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Autore: Mark MacKinnon    22/11/2011    11 recensioni
La figura si mosse lentamente fra le steli, fermandosi finalmente di fronte a una di pietra nera. Nabiki guardò, scioccata, la figura cadere sulle ginocchia, gli occhiali da sole scivolarono a terra. Poi sentì un suono.
Un singhiozzo. Il singhiozzo di una donna.

Il PRIMO SEGUITO in due parti di CAST A LONG SHADOW
Traduzione: moira78
Betalettura: TigerEyes
Questa ff fa parte della serie The Shadow Chronicles.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Shadow Chronicles'
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Ecco finalmente la seconda e ultima parte di The Prodigal Mother, il primo seguito di Cast a Long Shadow. In teoria, Moira dovrebbe tradurre anche The Heart’s Reasons (5 capitoli incentrati su Ranma e Akane), Doors Best Left Unopened (17 capitoli incentrati sui misteri della famiglia Kuno che sconvolgeranno Nerima) e infine On a clear day you can see forever (in corso: per ora sono 22 capitoli incentrati su Ranko Saotome). Sottolineo in teoria perché date le poche recensioni ricevute finora, Moira, già oberata di lavoro, sta pensando di non proseguire la traduzione.
Tradurre è un lavoro impegnativo, soprattutto quando riguarda ff così complesse, quindi sarebbe giusto che chi legge ripaghi lo sforzo compiuto dal traduttore, altrimenti non ha senso continuare, se l’accoglienza di pubblico continuerà a essere scarsa.
La traduzione del prossimo seguito, quindi, dipende solo da voi.
Buona lettura.
TigerEyes




La madre prodiga

di
Mark MacKinnon


Traduzione
moira78


Parte Seconda




Akane era preoccupata.
Stava pensando attentamente al comportamento di Ranma fin dalla lotta al Furinkan, e cominciavano a emergere dei particolari preoccupanti. Aveva condiviso la sua riluttanza ad andare da Kuno, date le distanze che aveva preso per isolarsi dal mondo esterno, ma stava cominciando a rendersi conto che c'era di più.
Non era andato al Nekohanten o da Ucchan fin dalla partenza di Ranko. Mousse e Shampoo stavano probabilmente accudendo Cologne al ristorante, visto che aveva rifiutato di andare in ospedale. E stava evitando Ukyo, sia a scuola che fuori. Era anche piuttosto distante da Akane stessa.
Conosceva abbastanza bene Ranma dopo tanto tempo vissuto sotto lo stesso tetto. Era abituata al declino e al flusso dei suoi umori, ed era pressoché sicura di sapere quale fosse il problema. Non era solo il senso di colpa verso Kodachi, anche se quella era una parte. Ranma non era mai stato molto bravo a trattare con situazioni emotivamente complesse. Non aveva paura di nulla contro cui potesse lottare (a parte i gatti, chiaramente), ma la prospettiva di dover affrontare una Cologne storpiata o una Ukyo fragile lo lasciava paralizzato.
E così, aveva scelto di non fare nulla. Sospirò. Non era una reazione fuori dal comune per lui, ma forse la peggiore date le circostanze. Aveva cominciato a desiderare che Ryoga si presentasse per lottare contro Ranma, così avrebbe tirato fuori i suoi timori.
Ma chiaramente, questo non sarebbe accaduto. Ryoga era andato via subito dopo Ranko, e sapeva perché. Aveva deciso di rinunciare a lei, e non voleva restare a guardarla insieme a Ranma. Aveva appena scoperto che era stato innamorato di lei, e lui non sapeva che lei sapesse, né che conosceva la sua decisione di andarsene. Non che avrebbe fatto molta differenza, oltre a imbarazzarlo.
Sospirò ancora. Perché le cose devono essere sempre così complicate? Stava a lei spingere leggermente Ranma nella direzione corretta, immaginò, se sperava di intercettare il guaio prima che le cose diventassero ancora più tese. Guardò in su e in giù il corridoio. Parlando di Ranma, se l'idiota non muoveva il sedere, sarebbe arrivato in ritardo, e avrebbe finito per doversi azzuffare di nuovo con la signorina Hinako. Dove poteva essere? La classe era quasi pronta a cominciare.
Alla fine lo vide trotterellare nell'atrio, scansando le piccole folle di ritardatari, i vestiti bagnati.
"Dov'eri?", domandò. "Saremo in ritardo!".
"Dovevo trovare dell'acqua calda", borbottò, senza incrociare il suo sguardo. "Mi hanno bagnato di nuovo".
"Sul serio! Pensi di non poter evitare una piccola vecchia signora?".
"È inquietante", ammise Ranma, sistemandosi la camicia bagnata. Notò che teneva una discreta distanza da lei, non camminandole molto vicino. Nessun osservatore avrebbe mai saputo che finalmente aveva ammesso il suo amore per lei. Per tutti, la loro relazione era precisamente la stessa. Si chiese se tutto questo sarebbe mai cambiato o meno.
Bene, sapeva che doveva fare il primo passo.
"Ranma, raggiungimi dietro la palestra a pranzo, okay? Voglio parlarti".
"Huh?", chiese, sembrando allarmato. "Di cosa?". Akane sospirò internamente al panico nei suoi occhi. Se gli avesse detto che venti violenti artisti marziali concorrenti l'avrebbero aspettato ai cancelli della scuola a pranzo, lui sarebbe stato ansioso di incontrarli e sfoggiare le sue competenze. La prospettiva di avere una conversazione seria con la ragazza che aveva detto di amare, tuttavia, lo colmava di terrore.
Senza speranza.
"Tu vieni là, Ranma! È importante. Va bene?". Lui accennò col capo tristemente ed entrarono in classe solo con alcuni secondi di ritardo.
Il che si rivelò non essere un problema, tuttavia. La signorina Hinako non si presentò mai quella mattina, e finirono per avere del tempo libero. Akane lo spese per la maggior parte pensando a quello che avrebbe detto a Ranma, guardandolo ignorare una Ukyo sempre più abbattuta, e chiedendosi della strana assenza della signorina Hinako.


Ninomiya Hinako sbatté gli occhi confusa, mettendo a fuoco le proprie mani dove afferravano l'orlo del lavabo. Si sentiva come se si stesse svegliando dopo un sonno profondo, intontita e incerta. Vide la luce entrare dalla finestra di un bagno. Notò che il bagno in questione era, in effetti, il suo.
Non ricordava come fosse arrivata là.
Guardando in su poteva vedere il proprio riflesso nello specchio. C'era una macchia su una guancia, i capelli ridotti a una massa aggrovigliata, e lo sguardo negli occhi era di vuota confusione. Si sentiva come se fosse appena regredita dalla sua forma adulta, ma come poteva essere? E perché era mattina? L'ultima cosa che ricordava... Qual'era l'ultima cosa che ricordava? Era andata a trovare Tatewaki Kuno, questo lo rammentava. Poi si era incamminata verso casa e...
Vide i suoi occhi, riflessi nello specchio, allargarsi di colpo quando ricordò...

(Qualche cosa si mosse nel vicolo ombreggiato, un veloce e indistinto movimento e lei fu gettata rudemente a terra, spinta in avanti nelle ombre. Lottò per respirare quando sentì una mano rude coprirle la bocca, soffocando il suo grido mentre veniva portata nelle profondità del vicolo, sempre più lontana dalla luce. E la cosa che la trasportava rise, un suono arrabbiato, inumano.
Lei calciò e lottò adirata, provocando solamente più manifestazioni di divertimento nel suo aguzzino. "Bella-bella", aveva sibilato allegramente, scorrendo con la mano libera la carne nuda della sua gamba. "Affamato, bella-bella. Molto affamato". Sapeva di cosa era affamato il suo rapitore. Bene, stava per avere una grossa sorpresa.
Finalmente si erano fermati nel profondo nel vicolo, dietro a un cassonetto dell'immondizia e lontano dalla sicurezza delle luci della strada. Era stata lanciata a terra con durezza, guardando in su per vedere una forma scura fra le ombre, in piedi su di lei, respirare gracchiante.
"Bella-bella", canticchiò. "Moooolto affamatoooooo...". Aveva sentito abbastanza da questo pervertito. Poteva sentire il qi che emanava onde di malignità, e ignorò la sensazione che qualcosa fosse terribilmente sbagliato...
"Tu, piccolo perverso omiciattolo!", aveva gridato, odiando come suonava acuta la sua voce quando era in quella forma. "So come trattare la feccia come te!". E stese la mano, una monetina da cinque yen tra due dita.
"TECNICA HAPPO DEI CINQUE YEN!". La forma aveva grugnito in sorpresa quando aveva cominciato a estrargli il qi, arretrando verso una pozza di luce.
Fu allora che lo vide per la prima volta.
Non era umano.
E il qi che aveva cominciato a fluire in lei faceva male. Gridò all'unisono con la creatura, ma non poteva fermare il flusso di energia. Non aveva mai risucchiato prima il qi da qualcosa di non umano, e lo shock minacciò di affogarla nel dolore gelido e nell'oscurità...
Ricordò di aver visto la cosa che si dissolveva in una pozza verdastra e il dolore raddoppiò, il suo corpo si gonfiava nella forma più sviluppata e il vicolo scompariva in una foschia di dolore...)

