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Autore: Marguerite Tyreen    24/11/2011    4 recensioni
Non mi sei destinato, non ti ho mai raggiunto.
Sei sempre stato troppo distante, troppo in alto. O troppo in basso, quando la luce della vendetta ha brillato sul tuo viso, facendomi paura, ed io avrei voluto disprezzarti.
Ma non vi sono mai riuscito, lo sai? E anche se un giorno ripartirai, se non ti vedrò più, l’immagine che conserverò di te sarà sempre la stessa. Avvolto nei drappi chiari, volteggi sulla sabbia, in controluce, in un alone che contorna la tua figura come un miraggio. In alto, troppo in alto per me...

La storia di T. E. Lawrence, umanista, avventuriero, scrittore e protagonista della rivolta araba, vista attraverso gli occhi dell'uomo che - forse - l'amò.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
- Questa storia fa parte della serie 'Sulle tracce di T. E.'
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Premessa:
 
Ufficiale inglese, avventuriero, umanista, scrittore, Thomas E. Lawrence (o Lawrence d’Arabia o El Orens, come fu rinominato) guidò la rivolta per l’indipendenza dell’Arabia contro il dominio turco durante la prima guerra mondiale, riunendo attorno a sé la gran parte delle tribù arabe, fino ad allora divise, nell’ambizioso progetto di creare una nazione unificata.
Affascinata da un personaggio ancora tanto controverso e ispirata dal film di David Lean (1962), mi sono concessa la licenza di immaginare un taciuto amore per Lawrence da parte dello sceriffo arabo Alì ibn al-Kharīsh , suo compagno di battaglia e voce narrante della shot.
Il momento in cui è collocato il racconto è immediatamente successivo a quello che Lawrence, nel proprio libro di memorie, I sette pilastri della saggezza, chiama “l’incidente di Deraa”, ovvero un breve periodo di prigionia sotto l’esercito turco in cui avrebbe subito dapprima la tortura, allo scopo di estorcere la confessione, eppoi violenza da parte del comandante locale.
 

*


Grazie a chiunque avrà la pazienza di arrivare fin qui o fino in fondo. ^^
Spero vi piaccia e, se volete, sentitevi liberi di commentare :)
Buona lettura!
 
Marguerite

*


  
La mia Strada è dove sei Tu
 



Forse la più profonda scienza dell'amore
è amare ciò che si disprezza.
(Thomas E. Lawrence)

 

 


