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Autore: Belle Mare    23/11/2011    1 recensioni
- Era tutto perfetto.
Una casa accogliente, una mamma sempre pronta ad aiutarmi, un padre che adoravo, ottimi voti a scuola, sabato sera da urlo.
Diciamo anche che io sorridevo, sorridevo, io sorridevo sempre.
E poi..
- E poi?
- E poi sono morti i miei.
Jason ed Annie.
Amore, odio;
Da quando Annie ha perso i genitori nulla è più reale, nulla.
Le cose che prima sembravano importanti, adesso hanno perso valore.
Da quando Jason è entrato nella vita della diciottenne, una nuova realtà le ha fatto visita.
E voi? Voi credete al sovrannaturale?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Conoscenza.

Siamo sempre stati come un foglio di carta bianco ed una penna ad inchiostro nero.
Diversi e uguali, il bianco e il nero. Tu che rincorri i tuoi sogni, io che li lascio correre via. Io che: 'l'amore è vita', tu che: L'amore e basta.' Siamo sempre stati come un diario segreto e tutti i segreti da scrivere. E allora ci siamo scritti.    
 
 
Sfiorai con il palmo delle dita il mio vecchio diario. 
Non osavo sfogliare quelle pagine ingiallite dal tempo neanche con il pensiero, era un capitolo della mia vita archiviato, quello; 
dopo la morte dei miei genitori avevo smesso di scrivere, avevo smesso di leggere, avevo smesso di vivere. 
Era rimasto solo il buio, che correva anche troppo veloce tra i ricordi di un bacio e l'altro. 
Chiusi gli occhi stringendo la catenina con il ciondolo che pendeva delicata sul mio collo candido. 
Era un regalo di mia madre. 
Lei era bella. 
Mia madre era una donna giovane, slanciata ma formosa;
i capelli di un rosso castano scuro le ricadevano spesso lungo la schiena con sontuosi riccioli definiti,
la sua pelle era chiara, candida, bianca come la neve.
Due grandi occhioni color nocciola, con sfumature di verde scuro e due ciglia perfettamente
in regola spiccavano invece sul quel viso innocente e bello da mozzare il fiato. 
Mia madre indossava spesso vestitini leggeri, pantaloni scuri o giacchette color pastello
ricamati quasi sempre e accompagnati da accessori sempre nuovi e diversi.
Mio padre diceva che in quanto a moda di certo non avevo preso da lei.
Sorrisi. 
Mio padre. 
Lui era affascinante. 
Uomo divertente, dolce e discreto, era un acuto osservatore e un fotografo talentuoso. 
Mio padre era alto, bello e dannato. 
Occhi blu notte, capelli a spazzola e sorriso smagliante;
lo volevano tutte e nessuna oltre la bella Gemma, lo avrebbe avuto. 
Loro erano belli e di successo. 
Pronti ad ogni tipo di vittoria, rispettabili cittadini e persone - a mio dire e al dire altrui - fantastiche. 
Mi sedetti sul bordo del letto portandomi le mani al viso. 
Parlare di loro mi faceva stare male, questo lo avevo capito. 
Ma il ricordo del loro viso, del loro strano modo di affrontare le cose,
della voce calda di mio padre e di quella squillante di mia madre,
me li facevano sentire vicini e questo mi ripagava di tutte le pene.
Per una ragazza sola questo era importante. 
Mi alzai e andai a passi lenti in cucina. Quella casa era grande, addobbata come un albero di Natale e in perfetto ordine.
Non ero ricca o almeno non lo ero stata fino a pochi mesi fa. 
Ma alla povera diciottenne sola  serviva una famiglia, una casa, un letto su cui dormire. 
Che tradotto con il tempo sarebbe diventato ' famiglia Tudor.' 
Il sindaco della mia città aveva provato a trovarmi una sistemazione,
un po' perchè era amico di mio padre e un po' perchè il suo cuore era grande.
Alla fine dei giochi nessuno mi voleva.
Troppo grande per essere adottata.
E così il signor Tudor aveva deciso di prendermi con se, di adottarmi e di crescermi come una seconda figlia. 
Fantastico. 
Aprii il frigorifero prendendo una bottiglia d'acqua e
versai delicatamente una quantità definita di acqua, sul bicchiere di plastica. 
Sembrava strano, ma non avevo voglia di viverci in quella casa.
Ero grata alla famiglia ma non volevo rimpiazzare casa mia, mio padre, mia madre.
Non volevo rimpiazzare la mia vecchia vita con quella che adesso si prefiggeva lunga e lussuosa.
- Annie?? - 
Mi voltai tranquilla e incrociai le iridi verdi di un giovane ragazzo mai visto, prima. 
Occhi grandi, capelli scuri, viso chiaro e perfetto, una lieve cicatrice sul polso,
quasi ad incorniciare una delle vene che risaltavano sul bianco della sua pelle.
Labbra rosse e sorridenti, forse un po' incerte. 
In un certo senso metteva paura.
Era troppo bello per essere reale;
anche il suo petto, muscoloso e perfetto, sembrava portare avanti una certa presunzione.
Ma non potevo fare a meno di fissarlo, quasi come presa da uno stato di shock.
- Si..- Sussurrai, presa dal panico. 
- Mi chiamo Jason - Sorrise lui. 
I miei genitori erano morti da poco più di due mesi e in quella casa ero stata, quasi sempre sola.
Il sindaco era sempre in viaggio per il mondo e la sua bella mogliettina, lo seguiva, cercando spesso di invitarmi con se. 
Ma io dovevo riprendere ad andare a scuola e un viaggio non era quello che mi serviva. 
Era più o meno la prima volta che vedevo un'altra figura, accanto a me, in quella casa troppo grande per una sola persona. 
- Come sei entrato??- Chiesi, ancora più bianca in viso.  