O così pensava. Forse l'aveva sognato. Forse l'intera vicenda era stata un sogno. Non sembrava vera, non mentre era qui nel suo grazioso e ordinato bagno, con gli asciugamani appesi simmetricamente, le estremità quadrate ripiegate, e tutti i suoi articoli da toeletta sistemati in fila a seconda della grandezza.
Ma si sentiva intontita, confusa. Era sporca e dolorante. Stava facendo buio fuori quando era passata per quel vicolo, e ora c'era la luce.
Luce.
"Oh cielo, che ora è?", chiese ad alta voce, sentendo un senso di panico."Sono in ritardo!".
Si precipitò nella camera da letto, solo per essere colta dal dolore agli arti e da un'onda improvvisa di fatica. Sedette rapidamente sull'orlo del letto ordinatamente rifatto, scuotendo la testa stordita. Batté le palpebre molte volte, tentando di rimettere a fuoco la stanza, ma non sembrò riuscirci.
"Meglio telefonare e darmi malata", borbottò, cercando di mettersi in piedi. Le sue gambe cedettero senza preavviso, tuttavia, e lei si trovò a cadere di nuovo sul letto, gli arti pesanti non cooperavano.
"Tra un minuto", borbottò. "Telefono... tra un... minuto...".
Si addormentò qualche secondo più tardi.


Ranma girò l'angolo della palestra, sperando contro ogni speranza che Akane si fosse dimenticata, o si fosse distratta.
Era una speranza vana, certo. Stava aspettando proprio dove aveva detto che sarebbe stata, inclinata contro il muro, le mani intrecciate davanti, le braccia dritte. Stava guardando dall'altra parte, e lui colse l'opportunità per osservarla.
Era davvero graziosa, doveva ammetterlo. Alzò leggermente la testa, come ascoltando qualcosa che solamente lei poteva sentire, e una brezza improvvisa le sollevò la gonna contro le gambe, delineando una coscia in un modo che fece bloccare in gola il respiro a Ranma. Fece scorrere distrattamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio, fissando malinconicamente nel vuoto. Ranma desiderò che potesse sorridere. Voleva vedere di nuovo il suo sorriso. Le cose erano state così confuse dalla morte di Kodachi che si sentiva come se nulla fosse più sicuro come prima.
Non certo l'amore che finalmente aveva ammesso.
Poi Akane lo notò starsene là in piedi e sorrise, un caldo e invitante sorriso che le accese l'intero volto e fece sorridere anche Ranma.
Non graziosa, pensò abbagliato. Bella. Gli fece cenno e lui andò, guardando come si ripiegava la gonna sotto le gambe e si inginocchiava sull'erba. Si mise accanto a lei, il suo sorriso si affievolì quando comprese che il tempo dello stallo era finito.
"Ranma", disse, guardandolo negli occhi e parlando fermamente, "dobbiamo parlare".
"Uh-huh", disse con una notevole mancanza di entusiasmo.
"Non guardarmi così", sospirò. "Questa situazione non passerà, e non migliorerà da sola".
"Ė vero, Akane", le disse Ranma. "Ho deciso di andare a trovare Kuno così". Indicò la sua forma maschile. "Dovrò affrontarlo presto o tardi. Hai ragione, non ha senso rimandarlo". Lei lo guardò.
"Questa è un’ottima notizia, Ranma", disse piano, "ma io non stavo parlando solo di Kuno". Lui sembrò confuso e alzò la testa.
"Cosa intendi?".
"Stai evitando le conseguenze di quel giorno, Ranma. Stai lontano dal Nekohanten, e stai voltando le spalle anche a Ukyo qui a scuola. Perché è così dura per te stare vicino ai tuoi amici? La tua colpa si estende anche a loro?". Si chinò per prendergli la mano e lui si ritrasse allarmato, guardandosi intorno freneticamente. Akane si gelò, il dolore le si disegnò sul volto, poi lentamente ritirò la mano.
"Ranma, idiota", disse, la voce bassa e rauca. “Stai evitando anche me da quel giorno, vero? Hai detto che mi amavi quella sera, non è cambiato niente, vero? VERO?”. Ranma poté vedere che era al limite delle lacrime e si maledì internamente per la sua goffaggine.
"Akane, aspetta! Hai frainteso tutto!", tentò di spiegare, ma lei si alzò in piedi all'improvviso, guardandolo furiosa.
"No, penso di aver finalmente capito. Tu hai ancora paura di cambiare le cose. Hai paura di essere visto con me, non è così? Bene, perfetto. Allora andrò via!", marciò lontano, e Ranma seppe che le lacrime grondavano sul suo viso, ma si sentì troppo debole per fermarla.
Aspetta, voleva gridare. Hai frainteso. Ma come al solito, quando aveva bisogno delle parole, quelle l'abbandonavano, e alla fine conficcò il pugno nel muro della palestra, sentendo la parete scricchiolare in maniera allarmante sotto l'impatto.
Sei un idiota, amico mio, mormorò a se stesso. Si alzò in piedi lentamente, spazzolando l'erba dai pantaloni, e cominciò a camminare. Sapeva che doveva parlare con Akane e sistemare le cose. Malintesi come quello lo mandavano nel pallone. L'esperienza glielo aveva insegnato. E dopo quello che le aveva detto sul tetto quella sera, sapeva che avrebbe dovuto parlarle, realmente parlare. Ma discuterne non gli era facile. Non pensava che lo sarebbe mai stato.
Camminò, mentre cominciava a ripetersi le parole che voleva dirle, rigirandosele nella mente così come venivano, non si sarebbe agitato e non sarebbe di nuovo ricaduto nei suoi vecchi standard "Tu stupido maschiaccio!" o "Non sei per niente carina!". Si chiese come avesse mai potuto pensare che le cose sarebbero state più semplici dopo che le aveva confessato i propri sentimenti.
Attraversò i piccoli gruppi di persone che godevano della calda luce del sole di primavera, cogliendo gli occasionali stralci di conversazione mentre camminava.
"...portava questo vestito rosso, oh cielo..."
"...non mi chiama dal fine settimana, per caso..."
"...dirò al tuo amico che le piaci e..."
"...ho sentito che è stata uccisa da una setta, e suo fratello è stato arrestato!".
Si irrigidì quando sentì l'ultima parte. Le persone stavano ancora parlando di Kodachi e degli eventi di quel giorno. Fuochi, esplosioni, caos in tutto l'edificio, e oltre. Le voci abbondavano, ma nessuno sembrava conoscere alcun accenno di verità. Nessuno se non quelli che avevano lottato al Furinkan quel giorno.
Si chiese, non per la prima volta, cosa fosse accaduto alle creature che erano scappate dopo che il collegamento aveva collassato. Non c'erano stati ulteriori incidenti che lui sapesse, ma quelle creature dovevano essere andate da qualche parte. Tuttavia, le cose erano quiete, e lui aveva i propri problemi con cui avere a che fare.
Parlando di problemi...
"Bene, bene. Ranma. Ho appena visto mia sorella, e sai, non sembrava molto felice". Nabiki incrociò le braccia e l'infilzò con uno dei suoi brevettati sguardi freddi. Ranma sentì il suo stato d'animo già logorato cominciare a risvegliarsi.
"Non sono affari tuoi", le ringhiò. Lei batté le palpebre innocentemente.
"Da quando non è affar mio il benessere di mia sorella?", chiese aspra.
"Da quando te ne curi?", ribatté Ranma. Notò la sua espressione vacillare, e incalzò sul vantaggio. "A proposito, cos'era tutto l'interesse di ieri per Kuno? Non è da te preoccuparsi per qualcuno se non hai niente in cambio, Nabiki". I suoi occhi s'indurirono, ma la sua espressione rimase fredda.
"Da quando sai quello che è o non è 'da me', eh, Ranma?", chiese. Fu sorpreso di sentire una traccia di amarezza nella sua voce. "A ogni modo, non so come puoi non essere almeno curioso riguardo quello che gli sta accadendo. Il ragazzo si è presentato con una spada ardente e magica, non sei interessato alla storia che si cela dietro di essa?".
"Ho avuto altre cose per la mente", disse sulla difensiva. Lei lo fissò in maniera neutra per un momento.
"Come Akane, si spera?".
"Guarda, Nabiki, sto facendo del mio meglio con lei, ok?", scattò. "Le cose sono più complicate di quanto pensi! E ho notato che tu non sei migliore di me a gestire una vita amorosa!". Si era aspettato che si arrabbiasse, o almeno si irritasse. Invece lo fissò stranamente, per un momento, poi fece una piccola risata.
"Touché, Saotome", disse secca. "Un punto per te". Lui aggrottò le ciglia.
"Senti, Nabiki, so che probabilmente pensi che io sia un idiota, ma sto tentando di migliorare le cose tra me e Akane!".
"Faresti di meglio, Saotome", disse seriamente, sorprendendolo ancora, “se riuscissi a non far finire tutto con un dispiacere". Poi andò via, lasciando un Ranma confuso dietro di sé.
Cosa le accadeva ultimamente, comunque? Ok, era stata una settimana abbastanza traumatica per tutti, ma Nabiki era l'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere scossa. D'altronde, qualunque fosse il suo problema, non aveva tempo per preoccuparsene.
Proprio come le aveva detto, aveva altre cose per la testa. Molte altre cose, e stavano cominciando a minacciare di sommergerlo. Immaginò che fosse ora di cominciare a trattare con un po' di problemi arretrati.
Uno per volta, si corresse scivolando dietro a un albero per evitare la figura che camminava di fronte alla porta. Ukyo si guardò intorno, tirando irritata il colletto della sua uniforme da ragazzo, poi andò via sembrando infelice.
Mi dispiace, Ucchan, disse Ranma silenziosamente. Un problema alla volta.


