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Autore: Queen of Superficial    26/11/2011    3 recensioni
Due pseudogroupies incasinate con le stanze da letto che comunicano tramite un palo dei pompieri. Un non più giovane frontman di una band nel pericoloso olimpo degli dei del rock. Una ragazza innamorata di un'idea, di un artigiano di sogni inconfessabili che poco ha a che fare con l'uomo reale. Una serie di assurdità in fila per due, con la partecipazione straordinaria di ricordi rock, di band nevrasteniche, di chitarre ipnotiche, di fatti di vita non vissuta ma senz'altro vivibile. Così, senza ipocrisia, in una spirale di violente emozioni sulle note di una Manson che creano un'improbabile, tenera, storia d'amore. La storia, tirata a lucido, di qualunque di voi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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She could spit in the eyes of fools
as they ask her to focus on.

 

Non avevo mai compreso appieno il significato dell'espressione “in un bagno di sudore”, finchè non mi svegliai, quel giorno, con le lenzuola inzuppate di acqua, la tachicardia e i capelli appiccicati al viso.
“PAPA'!”
John Montague, in arte, ancora una volta, mio padre, volò nella mia stanza come non aveva mai fatto prima.
“RIA!”
“PAPA'!”
“CHE C'E'!”
Mi afferrai il petto con una mano e scivolai fuori dal letto di casa mia, a Milano.
“Non puoi capire che sogno ho fatto.”
Una doccia e un bicchierino dopo, seduti al tavolo da pranzo, gli raccontai della sua morte e del parto di Dana e del matrimonio con Matt e della tomba di mia madre, scrutando le occhiaie viola del mio riflesso nello specchio. Così simile a Delilah. Così dissimile da quello di sua sorella, mia zia, Barbara. E di mia nonna, Willow.
“Che sciocchezze piccina, sai benissimo che Dana ha partorito mesi fa e che il figlio non poteva assolutamente essere mio.”
“La figlia.”, precisai.
“Sì, nel sogno. Ma in realtà è un maschio. Te lo ricordi, vero?”
Mi guardò come se fossi pazza.
“Sono pazza, papà?”
Mio padre scoppiò a ridere, e per la prima volta in vita mia scoprii quanto bella fosse la sua risata. La prospettiva di essere orfana mi aveva scombinato i meridiani e i paralleli. Quel sogno, così vivido.
“Forse. Secondo me è il tuo inconscio che ti manda a dire qualcosa.”
Chiusi gli occhi e li riaprii un paio di volte, giusto in tempo per vedere mia sorella Splinter sbucare dal corridoio con in mano il mio vestito bianco.
Sospirai.
“Dio, che faccia di merda che hai.”
“Buongiorno a te, Splinter.”
“Senti, io e Bliss siamo arrivate un paio d'ore fa. Dobbiamo fare qualcosa per queste occhiaie. Non puoi presentarti in questo stato.”
Mi massaggiai le tempie, e implorai con gli occhi mio padre di versarmi un altro po' di Bayley's.
“Perchè, che ore sono?”
Splinter si guardò l'orologio Cartier. “Quasi le tre del pomeriggio. Quando papà ci ha detto che dormivi ancora ho pensato fossi morta. Dio, sono viola!”
“Ho capito che ho le occhiaie e che ti fanno impressione, Splinter, ma in ogni caso per dopodomani mi saranno passate.”
Mia sorella si strinse nelle spalle.
“Porto questo da Vivienne in San Babila per un paio di punti, ha l'orlo ancora un po' lungo.”
La guardai. “Non posso andare in minigonna.”
“Non voglio mandarti in minigonna. Non hai detto che lo volevi ad altezza ginocchio? Beh, è leggermente lungo, e sai che Vivienne è fissata. Mi ha detto che ha sbagliato le misure di non so quanti vitali millimetri, quindi ora glielo porto, così non devo sciropparmi un fuoco di telefonate. Ti dispiace?”
Feci un gesto con la mano, come per scacciare una mosca, e meditai di tornarmene a letto pregando di svegliarmi direttamente due giorni dopo.
“Ah, a proposito”, aggiunse mia sorella a strapiombo sulla porta d'ingresso, “Ha chiamato Matt. Ha detto che viene. Mi ha chiesto sei posti, alla festa.”
“Non mi interessa.”
“E perchè l'hai invitato?”
“Splinter, non hai da fare?”
Mi fece una smorfia e sparì oltre l'uscio.
Mi voltai a guardare mio padre, accendendomi una sigaretta.
“Papà.”
Stava scribacchiando su un foglio.
“Sai Ria, è interessante che fossi io la voce narrante del sogno, perchè in qualche modo esacerba la mia importanza per te.”
Aspirai una boccata, soffiando il fumo verso il lampadario in stile Tokyo sospeso sulla mia testa.
“Papà, ti dispiace rispondere a una domanda?”
Mio padre poggiò la penna, e mi guardò.
“Se posso, volentieri.”
“Non mi ero mai soffermata su un immagine di mamma abbastanza vivida da cogliere i particolari minimi, ma stanotte ho notato che non somiglia per niente né alla nonna né a zia Barbie. E, se mi ricordo bene la foto, non somiglia troppo neanche a nonno Diego.”
Ci guardammo per un attimo lungo un secolo.
“Qual è la domanda?”, disse poi mio padre, affettando quel silenzio. Ma la domanda, e la risposta, erano già lì, sul tavolo, tra di noi. Però io la feci lo stesso, perchè ci sono cose che puoi aver anche intuito, però preferisci che non escano dal piano del sospetto perchè sai che non riuscirai mai a metterle in termini che ti permettano di assorbirle con serenità. Cose impossibili da metabolizzare.
“La domanda è: perchè?”
Mio padre sospirò e congiunse le mani davanti al viso, appoggiando il mento sui pollici. Guardava davanti a sé, e una sigaretta gli fumava tra indice e medio della mano destra.
Quando finalmente guardò me e fece per parlare, alzai una mano perchè non volevo sentire.

