittato quando potevi…”.

Fu quella la conferma di tutto.

Bulma gli aveva mentito.

E lui si era fidato come un imbecille.

Strinse i pugni e le unghie si conficcarono nella carne.

Davanti a lui c’era il principe dei saiyan: non gli restò che girare i tacchi e andare a sfogare altrove la collera.

 

 

* * *

 

 

Sulla schermata del computer scorrevano incomprensibili elenchi di cifre.

Le agili dita della scienziata ticchettavano rapidamente sulla tastiera, poi si fermarono e si mossero a riempire un bicchiere d’acqua.

Centellinò osservando il lavoro fino a quel momento svolto.

La frangetta cadeva sulla fronte insolitamente pallida quel giorno.

Allungando le braccia in un languido sbadiglio, meditò se fosse il caso di prendersi un po’ di riposo.

Una passeggiata le avrebbe fatto bene, magari avrebbe potuto scortare Pual e Iamcha alla ricerca di un appartamento vivibile.

In realtà non aveva visto più quest’ultimo dal giorno prima.

Tra il turno di notte e gli allenamenti di giorno, conduceva una vita davvero stressante, pensò lei trangugiando l’ultimo sorso.

Un tonfo sulla soglia e Bulma scorse proprio ai piedi di quest’ultimo un bagaglio:

“Noi ce ne andiamo…” l’espressione fu fredda ed incolore.

“Avete trovato casa?”

“No, ma ce ne andiamo lo stesso”.

Bulma allora l’osservò meglio.

Vide che l’ombra che gli oscurava il volto era stata gettata per celarvi dietro qualcosa di più grave.

“Che cosa è successo?”

“Mi hai mentito” le disse senza mezzi termini.

Non se ne sarebbe andato senza averglielo rinfacciato.

“Ma di cosa parli?”

“Non hai avuto il coraggio di dirmi che andavi a letto con Vegeta!” le scudisciò quelle parole diritto in faccia.

Lei si sentì spezzare in due:

“Come… lo hai saputo?”

“Me lo hai detto lui, per farsi beffa di me!” la collera era ritornata a fargli fremere il corpo.

Bulma lo trovò più distrutto di quando gli aveva intimato di andarsene l’ultima volta, ma non gli avrebbe permesso di giudicarla in modo riprovevole.

“Io e te non stavamo più insieme, non devo dar conto a nessuno di quello che ho fatto”

“Ciò non toglie che mi hai mentito!”.

Lei scosse il capo con amarezza e alla fine non le restò che ammorbidire lo sguardo:

“Mi dispiace, ma era una cosa così intima e personale e poi… siamo stati insieme per tanto tempo, non volevo… ferirti”

“Ci ha pensato quel bastardo ad umiliarmi!”.

Gliene avrebbe cantate altre quattro se non l’avesse vista sbiancare all’improvviso e correre a rigurgitare tutto quello che teneva nello stomaco nel cestino della carta.

Iamcha si mosse per aiutarla ma lei con un braccio gli fece cenno di non avvicinarsi.

Un rivolo di saliva le scese ai lati della bocca, sputò e alla fine si asciugò con un fazzoletto.

Restò lì a terra, poggiando la testa al muro:

“Adesso sai anche questo…” mormorò piano con gli occhi chiusi.

Iamcha era sconvolto:

“Da quanto… tempo?”

“Me ne sono accorta solo da qualche giorno” il test di gravidanza aveva preso quella tinta che cambia la vita in un secondo.

“E lui lo sa?”

Bulma non parlò, ma poteva immaginare che nella risposta non ci fosse nulla di buono.

Vegeta non aveva mosso un muscolo del viso, non un’arteria aveva pulsato più in fretta quando lei gli aveva dato la notizia il pomeriggio precedente, dopo aver riparato il guasto per cui lui era andata a cercarla con tanta fretta.

Il saiyan non aveva trovato nulla di cui stupirsi, si aspettava che prima o poi sarebbe successo.

Non era possibile rotolarsi insieme nello stesso letto per tante sere e credere di non aver piantato nulla dentro di lei.

Anch’ella ne era consapevole allorquando, in uno dei primi incontri, già avvolti negli intrighi dell’ebbrezza, era riuscita a fargli presente che non si stavano servendo di alcuna precauzione.

“E se nascesse un figlio…” aveva sussurrato languidamente, inarcandosi contro di lui.

Il saiyan era risalito a suggerle una mammella:

“Non saprei che farmene”

“E se io ti dicessi che mi piacerebbe averlo…” singhiozzò quando lui usò i denti.

“Sono affari tuoi, a me non interessa”.

Per lungo tempo Iamcha non riuscì a dire niente.

Lei portava in grembo un figlio di Vegeta.

Pensò soltanto che quel fardello sarebbe stato troppo grande per chiunque.

Non sapeva ora se provare pietà o risentimento.

Si accorse che sui polsi sottili di lei erano impressi i segni di una stretta troppo energica: un cordone violaceo, con nervature sanguinolenti.

Altre lividure, più o meno recenti, deturpavano il candore delle sue braccia:

“E’ soltanto un animale, non vedi come ti ha ridotta?” fece gravemente.

Ma lei sorrise:

“Non è come sembra, suppongo anche a Chichi sia capitato lo stesso”.

Lui non ci trovò niente di divertente:

“Ti rendi conto in cosa ti sei cacciata?” il tono fu quello di un rimprovero “pensavi sarebbe stato solo un divertimento? Non hai pensato alle conseguenze?”

“Non provare a parlarmi così! Tu non sai un bel niente!”

Iamcha allora smise di infierire.

Davvero non sapeva nulla e altro non gli interessava più sapere.

Eppure riuscì lo stesso a chiederle:

“Come la metterai adesso?”.

Bulma lo guardò negli occhi, uno strano sorriso le aveva increspato un lato della bocca:

“Credi che mi stia piangendo addosso? Che d’ora in poi sarò una donna afflitta?”

Lui non voleva capire dove volesse arrivare:

“Ti dico che non sono mai stata così felice come adesso…” brillò una luce nell’azzurro dei suoi occhi.

L’uomo l’osservò come stesse delirando.

Cosa poteva esserci di felice in tutto questo?

Nel mettere al mondo un figlio che aveva per padre una carogna?

“Questo bambino è l’unica cosa che Vegeta avrebbe potuto darmi, è l’unica cosa che ci legherà indissolubilmente, ho sperato con tutta me stessa che nascesse… io sono orgogliosa di portare dentro di me suo figlio!” poi si alzò e gli prese il volto tra le mani, quasi volesse trasmettergli quello che sentiva dentro “perché ti sembra così assurdo? Io lo amo perché sono andata oltre quello che voi vedete, nella sua rabbia ho visto soltanto una tristezza infinita…”.

Iamcha le diede le spalle.

Nei suoi occhi tanta frustrazione.

Vegeta era riuscito laddove lui aveva miseramente fallito… farla innamorare veramente.

Avanzò con flemma verso la porta ed afferrò il bagaglio.

Lottò contro sé stesso, ma alla fine tornò ugualmente a voltarsi:

“Se hai bisogno di me, non esitare a chiamarmi…” le disse e poi andò via.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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