Sul
pianeta Vegeta Parte III
Come un animale in gabbia si aggirava nella sua cella, come una madre
disperata si domandava cosa ne fosse stato di suo figlio…il suo povero
figlio…che non era più un bambino ma ancora troppo giovane per essere definito
uomo.
“Se gli è accaduto qualcosa, non te lo perdonerò mai
Vegeta…” mormorò a denti stretti, gettando un’occhiata alla piccola che dormiva
nel suo giaciglio di vimini.
Si voltò, sentendo dei passi sopraggiungere dal
corridoio esterno. La cadenza mordente era quella inconfondibile di un
guerriero. Ne aveva sentiti tanti nel suo periodo di prigionia, ma questa volta
i passi si fermarono proprio dietro la sua porta e attesero qualche istante
prima di…spalancarla.
La donna restò pietrificata all’apparizione
dell’uomo, poi un ampio sorriso dopo tanto tempo sulle sue labbra rifiorì:
“Oh…Goku!” gridò gettandosi contro di lui, lasciando
l’uomo allibito per una manciata di secondi.
“Contento dell’accoglimento…” fece l’altro
staccandola da sé e chiudendo con un calcio la porta “…ma il mio nome non è
Goku…mi chiamo Kaarot…”.
Ma Bulma non aveva intenzione di stare al suo gioco,
perciò:
“Smettila di prendermi in giro, ne ho avuti fin
troppi di colpi simili!” e continuava a sorridergli entusiasta e radiosa.
Nonostante ciò non tardò ad accorgersi che non
c’erano nei suoi occhi la cordialità, la lealtà, e l’ingenuità che sempre vi
aveva letto.
Non capiva perché lui la stesse fissando con tanto
distacco ed avesse preso a scrutarla dalla testa ai piedi come se mai l’avesse
vista prima d’ora.
Possibile che fosse solo un…
Il sorriso scomparve comprendendo che questa volta
alcun aiuto da lui avrebbe ricevuto:
“Sei…sei…un…clone…” gli disse indietreggiando,
quando fu arrivata alla sconcertante verità.
“Clone o no…che effetto ti fa rivedere il tuo
maritino?” domandò beffardo.
Bulma non afferrò subito ciò che di terribile era
insito nella sua domanda, come amaramente avrebbe rimpianto di aver alterato la
verità detta alla vecchia.
“Fava mi ha raccontato tutto…di ciò che tu hai
accennato alla vita che tu ed un altro me stesso conducevate sulla Terra”.
Non era ancora in grado di capire come la menzogna
le stesse tornando ironicamente contro e perché lui fosse giunto lì, prima di
vederlo sedersi sul ciglio del letto e prendere con comodo a togliersi gli
stivali e l’armatura:
“Ma cosa…cosa…stai facendo?”.
“Mi sto preparando a scoparti…”.
“E’… meglio che tu vada via. Non sai…come veramente
sono andate le cose…” pronunciò tremante nel tentativo di riparare il suo fallo
e fermare le intenzioni ormai intuite dell’uomo.
“Ma so come vanno altre…non sei meno puttana di
tutte le altre solo perché non hai la coda. Non mi dire che per tutto questo
tempo di prigionia non hai avuto voglia di un po’ di compagnia…”.
Bulma inghiottì l’offesa come un medicinale amaro
che doverosamente va preso, badando di più a trovare una via di scampo: la
porta era vicina, ma non poteva fuggire senza aver preso la bambina.
“Allora? Non ti fa piacere che proprio una persona
conosciuta ti sia venuta a far visita?” domandò mostrandosi irriverentemente in
tutta la sua nudità.
Lei distolse lo sguardo, infastidita ed importunata:
“Sei…disgustoso! Vattene o incomincerò a gridare!”.
“Ormai questo piano del Palazzo è vuoto…sarebbe
fiato sprecato”.
“Lasciami andare!” gli intimò quando si sentì
afferrare il polso.
“Non sono mai stato con una femmina senza la coda,
sono curioso di sapere cosa nascondi sotto quei vestiti…” e tentò ancora di
fuggire dallo sguardo maniaco con cui già la spogliava.
“Io non voglio! Vattene, maiale!” si divincolò.
Un ceffone violento, assestatole sulla guancia e
feritole parte del labbro superiore, le oscurò la vista alcuni istanti. Non
vide neanche la mano di lui propendersi verso il suo collo e strapparle la
tunica preparatale da Fava.
Quando aprì gli occhi vide solo quelli di lui che
fissavano inebriati la nudità dei suoi seni:
“La cosa si fa più interessante di quanto mi fosse parso all’inizio…”
commentò l’uomo “sarei dovuto venire qui quando Fava mi parlò di te. Non ho mai
visto tanta bellezza in una femmina, peccato che tu sia l’unico esemplare
ancora esistente…”.
Ma Bulma aveva preso a versare lacrime e la sonorità
dello schiaffo che ancora sentiva sulla pelle le impedì di comprendere le
ultime parole.
Con le mani sul viso, tentava di nascondere i seni
tra le sue stesse braccia, mentre ancora le mutandine preservavano l’intimità
racchiusa:
“Perché?…” domandava solamente.
“Perché agli ordini non si viene mai meno,
soprattutto quando sono così graditi…”.
“Ordini?” chiese sconvolta “…da chi?”.
Ma Kaarot era già troppo eccitato per perdersi in
prolisse spiegazioni.
“Non fare tante storie, sgualdrina…le tue lacrime
non mi impietosiscono, possono accrescere sola la mia rabbia se non la fai
finita”.
Bulma lo supplicò ancora di lasciarla stare, ma:
“Cosa ti fa paura? Avendomi già conosciuto, dovresti
aver sperimentato a lungo quali fantasie un saiyan può avere a letto…” le
disse, insinuandole terrore puro all’idea di cosa l’avrebbe attesa.
Urlò più forte quando fu gettata sul letto e lui le
fu sopra.
Inutile fu tentare di graffiarlo giacché aveva
limato tutte le unghie quando Bra era venuta alla luce, perché non lacerasse la
sua tenera pelle al momento del cambio.
La coda di lui le si attorcigliò intorno ai fianchi:
fu la sensazione di un animale repellente e peloso che le strisciava addosso.
L’afferrò convinta di averlo colpito nel suo punto debole quando lui si
arrestò:
“Cosa pensi di fare?” rise lui malvagio
“toccandomela mi ecciti solo di più…” e la baciò sul collo con rinnovato
vigore, mentre con una mano indugiava con pesanti carezze sul suo seno.
Bulma piangeva convulsamente e alle sue grida anche
la piccola Bra fu destata dal sonno nella sua culletta di vimini.
Le percorse il solco dei seni con la punta della
lingua, lì dove per strapparle la tunica le aveva lasciato l’impronta vivida di
cinque dita.
Lei non riusciva ancora a credere che tutto questo
stesse capitando proprio a lei, che quell’oltraggio le venisse compiuto da
quelle mani che sempre le avevano dato aiuto e con quegli occhi che solo
sguardi di ingenuità e lealtà le avevano offerto.
