Alien in the World
Camminava quella ragazza mentre i suoi anfibi neri e lucidi producevano il
solito rumore della gomma sul pavimento.
Camminava piano godendosi quello scricchiolare lento e regolare. Le pareti
bianche del medesimo colore delle piastrelle incastrate a terra, rendevano quel
sotterraneo - unica fonte di salvezza - simile ad un vecchio reparto di
ospedale dimenticato.
E brontolava la donna, non più ragazza, nell'accorgersi che quel corridoio
proseguiva oltre l'angolo appena svoltato. Pain non le assegnava mai missioni
così subdole come recarsi da uno sconosciuto per recuperare la composizione
utile ad ucciderli. Quei mostri.
"Konan, devi recarti nel sotterraneo nell'ala ovest per recuperare ciò
che sai."
le aveva detto il capo, altro superstite assieme a quattro o cinque altri
candidati.
Lei aveva solamente asserito con un cenno del capo, premurandosi di afferrare
il cappotto scuro e allacciarlo stretto in vita, prestando attenzione al
missile.
La realtà era ben altra : loro erano solo delle cavie, delle cavie umane per
gli esseri non umani. Lei e Pain erano solo due accessori che tentavano
inutilmente di ribellarsi alla conquista di quegli esseri muta forma ed
ingannevoli.
Per questo era lì, in quel corridoio bianco, per prendere la sostanza usata nei
missili, armi in grado di allontanarli per alcuni secondi.
Permettendo ai topi di fuggire.
"Puzza" aveva asserito tutto ad un tratto Konan, spostando le ciocche
blu nel cappuccio. Quel posto aveva un odore terribile, di morte. Ma del resto
tutto intorno a lei era morto, forse anche lei; tutto era spento a parte quelle
luci accecanti provenienti dai loro strambi aggeggi di fabbricazione aliena.
Il mondo era invaso.
"Allora
come possiamo sopravvivere,se siamo circondati?"
gli aveva chiesto quando tutto era iniziato.
"Finché avrò la forza di resistere io lo farò e tu mi seguirai!"
gli aveva ordinato in risposta il compagno.
Più ci pensava e più la rabbia le bruciava dentro.
Poi l'aveva scorta, la cabina.
L'ultimo rumore degli anfibi e si era fermata proprio davanti alla
fredda ed angusta maniglia del portellone. Era quella l'unica cosa che forse
sforava tra il bianco candeggiante poiché nera come la morte, come la fine.
Konan si era voltata in cerca di qualcuno o qualcosa per vedere se vi era una
spia.
Era come sentirsi sempre in trappola, perennemente accerchiati dai quei mostri
per metà uomini e metà alieni. Ecco il termine esatto. La Terra, così come
tutto il mondo, era invasa dalle creature che per decenni gli uomini stessi
avevano cercato di scorgere nei cieli, avvistando i loro strani ed
ultra-tecnologici mezzi di trasporto.
Fortunatamente non vi era nessuno, poteva agire in totale libertà.
Questa era la prima volta che si apprestava a compiere una missione così banale,
semplice per lei che era abituata a rischiare la vita anche quanto respirava.
Tuttavia se c'era una cosa che aveva imparato in tutto quel tempo, era di stare
molto attenta anche di fronte alle cose più facili poiché riservano sempre
sorprese.
Infatti una volta aperto l'ingresso della cabina aveva seriamente lasciato
sfuggire la mano alla cintura, ove era agganciata la pistola laser ed aveva
indietreggiato per difendersi.
Impossibile.
Tutti quegli uomini che aveva scorto nell'ampia stanza non erano poi molto
diversi da quei mostri che attanagliavano la libertà dei pochi superstiti alla
distruzione.
Anche quelli erano per metà uomini e metà 'non sapeva definire bene cosa’.
"Desidera?" le aveva domandato uno di loro, già uno, visto che ve ne
erano almeno altri mille simili. Konan era rimasta sull'uscio della porta, con
la mano sull'arma ed il cappotto nero inevitabilmente alzato sul fianco. Si era
udito qualche rumore degli anfibi, ma non era quello l'importante.
"Mi manda Pain" aveva detto allentando la presa sull'oggetto
utilizzato per difendersi; nel frattempo quegli esseri erano diminuiti man mano
che il tempo passava, rendendosi sempre più simili agli invasori.
Konan però era sicura di non aver sbagliato, perché aveva seguito le
indicazioni di Pain e l'uomo non mentiva mai, l'avrebbe certamente avvertita e
poi, dopo tutto ciò che aveva visto e subito non doveva certo meravigliarsi al
cospetto di qualche stranezza.
"Oh, capisco" aveva continuato quell'essere riducendosi ad uno solo,
per poi continuare "Non sono uno di loro, sono solo reduce di un
esperimento". In quel modo voleva convincere Konan ad entrare, ma lei si
era già apprestata ad avvicinarsi, seppur cautamente, a causa della
predisposizione delle donne a fidarsi.
Il tempo aveva cambiato il suo carattere, scalfendolo come una pietra, ma le
aveva insegnato a distinguere il bene dal male.
"Non importa, sono qui per i laser" aveva sussurrato la donna, mentre
quell'essere si spostava verso un mobile probabilmente di ferro, aprendo un
cassetto. Solo allora lo aveva notato, quel lato bianco contrapposto a quello
nero: tutto il suo corpo era diviso dai due diversi colori.
"Sono Zetsu" l'aveva informata, rivelando il suo nome.
"Konan"
Nessuna informazione in più, non si poteva giocare col fuoco, non era permesso
rivelare altre informazioni. Molti uomini e donne erano morti per questo. Anche
il nome era un fardello pesante da rivelare.
Poco dopo la donna aveva preso la composizione utile a creare il laser fatale
per quei mostri dalle mani di Zetsu, accorgendosi di quanto fossero fredde e
piene di tagli e screpolature.
"Ti ringrazio" aveva commentato in risposta lei.
Si era girata, infine, per uscire da quella cabina così strana ma tranquilla
senza voltarsi indietro, ripensando ancora al colore elettrico e particolarmente
intrigante dei capelli di quello sconosciuto: verde. Non le era mai capitato di
scorgere una figura tanto particolare quanto allo stesso modo indecifrabile.
Chissà di quale esperimento era reduce, per essere divenuto a quel modo.
Aveva chiuso il portellone della cabina con la stessa calma, apparente, con cui
l'aveva aperto ed aveva percorso a ritroso la stessa direzione di prima non
prestando attenzione a possibili spie in giro. L'incontro con quell'uomo
l'aveva piacevolmente sorpresa, anche senza aver avuto un dialogo con lui. Era
spaventata ed affascinata da Zetsu.
Una volta tornata nei pressi del rifugio, all'interno dell'ascensore, persino
le luci le ricordavano le fattezze inverosimili di quell'essere così
misterioso.
Di certo lo avrebbe rivisto, sempre e solo se fosse sopravvissuta.
Una parte di lei era ansiosa di provare a capire qualcosa attraverso i suoi
occhi vitrei ed addolorati.
Infondo il mondo era invaso e tutto poteva ancora succedere.