 


Il primo viso che ti viene in mente quando pensi alla felicità,
quello è la risposta a tutte le domande.

 

Di lettere gliene avevo scritte a decine, forse centinaia. Ma questa era particolarmente difficile. Certe cose non puoi scriverle, puoi solo dirle. Con la voce ferma, al momento giusto.
In aeroporto, una nube di voci, risate e valige, mi resi conto in un momento che tutto ciò che mi era sfuggito era collegato a quell'unico filo invisibile, quella domanda che ancora non avevo trovato, fino a quel sogno assurdo.
In Giappone c'è una leggenda che dice che le persone destinate ad amarsi siano legate alla nascita per i mignoli da un filo rosso: non importa cosa accadrà nelle loro vite, o quanto strano, singolare, accidentato sia il loro cammino, loro due si ritroveranno. Perchè così è scritto, da sempre.
Agitai una mano, e la testa bionda di mia zia Barbara mi rispose sventolando una chioma tinta di fresco. Gli assistenti di Splinter presero le loro valige per portarle a casa, e io accolsi tra le braccia un enorme mazzo di rose rosse e gialle, sorridendo a mio cugino per la prima volta.
“Forza.”, disse Shadows, strizzandomi l'occhio. “O perderemo il grande evento.”
Svolazzai fuori alla testa del gruppo, nell'abito bianco Vivienne Westwood. Mio padre suonò il clacson del minibus abbassando il finestrino.
“Forza, tutti a bordo! Prossima fermata, Università degli Studi di Milano.”
Seduta in braccio a Synyster, parlai con Bliss per tutto il tempo.

 

Scusami degli scontri fisici,

disperati e illogici,

come me.
 