Avrebbe voluto morire…svenire per non ricordare più
nulla al risveglio…le forze le venivano poco a poco meno…e lui intanto
continuava a leccarle il petto…
“Vegeta…” mormorò solamente, come se il suo nome
fosse uno scoglio cui aggrapparsi, un porto sicuro dove trovare l’ultimo
istante di pace.
“Vegeta, hai detto?” si fermò lui “ti scopavi anche
il principe, puttana?” le accarezzò la tempia “mi piaci ancora di più…è giusto
che i saiyan dividano le loro donne…”.
Ormai la sua mano aveva afferrato l’elastico delle
mutandine, un piccolo strappo ed anche l’ultimo baluardo sarebbe stato
diroccato.
Qualcuno avanzò furtivo nei corridoi del Primo
Ordine. Si era gettato sul capo un mantello scuro e si muoveva con
circospezione per non essere veduto. Trovò via libera fino ai corridoi del
Terzo, dove fu costretto a nascondersi da uno degli ultimi gruppi di uomini
rimasti ancora su Aval.
La tensione del volto si smorzò quando raggiunse
l’ultimo livello del Palazzo. Fu quasi attraversato da un sorriso, prima di
sentire un urlo provenire da dietro la porta dinanzi alla quale si era
arrestato.
Sfondata la porta senza difficoltà, fatta irruzione
nella stanza, incontrò lo sguardo di un sorpreso ed imbarazzato Kaarot:
“Principe…” riuscì solo a tartagliare, liberando la
donna dal peso che le gravava addosso.
Ugualmente sorpresa, nelle condizioni in cui era
ridotta le sue labbra sanguinanti tremarono senza emettere suono.
Vegeta osservò l’eccitazione dell’uomo,
automaticamente spostò gli occhi sulle mutandine ancora integre di lei: non era
ancora stata violata.
“Togliti subito da quel letto” intimò all’uomo “non
dovevi osare entrare qui…”.
Il guerriero cercò qualcosa di opportuno da dire,
non capiva perché il principe fosse alterato dando per scontato che fosse a
conoscenza di quanto Napa gli avesse proposto. Forse voleva semplicemente che
quella donna venisse trattata con più riguardo:
“Non facevo nulla di male…” sorrise per scaricare la
tensione “l’ho dovuta battere perché lei si rifiutava…volevo solo divertirmi un
po’…infondo è una puttana qualunque…”.
Bulma scoppiò in lacrime, non potendo sopportare
altre offese e vergognandosi che proprio Vegeta la vedesse ridotta in
condizioni tanto umilianti. Afferrò un lembo del lenzuolo per coprire la nudità
oltraggiata dei suoi seni, portando le ginocchia verso di essi e piangendovi
contro.
“Tu aggiungi pure dell’altro…” scandì con lentezza
Vegeta “…e non avrai più un angolo dell’universo dove nasconderti…”.
“Ma io non capisco…” frignò l’altro coprendosi e
mettendosi in piedi.
“Ho sempre detto che la sua vera potenza nasceva
dall’essere cresciuto sulla Terra, ma tu, di Kaarot non sei altro che un
inutile clone!”.
Un balenio esplose dalla sua mano, sibilò nell’aria,
sconquassò il torace del guerriero, sospingendolo contro il muro e lasciandolo
cadere oltre.
Bulma sussultò, urlando e stringendosi più stretta
alle gambe. Il silenzio che seguì, enfatizzò il tremore di cui era in preda il
suo essere.
Vegeta si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno:
“Dov’è Trunks?” le chiese senza avvicinarsi.
Lei gli spiegò tra i singhiozzi che era stato
portato via da Napa e alla fine lo sentì precipitarsi fuori.
* * *
Non era certa quanti minuti fossero trascorsi dacché
Vegeta aveva lasciato la stanza. Aleggiava ancora un odore di bruciato e dalla
breccia nel muro continuava a sollevarsi una coltre di fumo e polvere.
Era riuscita a trascinarsi giù dal letto, ad
indossare una vestaglia e a riaddormentare Bra, agitando piano la cesta. Si era
gettata dell’acqua fredda sullo zigomo sinistro nel tentativo di attenuare il
gonfiore ed aveva tamponato con un fazzoletto inumidito il coagulo di sangue che
si era formato sul labbro.
Quando Vegeta ritornò la trovò seduta sul letto, con
lo sguardo basso ed il viso stancamente esangue. Gli parve una bambina indifesa
che non alzò gli occhi a guardarlo, che non riuscì ad aprire neanche la bocca
quando lui le disse che Trunks stava bene e che la vasca di rianimazione in cui
lo aveva posto lo avrebbe fatto riprendere entro breve.
Un miscuglio di sentimenti annebbiati e confusi era
il cuore di lei: Vegeta l’aveva salvata…aveva soccorso suo figlio ed ora era
lì…ad aspettare che lei dicesse qualcosa a cui non era ancora con la mente
arrivata, incerta da cosa fosse attraversato il cuore di lui, e quali
spiegazioni dare al suo recente comportamento.
Non vide l’espressione intimidita dei suoi occhi
neri, quella che si dipingeva tutte le volte che stava per dirle qualcosa che
tremendamente lo imbarazzava:
“Mi sei mancata da morire…” pronunciò quasi in un
soffio, che per lei si tradusse in un vento impetuoso e gagliardo da far
sradicare alberi e gonfiare torrenti “…non so fino a quando riuscirò a recitare questa parte…a fingere che di voi
nulla mi importi…”.
Bulma alzò il capo e corse a nasconderlo tra le sue
braccia, piangendo per un tempo interminabile e singhiozzando solamente:
“Ho sempre saputo che tu non potevi averci
abbandonato…”.
Più arduo era capire quanto per lui fosse stato
doveroso recitare la parte di compagno e padre cattivo, che mostrarsi
disinteressato ed indifferente del loro futuro era l’unico modo per poterli
salvare, che sconfinarli nella parte ultima del Palazzo era il solo mezzo
perché nessuno scoprisse la forza latente nel figlio e la bellezza evidente
della sua donna.
Proteggere Trunks, Bra e Bulma dalla violenza e
dalla perversione di quel corrotto pianeta era divenuto un obiettivo
prioritario ed irrinunciabile, da quando aveva ritenuto preferibile condurli
con sé piuttosto che lasciarli sulla Terra.
Ed aveva visto bene, considerato che sul pianeta era
rimasto solo polvere e fango.
Goku, Gohan, Junior e tutti gli altri avrebbero
pensato a proteggere la Terra, mentre lui, lasciando credere che il tempo non
avesse mutato la sua tempra malvagia e spietata, sarebbe penetrato fin nel covo
dei serpenti, alla ricerca di una soluzione che sterminasse definitivamente la
sua stirpe rediviva.
