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Autore: 9Pepe4    24/11/2011    2 recensioni
«Signor Metatron!» esclamò nuovamente Sevoftarta, e anche il tono della sua voce era inequivocabilmente adirato. «Lei dovrebbe essere a letto! Sa quanto tempo è che le sorelle la cercano?!»
Metatron si fece piccolo, la schiena che premeva contro il cespuglio, ma raccogliendo il coraggio alzò gli occhi a guardare il Consigliere, ormai giunto di fronte a lui.
«N-non… Non arrabbiarti, Sevi» implorò, tenendo le mani a coppa chiuse l’una contro l’altra.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Metatrol, Sevoftarta (Laira)
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per te, piccolo =*
Ti voglio già bene!

Lucciole

Metatron si sforzava di correre velocissimo. Non badava al lieve schiaffo che, ad ogni falcata, il pavimento freddo sembrava dare alle piante dei suoi piedi nudi, prestava solo attenzione a non far diminuire il vantaggio sulla suora che lo seguiva.
Non poteva permettersi di essere raggiunto, pensava deciso, nonostante avesse ormai il fiato mozzo. Erano ben tre sere che cercava di sgusciare via: stavolta ci sarebbe riuscito.
Nel momento in cui vide davanti a sé il portone che gli avrebbe permesso di uscire nei giardini, il bambino dimenticò istantaneamente ogni stanchezza. Sveltì la corsa, ignorando i ripetuti richiami della sorella – lei sì, ormai aveva il fiato corto – e spinse forte i battenti, ritrovandosi così all’aria aperta.
Immediatamente, scappò a nascondersi dietro uno dei cespugli fioriti che fiancheggiavano il vialetto di sassi. Si rannicchiò stretto, senza badare alle eventuali macchie di verde che sarebbero potute comparire sulla camicetta da notte bianca che indossava, dopodiché attese pazientemente che la suora, ormai giunta a propria volta nel giardino, passasse oltre, gridando il suo nome.
Dopodiché, rimase ad aspettare che il cielo scurisse ancora un po’, che l’aria si facesse più fresca e tersa, annunciando la notte imminente. E che la suora si persuadesse che lui doveva essere rientrato, e tornasse di conseguenza all’interno del Palazzo Bianco.
A quel punto, il bambino sgattaiolò rapidamente verso il centro del prato, allontanandosi dalla stradicciola e preferendo di gran lunga la morbidezza dell’erba alla sgradevole durezza della ghiaia. Quasi strillò d’entusiasmo quando giunse in vista dei cespugli di gelsomino che ricoprivano il muro del giardino.
Erano grandi e scuri ma, nella sera ormai calata, i loro fiori chiusi li punteggiavano di un bianco rassicurante.
Metatron si avvicinò, esplorando i rametti con le dita minute, e un’espressione attenta comparve sui suoi lineamenti infantili.
Rimpiangeva di non aver portato con sé il Coniglio per farsi consigliare, ma l’occasione di una fuga si era presentata quando il pupazzo era lontano da lui, e aveva dovuto lasciarlo dentro.
I minuti passavano e niente sembrava accadere, tanto che Metatron iniziò a gonfiare le guance in un’espressione atrocemente delusa. Poi, finalmente, il suo sguardo venne catturato da un lieve e palpitante luccichio proveniente dalla zona più bassa dei cespugli.
«A-ah!» esclamò il bambino, illuminandosi.
Si piegò sulle ginocchia, mentre la brezza notturna scompigliava i suoi capelli chiari. Allungò una mano verso il puntino dorato che guizzava tra le foglie del cespuglio.
E quando le sue dita toccarono il ramo, gli sembrò di liberare una vera e propria frotta di meraviglie. Le lucciole, che sino a quel momento dovevano essersi tenute nascoste, iniziarono a svolazzare e a brillare intorno a lui.
Quando uno di quegli insettini sembrò rischiare di sbattere contro il naso di Metatron, il capo dei Serafini scoppiò a ridere, per poi portare una mano colpevole sulla bocca, temendo di poter essere trovato dalle suore.
Si rialzò, con un po’ di fatica, e i suoi occhi brillarono quando si ritrovò circondato da quelle pepite volanti. Allungò una mano verso di loro, ma quelle sgusciavano ripetutamente tra le sue dita.
Ormai il cielo si era fatto blu scuro, e il buio aveva allungato le sue grinfie sul giardino. Metatron, però, nella sua beata contemplazione dei lumini che gli danzavano attorno, non se ne accorse proprio.