Nel cortile interno dell'università, attendevo la chiamata del mio nome. Dovevano mancare minuti, o secondi, o decimi, insomma, dovevo muovermi, non avevo tempo.
Ricordate le cose che non possono essere scritte perchè vanno dette a voce ferma, con chiarezza, al momento giusto?
Ecco. Io feci tutto il contrario.
“Jimmy, devo dirti una cosa.”
Lui alzò gli occhi dallo smartphone, lo ripose in una tasca e mi guardò, serio come di solito non era mai.
Mi tremava la voce.
“Io ti amo. Ti ho sempre amato, e ti amerò sempre. E lo so che me l'hai sentito dire di almeno altre cinque persone, una era Matt Bellamy, un'altra addirittura Freddie Mercury, ma è questa la cosa veramente importante. Tu me l'hai sentito dire di loro e tutti loro, a eccezione di Freddie Mercury, per motivi che è inutile che io ti spieghi, se lo sono sentiti dire di te. E sapevano che non li avrei mai amati quanto amavo te. Lo sapevano benissimo. Cristo, è tutto così chiaro nella mia mente, perchè non riesco... io non riesco a...”
Mi stava ancora guardando, indecifrabile.
Sentivo cavalloni in tumulto dentro il mio petto, e un corto circuito in corso, inevitabile.
“Quello che sto cercando di dirti è che io... Cioè, lo sai che ti amo, quello che non sai, ma che io ora so, è come, come io ti amo.”
“Eldariael Montague!”
“Ecco, appunto...”
I suoi occhi azzurri ancora fermi nei miei.
“Hanno chiamato il mio nome, devo andare, scusa, è meglio se entriamo, magari ne parliamo più tardi.”, dissi, senza riuscire a guardarlo mentre gli parlavo, ed entrai di corsa nell'aula.
Poi uscii di nuovo, e sulla porta, posai un bacio sulla sua guancia. Bruciava.
Corsi alla sedia davanti alla quale si dispiegava a perdita d'occhio l'intera commissione di laurea. Dietro di loro, la mia tesi proiettata su un megaschermo.

Niente virgolette nel titolo
W. Shakespeare.

Discussi per trentacinque minuti, rispondendo a ogni domanda che gli parve opportuno pormi. Discussi della metrica e della poesia, del contesto storico e delle influenze precedenti, del Paradiso perduto di Milton e di Oscar Wilde e le sue opinioni su Shakespeare e sul mondo. Discussi del sonetto 116, del numero 19 e dell'avanguardia, della bisessualità, del pensiero.
“Un'ultima domanda, signorina Montague. Come mai un titolo così singolare?”
Sorrisi, sentendo la strana calma che accompagna la fine delle cose asciugarmi gli occhi.
“Vede, nei manoscritti originali di William Shakespeare non si trovano titoli introdotti dalle virgolette. Chiaramente, lui non ha mai spiegato il perchè di questa peculiarità, ma la mia teoria è che mettere le virgolette a qualcosa è circoscriverlo in una dimensione altra da quella in cui ha sede il vero. Già dire 'tra virgolette' sottintende una metafora, un compromesso. Ma ogni riga di quest'uomo, ogni opera in prosa, ogni poesia, e ogni nome che ha trovato alle storie che raccontava... Niente di tutto questo era una metafora. Niente aveva bisogno di virgolette, per essere sottinteso o spiegato in seguito. Magari non era reale, ciò che lui scriveva, ma era vero. Era vero l'amore, ed era vero l'odio, era vera quell'umanità ineguagliabile di Romeo Montecchi, che, vittima degli equivoci, non ci pensa nemmeno all'eventualità di vivere senza la sua Giulietta. Lo stesso vale per Rosalinda, e per Otello, e potrei citare ogni protagonista di ogni sua opera ma troveremmo comunque che mai nessuno di loro è sceso a un compromesso. Le loro erano vite votate all'assoluto. Ci mettevano anni, magari, a scoprirlo, ma alla fine trovavano la loro strada, e non la cambiavano più. Loro sapevano chi erano, e dove volevano andare. Non avevano bisogno delle virgolette. Erano veri. E amavano, e quando amavano lo facevano in modo assoluto e totalitario, senza un tentennamento, né un cambio di idea o di direzione. Per citare Shakespeare stesso, amor non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste fino al giorno del giudizio, e se questo è errore, e mi sarà provato, io non ho mai scritto e nessuno ha mai amato. Questo è l'amore, e non ha bisogno di virgolette.”
Ci guardammo un po' tutti, interdetti.
“Grazie, signorina Montague.”
“Grazie a voi.”
Ci stringemmo la mano.
Senza neanche guardare i miei amici e parenti venuti ad assistere, mi diressi a passo di carica verso la prima panchina in cortile.