Akane camminava nervosa lungo il marciapiede, fissando intensamente i suoi piedi, dondolando la cartella in archi brevi, viziosi. Non era nel miglior stato mentale per visitare Kuno, lo sapeva, ma aveva deciso che era necessario, e diversamente da altre persone lei era capace di prendere una decisione e tenervi fede.
Non poteva credere che Ranma non si fosse presentato neanche dopo scuola per andare con lei. Avrebbe rifiutato di parlargli, chiaramente, ma lui non si era nemmeno fatto vivo, così le era stata negata una chance. Questo la faceva infuriare di più. Dopo un po' giunse al limitare delle mura della scuola, il suo umore era turbolento come un caldo sole bianco.
Così, naturalmente, Ranma scelse quel momento per presentarsi.
Lo vide quando voltò l'angolo, appoggiandosi contro il muro, e guardandosi intorno apparentemente calmo. Marciò di fronte a lui senza dare peso alla sua presenza.
"Akane...", cominciò.
"Io NON ti parlo!", scattò, alzando il mento in quello che lei sperò potesse passare per un movimento altezzoso. Comunque, l'intero effetto fu rovinato da Ranma che la prese su balzando facilmente sul muro. Fece uno squittio spaventato quando atterrarono in cima e sbarcarono dolcemente sull'altro lato, nascosti alla vista dal muro alto e da un piccolo boschetto di alberi. Strinse i denti furiosa quando finalmente riuscì a riguadagnare la calma.
"Che cosa stai FACENDO?", ringhiò, voltandosi a guardare in faccia Ranma. "Mettimi giù!".
"Devo?", chiese dolcemente, e lei fu sorpresa di vedere che sembrava sinceramente addolorato all’idea. Ciononostante la mise tranquillamente in piedi, facendo un passo indietro mentre si rimetteva velocemente a posto la gonna dell'uniforme.
"Akane". Lei guardò in su, parole adirate pronte a uscirle dalla bocca. "Io voglio parlarti di oggi. Per favore, ascoltami solo per un minuto. Dopo, se vuoi ancora colpirmi, andrò a cercarti un martello. Ok?". La sua rabbia scemò leggermente, ancora latente ma non più in ebollizione.
"Parla", disse asciutta, tentando di ignorare l'effetto che la sua espressione gentile stava avendo su di lei.
"Avevi ragione solo parzialmente quando stavi parlando del perché stavo agendo così stranamente con tutti fin da... quel giorno. Lo ammetto, mi sto sentendo un po' in colpa per Kodachi, ma non è tutto. Akane, io pensavo davvero quello che ho detto quella notte. Io ti amo. Non penso proprio che tu ti sia resa conto di ciò che vuol dire questo". Rimase ferma, sentendo una giocosa brezza turbinarle intorno, le sue parole incisero la rabbia, facendo sbollire la furia rovente senza dolore.
"Cosa vuol dire?", chiese, quasi lamentosa.
"Ricordi come stava Ukyo quel giorno che erano tutti al dojo per cena? Dopo che è ritornata dall' Ucchan con Ranko?". Akane annuì. "Sai perché stava così, non è vero?". Lo sapeva. Aveva udito per caso Ranko e Ranma che ne parlavano.
"Ranko le aveva detto che non poteva amarla", disse leggermente Akane, senza capire. Ranma accennò col capo, gli occhi pieni di dolore.
"Sì. Più tardi mi disse che glielo doveva. Finalmente so quello che voleva dire".
"Ranma, non capisco!", gridò Akane, esasperata. "Cos'ha a che fare con...".
"Akane, ricordi quando ti dissi che avevo paura di cambiare le cose?", insisté, la sua voce quieta e intensa. "Bene, ne ho ancora. Ma... ora che sono alla luce del sole tra noi, stanno cambiando. Devono. E so che non posso semplicemente sedermi e aspettare che tutti lo comprendano. Dovrò fare quello stesso discorso che Ranko ha fatto con Ucchan, e questo la ferirà malamente. Anche Shampoo, dopo tutto anche lei è coinvolta. E Kuno. Come la prenderà quando mi vedrà passeggiare felice con la ragazza che amo, e sua sorella è fredda e morta perché mi amava?". Akane sentì uno shock gelido attraversarla e finalmente capì.
"Ranma, era tutto qui?". Lui le sorrise malinconicamente.
"Andiamo, Akane. Non pensi che io voglia stare con te, stare vicino a te, per tutto il tempo? Specialmente dopo che sono stato così vicino a perderti. Ma non volevo che qualcuno lo sapesse ancora. Voglio che Ucchan e Shampoo lo sappiano prima da me. Glielo devo. E Kuno...". Aveva sentito abbastanza. Avanzò, avvolgendogli le braccia intorno alla vita e inclinò la testa contro il suo torace, stringendolo ermeticamente. Poteva sentire il suo batticuore, un suono regolare, confortante, quando le avvolse le braccia intorno a sua volta e sospirò nel suo orecchio.
"Mi dispiace averti ferito", sussurrò. "Sto rimandando a causa di quello che è accaduto, ma ora so che non ci sarà mai un buon momento. Devo farlo presto. Prima Kuno, suppongo".
"Ranma, perché non mi hai detto tutto questo?", chiese, inclinandosi un poco così da poter guardare nei suoi occhi grigioblu. Ora comprendeva che il dolore che riempiva quegli occhi non era per se stesso, ma per gli altri che sarebbero stati feriti da quello che doveva dire loro.
"Oh, sai che non sono per niente capace di parlare di cose come questa", disse coscienzioso, e improvvisamente era di nuovo goffo, non ricambiava il suo sguardo. Lo scosse gentilmente.
"Ehi. Le persone che si amano si aiutano l'un l'altro, giusto? D'ora in poi, se una cosa del genere ti preoccupa, dovresti venire da me. Possiamo affrontarla insieme, lo sai". Lui la guardò di sottecchi, sorpreso, poi sorrise timidamente.
"Davvero?", chiese in un tono che le fece stringere dolcemente il cuore. Gli sorrise.
"Sì, davvero". Stettero in piedi nelle ombre maculate del sole tra gli alberi, guardandosi semplicemente l'un l'altro, poi Ranma si volse in giù, lei alzò leggermente il mento e si baciarono, un caldo, dolce, innocente bacio che le tolse il fiato e la rese felice di essere abbracciata a Ranma. Altrimenti non pensava che le gambe l'avrebbero retta. Infine, lui si ritrasse, il suo sguardo fisso diventò oscuro.
"Sono contento che tu venga da Kuno con me", disse.
"Ci sarò sempre per te, Ranma. Lo prometto. Sempre, non importa per cosa”. Lui sorrise, e il suo sorriso la purificò come il calore del sole di fine di primavera.
"Sono contento", disse. "Perchè io ho bisogno di te, Akane Tendo". Lei si tirò via di malavoglia, e lui le permise di andare, i loro sguardi ancora incatenati.
"Andiamo", disse lei con un sospiro. "Faremmo meglio ad andare a fare questa cosa prima che diventi troppo tardi".
Insieme, saltarono di nuovo sul recinto e si incamminarono verso la proprietà dei Kuno.