Dormi? Ti sussurro all’orecchio.
Dormi, El Orens?
Dormi, sì. Erano troppe sere che vegliavi, guardando gli ultimi raggi di sole infiammare di rosso le dune o striare di viola il cielo.
Ma guardavi e non vedevi, come se qualcosa in te si fosse spezzato. Come se i tuoi occhi, un tempo spalancati sull’orizzonte, non fossero divenuti altro che specchi, capaci soltanto di riflettere la superficie piatta del mondo.
Dormi. E le ciglia bionde, come piccoli paraventi di seta, tremano appena, nascondendo l’azzurro pallido e torbido delle tue pupille, adombrando le gote bruciate da questo vento che non ci dà tregua.
Ti avvolgo nella coperta: fa freddo, la notte, qui nel deserto. Dovresti saperlo e, invece, sembra che tu voglia annullare il tuo corpo. Privarlo di ogni protezione fino a distruggerlo. Privarti di ogni stimolo che ti ricordi di essere vivo.
Eppure tu hai ancora un corpo!
Non è il corpo di un eroe, quello che, riparandoti, sento sotto le mie mani.
E’ esile, sottile e fragile, come quello di un ragazzo. Perché, in fondo, non sei che un ragazzo, El Orens, cresciuto troppo in fretta con la guerra. Goffo nell’uniforme inglese. Solo apparentemente più forte sotto questi abiti da sceriffo arabo.
Ma questi abiti non sono che una maschera, l’illusione, più grande di te, di avere trovato la gloria, la via dell’immortalità per quando i nostri nomi, invece, saranno sepolti sotto la polvere del tempo.
Tanto, troppo più grande di te, che ti sei rivestito di ostentato biancore eppoi macchiato del rosso del sangue. Che hai combattuto, difeso e ucciso. Che hai rischiato la vita eppoi, orgoglioso, hai lasciato che ti fotografassero ornato delle tue ferite.
Ed ora, quel tuo corpo non possiede più la sua purezza, violato e umiliato.
Il tuo corpo non ha sostenuto la grandezza dell’anima e ti ha sbattuto in faccia la nuova consapevolezza che siamo uomini, nonostante tutto, che siamo fallibili, piccoli e miseri dinnanzi al grande progetto di Dio.
Mi chiedo se non sia stato folle il viaggio che ti ha condotto fin qui. E se non sia stata altrettanto scellerata la mia decisione di seguirti.
La mia strada è dove sei tu - ti dissi - se tu vai, vengo con te.
Perché, dopotutto, dove potrei andare, senza di te? Senza quegli occhi che mi hanno tante volte rischiarato la strada, El Orens.
Come potrei immaginare le mie notti, se non passate a imprimermi nella mente ogni tuo lineamento più minuto ed il colore dei tuoi capelli? A immaginare mille discorsi che non riuscirò mai a farti, a distruggere, a sgretolare le illusioni con le mie stesse mani?
Perché non ti avrò, Lawrence. Non ti avrò mai. Non mi sei destinato, non ti ho mai raggiunto.
Sei sempre stato troppo distante, troppo in alto. O troppo in basso, quando la luce della vendetta ha brillato sul tuo viso, facendomi paura, ed io avrei voluto disprezzarti.
Ma non vi sono mai riuscito, lo sai? E anche se un giorno ripartirai, se non ti vedrò più, l’immagine che conserverò di te sarà sempre la stessa. Avvolto nei drappi chiari, volteggi sulla sabbia, in controluce, in un alone che contorna la tua figura come un miraggio. In alto, troppo in alto per me, El Orens.
Ed è così, puro e irraggiungibile, che ti vedo. Anche ora, nonostante puro tu non sia più.
Sono passati appena tre giorni da quando ti sono venuto a cercare a Deraa e ti ho salvato, togliendoti dalle mani dei nostri nemici. Ti ho raccolto, ferito, sanguinante, sfinito dai colpi della frusta.
Ti ho curato le piaghe, frizionando unguenti antichi e miracolosi, esitando dal coprire di baci la tua pelle così bianca, soltanto perché tu sembravi sfuggire ad ogni contatto.
Ti ho nutrito, costringendoti a mangiare, perchè rifiutavi il cibo come chi vuole morire.
Ho cercato di farti riposare, ma non vi sono riuscito. Ogni volta che chiudevi gli occhi, gli incubi si impossessavano di te e gridavi e tremavi in una sorta di torpore, peggiore che la veglia stessa.
Ho intravisto le ferite dell’anima, dietro al dolore delle frustate, senza riuscire a comprenderle né a guarirle. E quella tua sofferenza trattenuta era sale sulle mie ferite, quelle non visibili, ma profonde, che il tormento di chi ami incide nel tuo cuore.
Eppoi mi hai detto tutto, questa notte. Mi hai detto che ti avevano preso con la forza. Che non ti appartenevi più. Ed io ho tremato. Non credevo che potesse succedere, non a te, habibi [1].
- Oh, è stato orribile, Alì. – mi hai confessato, guardando altrove, stringendo forte i pugni, fino a farti diventare le nocche bianche – Così orribile che avrei fatto il vostro nome, che avrei rivelato dove vi nascondevate, pur di evitarlo. Vi avrei venduti, per salvare me.
- E’ quello che avrebbe fatto chiunque. – ti ho risposto io, dolcemente, per calmarti.
- Chiunque, appunto. Io non sono chiunque. O, almeno, pensavo di non esserlo. Invece, eccola qui, la nostra miseria, Alì. Non ho nemmeno l’illusione di essere diventato quello che desideravo. Non mi rimane nulla se non il sapore di una sconfitta che non dimenticherò e un corpo che ora detesto.
Ho perduto tutto. Persino me stesso.
Ti ho carezzato a lungo il viso e i capelli, vincendo con tenera fermezza la tua ritrosia.
- Non voglio farti nulla di brutto, lo sai. Non potrei mai.
Ora il sonno ti ha vinto. Dormi, mio dolce Lawrence. E chissà che l’aver affidato a me le tue pene non ti abbia portato un poco di sollievo.
Ma stai piangendo. Lo sento, anche se tu non te ne accorgi.
Mi sdraio accanto a te, abbracciandoti, facendo aderire la tua schiena al mio petto.
Affondo il naso contro il tuo collo.
Non avere paura, habibi. Ci sono io con te e, forse, se ti stringo forte farà meno male.
So che hai bisogno di me, perché sei solo, davanti ad una distesa infinita di sabbia, davanti ad uno strano gioco che gli uomini chiamano Storia.
So che hai bisogno di me, perché quando la politica non ti vorrà più, ti dimenticherà e il buio dell’oblio diventerà un peso troppo grande da sopportare, dopo tanta luce.
E perché, spesso, la gloria non è un dono, ma una condanna.
Perché la vendetta lascia sulle labbra il sapore ferroso del sangue e non è facile cancellarlo soltanto con i baci.
Perché ti serve qualcuno che ti ami con tutto se stesso. Che ti ami per ciò che sei, per chi si nasconde dietro a queste vesti, che ami il tuo corpo e la parte segreta della tua anima. Che ami Habibi e non El Orens.
Perché fa freddo, la notte. Ed io voglio coprirti, scaldarti contro il mio petto.
Ti abbandoni tra le mie braccia. Sospiri e sei lontano. Sereno, forse, nella piccola morte transitoria del sonno. Come sono buone le tenebre ad amarci così e a sollevarci dal nostro affanno.
Così, habibi, vorrei stringerti, per tutto il tempo che ci sarà dato. Così, vicino al tuo cuore.
Vicino, habibi. Dormi, amore. Non temere, veglio su di te.
 