Aveva vegliato sulla sua famiglia giorno dopo
giorno, fiducioso che avrebbero resistito alla precarietà a cui li aveva
costretti, mille volte preferibile alla morte che non li avrebbe risparmiati
sulla Terra.
Non molto aveva potuto fare per il pianeta,
consapevole che se anche Goku fosse riuscito a sconfiggere suo padre e suo
fratello, altri saiyan sarebbero sopraggiunti a completare un disegno ormai
stabilito.
Ed invece Kaarot aveva perso…di lui forse più nulla
era rimasto…eppure avrebbe potuto competere contro Burdack e Radish…non era
possibile che avesse rinunciato a fronteggiarsi col suo stesso sangue…
E quando ormai aveva incominciato a credere che
neanche per sé stesso e la sua famiglia ci fosse più nulla da fare, che non
avrebbe potuto continuare in eterno ad essere il regista di quella farsa, un
meteorite, materializzatosi dal nulla, viaggiava alla volta di Neo-Vegeta.
Un meteorite avrebbe annientato il suo popolo…non le
mani di Freezer come fu un tempo.
E in quell’epico giorno, lui avrebbe fatto in modo
che tutti i saiyan fossero presenti sul pianeta, che nessuno sfuggisse
all’inglorioso destino.
Bulma lo sentì muoversi, staccarsi da lei ed
avvicinarsi alla cesta.
La piccola dormiva, continuando a succhiare il
ciuccio:
“E’ cresciuta tantissimo…” notò con incanto “…ed è
incredibile quanto ti somigli…”.
Si guardò intorno, provando un incredibile
compassione per le pene da loro patite. A casa loro, Bra avrebbe dormito in una
culla morbida e confortevole, una coperta linda e calda avrebbe avvolto il suo
corpicino e Bulma non avrebbe tremato in quella logora vestaglia, ma si sarebbe
scaldata al fuoco del camino e poi sotto le coperte…insieme a lui…
“Non è più necessario che voi stiate qui, seguitemi”
e si mosse versò l’uscita da lui abbattuta “…vi porto nelle mie stanze, lì
starete al caldo”.
Bulma lo seguì lungo i corridoi, recando tra le
braccia la cesta. Lui si accertava che gli stesse dietro, fino a quando:
“Perché ti sei fermata?”.
“”Hai…hai…la coda…” indicò fissando i suoi
posteriori.
“Mio padre ha voluto che mi ricrescesse…” spiegò con
noncuranza.
Dei drappi di porpora coprivano le finestre di
quella stanza, il cui centro era ingombrato da un grande letto all’apparenza
confortevole.
“Lì c’è un bagno” le indicò “fa pure con comodo,
baderò io alla bambina” che intanto si era destata.
La prese in braccio, offrendo uno dei suoi rari
sorrisi quando Bra alzò il suo sguardo azzurro verso di lui e lo fissò a lungo
con la boccuccia interrogativa. Assaporando ogni attimo di quel momento, le
accarezzò la guancia paffuta, scivolando col dito sul suo nasino e facendoselo
acchiappare dalla sua piccola mano che si strinse vigorosa intorno ad esso.
La bambina sgambettava gioiosa, emettendo
incomprensibili borboglii.
Restarono per un pezzo di tempo lunghissimo
così…padre e figlia…fino a quando Bra non si riaddormentò.
Quando Bulma riaffiorò dal bagno, lui l’aveva già
adagiata nella cesta.
“Va meglio?” le domandò.
Si era trattenuta a lungo nella vasca, godendo dopo
tanto tempo della sensazione di pulito che
lasciava il sapone sulla pelle. Aveva strofinato, energicamente e con
rabbia, la spugna lì dove Kaarot aveva passato la lingua. Più difficile era
eliminare la sensazione delle sue mani che ancora le afferravano i seni e della
sua coda che si attorcigliava intorno alle gambe. La conseguenza fu che quando
uscì dal bagno, avvolta in una vestaglia di Vegeta, era pulita e in ordine, ma
ancora visibilmente sconvolta.
Al saiyan non sfuggì di certo lo sguardo basso da
lei tenuto e l’aspetto insolitamente silenzioso e cupo.
Si sedette sul letto accanto a lui:
“Piangi, se vuoi…” le disse.
Alla fine lei si coprì il volto e scoppiò in
lacrime:
“E’ stato orribile…oh…se non fossi giunto tu…” si
gettò contro il suo petto.
Al pensiero di quanto sarebbe potuto accadere, anche
Vegeta rabbrividì, e al ricordo di quell’essere nudo che toccava la sua donna e
godeva di lei, gli fece sorgere il dubbio di non essere stato abbastanza
spietato contro di lui: una pena più lenta e tormentata sarebbe stata di certo
più appagante.
“Non voglio che nessuno mi tocchi…nessuno…che non
sia tu…” singhiozzò ancora.
Al contatto brusco con lui, i graffi, che Kaarot le
aveva fatto lungo il collo ed il seno, si infiammarono sotto la vestaglia.
Altrettanto imprevedibilmente si staccò per il
dolore dal saiyan, che si chiese se il tentativo di stringerla le avesse
procurato fastidio.
Non tardò a notare l’impronta strisciante di cinque
dita lasciatole sul collo.
Allungò piano la mano per scoprire fin dove arrivassero.
Lei, irrigiditasi, non si mosse, ma rabbrividì impercettibilmente quando lui le
scostò con lentezza la vestaglia ed appurò che i segni proseguivano fino al
solco dei suoi seni:
“Maledetto…” imprecò “avrei dovuto torturarlo solo
per quello che ha osato farti…questi graffi devono essere disinfettati al più
presto…”.
Scomparì nel bagno, venendone fuori con un kit di
pronto soccorso. La trovò così come l’aveva lasciata…immobile…col volto rigato
dalle lacrime…impaurita e… con il petto scoperto, che si sollevò più
affannosamente quando lui ritornò a sedersi accanto, non senza aver sentito una
fitta al basso ventre dinanzi a quell’innocente esposizione.
Lo fissò mentre lui prendeva una garza e la imbeveva
di liquido.
Il silenzio di lei, cui poco era abituato, e lo
smarrimento nei suoi occhi lo misero a disagio, facendogli tremare la mano nel
momento in cui si apprestò a toccarla.
“Brucerà un po’…” l’avvertì, incominciando a
tamponare delicatamente i segni infuocati impressi sul collo.
Bulma gemette, chiudendo gli occhi ed addentandosi
il labbro inferiore.
Lui sentì un fuoco divampargli dentro, essendo
abituato a sentirla gemere in momenti molto diversi. Eppure l’aria intorno non
era dissimile, fremente di quell’incontenibile passione che di lì a poco sarebbe
inevitabilmente esplosa, per quanto si sforzasse di eseguire la medicazione con
la medesima compostezza di un medico.
Riuscì a proseguire lungo la scia infuocata dei
graffi, arrestandosi sul solco dei seni. Senza neanche averli sfiorati, vide
che i suoi capezzoli erano già induriti.