 

You're a song written by the hands of God
don't get me wrong, cause this might sound to you a bit odd
but you own the place where all my trusts go hiding,
right under your clothes is where I find'em.
Underneath your clothes there's an endless story,
there's the man I chose, there's my territory,
and all the things I deserve for being such a good girl,
honey.

 

Le sue mani si puntarono sulla spalliera della panchina accanto a me, dietro di me. Sorrisi, giocherellando con le rose.
“Beh, complimenti per la mancanza di virgolette, signorina Montague.”
Alzai gli occhi verso di lui, e per la prima volta lo vidi davvero. Bellissimo, intero, incrollabile. Immortale.
Sfilai una rosa dal mazzo, e gliela porsi.
Mi guardò di sbieco, ironico. “Devo cogliere qualche significato particolare?”
A corto di parole, scossi la testa.
Parlò lui.
“Beh, un bel colpo scoprire che la zia Delilah è stata adottata. Certo, questo spiega tante cose. Il perchè non somigliasse affatto a mamma, ad esempio. E perchè i tuoi occhi non somigliano a niente che io abbia mai visto nel mondo. Ti ho vista nascere. E crescere. E ho tenuto a te così tanto e in un modo così particolare per me che non avevo dubbi sul nostro sangue in comune.”
Mi alzai, sorridendo, con le guance a fuoco.
“Non è che non avessi capito, JJ. E' che certe cose non le puoi accettare.”
Mio cugino, o quello che era, annuii greve. “Non parli di tua madre, vero.”
“No.”
Come se avessi una mano aperta che mi spingeva sulla schiena, mi sporsi in avanti.
Jimmy indietreggiò impercettibilmente, impreparato.
Era una cosa assurda anche solo da pensare per tutti e due.
Presi il gambo della rosa nella sua mano, e lui fece scivolare le dita un po' più su per farmi posto.
Ritraemmo le mani gemendo di dolore nello stesso, medesimo istante.
Due spine ci avevano punto i mignoli della mano destra.
Ora, io non credo in queste manifestazioni teatrali del destino, ma certe volte, che uno ci creda o no, le cose stanno proprio esattamente come stanno.
“Ahia”, disse.
Io ridacchiai piano.
Sembrò un gesto naturale, a quel punto, congiungere le mani, palmo contro palmo, con la panchina di mezzo, finchè il sangue sulle dita si mescolò. Dello stesso colore rosso, impossibile dire di chi fosse. Di entrambi. Il filo rosso.
Imbranati come due bambini, ci avvicinammo l'uno all'altra. Salii in ginocchio sulla panchina, e la mano libera di Jimmy si infilò tra i miei capelli, come faceva quando eravamo piccoli e non riuscivo a dormire.
Impossibile.
Quando la mia pelle urtò contro il suo piercing sul mento e le mie labbra toccarono le sue come mai avevano fatto prima, scoprii che invece mi sbagliavo, e non era affatto impossibile. Un po' incerti, precipitammo in un bacio lieve.
Appoggiai la fronte alla sua.
“Se tu non ci sei niente è al suo posto, in me.”
Sorrise.
“Lo so, scusami, continuo a dire cose senza senso, è che non...”
Mi bloccai. I suoi occhi, di un azzurro così cristallino, una tonalità perfetta.
Poggiai la testa sul suo petto.
“Portami via di qui.”
“Via dove?”
“Via lontano.”
“E la festa?”
“Ci andiamo dopo.”
“D'accordo.”
Stupefacente come poche sillabe possano bastare a farti emozionare, e ritrovare ciò che hai fatto di te in tutti i momenti di incertezza della tua vita.
“Ria, io ti... anche io. Insomma. Smettiamola con queste cazzate. Vieni via da lì.”
Mi prese in braccio come se non pesassi niente, e aprì la porta di uscita del cortile con un calcio della vans col teschio.
“Dove andate?”, ci chiese Bliss, fuori con Synyster.
“Torniamo dopo.”
La mia migliore amica scoppiò a ridere.
“Jimbo, ti ho chiesto dove andate, non quando tornate.”
“Non lo so.”
Ci allontanammo così, per le strade di Milano, oggetto delle occhiate stupite dei passanti. Lui guardava davanti a sé, sorridendo. Se Vivienne ci avesse lasciato quel vitale millimetro, probabilmente l'abito bianco mi avrebbe fatto sembrare una sposa. D'accordo, lui avrebbe stonato lo stesso, con le vans coi teschi e l'eyeliner e tutto il resto. Ma pazienza.