"Si ricorda di me?". La donna alzò lo sguardo dalla sua bevanda, sembrando vagamente perplessa. Il ristorante dell'albergo non era molto affollato, e Nabiki poteva udire i deboli suoni del traffico nella strada sottostante.
"No, mi dispiace...", rispose incerta.
"Ieri, signora Kuno", insisté gentilmente. La donna arrossì un poco, poi si rivolse di nuovo al suo drink.
"Oh. Sì, ricordo. Ti ho detto che non uso più quel nome". Nabiki sedette alla piccola tavola senza essere invitata, e tirò fuori un fascio di fogli dalla sua cartellina.
"Ma potrebbe. Lei e suo marito non avete mai ottenuto il divorzio, vero?". La donna strinse il suo bicchiere, ma non disse niente, e Nabiki proseguì allegramente. "Lei vive a Yokohama, lavora in un piccolo negozio di vendita al dettaglio, vive da sola... Devo proseguire, signora Kuno?".
"Cosa vuoi?", chiese con voce spenta, esanime. Nabiki si inclinò sulla tavola, incrociando le braccia.
"Lei ha detto che suo figlio era in pericolo. Sto tentando di capire perché, e se possiamo aiutarlo. Ho sempre pensato di conoscere tutta la famiglia di Tatewaki, ma ora mi accorgo che non sapevo niente. Per esempio, non ho mai saputo che ci fosse un altro fratello, Kazuhiro". Disse piano il nome, ma l'altra donna sussultò come se fosse stata colpita, e la ragazza sentì un improvviso e lancinante dolore alla coscienza. Rafforzando la sua risoluzione, insisté. "Qualcuno che mi deve un favore è bravo con il computer. Sarebbe sorpresa da quello che si può apprendere così. Sul certificato di morte di Kazuhiro, per esempio, la causa del decesso è stata indicata come trauma da un attacco animale. Un cane". La signora Kuno tenne il bicchiere alla luce, guardandola filtrare attraverso il liquido marroncino. Con un movimento fluido lo svuotò e agitò il bicchiere vuoto nell'aria. Un cameriere arrivò con nuovo drink, guardando interrogativamente Nabiki. Gli fece cenno di andare via e lui si allontanò. Poi riportò di nuovo l'attenzione alla madre di Kuno che stava mostrando verso la nuova bevanda lo stesso genere di interesse rapito che aveva dato alla precedente.
"Bugie", disse finalmente, la voce era così rauca che sulle prime Nabiki non fu sicura che avesse parlato.
"Scusi?".
"Bugie. Tutte bugie. Non potevamo tenere cani nella proprietà. Rifiutavano di attraversare la soglia. Più intelligenti degli esseri umani". Scolò metà del drink in una volta, sbattendo il bicchiere sulla tavola con un sospiro. "Bugie", ripeté. "Ma quando hai soldi e potere, la verità è mutabile. L'ho imparato molto presto. Conoscevi mia figlia?". Nabiki fu presa alla sprovvista dal cambio improvviso di discorso.
"Cosa? Kodachi? Beh, sì, qualcosa del genere. Andava alla scuola femminile...". La sig.ra Kuno sventolò impaziente la mano.
"Sì, lo so. Tu sai come è morta? Me lo dirai?". Gli occhi della donna incontrarono quelli di Nabiki, nudi e vulnerabili, bruciando dal bisogno, silenziosamente supplichevoli. La ragazza sedette di nuovo, sconfortata. Era venuta qui a prendere informazioni, non a darne. E la storia era tutto fuorché credibile.
"Io non penso...", cominciò.
"Per favore. Per favore, ho bisogno di saperlo. Tu sei la sola a cui mi possa rivolgere. La versione ufficiale non saranno che bugie, e Tatewaki non vuole...". S'interruppe, la voce impastata di lacrime non versate. Nabiki ricordò mentre la guardava nel giardino, ascoltando il figlio che le diceva di non avere una madre.
"Signora Kuno...".
"Chiamami Yukio. Non sono la signora Kuno da un bel po' di tempo". La guardò con gli occhi brillanti di lacrime, e lei annuì.
"Molto bene. Yukio. Stava combattendo contro alcune... persone molto cattive. Stava tentando di aiutare qualcun altro quando fu uccisa. Questo è tutto ciò che so realmente". Nabiki lottò contro l'impulso di contorcersi sulla sedia. Era solo una piccola bugia, per il bene di Yukio. La domanda seguente della donna la colse di sprovvista.
"Chi l'ha fatto? Chi l'ha uccisa?". Oh, ragazzi, pensò Nabiki. Questo non è quello che avevo in mente, proprio no.
"Io, uh non...", cominciò. Yukio la fissò con un'intensa aria feroce, qualcosa dietro i suoi occhi aleggiò scura e folle, e per un momento fu l'incarnazione di sua figlia. E Nabiki, per la prima volta, sentì rimescolare un debole disagio, sentì che forse questa donna poteva essere più di una madre addolorata. Era probabile che fosse pericolosa.
La sua seguente asserzione lo confermò.
"Erano mostri? Tatewaki ha detto la verità?". La media delle Tendo si inclinò sulla sedia, guardandola con circospezione. Erano stati i mostri, chiaramente, ma Yukio non poteva saperlo. Guardò affascinata e inorridita l'altra donna che si inclinava in avanti, gli occhi scuri bruciavano di rabbia, nell'atteggiamento che spesso assumeva Kodachi.
"Alla fine i mostri hanno ucciso mia figlia?", chiese, e Nabiki seppe che le passava qualcosa per la testa. Alla fine? I mostri erano giunti a Nerima quel giorno fatale, ma era una situazione piuttosto unica. Quella donna era instabile, decise improvvisamente. La famiglia intera era eccentrica, dopo tutto; non avrebbe dovuto aspettarsi che la madre fosse diversa.
"Ė stata molto coraggiosa", disse leggermente, mentre tentava di deviare l'improvvisa rabbia non focalizzata della donna. Yukio sbatté le palpebre, ed essa si esaurì in un istante, facendola sembrare piccola e vulnerabile.
"Coraggiosa", parlò a bassa voce, tristemente. Prese il bicchiere mezzo vuoto, la mano tremò così tanto che un po' del liquido marroncino vi traboccò sopra, e buttò giù il drink con un movimento fluido. Nabiki prese nota del rossore sulle sue guance e comprese che Yukio era, se non ubriaca, sulla buona strada. Sembrava improbabile avere le risposte che voleva oggi. Stava considerando il modo migliore di svignarsela quando parlò di nuovo. "Sono stati tutti maledetti dal valore, i miei bambini. Quando l'oscurità venne per Kodachi, quella prima volta, fu Kazuhiro che la salvò, al prezzo della propria vita. Lui era coraggioso, molto più coraggioso di me. E loro l'hanno ucciso per questo". Alzò gli occhi dal bicchiere vuoto, e Nabiki poté vedere le lacrime non versate brillare nelle loro profondità.
"Era solamente un ragazzino", bisbigliò, implorandola di capire. "Io volevo andare via, ma mio marito rifiutò di abbandonare il suo compito di proteggere la proprietà, il... lui doveva restare, ma non noi! Lo dicevo per non metterli in pericolo, i suoi giuramenti non valevano quello che loro avevano fatto a Kazuhiro, nulla valeva! Lasciagli prendere la proprietà, cosa ti importa?". Nabiki lottò per seguire quello che stava dicendo. Yukio era solo un po' svitata, decise, e molto ubriaca. Era probabile, tuttavia, che ci fosse il nocciolo della verità nella sua incoerenza.
"Yukio, io non capisco", disse piano, tentando di guidare di nuovo la donna sul binario giusto. Lei scosse stancamente la testa.
"Ho tentato di portarli via, comunque. Il buio ci aveva marcati quella sera, e io sapevo che poteva ritornare. Quindi ho tentato di prendere gli altri due bambini, ma lui prese me, e mi cacciò. Aveva soldi e influenza, e io non avevo niente. Una donna più forte, un po' più coraggiosa, avrebbe trovato un modo, ma io non lo ero". Le lacrime ora le scorrevano silenziose sulle guance. "Il buio è venuto per due dei miei bambini, e presto verrà per Tatewaki. Lo so. Sta ricominciando tutto di nuovo, proprio come allora". Abbassò la testa, artigliando ermeticamente il bicchiere vuoto come se fosse la sua unica ancora in una tempesta d'incertezza. "Morirà se resta là, e io non so cosa fare", bisbigliò. Nabiki scosse la testa. Questo non era buono. Yukio diceva cose senza senso, e sapeva che sarebbe stato inutile farle anche solo alcune delle domande che aveva progettato di porle. C'erano infide correnti incrociate sotto la superficie della famiglia di Tatewaki, e stavano trascinando Yukio in fondo. Se voleva davvero conoscere la verità sui misteri della famiglia, doveva prima mappare alcune di quelle correnti incrociate. Prese la borsa e fece scivolare gentilmente un biglietto da visita al lato del tavolo della donna.
"Yukio", disse gentilmente. Lei non rispose. "YUKIO".
"Sì?". Distante.
"Questo biglietto ha il mio numero di telefono sopra. Voglio che lei lo prenda. Quando starà meglio, mi piacerebbe che mi chiamasse, okay? Voglio parlarle della famiglia. Lo farà?". Yukio accennò col capo, assente, ma non raccolse il biglietto e un angolo cominciò a scolorire quando si bagnò con una piccola pozza di liquido versato. Nabiki sospirò internamente. Non le importava, sul serio. Avrebbe potuto trovare abbastanza facilmente Yukio con tutte le informazioni che aveva già raccolto. Si alzò in piedi, guardando in giù verso l'altra donna. Sembrava perduta, fissava ancora il suo bicchiere, emanando odore di alcool da due soldi e disperazione. Scivolò via quietamente e si trovò fuori dell'albergo, la mente che ronzava.
Segreti. Qualunque fosse la verità sulla famiglia di Tatewaki, era ben nascosta. Nessuno, neanche Nabiki stessa ne aveva avuto sia pure un accenno. Un fratello morto in circostanze misteriose, una madre tenuta lontana dalla sua famiglia per anni... o li aveva abbandonati? La verità era, come aveva notato Yukio, mutevole, e aveva bisogno di più fatti per decidere quello che era vero e quello che non lo era.
Qualunque fosse la verità, si trovava ad affrontare un puzzle enorme, complesso. I suoi schemi personali e le trame cominciarono ad apparire pallidi e insignificanti di fronte a esso. La prospettiva di districare le matasse ritorte della verità e le falsità che circondavano il clan dei Kuno impegnava quella parte di lei che aveva bisogno di chiedere insistentemente sfide come questa.
Sentì un ghigno che si formava sulle labbra mentre andava verso casa lungo i marciapiedi colmi, mescolata con le folle del dopo-lavoro. Il sangue ribolliva di anticipazione per la prospettiva di una sfida degna del suo talento a risolvere i problemi. Non era molto sicura quando l'aveva deciso, ma ora sapeva che doveva scoprire quali segreti si celavano nel cuore del passato intricato di Tatewaki.
Essendo Nabiki, non si fermò mai a considerare che alcune cose sarebbe stato meglio lasciarle imperturbate.