Lei intanto non distoglieva lo sguardo da lui;
nonostante le fiamme incominciassero a lambire tutto il suo corpo, lo fissava
come se ancora non riuscisse a rendersi conto di essere di nuovo accanto a lui.
Ormai i lembi della vestaglia si erano completamente
aperti, lui si ritrovò ad avere la voce roca quando le domandò:
“Ti…fa male…da qualche altra parte?” ed ispezionando
personalmente, trattenne lo sguardo sul suo corpo oltre quanto fosse
necessario.
Lei scosse il capo, come una bambina piccola ancora
incapace di parlare, semplicemente come una donna provata a lungo dalla
sofferenza e non ancora ripresasi del tutto.
Lui notò che il coagulo di sangue sul labbro
inferiore aveva preso a sanguinare. Avvicinò la mano con l’intento di
tamponarlo, ma la fermò incrociando il suo sguardo, così silenzioso, così
assorto a contemplarlo, così significativo…
Non riuscì a resistere da avvicinare il suo volto a
quello di lei, premere le labbra contro le sue, facendole sanguinare di più
nell’impeto che adoperò.
“Scusami…” mormorò quando ebbe finito, succhiando
con piccoli baci l’ultimo sangue che vi si era raccolto.
Lei sgranò gli occhi quando alla fine Vegeta,
staccatosi da lei, soggiunse:
“Adesso devo andare…”.
“Perché?” si aggrappò alla sua mano.
“Voglio accertarmi che tutti siano partiti ed ho una
questione urgente da risolvere con Napa…ormai sapranno già tutti la forza che
possiede nostro figlio… dovete trascorrere un altro mese qui in attesa che
Neo-Vegeta subisca l’impatto col meteorite…e voglio che nessuno vi
infastidisca…solo un altro mese e poi…” avrebbe voluto dire che sarebbero poi
partiti tutti insieme verso la Terra, ma il coraggio di rivelargli che più
nulla esisteva venne meno.
Bulma non era interessata per il momento ai progetti
da lui accuratamente predisposti:
“Ti prego…non te ne andare…resta un po’ con
me…io…io…voglio fare l’amore con te…” gli disse lasciandolo di stucco.
“E’ passato così tanto tempo dall’ultima volta…”
rimpianse ancora.
Come riuscire ad essere indifferenti ad una
preghiera tanto supplichevole ed implorante…
Dove trovare la forza di resistere a quel corpo che
lo reclamava con urgenza…negargli quel piacere di cui per tanti mesi si erano
privati…
Vegeta si sedette sul ciglio del letto, prendendo a
togliersi velocemente gli stivali.
Lei gemette, incapace di resistere a quell’attesa.
Aveva la necessità impellente di sentire le loro pelli a contatto, sentire la
sua bocca, la sua lingua sul suo corpo, per dimenticare quella sensazione di
viscido che le aveva lasciato l’altro.
Vegeta affrettò l’operazione di svestimento quando
la sentì fremere per il bisogno e vide che lei aveva lasciato scivolare
definitivamente la vestaglia.
Alla fine, strettisi quasi convulsamente, si lasciarono
cadere sul letto.
E per la prima volta le pareti del Palazzo videro
consumare la fiamma di un amore vero, che ardeva negli sguardi vicendevolmente
persi di entrambi.
Persero la cognizione di quanto fosse loro intorno.
Sembrava di essere ritornati alla Capsule Corp.,quando facevano l’amore nella
loro camera da letto, allo stridio dei grilli nelle notti d’estate, o al sibilo
del vento nelle gelide sere invernali.
Delle lacrime calde percorsero il viso di Bulma
quando l’uomo si rilassò tra le sue braccia. Gli baciò la fronte al pensiero
che altro tempo senza di lui l’avrebbe condotta alla follia.
“Va meglio ora?…” le domandò con una punta di
irriverenza.
“Mmmm…mi sei mancato da morire…” gli sussurrò,
irrigidendosi ad un tratto, quando sentì qualcosa di peloso lisciarle la gamba.
L’aveva sentita per tutto il tempo del loro lungo
amplesso, ma non aveva avuto la lucidità di capire bene cosa fosse.
“Ti dà fastidio?” le chiese Vegeta, in riferimento
alla sua coda.
No, non le dava fastidio, sebbene fosse insolito
vedere quell’attributo ondeggiare dietro la schiena di lui. Solo adesso
rifletteva a riguardo e volle prenderla cautamente in una mano, accarezzando la
morbida pelliccia e suscitando in lui una reazione che lo portò a poggiare la
testa contro il suo seno e a gemere come un gatto che fa le fusa, mentre
strofinava la guancia contro un capezzolo indurito.
“Scusami…” fece lei mollando la presa “…dimenticavo
che la coda di un saiyan non può essere toccata…”.
“In passato era un punto debole…ma ora è semplicemente
molto sensibile…” spiegò con la voce roca “…toccamela ancora…” le sussurrò
risalendo con la coda lungo la gamba.
Lei tentò di farlo, ma smise di proseguire quando
intuì ciò che ormai era nelle intenzioni del principe.
La punta di quel nuovo strumento di piacere prese ad
accarezzarle le tenere pareti della sua entrata suscitandole dei gemiti morbidi
che aumentarono quando si divertì a varcarla un po’ oltre:
“Vegeta…” sorrise lei, godendo al pensiero che si
stesse materializzando una delle sue fantasie più nascoste.
“Per troppo tempo non ti ho avuta…”.
Solo i loro gemiti infransero il silenzio surreale
che avvolgeva il pianeta. Le ultime navicelle avevano lasciato il suolo ed un
vento sinistro ricopriva di coltre rossastra gli edifici ormai abbandonati:
“Questo silenzio mi mette i brividi…” tremò Bulma
tra le braccia dell’uomo.
Eppure con lui accanto avrebbe potuto trascorrere
una vita intera su quella landa deserta.
Vegeta le stava accennando alle difficoltà
incontrate nell’essere tornato a
conformarsi alla vita dei saiyan:
“Avevo dimenticato quanto fosse dura…non mi sono potuto sottrarre a
compiere massacri e stermini…”.
“Potremo magari far tornare tutto alla normalità con
le sfere del drago…” lo rincuorò fiduciosa.
Ma lui distolse lo sguardo, consapevole che erano
divenute solo dei comuni sassi sul suolo ormai arido della Terra.
“Dov’è finita la vestaglia?” si mosse lei “vorrei
indossarla…incomincio ad avere freddo”.
Vegeta la costrinse a distendersi di nuovo,
attirandola rudemente con la coda contro di sé:
“Lo sai che mi piace averti nuda a letto…” la
strinse più forte.
Lei rise sommessamente:
“Nato in un clima tanto rigido…ora capisco perché tu
non hai mai freddo…”.
“Forse sei tu a non avere abbastanza sangue nelle
vene” replicò.