Volevo prendere l'ombrello poggiato sull'appendi-abiti vicino allo stipide della porta, ma i suoi occhi mi tenevano incollata a terra.
Una strana morsa mi manteneva lucida nonostante la paura che fosse un ladro o un maniaco o qualsiasi altra persona con cattive intenzioni.
- Seconda chiave. - Fece per mostrarmela avvicinandosi furtivo,
il cuore si spostò dall'altro capo della stanza, a qual punto presi la bottiglia di vetro a pochi centimetri da me e gliela puntai contro. 
- Senti un po' - Urlai. - chi diavolo sei? Un maniaco sessuale? Un ladro? Uno stronzo che vuole uccidermi? - 
- Il cugino di Gregor. - Rispose lui, divertito. 
-Cugino? - Chiesi. Jason nel frattempo si era avvicinato e forse solo in quel momento mi accorsi di com'era perfetto.
Non solo bello, anche fottutamente perfetto.
- Già, si chiamano così alcuni parenti. Ad esempio, io sono il figlio di sua zia. - Ammiccò. 
- Non.. non ti avvicinare! - Urlai mentre stringevo ancora la bottiglia di vetro.
Non potevo fare a meno di guardarlo negli occhi.
- Attenta! - Urlò lui, prendendo di soppiatto la bottiglia che accidentalmente avevo lasciato cadere.
Mi ero tagliata con il tappo di latta. 
- Merda. - Sussurrai.
Mia madre doveva avermi lasciato in eredità la goffagine, l'inedeguatezza, l'errore umano. 
Dovevo aver sbagliato qualcosa fin da subito.
Ecco perchè qualcuno mi aveva privato dei miei genitori, perchè qualcuno mi aveva fatta ritrovare sola al mondo. 
Ero sbagliata, difettosa. 
Ero un errore. 
Non facevo altro che creare problemi a me e a gli altri.
- Ti sei tagliata. - Disse serio lui, prendendo la mia mano. 
Il contatto fisico fu decisivo. Alzai il volto per guardarlo ancora una volta negli occhi;
che fosse il cugino o meno di Gregor, questo ragazzo, suscitava in me e nel corpo una serie di emozioni strane, diverse.
Un misto tra paura ed eccitazione. 
- Genio, guarda che me ne ero accorta. - 
- Sei sempre così acida? - 
- A volte anche peggio. - Ammisi.
Si avvicinò al mio viso e di nuovo il mio cuore pompò aria. Forse stava scoppiando. 
- Allora, signorina. Lo vogliamo fermare questro trattore che ha per cuore,
oppure vuole incidere la melodia su di un disco? Che ne dice? - Sorrise. 
Stronzo.
- Presuntuoso. - Urlai, prima di staccarmi da lui e dalla sua presa possente. 
Neanche due ore e si atteggiava da padrone di casa. 
Il mio volto, come sempre, prese fuoco. Capitava di frequente; un complimento, un sorriso di troppo,
una stupida emozione inaspettata e arrossivo come una bambina di sette anni. 
- Annie. - Mi seguì - Annie, stavo scherzando. Mi piace il rumore che fa il tuo cuore, dai! - Urlò.
- Senti, Jason o come ti chiami. Questa non è casa mia, non ti conosco e non ho il permesso di far entrare nessuno, mi dispiace. - 
- Non mi hai fatto entrare tu, Annie. - Mi ricordò. 
- Giusto. - Mi ipnotizzai per l'ennesima volta. Colpita dai suoi occhi, dalla sua strana presenza.
Si muoveva in maniera così perfetta, così seducente, dolce e semplice, da far perdere la cognizione del tempo. 
Portai le mani al viso e lo vidi togliersi il giubbotto di pelle.
- Che stai facendo?? - Domandai in preda al panico. 
- Tolgo il giubbo.. - Lo bloccai infastidita. 
- L'ho visto! - Urlai. 
- L'ha visto. - Replicò. 
Ci mancava solo questa. 
Presi il telefono e scorrendo sulla rubrica trovai la voce ' Gregor ' , impacciata,feci per cliccarla e
mi ritrovai gli occhi furtivi di Jason che guardavano il display. 
- Ecco, chiamiamolo pure. Così questa commedia finisce, eh? - Mi strattonò sul letto e ci sedemmo entrambi.
Aspettai circa due minuti e misi il viva-voce.
- Gregor? - Domandai.
- Piccola, tutto bene? - Mi chiese lui.
- Si Gregor, grazie. Senti, hai un cugino? - 
Non passò neanche un attimo che Jason subentrò tutto contento. 
- Gregor. - Disse. - Sono a casa tua, rimango per un po'. - Mi guardò quasi in dubbio e tornò a fissare il telefono che stringevo tra le mani.
- Ti va bene? - 
- Ohi, cugino! - Gregor aveva risposto a tono e sembrava più felice di Jason. - Certo che mi va bene! - 
Guardavo il ragazzo allibita. Cos'era? Un'esperto di persuasione? 
Chiuse la chiamata e mi fissò divertito. 
- Senti un po', chi diavolo sei? Un maniaco sessuale? Un ladro? Uno stronzo che vuole uccidermi? - Mi imitò.
- Che idiota. -
Sorrise, si alzò e cominciò a gironzolare per ogni stanza. Cercava qualcosa.
 - Vivi in Alaska? - Domandai acida. 
- Ho frequentato la scuola in Norvegia. - Rispose serio. - Non sono mai stato in questa città, ma ho comunque un buon rapporto con Gregor. - 
Lo seguii e solo dopo vidi che aveva preso un cerotto. 
- Vieni quì. - Mi incitò, afferrandomi da un braccio. Prese la ferita e delicatamente,
senza staccare gli occhi da quelli miei, posizionò il cerotto, preoccupato. 
- Fa male? - Chiese, dopo. 
- No. - Sorrisi, grata. - Allora, perchè sei tornato qui? - 
- Mia madre. - Disse. 
- Tua madre. - Replicai incerta. 
- Non è una brava persona. Non avevo voglia di vivere ancora in Norvegia, quindi eccomi! - Sorrise. - e tu? Tutto perfetto? -  
-  Era tutto perfetto. Una casa accogliente, una mamma sempre pronta ad aiutarmi, un padre che adoravo, ottimi voti a scuola, sabato sera da urlo. 
 E poi.. 
- E poi? 
- E poi sono morti i miei.
Jason mi guardò. 