Akane guardò da sopra una spalla, facendo a Ranma un ultimo sorriso di incoraggiamento.
"Pronto?", chiese. Lui accennò col capo, mettendo una mano confortante sulla sua spalla.
"Fallo", disse. Lei si girò e bussò alla porta. Il cuore le sembrò crescere nel torace, battendo nervosamente, quando sentì passi deboli che si avvicinavano alla porta. Finalmente si aprì a mostrare Kuno, vestito nella sua solita uniforme da kendo, una katana rinfoderata nella mano sinistra. Fissò impassibile gli ospiti non invitati, il volto non rivelava niente neanche quando sembrò prendere nota del modo possessivo con cui la mano di Ranma stava sulla spalla di Akane.
"Sembra che dovrò licenziare un altro gruppo di guardie", disse finalmente, con voce piatta.
"Non ci hanno neanche visti", disse Ranma sulla difensiva. "Ci siamo intrufolati".
"Quindi sarai capace di scoprire la strada per uscire", ribatté Kuno con un accenno di irritazione nella voce. Ranma aggrottò le ciglia, e Akane si lanciò prima che le cose potessero degenerare.
"Kuno-senpai", disse, mentre stringeva nervosamente le mani di fronte a sé, "ci dispiace di esserci intrufolati qui, ma eravamo preoccupati. Nessuno ti ha visto da domenica scorsa, e ora abbiamo sentito che sei qui tutto solo!". Lo sguardo fisso del ragazzo si spostò su di lei.
"Ci sono i servitori...", cominciò. Akane scosse violentemente la testa.
"Non sto parlando di servitori! Chi hai con cui parlare? Chi c'è per condividere il tuo dolore? Tu e Kodachi siete venuti ad aiutarci, a proteggere tutti in questa città! E ora lei è morta, e tu sei solo, e non dovrebbe essere così! Non è solo ingiusto, non è leale!". Si fermò improvvisamente, trovandosi al limite delle lacrime, stringendo forte le mani, adirata per l'ingiustizia. La mano di Ranma le strinse gentilmente la spalla. L'espressione di Kuno si ammorbidì un poco, e quando parlò, c'era una traccia di gentilezza nel suo tono.
"Come sempre, il tuo cuore è vero, Akane Tendo. È facile capire perché fossi così innamorato di te. Ma ascoltami attentamente, ti imploro. Rimarrò sequestrato qui solo per poco tempo ancora. Una volta finito il mio dolore, ritornerò al Furinkan. Chiedo soltanto, nel frattempo, che tu non ritorni qui. Per favore". Lo guardò negli occhi, vedendovi il dolore seppellito, e accennò col capo senza parole.
"Se... se questo è quello che vuoi", disse alla fine con voce bassa.
"Ė ciò di cui ho bisogno", le disse quietamente. "Da tutti". Spostò lo sguardo alle sue spalle, a Ranma, e lei si irrigidì, temendo quello che sarebbe accaduto.
"Saotome". Il suo sguardo era di nuovo piatto, privo di emozioni.
"Kuno". L'espressione di Ranma non era esattamente ostile, ma non era neanche molto aperta.
"L'altro te, chiamato Ranko, è venuto qui prima di andare via". Akane non lo sapeva; ma era chiaro dall'espressione del suo fidanzato che per lui era il contrario. "Mi ha chiesto di ritenere lui, non te, responsabile per quello che è successo a mia sorella. Comunque trovo di non poterti ritenere completamente irreprensibile".
"Kuno-senpai!". Akane rimase a bocca aperta. Lui alzò austeramente la mano libera.
"Tu e io, Saotome, dividiamo un fardello. Entrambi abbiamo fallito con Kodachi. Non ho alcuna intenzione di cercare la lotta con te, ma sarebbe prudente se le nostre strade non si incrociassero più dello stretto necessario". Il ragazzo col codino lo fissò silenziosamente per un lungo momento, poi accennò col capo.
"Capisco", fu tutto quello che disse. Kuno guardò il cielo.
"L'ora si fa tarda. Dovete andare adesso. Per favore, ricordate quello che ho detto". Ranma si girò e cominciò ad allontanarsi, e Akane si voltò per seguirlo, l'espressione scura. "Akane Tendo". Si girò di nuovo, il volto immerso nella luce del sole di fine pomeriggio, per vedere Kuno che stava ancora là in piedi. "Significa... molto per me che tu sia venuta. Io... grazie". Lei sorrise, sentendo aprirsi il cuore.
"Non dimenticare che hai degli amici, Kuno-senpai", gli disse, guardandolo negli occhi ombreggiati. "Non devi stare da solo".
Lui sembrò triste, e vecchio. "Se solamente fosse vero", lo sentì mormorare, poi chiuse dolcemente la porta, e lei si allontanò, fin dove Ranma stava aspettando.
"Bene, è andata meglio di quanto mi aspettassi", sospirò Ranma. "Almeno non ho dovuto lottare contro di lui. Non penso che avrei potuto, dopo tutto quello che ha passato il ragazzo. Hai notato che porta ancora quella spada?". Lei accennò col capo silenziosamente, e osservò la tensione delle sue spalle. Sospirò.
"Andiamo, Akane, abbiamo fatto tutto ciò che potevamo. Vuole semplicemente stare da solo. Non possiamo imporgli il nostro aiuto, lo sai?". Lei accennò col capo.
"Sembra così... ferito. Pensi che tornerà mai com'era prima?". Era chiaro dalla faccia di Ranma che lui non considerava quella un scelta desiderabile.
"Non lo so, Akane. Davvero. Forse ha solo bisogno di un po' di tempo. Almeno abbiamo tentato. Vieni, andiamo a casa, ok?". La ragazza accennò col capo e cominciarono a ritornare per la strada attraverso gli alberi fino al punto dove avevano saltato il muro. Akane fece una pausa una volta, per guardare di nuovo la casa, una piccola piega apparve tra i suoi occhi.
Ora che l'aveva visto, odiava il pensiero di lasciare in pace Kuno più di prima. Ma Ranma aveva ragione.
Sembrava non esserci niente che loro potessero fare.