Bulma lo guardò diritto in faccia, quasi divertita a
quell’insinuazione:
“Ah, sì?” avvicinò la bocca alle sue labbra “pensi
davvero che non abbia calore nel mio corpo?” ed avvolse la lingua di lui con la
propria.
“Dimmi un po’…nessuna donna saiyan ha tentato di
sedurti?” gli domandò con aria sorniona al termine del bacio.
L’uomo si rivoltò, facendola ritornare sotto di lui:
“Come puoi pensare che mi possano anche solo piacere…”.
“E perché?” gli sorrise, interessata ad indagare
oltre “sono donne anche loro…”.
“Sì…” asserì lui spostandole una ciocca di capelli
ed abbandonandosi ad un raro momento di romanticismo puro “ma le donne saiyan
non hanno i tuoi capelli setosi, né la tua pelle profumata, preferiscono
cospargersi di grasso per preservare il calore del corpo” l’annusò estasiato
“…non hanno i tuoi lineamenti delicati…” le percorse con un dito le braccia,
concentrando infine gli occhi sul suo petto “e non hanno…non hanno …tanta…”
qualsiasi aggettivo stesse per adoperare si spense a contatto con uno dei suoi
capezzoli che afferrò avidamente tra le labbra.
“Cosa c’è? Non vuoi addormentarti?” le domandò dopo,
quando ebbero ulteriormente soddisfatta l’insaziabilità dei loro ventri.
“Non voglio che tu te ne vada mentre io sto
dormendo…resta con me tutta la notte…”.
“Qui è sempre notte…” disse cupo.
“Ma tu resta ancora…ti scongiuro…” e alla fine
chiuse gli occhi contro ogni sua volontà.
Vegeta decise di restare lì, percependo
l’inquietudine del sonno di lei, che a tratti sobbalzava alla ricerca di trovare
protezione accanto a lui.
Fu proprio lei a svegliarlo alle prime ore di quel
mattino scandito dall’immutabile colore carminio, quando anche il saiyan si fu
arreso al sonno.
Gli domandò quando Trunks sarebbe ritornato.
“Suppongo che si sia ripreso…andrò in ogni caso a
verificare prima di partire per Neo-Vegeta” ed incominciò a rivestirsi.
“Mi raccomando…non dovete assolutamente muovervi da
qui…”.
“Quando ti rivedrò?”.
“Mi auguro presto…comunque continuerò a comunicare
con te tramite Fava come abbiamo fatto fino ad ora…”.
Vegeta si bloccò al cipiglio che si disegnò sulla
fronte di lei:
“…fino ad ora?”.
“Sì…tutte le lettere che ti ho scritto in questo
periodo…”.
Ma Bulma scosse il capo:
“Fava non mi ha mai dato nulla…”.
Vegeta indietreggiò. Spasmodicamente aveva preso a
pulsargli la vena che gli solcava la tempia. Com’era possibile che lei non
avesse mai ricevuto nulla? Cosa ne era stato di quelle lettere?
I piani dunque non stavano andando come da lui
previsti, a questo punto c’era il rischio che non fossero mai proceduti nella
direzione giusta fin dall’inizio, che il contenuto di quelle lettere, nelle
quali nulla aveva tenuto nascosto, fosse irrimediabilmente trapelato:
“Fin dal primo giorno che vi ho condotti qui, ti
scrissi svariate lettere per spiegare la mia situazione…le consegnavo a Fava,
fidandomi ciecamente di lei e del fatto che non sapesse leggere…come è
possibile che non ti siano mai state consegnate…che cosa hai allora pensato per
tutto questo tempo?!”.
“Io ho provato solo a fidarmi di te…”.
“Maledizione! Devo trovare immediatamente quella
dannata vecchia!” urlò scaraventandosi nei corridoi.
* * *
Era in ginocchio, ai piedi del letto, ad attendere
che la porta si aprisse da un momento all’altro.
Non c’era pentimento dietro le orbite scavate dei
suoi occhi impenetrabili, né rassegnazione per l’inevitabile destino di
morte cui l’avrebbe condotta la mano di
quell’uomo che aveva tenuto in fasce. Credeva solo nella giustezza del suo
agire, nella consapevolezza di aver tradito il suo principe solo per il bene di
lui.
Così la trovò Vegeta, dopo aver bestemmiato come un
indemoniato il suo nome mentre percorreva i corridoi che conducevano al Quarto
Ordine. Fava era l’unica saiyan presente sul pianeta, avendo Vegeta decretato
che per il servilismo dimostratogli si fosse guadagnata la vita.
“Io non so leggere…non conoscevo il contenuto di
quelle lettere, ma fin dal primo giorno che arrivaste, bastò vedere l’interesse
che dimostravate, principe, per quei terrestri, per capire che non eravate più
la stessa persona che vidi per l’ultima volta anni or sono.
Serbai le lettere qui, accettando comunque di
seguire gli ordini che mi impartivate, convinta che sulla Terra fosse stato
vittima di sortilegi e che prima o poi vi rinsaniste.
A nessuno dissi delle lettere, né del vostro
comportamento…mai avrei osato tradirvi fino a quando…”.
“Fino a quando…cosa?!” urlò l’uomo.
“Fino a quando non vi ho visto con quel ragazzino
ferito…” spiegò lei tenendo lo sguardo basso ancora in segno di sottomissione
“…ero nascosta dietro un muro quando vi ho visto percorrere la sala dove il
terrestre era rimasto a terra moribondo…” e raccontando incominciò a piangere
“vi siete piegato verso di lui…gli avete accarezzato il capo…ed addirittura
sorriso quando lui ha mormorato papà…”.
“Adesso basta! Che ne hai fatto di quelle
lettere?!”.
“Sono nelle mani di vostro padre…ha detto che le
avrebbe lette con calma quando sarebbe giunto su Neo-Vegeta…”.
“Noo!” assestò un pugno contro un muro facendolo
crollare.
Era ormai giunta la fine…
“Nonostante la saggezza della decisione…ugualmente
vi ho tradito ed ora sto aspettando la morte per mano vostra. Uccidetemi,
principe, perché possa capire di essermi sbagliata sul vostro conto…” si gettò
ai suoi piedi “…che voi siete ancora il saiyan crudele ed impietoso che vidi
crescere…concedetemi almeno questo…”.
Vegeta la fissò con la stessa glacialità di un
tempo:
“Ti lascerò invece in vita…vecchia…se questa è
l’unica sofferenza che posso infliggerti…” e la lasciò, ritornando a percorrere
con disperazione i corridoi del Primo Ordine.
Era la fine…ma solo per lui…
Doveva mettere al più presto in salvo Bulma, Trunks
e la bambina, spedirli verso qualche pianeta lontano, sicuro che Trunks avrebbe
saputo prendersi cura di loro. Non importava se lui non fosse mai riuscito a
raggiungerli:
“Bulma!”.
La sua camere da letto era vuota, neanche più la
cesta di Bra era stata lasciata:
“Noo! Bulma!” continuò a gridare il suo nome
districandosi nell’interminabile labirinto di corridoi.