- Devo partire, Alì. – mi dici, al tuo risveglio. Il giorno è nato da poco ed ha il colore dei tuoi occhi.
- Partire? E per dove?
- Per l’Inghilterra. Tornare a casa, spero. Ovunque, ovunque che non sia qui. Ovunque si possa dimenticare.
- E l’Arabia, El Orens? Questa gente, che ti avrebbe seguito camminando persino sull’acqua, se solo l’avessi chiesto loro? La tua gente, Lawrence!
Ed io, habibi.
- La mia gente? Oh, no, non è la mia gente. Ho finto che lo fosse. E questo è stato il risultato. Ma guarda, guarda la mia pelle. È bianca e questo non si può cambiare. Me ne vado. Per sempre, Alì.
Per sempre. Fanno paura quelle parole sulla tua bocca, habibi.
- Posso prendere questa? – mi chiedi, raccogliendo le tue cose – E’ calda.
Non è stata la coperta a proteggerti, la notte passata. Ma non dico nulla, annuisco appena.
Sono queste, le ultime parole che avrò da te, Lawrence? Non un bacio, non un’ultima carezza che mi accompagni, un ricordo che mi assicuri, negli anni a venire, che davvero sei esistito, che davvero i nostri cammini si sono incontrati.
Guardo la scia di impronte lasciate dal tuo cammello che si allontana. E tu, in sella, diventi a poco a poco un indistinguibile punto vestito di bianco.
Ma tornerai, perché così è scritto. Tornerai, perché questa guerra è un veleno che è entrato nel cuore e non gli darà pace fino alla fine. Fino a quando l’Arabia non sarà unita.
Tornerai ed io ti aspetterò, habibi. La mia strada è dove sei tu e la tua strada è dove sono io. Lo sento: è scritto.
Tornerai.
Tornerai, inshallah.[2]

 

 
 


[1] Arabo. Trad.: “Amore mio”, “Mio amato”.
[2] Arabo. Trad. : “Se Dio lo vuole”
   
 
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