Nabiki sospirò e lasciò cadere la borsa nell'ingresso. Mise cautamente le mani sulla schiena all'altezza dei reni e tese, gemendo di piacere quando schioccò con un piccolo rumore. Si era interrogata sulla sconcertante storia della madre di Kuno fino a casa, chiedendosi quale verità giacesse seppellita nelle sue parole. Una cosa era certa. Il giovane Kazuhiro aveva avuto una brutta morte, e se Nabiki dubitava che fossero coinvolti i mostri, non era del tutto convinta che un cane avesse ucciso quel ragazzo. C'era qualcosa, qualcosa di grande. Lei lo sapeva. Lo sentiva. Doveva investigare ulteriormente, scoprire di più, prima di poter decidere dove proseguire.
Sorrise a se stessa, improvvisamente. Scoprire di più. Era la sola persona che avrebbe potuto farlo, se c'era qualcosa da trovare. Avrebbe risolto anche questo enigma.
"Sono a casa", annunciò, raggiungendo la sala da pranzo e trovando Akane appollaiata di fronte alla televisione. "Ehi, sorella".
"Nabiki, hai saltato ancora la cena. Kasumi però te ne ha conservata un po'".
"Grande". Si lasciò cadere sul divano e sospirò. Akane la guardò curiosa.
"Che ti succede?", domandò. Nabiki le gettò uno sguardo.
"Cosa intendi?".
"Sembri... non lo so. Animata. Indaffarata". La sorella maggiore ghignò, mostrando più entusiasmo di quello che era abituata a vedere in lei.
"Sto lavorando su qualche cosa", disse disinvolta. L'espressione di Akane si scurì.
"Oh", disse, e Nabiki sembrò sorpresa, poi stupefatta dal suo tono.
"Ehi, non è come pensi!", protestò, le guance in fiamme. "È qualcosa di buono, okay? Kami!". Akane ammiccò.
"Davvero? Nessuno si farà male a causa di questo, vero?", chiese dolcemente. Nabiki avrebbe voluto rispondere male alla sorella minore, ma sapeva che Akane stava pensando a quello che aveva fatto a Ranko, quando aveva parlato di lui a tutte le fidanzate di Ranma prima che fosse pronto a confrontarsi con loro. Sapeva che aveva ragione a essere scettica, ma era abbastanza sicura che non c'era nulla di cui preoccuparsi questa volta. Dopo tutto, non credeva che le sue indagini avrebbero davvero fatto male a qualcuno. E non sembrava che le cose potessero andare peggio per la famiglia di Tatewaki.
"Davvero, Akane", disse, la voce seria. "Ė qualcosa di veramente grande, ma penso che ne possa uscire qualcosa di buono. Davvero, ho una sensazione veramente ottima. Forse sto perdendo il mio smalto". La minore rise a quello, e Nabiki si unì a lei. Era bello sedere semplicemente sul divano e ridere con sua sorella. Le cose sembravano più normali di quanto fossero state durante l'ultima settimana.
"Bene, sono contenta di sentirlo", disse Akane. "So che quando affondi i denti in qualcosa, nulla può fermarti". Nabiki si sentì stranamente toccata da quell'espressione di confidenza. La spinse leggermente col gomito appena sotto le costole.
"Dovresti parlare, sorellina. Cosa sta accadendo tra te e Ranma, eh?", Rimase a bocca aperta e Nabiki rise di nuovo.
"Io e... perché... Io non...".
"Oh, molto chiaro, Akane. Andiamo, voi due avete a malapena litigato questa settimana. Il grido squillante ‘maschiaccio violento’ non si è sentito all'interno di queste mura per così tanto, che ne sento quasi la mancanza, e i soldi per riparare il nostro muro sono rimasti lì! Che cosa è accaduto? Andiamo, sputa il rospo!".
"Sì, assolutamente Akane", disse Kasumi, drappeggiandosi elegantemente sulla spalliera del divano tra loro. Akane sussultò, sorpresa dal suo arrivo improvviso.
"Ehi, ragazze...", protestò. Kasumi le sorrise benigna.
"Tutti i dettagli succosi, per favore", disse. Sospirò e Nabiki seppe che poteva scavare a fondo. Probabilmente era stata troppo addolorata quella settimana per parlare a qualcuno. E lei aveva bisogno di parlare di qualche cosa di sano, razionale e allegro proprio ora. Nel modo più assoluto.
"Abbiamo fatto un lungo discorso la notte prima... sapete. La sera prima. Sul tetto".
"E?", incalzò Nabiki. Un rossore cremisi si sparse sul naso di Akane, chiazzando le guance.
"Ha detto che mi ama", disse, pigiando le punte degli indici a toccarsi timidamente. Entrambe le sorelle ansarono.
"Ranma Saotome? Veste con camicie cinesi e ha un codino?", domandò Nabiki. "Quel Ranma?".
"Akane è meraviglioso!". Kasumi rimase a bocca aperta. Nabiki scoprì che il dolore lancinante della gelosia per la grande fortuna della sorella minore era stato sommerso dalla felicità pura e semplice.
"Non potete ancora dirlo a papà o al signor Saotome, tuttavia!", disse Akane, improvvisamente allarmata. Nabiki ghignò.
"Il tuo segreto è al sicuro con noi. Quindi sorella, dicci di più. Come lo hai convinto a pronunciare quelle parole? Non posso davvero immaginare Ranma che le formula! Dicci, dicci!". Il rossore di Akane si approfondì, qualcosa che Nabiki non aveva pensato possibile.
"Bene, ero stufa di come andavano le cose, sapete, con tutte le fidanzate che tentavano di decidere chi dovesse avere Ranma e chi Ranko e... ed era due volte peggio di prima. Tutti sembravano starci male, e io ero stanca di questo. Quindi mi sono confrontata con Ranma. Non pensavo di arrivare così lontano come ho fatto ma, alla fine, è prevalso in me il bisogno di parlargli di quello che c'era tra noi. Quando lui non voleva, io ho deciso solo... di farlo. Stavo davvero andando via, ero vicina ad abbandonarlo. Non saprete mai quanto ci siamo andati vicino. Ma...".
"Ma?", chiese Kasumi, sembrando per una volta una scolara ansiosa e non il membro più responsabile della famiglia.
"Lui mi ha fermato. All'ultimo momento mi ha presa e non mi ha lasciata andare. Era così dura per lui parlare di sé, ma... oh, era così dolce. Avreste dovuto vederlo. Ha parlato della sua infanzia, delle sue paure sul cambiamento delle cose qui...".
"Aspetta un minuto. Ranma ha detto queste cose?", chiese Nabiki incredula. Akane sorrise trasognata, fissando il pavimento.
"Ah-ah. E poi ha detto che tutto sarebbe andato bene perché mi amava. Ricordo quel momento, ricordo tutto. Lo ricorderò per il resto della mia vita". Sedettero per un momento, Akane prendendo un cuscino felpato dall'angolo del divano e abbracciandolo ermeticamente al torace, tirando su le ginocchia.
"E poi vi siete baciati. Per favore dimmi che c'è stato un bacio", supplicò Nabiki. Akane seppellì la faccia nel cuscino, tamburellò i talloni contro l'orlo del divano e accennò col capo freneticamente. Le sue sorelle strillarono con delizia.
"Bene, Akane!", disse Kasumi, in una maniera così diversa da lei che per un momento Nabiki pensò di averlo detto lei stessa. Akane si rilassò, abbracciando ancora il cuscino, e sospirò profondamente.
"Ho sognato quel momento per così tanto tempo, ed è stato così perfetto. Ė stato tutto quello che ho pensato avrebbe dovuto essere". Seppellì di nuovo la faccia nel cuscino. "Sono INNAMORATA!", strillò.
"E hai aspettato così a lungo per dircelo", la sgridò Kasumi. La posa gioiosa di Akane si rilassò molto, e Nabiki si tese.
"Beh, dopo che Kodachi è morta e Ranko è andato via, le cose non sono andate così bene", disse leggermente.
"Ti ho vista a pranzo oggi, Akane, e sembravi piuttosto sconvolta", disse Nabiki. Ricordava che Ranma le aveva detto che stava tentando di far migliorare le cose, e lei ci aveva creduto davvero. "Le cose vanno ancora male?".
"Le cose non sono mai semplici quando si tratta di Akane e Ranma", rifletté Kasumi, sembrando preoccupata. Akane guardò in su e scosse la testa.
"No, non è così!", protestò. "Voglio dire... okay. Dopo la lotta, Ranma sembrava tirarsi di nuovo un po' indietro. Prima ho pensato che fosse naturale, ma poi ho cominciato a preoccuparmi, e oggi abbiamo discusso per questo. Ma più tardi, mi ha spiegato tutto. Ricordate com'era depressa Ukyo quella sera che eravamo tutti a cena qui?". Entrambe annuirono. "Bene, era perché Ranko le aveva parlato, le aveva detto che non l'amava così che potesse lasciarlo andare. Ranma mi ama realmente". Guardò il cuscino, le sue labbra che si curvavano in un sorriso trasognato.
"Lo fa davvero", continuò dopo un momento. "E sa che deve fare lo stesso discorso che Ranko ha fatto con Ukyo, e anche con Shampoo. Non vuole far loro del male, ma dirà loro una volta e per sempre che noi ci amiamo".
"Oh, Akane, spero che le cose funzionino", disse felice Kasumi, stringendo dolcemente la spalla di Akane.
"Sì, ma tu? Ryoga non ne sarà devastato?", chiese Nabiki, sopprimendo un altro dolore lancinante per la gelosia dei tanti pretendenti della sorella. Akane arrossì di nuovo.
"Ho udito per caso Ranma e Ranko che ne parlavano, una volta. Ryoga ha deciso di lasciar perdere con me da solo". Fissò Nabiki. "E io che non sapevo neanche di piacergli! Se lo sapevi, avresti potuto dirmi qualcosa!". Nabiki fece un sospiro a sua sorella.
"Kami, sei ottusa qualche volta, Akane. Tutti sapevano che Ryoga aveva una notevole cotta per te. Non posso credere che non l'hai mai notato!".
"Avevo altre cose per la mente!", ribatté.
"E che mi dici di Kuno...", cominciò Nabiki, poi si gelò. Il sorriso di Akane si affievolì.
"Siamo andati a trovarlo oggi, Ranma e io. Gli abbiamo parlato". Si rivolse alle sue sorelle, l'espressione grave. "Ha detto che sarebbe stato bene, ma... è cambiato così tanto. Non avrei mai pensato che l'avrei detto, ma mi manca il vecchio Kuno". Nabiki sapeva precisamente quello che voleva dire. La visione di Kuno nel giardino l'aveva infastidita più di quanto avrebbe creduto possibile.
"Mi sento colpevole, a essere così felice", disse infine Akane. "Voglio dire, dopo tutto quello che è accaduto, mi trovo a essere felice. Sembra sbagliato, in qualche modo".
"No!", disse Nabiki intensamente. "Non è sbagliato, Akane! Hai lottato per essere felice, avere quello che hai! Hai diritto a goderne! Niente di quello che è accaduto è colpa tua, ricordatelo!". S'interruppe quando comprese che le due la stavano guardando stranamente.
"Kami, da dove viene questo?", chiese debolmente. Un caldo sorriso accese il volto di Akane e si inchinò a intrappolare Nabiki in uno stretto abbraccio.
"Hai ragione, sorellina! Devo solo cercare di imparare a essere felice!". Nabiki accarezzò goffamente le spalle di Akane.
"Uh. Buona, Akane. Ora lasciami respirare, ok?". La sorella minore allentò timidamente la presa, e tutte risero di nuovo.
"Ora va meglio," disse Kasumi. "C'è stata troppa oscurità qui nella settimana e mezzo passata. Parliamo di cose felici per una volta".
"Sì, tornando a te e al tuo fusto...", la prese in giro Nabiki. Akane arrossì di nuovo. Kami, è troppo facile, pensò allegramente.
"Più dettagli sul bacio", esortò Kasumi, inclinandosi in avanti con l'aspettativa sul volto. Nabiki era sorpresa da quanto la maggiore ne stesse godendo. Per questo, ne traeva gioia molto di più anche lei. Era passato troppo tempo da quando loro tre avevano parlato come adesso.
Proprio poco dopo, Ranma passò nella stanza mentre si dirigeva in cucina. Le ragazze precipitarono nel silenzio, girandosi all'unisono per guardarlo. Il suo passo vacillò quando fu consapevole che era al centro dell'attenzione.
"Uh, cosa?", chiese, perplesso. Tutte e tre le ragazze indossavano sorrisi segreti.
"Nulla, Ranma", disse Kasumi nella sua voce più innocente.
"Stavamo solo parlando", aggiunse Nabiki allegramente.
"Esatto. Parlando", chiarì Akane. Lui cominciò a sembrare un po' innervosito dall'intensità della loro attenzione.
"Oh", disse debolmente. Continuarono a fissarlo, Akane arrossendo, Nabiki e Kasumi dirigendogli occhiate quasi identiche di schietta valutazione. Ranma era imbarazzato. "Bene, io vado a... fare quella cosa che devo... andare a fare. Ciao!". Andò via, tentando di non apparire come se si stesse affrettando e fallendo miseramente. Uno scoppio di forti risate femminili eruttò sulla sua scia.
"Oh, mio…", ansò Kasumi alla fine. "Povero Ranma".
"Ah, sopravvivrà", disse Nabiki secca. Si rivolse a un'Akane che stava ancora ridendo scioccamente. "Ora, Akane, il soggetto stava baciando, credo. Tu e Ranma. Dettagli. Prima volta, e non sto parlando di quella volta che pensava di essere un gatto. Vai". Akane aveva recuperato il suo cuscino e ancora una volta lo stava spremendo in una presa mortale.
"Bene, la prima volta veramente ho cominciato io...", iniziò. Le sue sorelle ridacchiarono in maniera incontrollabile.
"Che figura", Nabiki rimase a bocca aperta. Akane arrossì di un brillante cremisi e seppellì la faccia nel cuscino.
"Ranma è stato sempre un po' lento", ridacchiò Kasumi. "Quindi, Akane, come hai cominciato?".
"Bene, eravamo sul tetto, e io stavo piangendo perché mi aveva appena detto che mi amava. Lo stavo abbracciando, e gli ho detto che l'amavo anch'io. L'espressione sulla sua faccia quando gliel'ho detto! Oh, era incredibile! Ho allungato la mano e gli ho passato le dita sul collo, dietro all'orecchio e nei capelli...".
"Sì? E poi?".
"Beh, poi io...".