Fu solo il pianto di una neonata ad attenuare i suoi
funesti presentimenti.
La trovò nella sala dei computer, insieme alla
madre:
“Stupida che non sei altro!” l’apostrofò “avevi
intenzione di farmi venire un infarto?!”.
Aveva intenzione di proseguire con tutta la lista di
epiteti che conosceva, se non fu che si accorse che la donna fissava la
schermata del computer allo stesso modo se questo fosse stato un essere dalle
sembianze mostruose.
“Cosa…cosa c’è…cosa hai scoperto?” le chiese in un
confuso borbottio.
“E’ terribile…Ve-vegeta…” tartagliò lei senza
distogliere lo sguardo dallo schermo “il meteorite…qualcosa deve averlo diviso
in due…forse l’impatto con un asteroide più piccolo…”.
“Questo vuol dire che non sarà più sufficiente a
disintegrare Neo-Vegeta?”.
“No, sarà ancora sufficiente a disintegrare
Neo-Vegeta, ma l’altra parte viene diritto verso di noi…”.
Visibilmente impallidito, trovò la voce per
chiederle entro quanto prevedeva l’impatto.
“Entrambe hanno incrementato la propria velocità…una
si scaglierà contro il pianeta grande tra circa 58 minuti…e l’altra giungerà
qui standole dietro solo di qualche minuto…” concluse con un rapido calcolo
mentale.
Vegeta osservò il puntino lampeggiante sullo
schermo. Era inaccettabile pensare di aver miseramente fallito e che la vita
sua e della sua famiglia fosse legata alla volubilità di una roccia
incandescente.
Ma un’ora sarebbe stata più che sufficiente per
raggiungere la navicella che aveva lasciato proprio dietro la Torre di
controllo. Per quanto piccola, avrebbe consentito di mettersi in salvo e di
raggiungere il pianeta più vicino:
“Sono riuscita a prendere una navicella
dall’edificio A32, Trunks possiede la capsula…” volle informarlo Bulma.
“A32 hai detto? Mi dispiace per la fatica…ma lì
erano depositate le navicelle senza carburante…”.
“Vegeta…” gli prese lei la mano dopo alcuni istanti,
guardandolo con occhi pieni di gratitudine.
“Non abbiamo tempo per simili smancerie…” si liberò
lui, non senza essersi perso per un istante nell’azzurro dei suoi occhi
“…dobbiamo raggiungere Trunks ed andarcene via da qui immediatamente!”.
Bulma aveva già afferrato la cesta di Bra:
“Quanta fretta, Vegeta, non è da saiyan darsela a
gambe come è nelle tue intenzioni…” lo rimproverò suo padre, col tono che
avrebbe rivolto ad un bambino cattivo.
Le figure energumene di Napa e del sovrano
occuparono l’entrata.
Bulma si rifugiò dietro Vegeta, mentre la bambina,
ignara della drammaticità della situazione, piangeva reclamando solo la sua
pappa.
“Un bel piano quello che hai organizzato…devo
ammetterlo…ma sei stato uno sciocco se hai pensato che io mi fidassi di te…”.
Ostile e torvo era lo sguardo del sovrano, quasi
divertito quello di Napa.
“Fu sufficiente vedere una stupida fotografia, lì
dove abitavi, per capire che ti era stato fatto il lavaggio del cervello…Ad
ogni modo…” incrociò le braccia “volli credere di essermi sbagliato e confesso
che per un momento ho creduto che nulla avesse scalfito la tua tempra
malvagia…”.
Si mosse con lentezza prendendo a girargli intorno:
“Patetica la tua premura di salvare questi
terrestri…sei la vergogna della nostra stirpe…” disse come se gli avesse
sputato contro.
“Io non ho mai dimenticato di essere un saiyan!”.
“Allora uccidi quella puttana che si nasconde dietro
di te e la mocciosa che le hai fatto concepire!”
fu quanto di più blasfemo gli si potesse ordinare.
Bulma si strinse al suo braccio, inorridita da
cotanta malvagità.
Vegeta restò immobile, una goccia di sudore percorse
lentamente la sua fronte, scivolando lungo la piega tesa del collo.
“Cosa c’è?” lo derise il padre “…ti manca il
coraggio…forse?”.
“Di certo, non mi manca il coraggio di uccidere un
cane come te…” disse per poi lanciarsi contro in un’esplosione di impeto e
rabbia.
Impossibile anche solo sfiorarlo: Vegeta fu
scaraventato all’indietro, riducendo in una miriade di frantumi e scosse
elettriche la schermata del computer centrale.
“Bulma…” sibilò Vegeta ricadendo pesantemente sul
pavimento “…cerca Trunks ed andatevene subito via da qui…”.
“Lei non va da nessuna parte!” le avvolse il braccio
la mano rude e massiccia di Napa.
“Maledetto…” riuscì a rialzarsi a tentoni il
principe, incredulo che fosse bastato poco per fargli perdere quasi
completamente i sensi “…lasciala andare…”.
La donna tentò di divincolarsi, accrescendo solo il dolore
procuratole dalle dita che affondavano nella carne.
“Faresti bene ad ascoltare ciò che ti ha ordinato
mio padre!”.
Bulma e Vegeta riconobbero all’istante la voce del
figlio giunto in tempo in loro soccorso.
“Ancora tu, moccioso?” lo riconobbe Napa, mollando
la presa.
“Ho voglia di scontrarmi contro di te, testa
pelata…” lo sfidò il ragazzo.
Vegeta si era ormai riassestato e la grinta del
figlio aveva contagiato anche lui:
“Vai via” si rivolse alla moglie col tono di un
ordine che non ammette dinieghi “io e Trunks vi raggiungeremo presto”.
Senza batter ciglio, il sovrano osservò Bulma allontanarsi di corsa,
alla volta della navicella lasciata da Vegeta dietro la Torre di controllo:
“Se fossi in te non sarei molto convinto di riuscire a
raggiungerla” e con quell’ultima
provocazione ebbe inizio lo scontro finale.
Il Palazzo fu la prima cosa che Bulma vide crollare da uno degli oblò
della navicella che aveva già azionato.
Due dovevano essere i campi di battaglia, Napa e Trunks da una parte,
Vegeta e suo padre da un’altra. Esplosioni e crolli di magazzini si
susseguivano su due ampi fronti, anticipando la distruzione che di lì a poco
avrebbe coinvolto l’intero pianeta.
Tra 34 minuti il primo frammento di asteroide avrebbe raggiunto
Neo-Vegeta, l’altro lo seguiva a distanza di pochi minuti.
Bulma osservava impaziente l’orologio, mentre la piccola Bra era in
preda ad una delle peggiori crisi di pianto di tutta la sua breve vita.
Aveva fame ed il pannolino sporco acuiva la sua insofferenza. Non
poteva immaginare che suo padre era intento ad affrontare una delle peggiori
battaglie mai affrontate prima e che per il momento l’esito di essa lo vedeva
in sfavore.
