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Autore: AmaleenLavellan    22/11/2011    5 recensioni
«Lovi, ti prego, guardami.»
Il maggiore alzò il viso, rivelando occhi già rossi e gonfi e guance rigate di lacrime. Veneziano avvicinò il viso fino a far toccare le loro fronti, e sorrise, guardandolo fisso.
Questa volta, Romano non abbassò lo sguardo.
«Dimmi, cosa siamo noi?», chiese, con tono delicato.
«L'Italia.», affermò l'altro con poca sicurezza. [...]
«Esatto, Lovi: l'Italia. Io e te, insieme.»

Piccola One-Shot sul rapporto tra Veneziano e Romano. Niente incest, solo tanta fluffosa Brotherhood.
Dedicata alla mia migliore amica. Perché non esiste nulla, che sia più speciale di lei.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Itacest Questa fic non so sinceramente da dove sia venuta fuori e non è nemmeno un granchè, ma è dedicata a quel meraviglioso essere che è la mia migliore amica.

Perché lei è il Veneziano del mio Lovino.
Perché è speciale e sa di esserlo; solo che a volte ha bisogno di sentirselo dire.
Perché nessuno potrà mai prendere il suo posto. Perché lei è unica. Perché lei è lei.
Perché anche se sembra che preferisca altri a lei, non sarà mai così. 
Perché non importa ciò che succede, non importa se non ci sentiamo o se sono concentrata su altro o se abbiamo da fare e non possiamo vederci. Io e lei siamo una cosa sola, e un cuore solo non potrà mai essere diviso, anche se batte in due corpi diversi.
Perché è la persona più stupenda, meravigliosa e perfetta che mi abbia regalato il caso.
Perché lei è la mia casa, il mio rifugio, il mio luogo sicuro.
Perché se non ci fosse lei... Il mio mondo non avrebbe senso.