Ranma uscì fuori in giardino, dopo aver scovato degli avanzi in cucina. Sentì un altro scoppio di risa in casa, seguito dal grido della voce scandalizzata di Kasumi: "Akane! L'hai fatto davvero?!".
Si accigliò. Insomma, di che diavolo stavano parlando di là? Sospirò e camminò fino allo stagno della carpa, riempiendosi con aria assente la bocca di riso freddo mentre stridii più deboli di risa provenivano dalla casa. Ricordava il modo in cui le ragazze l'avevano guardato, con una tacita complicità che aleggiava.
"Le donne sono così strane", sospirò. Desiderò ridere anche lui, ma francamente non ci riusciva. Aveva messo le cose a posto con Akane, per una volta, e non era più arrabbiata con lui. Doveva ancora affrontare la prospettiva di avere un discorso cuore-a-cuore con Ucchan e Shampoo.
Temeva di spezzare il cuore a Ucchan. Aveva già visto che effetto il discorso di Ranko aveva avuto su di lei, ma alla fine sapeva che la sua controparte aveva ragione. Era la sua più vecchia e cara amica, ma lei lo amava e lui no, e le doveva di mettere una volta per tutte in chiaro le cose. Ma avrebbe pianto, e lui odiava il pensiero di essere quello che la faceva piangere. Lo detestava.
Shampoo era tutta un'altra questione. Probabilmente avrebbe pianto anche lei, ma si sarebbe anche arrabbiata, ed era assolutamente possibile che potesse seguire una reazione violenta. Ranma non sapeva cosa avrebbe fatto se avesse voluto lottare contro di lui. Shampoo era una ragazza di passioni profonde, ed era improbabile che la prendesse alla leggera. Si chiese se Mousse avrebbe potuto aiutarlo.
Sospirò di nuovo, guardando la superficie dello stagno, liscia come vetro caldo, fermo nell'aria serale. Immaginò di vedervi il riflesso di una ragazza rossa e graziosa, ma chiaramente c'era solo il proprio di riflesso. Gli stagni non hanno alcun senso del drammatico.
E Kodachi. Se fosse stata viva, avrebbe dovuto fare questo discorso anche con lei. Ricordò quasi affettuosamente le sue buffonate, ora che se n'era andata, la verità era che era stata abbastanza spaventosa a volte. Ma se n'era andata. Doveva solamente pensare a Kuno per ricordarsene.
Almeno il suo discorso con lui non era stato nemmeno vicino al disastro che avrebbe potuto essere. Aveva ben detto a Ranma di stargli lontano, ma non a entrambi i Ranma. Non aveva avuto alcun particolare desiderio di stargli intorno in giorni migliori. E soprattutto, ricordava come avesse detto ad Akane quanto "fosse" stato innamorato di lei. Al passato. Forse ora le cose su quel fronte sarebbero state davvero più facili.
Si acquattò e bagnò le dita sull'immobile superficie dello stagno, osservando rapito come la propagazione delle increspature prodotte dalla punta delle dita sconvolgeva fluidamente il suo riflesso. Non era abbastanza per provocare il cambio, lo sapeva per esperienza. Chiudendo gli occhi, ricordò la faccia di Kuno quando aveva chiesto il corpo di Kodachi, lo ricordò andare via da solo. Qualunque cosa avesse vissuto dietro i suoi occhi era andato via, lontano, quel giorno, ed era rimasto intoccabile, addirittura ora. Forse Akane aveva ragione, pensò Ranma. Forse Kuno aveva bisogno di aiuto. Comunque, Ranma era abbastanza sicuro che qualunque cosa avvenisse, lui era l'unica persona da cui non stava cercando quell'aiuto.
Kuno era ancora un ragazzo forte. Aveva deciso di prendersi cura delle cose da solo, qualunque fosse la ragione e non avevano davvero altra alternativa che permettergli di farlo.
Fu riscosso dalle sue fantasticherie da un altro scoppio di risa che veniva dalla casa, e storse la bocca in un piccolo ghigno a dispetto del suo stato d'animo. Era bello sentire di nuovo risate al dojo. Forse questo era il segnale che le cose stavano finalmente migliorando. Sospirò e si alzò in piedi, lanciando la ciotola vuota in aria e afferrandola semplicemente su un piede disteso, calciandola poi così da poterla afferrare di nuovo, le sue azioni pigre e aggraziate. Poi recuperò i bastoncini e lentamente si diresse in casa. Avrebbe voluto congiungersi al buon umore generale, ma aveva il presentimento che non ci sarebbe stato troppo da ridere nel prossimo paio di giorni.