Vegeta si risollevò dal cumulo di macerie che lo aveva seppellito.
Sputò a terra e si asciugò col dorso della mano il rivolo di sangue che
fuoriusciva dal labbro.
Non si meravigliava dell’incredibile forza di suo padre e sapeva che
era ancora poco quello che gli stava mostrando. Eppure non si sentiva affatto
sconfitto, da tempo i suoi muscoli non conoscevano simili contrazioni e per il
momento l’esaltazione dello scontro gli trasmettevano l’energia sufficiente a
respingere i suoi assalti e a rialzarsi da quelli sotto cui soccombeva.
Tornò a rigettarsi contro il clone, contro quell’uomo che nulla mai
aveva rappresentato per lui, neanche quando era certo che fosse sangue del suo
sangue.
Era ormai nel pieno di quel confronto corpo a corpo quando si sentì
afferrare la coda:
“Non sei degno di portare quest’attributo, sei divenuto un terrestre ed
i terrestri non hanno la coda!” disse strappandogliela con un colpo secco.
Vegeta emise un urlo simile ad un latrato, mentre la sua coda si
ritorceva a terra nell’ultimo spasmo. Riuscì di nuovo a risollevarsi e a
guardarlo con quel ghigno provocatorio che aveva assunto fin dall’inizio della
battaglia:
“Cosa hai da ridere?”.
Il figlio scoppiò in una risata più fragorosa.
“Smettila! Adesso ti faccio vedere io se hai ancora tanta voglia di
ridere!”.
Il sovrano raccolse tutta la sua potenza nell’energica ringhiata che
eruttò dalla sua bocca. Di luce ulteriore avvampò la sua chioma e si irradiò il
suo corpo teso.
“Finalmente…” sibilò a danti stretti Vegeta, osservando la
trasformazione in super-saiyan ti terzo livello di suo padre.
“Non mi sembri molto sorpreso…” commentò il sovrano sfoggiando la sua
nuova potenza.
Era ciò che Vegeta attendeva, il raggiungimento di quello stadio che
già aveva avuto modo di osservare e studiare in Goku anni prima
nell’indimenticabile scontro contro Majin-Bu.
Sapeva che quello stadio richiedeva un immane dispendio di energia e
che riuscire a prolungare il combattimento sarebbe stato l’unico mezzo per
ridurlo alla spossatezza e condurre l’esito della battaglia a suo favore. Il
problema adesso era solo riuscire a resistere ai suoi attacchi, che
inevitabilmente sarebbero divenuti micidiali.
“Trunks…Vegeta…muovetevi…vi scongiuro…” supplicò Bulma a voce alta. Ed
era piena di disperazione la sua voce: sette minuti mancavano ormai all’impatto
del primo meteorite su Neo-Vegeta.
Ma impegnati com’erano a combattere, nessuno dei quattro guerrieri si
accorse del vento che sibilava sinistro, come preludio di un imminente
catastrofe, né la terra che prendeva a tremare.
Solo un enorme boato interruppe il sovrano dall’assestare l’ennesimo
colpo contro il figlio, forse quello di grazia.
Qualcosa esplose nel cielo purpureo, tempestandolo di una miriade si
scintille che caddero al suolo come pioggia infuocata.
Dell’enorme pianeta che dall’origine dei tempi signoreggiava nella
galassia restarono solo polvere e detriti roventi, spazzati via dal vento
stellare insieme alla stirpe rediviva del glorioso popolo dei saiyan. Il
sovrano assistette impotente alla distruzione del suo sommo impero e al
naufragio dei suoi sogni di gloria.
Afferrò con violenza Vegeta per il collo:
“In quelle dannate lettere dicevi che sarebbe esploso tra un mese!”.
Lui rise ancora, con gli ultimi respiri che gli restavano:
“E lo spettacolo non è ancora finito, tra pochi minuti salterà in aria
anche questo…”.
“Maledetto!” bestemmiò il padre lanciandolo contro un cumulo di macerie
e correndo via, alla ricerca della sua navicella.
Vegeta tentò di risollevarsi, invano ricadde ancora a terra:
“Papà!” la voce di suo figlio lo raggiunse quando era sul punto di
credere che mai più l’avrebbe ascoltata.
Il ragazzo tentò di soccorrerlo, ma:
“Lasciami stare!” gli intimò Vegeta rialzandosi a tentoni e sputando
ancora sangue a terra.
“Dov’è Napa?”.
Trunks gli annunciò orgoglioso di averlo battuto.
“Allora…ascoltami…devi raggiungere subito tua madre e tua sorella e
partire via da qui…non c’è tempo da perdere…”.
“Ma tu? Come farai a raggiungerci?” sembrava irremovibile ad andarsene
senza di lui.
“Obbedisci Trunks!”.
“Aspetta…” si frugò tra le tasche, prendendo una capsula “…questa è la
navicella che la mamma è riuscita a recuperare da un deposito…”.
Vegeta la prese in mano e se la nascose sotto l’armatura.
“Adesso muoviti…” gli disse infine.
Trunks corse via a mettere in salvo sé stesso e le donne della sua
famiglia.
Vegeta intanto riuscì a scorgere il padre nell’affannata corsa verso
l’unico mezzo di salvezza rimasto su tutto il pianeta.
Raccolse in una mano l’energia che era riuscito ancora a preservare:
“Non ti salverai…questo pianeta sarà la tomba per entrambi…” decise, lanciando
la sfera e disintegrando l’astronave.
Questo avvenne a meno di tre minuti dall’impatto del secondo meteorite.
Vegeta si apprestò a riprendere il round finale, rinvigorito dal vedere suo
padre ormai affaticato dall’eccessivo dispendio di energia.
“Bastardo! Non dovevi distruggerla!”.
Quando gli urlò contro questo, la fluente chioma del
super-saiyan di terzo livello aveva lasciato posto alla consueta capigliatura
ed i suoi occhi erano divenuti neri come la morte più che imminente.
Vegeta lo raggiunse ad assestargli una serie rapida
di pugni violenti nello stomaco ed il sangue che ne sgorgò gli andò diritto in
faccia. Non sapeva a cosa sarebbe valso ucciderlo, consapevole che ormai la
morte avrebbe preso anche lui. Eppure aveva ancora la speranza di riuscire a
raggiungere Bulma ed i suoi figli prima che partissero. E fu con
quell’intenzione che si mosse, quando il padre cadde al suolo privo dei sensi.
Forse non era ancora tutto perduto…
Distrutto nel fisico, con una gamba claudicante, una
spalla sanguinante, rotolò giù per il pendio scosceso, trascinandosi verso la
Torre di controllo, dove sperava si trovasse ancora la navicella.
Di nuovo il vento sollevò la coltre rossastra di
polvere che gli accecò la vista e lo fece avanzare cieco per alcuni metri.