 -Gregor riesce ad essere davvero una buona figura paterna - Disse. 
Di solito dopo aver saputo, tutti mi trattavano come una malata terminale, aggiungendo frasi strane o condoglianze poco gradite.
Di solito rimanevano tutti sorpresi, a fissarmi magari a bocca aperta.
Jason no. Era stato lui a sorprendermi, aveva risposto quasi come se conoscesse già la mia storia. 
- Comunque. - Provai a liquidare il discorso. - Vado a farmi un bagno, eh? - 
Jason mi sorrise e gli passai accanto lasciandolo solo.
Mi tolsi i vestiti ed entrai nella vasca da bagno. 
L'acqua era calda. 
Pensai per un attimo che forse quello era un incubo, insomma, forse stavo sognando; ritrovarsi in una casa troppo grande, senza mamma e papà, sembrava un po' uno stato momentaneo. Un vestito che mi stava stretto. 
Magari adesso sarei uscita da quel bagno e li avrei visti seduti sul tavolo che litigavano. 
Una lacrima scese dal viso. 
Che stupida, non li avrei più visti. 




Pensieri e parole. 

Salve a tutti. 
Io sono Belle. 
Voglio dire prima di tutto che questa storia è parecchio intrigante, ma comunque con il tempo ve ne accorgerete, promesso. 
Questo principio è un po' l'introduzione. 
Annie ha perso i genitori e sta parecchio male. 
Jason è il presunto cugino di Gregor. 
Per ora tutto tranquillo.
L'importante è comprendere che niente è come sembra. 
Il secondo capitolo lo pubblicherò a breve e in seguito parlerò quì, in pensieri e parole, di me. Di come sono io, di cosa mi piace, di cosa mi passa per la testa mentre scrivo. 
Bisogna conoscersi per comprendersi, no? (:
Vi chiedo un favore, uno solo. Ve ne prego...
Recensite. 

E' importante. 


 
  
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