«Romano, allora esco!»
Veneziano attese, con la mano già pronta sulla maniglia della porta, una risposta da parte di suo fratello.
Risposta che non arrivò.
Perplesso attraversò il salone e salì qualche gradino della larga rampa di scale, cercando di allungare il collo come se potesse servire ad avvicinarlo al fratello. «Romano?», chiamò ancora, un po' più forte, «sto uscendo!». Ma ancora una volta, gli rispose solo il silenzio.
"Che si sia addormentato?", pensò, salendo al piano superiore e aprendo con delicatezza la porta della camera da letto di Romano, dove quest'ultimo si era rifugiato qualche ora prima, quando gli avrebbe detto che sarebbe andato a casa di Germania.
Romano stava lì, sul pavimento, la musica a palla nelle orecchie e lo sguardo perso tra le diverse sfumature del soffitto, le mani strette a pugno e le labbra che mimavano le parole di una canzone che Feliciano riusciva vagamente a sentire, anche da quella distanza. «Lovi!», gridò per farsi sentire, avvicinandosi al fratello maggiore con il solito sorriso splendente. Romano sussultò dalla sorpresa, ma non si tirò a sedere; si tolse le cuffie dalle orecchie e non lo guardò neanche in faccia, mentre gli rispondeva, «Che vuoi?», chiese, secco, con il tono di voce colorato da una vena di acidità.
Veneziano non si lasciò scoraggiare dalla risposta scorbutica dell'altro. «Sono venuto a dirti che esco!» esclamò, con un grande sorriso, giungendo le mani dietro la schiena, e cominciando a spostare il peso da un piede all'altro.  Lovino sbuffò, alzando un braccio verso il cielo e osservando la propria mano controluce. «E che ci devo fare?»
Feliciano sospirò, la fronte che si corrugava in un'espressione preoccupata. «Lovi, sei ancora arrabbiato?», domandò, cercando di introdurre il discorso, il tono velato da una leggera supplica.
«No. Che mi frega, se e con chi esci? Fai quello che ti pare. Tanto di sicuro il crucco è una compagnia migliore della mia.»
Disse l'ultima frase in un sussurro, più rivolto a se stesso che a Feliciano.
Ma, con una piccola stretta al cuore, l'italiano aveva udito quelle parole amare come se gliele avesse gridate in faccia.
Romano avrebbe voluto assumere un tono indifferente e noncurante, ma si rese perfettamente conto del fatto che Feliciano si era accorto che la sua voce si era incrinata nel dire tali cose; e se non fosse bastato, lo sguardo amareggiato e colpevole del fratello minore costituivano una conferma abbastanza certa. Gli lanciò uno sguardo rapido, cercando di non cedere all'incanto degli occhi del fratellino, che grandi, innocenti e sinceri, facevano crollare tutte le sue difese e tutta la sua forza di volontà. Continuava ad osservare la propria mano, cercando di perdere la propria coscienza tra le minuscole pieghe della propria pelle, e non concentrarsi sulla gelosia che sembrava lacerargli il petto dall'interno.
Spalancò gli occhi, quando trovò Feliciano inginocchiato accanto a sé, le dita intrecciate a quella della mano che teneva ancora rivolta verso il cielo. Veneziano gli strinse la mano, accennando un sorriso gentile piegando appena gli angoli delle labbra.  «Lovi, puoi alzarti, per piacere?», chiese, guardandolo fisso. Romano arrossì, non riuscendo a sostenere lo sguardo del fratellino e girando la testa dall'altra parte. Facendo leva sull'altro braccio si tirò a sedere, tenendo ancora lo sguardo basso.  «Lovi, ascoltami, non devi pensare preferisca Doitsu a te. Non devi pensarlo mai e poi mai. Certo, a Doitsu voglio tantissimo bene, ma tu... tu sei il mio preziosissimo fratellone, e senza di te la mia vita non avrebbe senso. Non devi paragonarti agli altri, Lovi, perchè tu sei diverso e speciale e occupi un posto nel mio cuore che nessun altro può prendere. Lo capisci, questo?»
Romano ancora teneva il viso basso, senza cercare il contatto visivo. Le sue spalle erano scosse da singhiozzi leggeri, e piccole lacrime si infrangevano contro il tappeto su cui entrambi erano seduti, creando minuscoli disegni umidi. Feliciano abbassò la voce fino a farla diventare un sussurro.
«Lovi, ti prego, guardami.»
Il maggiore alzò il viso, rivelando occhi già rossi e gonfi e guance rigate di lacrime. Veneziano avvicinò il viso fino a far toccare le loro fronti, e sorrise, guardandolo fisso.
Questa volta, Romano non abbassò lo sguardo.
«Dimmi, cosa siamo noi?», chiese, con tono delicato.
«L'Italia.», affermò l'altro con poca sicurezza. Avevano già fatto altre volte questo tipo di discorso, eppure ogni volta, ogni signola volta tornava ad essere assalito e roso da quegli orribili dubbi.
Dopotutto Feli passava così tanto tempo con quel crucco, ed era evidente che gli volesse tanto, tantissimo bene. Romano non avrebbe potuto reggere il confronto. Romano era semplicemente il fratellone scorbutico che non sapeva fare altro che arrendersi, fare brutte figure e lamentarsi.
Romano non era nessuno.
«Esatto, Lovi: l'Italia. Io e te, insieme. Non possiamo esistere l'uno senza l'altro, lo sai. Siamo una cosa sola, Lovino, una stessa nazione, un'anima distinta in due corpi diversi. Io sono dentro di te e tu sei dentro di me, per questo nessuno può dividerci. Nessuno può farlo e, soprattutto, io non voglio farlo. Siamo un solo popolo, Lovi, ti prego non dimenticarlo mai. Per piacere, fallo per me.»
«Passi più tempo con quell'altro che con me...» borbottò Romano, prima di riuscire a bloccare la propria voce. Si diede mentalmente dello stupido da solo, e sperò che Veneziano non avesse sentito.
Invano.
«E invece no, Lovi. Certo, passo tanto tempo con Lud, ma... io e te viviamo insieme. E non intendo nella stessa casa, fratellone, intendo che io e te siamo nati insieme e insieme cresciamo. Insieme respiriamo, insieme esistiamo.» Feliciano avvicinò il petto a quello del fratello, frapponendo tra loro le loro mani ancora intrecciate. Romano seguì con lo sguardo quei gesti, già sapendo in cuor suo dove il minore sarebbe andato a parare; «Li senti, Lovi? Battono all'unisono. Insieme. Sono lo stesso cuore, Lovino, è solo stato diviso in due persone diverse, e sono grato che sia così, perchè grazie a questo so che non sarò mai solo, e neanche tu lo sei o lo sarai mai. Non dubitare di questo cuore, Lovino, d'accordo?»
Romano non tentò nemmeno di asciugare le lacrime che ormai stavano scorrendo a fiotti lungo le sue guance. Si limitò a un piccolo cenno del capo, leggendo negli occhi del fratello la verità.
Perchè Feliciano aveva ragione.
Erano una cosa sola, e in un modo o nell'altro sarebbero stati insieme per l'eternità. Il resto non contava.
«Sì.»
«Bravo, fratellone!», esclamò Veneziano sorridendo dal profondo dell'anima. Poi si separò dal fratello, e gli poggiò un lieve bacio sulla fronte, le loro dita ancora intrecciate.
Il Sud Italia accennò un sorriso.
Il Nord Italia gli asciugò le lacrime.
Entrambi strinsero la stretta delle loro mani.

Dopo qualche istante Feliciano si alzò, tirando con sé Lovino. Diede un'occhiata all'orologio che aveva al polso, con uno sguardo preoccupato. «Sono in ritardo!» esclamò, «Allora, vado, ok?»
Lovino sospirò, ed annuì. «Magari vado a fare un salto a casa del bastardo, giusto per tenermi occupato.»
«Mi sembra un'ottima idea! Salutami il fratellone Spagna!» Veneziano batté le mani, entusiasta, prima di saltare addosso al fratello per stringerlo in un abbraccio mozzafiato. «Ci vediamo stasera!» esclamò, felice come sempre, prima di correre fuori dalla stanza.
«Ci vediamo stasera. Ti voglio bene.»
Romano era cosciente del fatto che il fratello non avrebbe potuto sentirlo.
Ma non importava, suo fratello l'avrebbe saputo.
Perché loro erano una cosa sola, pensò, mentre si stringeva una mano sul cuore.
   
 
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