“Vi prego…aspettatemi…non mi abbandonate…” cadde
ancora e si risollevò “…io…non voglio morire qui…”.
Ma la navicella si era già issata in volo, Trunks
era partito come gli era stato perentoriamente ordinato.
Cadde in ginocchio, piegato dall’ingiusto destino di
morte. Per la prima volta aveva paura. Non era pronto a morire, non era
impavido come lo era sempre stato. Afferrò la polvere dell’arido suolo, dove
una lacrima scivolò solitaria.
La terra sussultò sotto di lui, il vento divenne
sferzante, il cielo si oscurò.
L’apocalisse era giunta, ma qualcosa di invisibile,
come un fantasma, lo sottrasse ad essa…
* * *
La navicella era pronta. Sarebbe bastato premere un pulsante per
lasciare l’atmosfera di quel pianeta condannato alla distruzione e salvarsi la
pelle. Ma Vegeta e Trunks erano ancora lì e Bulma aveva già deciso cha sarebbe
stata anche la sua tomba quel suolo arido, se loro due non l’avessero
raggiunta. Non era la prima volta che combatteva contro lo scorrere inesorabile
dei minuti su un pianeta sul punto di collassare, ma era la prima volta di
certo che preferiva la morte ad una vita vissuta senza di loro.
“Mamma!” la voce di Trunks la
raggiunse in lontananza.
Vide il ragazzino entrare nella navicella, chiudere lo sportello e
sedersi come un forsennato ai comandi.
Vegeta non era con lui. Bulma tentò per un istante di capire cosa
questo significasse, ma Trunks aveva dato carburante ai motori e l’astronave
decollò lasciandole a stento il tempo di urlare:
“Trunks! Cosa stai facendo?!”.
La navicella abbandonò l’atmosfera imporporata del pianeta, per
incontrare quella buia e silenziosa dello spazio:
“Trunks…” lo chiamò piano la madre riprendendosi dal micidiale decollo
“…perché…perché sei partito?” domandò tremula, come se fosse sul punto di
piangere “…perché tuo padre non è con te?”.
“Tranquilla, mamma, vedrai che papà ci raggiungerà presto, gli ho dato
la capsula della navicella che tu sei riuscita a recuperare…” le comunicò
fiducioso che tutto sarebbe andato al meglio.
Ma Bulma non condivise quel suo ottimismo, quelle parole ebbero il
sibilo di un dardo esploso all’altezza del cuore:
“No…” scoppiò a piangere “…quella navicella…” singhiozzò senza fiato
“…mi ha detto che non aveva il carburante…”.
Trunks sentì un groppo formarsi nella gola.
E così suo padre gli aveva mentito solo per lasciarlo andare…
“Dobbiamo tornare indietro Trunks…” si aggrappò al figlio “ti
supplico…dobbiamo salvare tuo padre…”.
“E’ tardi ormai…”.
Bulma vide dall’oblò la roccia incandescente dirigersi verso il
pianeta:
“No…”.
Il figlio la strinse a sé, costringendola a nascondere il viso contro
la spalla per non vedere:
“Non guardare mamma…papà ha fatto tutto questo solo per salvarci…”.
“Nooo!” urlò lei, straziante, quando un boato esplose nell’immensità
dello spazio e fece sussultare la navicella ormai lontana.
“No, Vegeta!” si dibatté tra le braccia del figlio, crollando infine ai
suoi piedi.
* * *
Sentiva ancora sulla pelle i baci che lui le aveva dispensato quella
notte…l’ultima notte d’amore…l’ultimo ricordo che le aveva lasciato…ed ora di
lui più nulla era rimasto…quel corpo che aveva amato era divenuto polvere
spaziale…
Era stato così gentile quando le aveva medicato le ferite…non avrebbe
dimenticato quel momento condiviso per il resto della vita…
Ma quale vita l’attendeva ora che la Terra era solo una landa deserta…
Apprendere quella sconcertante verità le aveva arso la gola in un urlo
straziante.
Come esuli vagavano nello spazio, senza meta e senza più patria.
Trunks fissava il vuoto davanti a sé, non una lacrima aveva percorso il
suo volto ancora glabro: suo padre non avrebbe tollerato che frignasse come una
femminuccia.
Solo il pianto silenzioso di Bulma e quello più concitato di Bra
interrompevano il silenzio che avvolgeva l’abitacolo.
Poi un pianeta azzurro all’orizzonte…
La Terra era ancora lì e dallo spazio sembrava che nulla di tremendo si
fosse consumato sul suo suolo.
Bulma si alzò a guardare anche lei:
“Fermiamoci” disse “è il caso di vedere cos’è accaduto…”.
La navicella fu inghiottita nell’atmosfera celeste del pianeta,
atterrando bruscamente in una zona deserta.
Era un pascolo erboso e a valle un gregge di pecore brucava l’erba
all’ombra di solide querce.
In lontananza erano visibili i grattacieli delle metropoli ed un aereo
percorse il cielo terso sopra di loro.
“Sembra che non sia mutato nulla…” esclamò la donna a bocca aperta.
Risalirono sulla navicella dirigendosi alla volta della Città
dell’Ovest, decisi a scoprire fino in fondo se quello fosse solo un sogno
meraviglioso.
Eppure nel sorvolare la città, era difficile non accorgersi del
brulichio sottostante e della vita frenetica che non sembrava mai essersi
arrestata.
Non potevano ancora sapere che il vecchio Burdack ed il figlio Radish
erano stati clamorosamente sconfitti da Goku al termine di un’ avvincente
battaglia e che, magnanimo come sempre, li aveva risparmiati lasciandoli
partire.
Padre e figlio avevano fatto sosta su un pianeta per curare le ferite
dello scontro, e ripresisi, avevano guadagnato un sostanzioso bottino
conquistando altri pianeti e mentendo sulla provenienza del ricavato.
“Non posso crederci…” esclamò Trunks vedendo Goku, Gohan e Goten
salutarli dal giardino della Capsule Corp.
“Finalmente siete arrivati!” li accolse Goku, quando scesero
dall’astronave “…sapete…non è stato facile prendersi cura di Vegeta in queste
lunghe ore. Quando sta poco bene…” si rivolse loro come se stesse facendo una
confidenza “…è anche più insopportabile del solito…” ammiccò.
“Vegeta?…” si accigliò Bulma, portandosi una mano al petto.
“Ah, già…” cascò il saiyan dalle nuvole “sono riuscito a prenderlo
all’ultimo momento e a teletrasportarlo qui…” spiegò, indicando un uomo fermo
all’ingresso della casa, sorretto ad una stampella, con la fronte fasciata ed
un braccio immobile.
“Papà!” Trunks e Bulma, con la piccola Bra tra le braccia, corsero
verso di lui.
Vegeta restò indeciso sul da farsi, visibilmente imbarazzato dalla
calorosa manifestazione d’affetto, riuscì solamente a dar loro le spalle…come
sempre.
Fine
Lilly81