La luna era alta nel chiaro cielo notturno, le ombre divoravano metà della sua faccia scabra. Tatewaki Kuno si inginocchiò al centro della sua stanza, l'arma rinfoderata giaceva trasversalmente sulla stuoia di fronte a lui, gli occhi chiusi, immerso nella sua luce. A un osservatore sarebbe apparso calmo, ma quell'aspetto era una mera facciata. Le sue budella erano strette ermeticamente in un nodo torto, e lo stesso pensiero continuava a ritornare di nuovo e di nuovo.
Sarà stanotte. Sarà stanotte. Sarà.
Sospirò impercettibilmente. Sperava di avere torto, ma nel suo cuore sapeva che non era così. Il peggio sarebbe accaduto. Era il suo fato, sembrava, dover affrontare il peggio. Le mani si strinsero leggermente.
Così sia.
Poi cambiò il ritmo del suo respiro, consapevole di non essere più solo. Non era nessuno dei servitori; erano stati mandati via dalla proprietà da tempo. Alzò la katana rinfoderata nella mano sinistra, portando il pollice contro la parte inferiore dell'elsa e spingendo fino a slegarla, così che per la lunghezza di un dito fu rivelata la lama.
Stava ardendo.
Fissò intensamente la luce blu. Ora sei il mio portatore, sembrava dire. La responsabilità è tua. Il carico è tuo. Adempi al tuo dovere, Tatewaki Kuno.
Sai quello che devi fare.
Sì, lo sapeva. E per un momento, vacillò.
Ma solamente per un momento.
"Padrone!". La voce sibilò fuori dalla finestra, e Kuno rinfoderò di nuovo completamente la lama.
"Sì, Sasuke?", chiese calmo.
"Padrone, venga fuori! Presto! Ho scoperto qualcosa che dovrebbe sapere!". Kuno si alzò in piedi disinvolto, aprendo la finestra e scavalcandola. Saltò fuori casa, atterrando agilmente sull'erba fresca.
Sasuke non si vedeva. Come un ninja, d'altronde, stava nelle ombre. Era così secondo natura. Si allontanò dalla casa, alzando leggermente la testa.
"Sono qui, Sasuke. Cosa dovevi dirmi?". Kuno non vide niente, non sentì niente, ma improvvisamente si stava muovendo, saltando in aria, girandosi per atterrare di fronte al luogo dove stava in piedi poco prima, il luogo dove molte shuriken ora vibravano nel tronco di un albero vicino. Tracciò a ritroso la traiettoria con gli occhi, individuando una macchia di ombra nell'oscurità circostante. Una figura vestita di nero uscì fuori dalle tenebre, fermandosi nella pallida luce della luna. La sua testa si contorse una volta, convulsamente. Si muoveva in modo strano, le sue giunture sembravano quasi trovarsi nei luoghi sbagliati, e la sua pelle era di un insano tono grigio, contrapposto al bagliore rosso e arcigno dei suoi occhi.
Era Sasuke. Eppure non lo era.
"Ciao, vecchio amico", disse piano Kuno. "Ti stavo aspettando". Le labbra della cosa si stirarono sulla bocca, rivelando denti macchiati.
"Guardiano", sibilò. Era la voce di Sasuke. Eppure non lo era.
Il piccolo ninja era degenerato malamente dopo la morte di Kazuhiro, proprio come suo padre. In certi giorni, poi, era ridotto a un'ombra del suo precedente se stesso, ma meritava meglio di questo. Meritava una morte pulita piuttosto che questo... abominio. La presa di Kuno si strinse sul fodero quando lo sollevò lentamente, tenendolo di traverso di fronte a lui. Ora che le sue paure si erano realizzate, era posseduto da una calma glaciale. Sapeva quello che doveva essere fatto.
"Guardiano, tu sei l'ultimo", disse la Sasuke-cosa, contorcendosi di nuovo, solchi ondulati si muovevano sotto la sua pelle. "Fuggi, e puoi vivere". L'espressione di Kuno non cambiò.
"Sei andato nelle caverne, non è vero, Sasuke? Anche dopo che te l'ho proibito. Perché? Hai sentito cosa stava arrivando?". La cosa ringhiò, spostandosi con grazia fluida e inumana, il suo odioso bagliore fisso su di lui.
"L'hai fatto?", ripeté piano. "Sono venuti per Kodachi questa volta, e tu non sei stato capace di proteggerla. Anche se non fu colpa tua, la tua assenza costò a Kazuhiro la vita. La sua morte ti pesava duramente, non è vero? E volevi proteggere Kodachi questa volta. Ecco perché li cercavi". La cosa si contorse di nuovo, e Kuno avvolse la mano destra intorno all'elsa del katana, l'altra mano afferrò il fodero proprio sotto l'attaccatura. Si chiese se qualsiasi cosa di Sasuke fosse rimasta là dentro potesse sentirlo.
Dolcemente, estrasse la spada, lasciando cadere il fodero sull'erba. La lama arse di luce, illuminando l'area circostante con un misterioso splendore blu-bianco. La Sasuke-cosa tremava, ma non ripiegò. Avvolta all'interno della forma fisica del ninja, poteva sostenere la sacra luce della lama. Lunghi, minacciosi artigli affilati esplosero dalle punte delle sue dita, icore verdastro gocciolava dalle punte. Kuno si mise in posizione, la lama impugnata alta e parallela al suolo.
"ARRENDITI!", strillò la Sasuke-cosa, adirata.
"Hai servito sempre fedelmente la nostra famiglia, Sasuke Sarugakure. Vieni a me, e ricevi la luce. Vieni a me e sii libero". Gli occhi della Sasuke-cosa si fissarono sulla lama, e per un momento vacillò.
"Libero?", bisbigliò una voce. Kuno sentì ira al calor bianco minacciare di sommergerlo in quel momento. Sasuke era ancora là, ancora consapevole.
Bastardi.
Emise un ansito profondo quando la creatura strappò via adirata lo sguardo fisso dalla luce, i suoi occhi arsero funesti. Kuno era innaturalmente calmo. Tutto sarebbe finito presto. In un modo o nell'altro, la lotta non sarebbe durata molto.
La Sasuke-cosa era una confusione di movimenti, e lui reagì senza pensare. Collisero e saltarono a una certa distanza, Kuno deviando molte shuriken, la sua lama un arco ardente di fuoco quando la muoveva. Si mossero insieme di nuovo e l'ululato di Kuno risuonò sul ringhio della Sasuke-cosa. Sentì un dolore ardente al fianco quando si lanciò all'attacco.
Gli artigli della Sasuke-cosa erano conficcati profondamente nel fianco sinistro di Kuno, sotto le costole. Il ragazzo non poteva più vedere la lama della sua spada.
Era sepolta, su fino all'elsa, nel torace del suo oppositore.
La Sasuke-cosa vibrò, poi soffocò quando un fluido verde cominciò a colare dalle orecchie, naso e bocca. I suoi artigli si tirarono via dal fianco di Kuno, e lui fu fiocamente consapevole del dolore quando coricò il minuscolo ninja sulla fresca, molle erba. Usò la mano libera per cullare la testa del guerriero colpito. Non poteva adagiarlo in piano a causa della lama ardente che sporgeva dalla sua schiena, e non era disposto a rimuovere la spada. Non ancora.
"Sasuke?", chiese leggermente quando il bagliore negli occhi del piccolo uomo scemò e morì. Il rosso era mescolato col verde che ora fluiva fuori dal corpo di Sasuke, e i suoi arti si mossero debolmente.
"Padrone", gracchiò. "Ho fallito. Mi... dispiace...".
"Taci, vecchio amico. Non importa".
"Li ho tenuti... indietro... più a lungo che... cough… ho potuto...".
"Lo so", disse Kuno gentilmente. "So che l'hai fatto. Ora puoi riposare, Sasuke. Te lo sei guadagnato. Kazuhiro e Kodachi ti aspetteranno". Le creature l'avrebbero torturato con la conoscenza della morte di Kodachi, lo sapeva. Poi vide il dolore sul volto del piccolo uomo, non per se stesso le cui sofferenze erano quasi finite, ma per il suo padrone, che ora doveva portare da solo il carico.
Tu sei l'ultimo, aveva detto. L'ultimo.
"Padrone", tossì, tentando di arrestare il sangue che colava dal fianco ferito di Kuno con la mano. "Guardiano". Poi sorrise.
Ed era andato.
La sua mano cadde, e Kuno ebbe improvvisamente difficoltà a deglutire.
"Sasuke?". Non ci sarebbe stata risposta, lo sapeva. Cautamente, estrasse la lama dal torace del ninja. Non ardeva più, baluginando solo ottusamente nella silenziosa luce argentea della luna dove non era ricoperta di bava e icore. Posò la spada sull'erba e accomodò il corpo di Sasuke a terra, disponendo ordinatamente i suoi arti, sentendo qualcosa di caldo pungergli gli occhi, una stretta nel cuore.
Si era detto che non si addiceva a un guerriero piangere. E in quel momento, lui era solo Tatewaki Kuno, diciassette anni. E ora era completamente solo. Le lacrime gli offuscarono la vista quando si inginocchiò accanto al corpo.
"Giuro che gliela farò pagare, Sasuke. Per te, e Kazuhiro, e Kodachi. Ci sarà una resa dei conti". La sua voce era scossa, e lui si rilassò, gli occhi stretti inutilmente contro le lacrime, e irruppe un respiro doloroso. "CI SARÀ UNA RESA DEI CONTI! MI SENTI? IO LO GIURO!", gridò, la voce roca che sconvolgeva la quiete della notte. L'unica replica fu un suono debole che poteva essere una risata rabbiosa, ma probabilmente era solamente il vento che frusciava tra gli alberi.
Probabilmente.




Fine seconda parte.
   
 
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