Quando però udì dei passi scricchiolare alle sue spalle, e una voce autorevole chiamare: «Signor Metatron!», ebbe un sussulto e istintivamente cercò con gli occhi un rifugio alla base dei cespugli, tenendo le mani strette l’una all’altra in una coppa saldamente serrata. Purtroppo non gli riuscì di scorgere un possibile nascondiglio, e si ritrovò a doversi voltare, con aria infinitamente colpevole.
Sevoftarta gli si stava avvicinando a grandi passi e, come ebbe modo di notare apprensivamente il bambino, sembrava decisamente arrabbiato.
Forse ad altri non sarebbe parso così ovvio, considerato che il Consigliere aveva il volto coperto come di consueto, ma Metatron era abituato a decifrare l’umore del suo tutore solo osservandone gli occhi.
E gli occhi di Sevi, in quel momento, mandavano lampi.
«Signor Metatron!» esclamò nuovamente Sevoftarta, e anche il tono della sua voce era inequivocabilmente adirato. «Lei dovrebbe essere a letto! Sa quanto tempo è che le sorelle la cercano?!»
Metatron si fece piccolo, la schiena che premeva contro il cespuglio, ma raccogliendo il coraggio alzò gli occhi a guardare il Consigliere, ormai giunto di fronte a lui.
«N-non… Non arrabbiarti, Sevi» implorò, tenendo le mani a coppa chiuse l’una contro l’altra. «Volevo solo vedere le lucciole, e poi sarei rientrato subito».
Il Consigliere alzò un sopracciglio fine. «Sì?» domandò, con voce tremendamente severa. «Allora com’è che è già passata un’ora da quando è scappato fuori?»
Metatron chinò il viso, mortificato, al ché Sevoftarta sospirò con tolleranza. «Venga, mi dia la mano» ordinò, tendendogli la propria inguantata.
Metatron, però, spostò le mani serrate a coppa.
«Signor Metatron, adesso cosa c’è?» gli domandò l’Angelo Bianco, e sembrava che cominciasse davvero a spazientirsi. «Le ho detto di darmi la mano. Rientriamo».
«Ma io… Volevo farti una sorpresa, Sevi» confessò il bambino, con voce tremula.
Il Consigliere aggrottò le sopracciglia. «Una sorpresa?» ripeté, interrogativo.
Metatron annuì mestamente, quindi si decise a schiudere le mani. Ne uscirono un paio di lucciole, che palpitarono luminose nell’aria prima di abbassarsi e tornare verso il cespuglio.
Notando che Sevi le aveva seguite con lo sguardo, Metatron osò proferire, timidamente: «Ho fatto tardi perché non riuscivo a prenderle».
Sevoftarta rimase in silenzio per quello che al bambino sembrò un lunghissimo momento. «Andiamo, adesso» disse infine, e sembrava un po’ più calmo.
Metatron, seppur ancora un po’ timoroso, mise la propria manina in quella più grande e inguantata del Consigliere, accettando di farsi ricondurre all’interno del Palazzo Bianco. Non aveva però nemmeno mosso due passi che Sevoftarta lo fece fermare, constatando ad alta voce: «Non ha niente ai piedi».
Metatron non seppe cosa replicare, perciò tacque, aspettandosi di venire sgridato di nuovo. Sorprendentemente, però, il suo tutore non fece altro che prenderlo in braccio, e il bambino si aggrappò con una mano alle pieghe del suo vestito bianco.
Quello di Sevi sì che era immacolato, non come la sua camicetta da notte, ormai chiazzata di verde un po’ ovunque.
Il Consigliere lo portò nelle sue stanze, andando a poggiarlo sul letto, quindi gli cambiò l’abito. Metatron non fiatò, sforzandosi di stare buonissimo e collaborativo.
Alla fine dell’operazione, Sevoftarta lo guardò severamente. «Si ricordi di non fare più come stanotte» lo ammonì. «Si è comportato irresponsabilmente, scomparendo così a lungo, ma per questa volta non la punirò».
Metatron, che aveva mantenuto un’espressione contrita e sconfortata mentre ascoltava le prime frasi, nell’udire la conclusione sgranò gli occhi e s’illuminò.
Agguantò il Coniglio e nascose un sorriso dietro la testa del pupazzo.
«Stia attento, però, a non ripetere questa bravata in futuro» concluse Sevoftarta.
Metatron si affrettò ad annuire. «Va bene, Sevi» promise.
Prima di uscire dalla stanza, il Consigliere gli diede una carezza sui capelli, ammettendo: «In fondo, era un bel regalo».
Metatron non ricordava di essersi mai sentito così felice.
  
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