 

It is you I have loved all along.

 

Io sono un essere umano.
Un dettaglio che doveva essermi sfuggito, prima di incontrare Matt Bellamy.
Comunque, guardai con occhi nuovi e stupiti Jimmy alla finestra che fumava, senza maglietta.
“Era necessario prendere una stanza d'albergo per 'parlarne un attimo'?”, chiesi, seduta all'indiana sul matrimoniale, cercando di non appiccare il fuoco al copriletto con la sigaretta.
Lui non si voltò.
C'era un'aria come avessimo affogato dei gattini. Pesante.
“Non ti ho detto che mi sono innamorata di te. Innamorarsi è un processo che avviene per gradi. Mi sono innamorata di Matt, penso una volta in vita mia e basta, o forse cento, ogni volta che ha suonato la sua Manson nera, ma non ha importanza. Io ti ho sempre amato. Da quando sono stata in grado di amare qualcuno, la verità è che ho amato te. E questo è un fatto. Ho scelto di amarti, con quella coscienza che hai solo quando sei ignorante come una vongola neonata.”
Appoggiò una mano alla finestra.

“Ex cugina, io ti ho vista crescere. Nel vero senso del termine. Hai idea di quanto sia difficile tutto questo per me? Ammetterlo, insomma, comprenderlo, non sentirmi un pazzo pedofilo? E non sono esattamente una persona normale. Figurati un po'.”
“Si ama una volta sola, mi pare di aver capito. Certo, ho dovuto capirlo un po' troppo in fretta. Però l'ho capito.”
“Detesto che tu pensi che io voglia fare il protagonista sempre e comunque, ma questa cosa per me è un tantino più complicata.”
Lo guardai, e tacqui.
“Sai quante volte mi sono sentito un uomo orribile per quello che pensavo di te, sai quante bottiglie di vodka mi sono scolato sopra le nostre foto, per dire che ti amavo, certo, ti amavo come si ama qualcosa di legato a te dal vincolo più forte che esiste, e sapevo che non era vero?”
Mi stesi sul letto, espirando.
“A proposito di vodka, apri il minibar.”
“Non ho voglia di bere, tesoro.”
Sgranai gli occhi, cazzo, era grave.
“Beh, io sì. Sono tre giorni che mi alcolizzo a tua insaputa.”
“Io sono trent'anni che mi alcolizzo e lo sanno tutti. Quindi oggi trasgredisco alla regola. Olè.”
Sorrisi, alzandomi.
“Sei sottosopra, eh, reverendo.”
“Qualcosa in più che sottosopra. Non credo di riuscire a reggerla, questa cosa.”
Gettai uno sguardo al soffitto e mi avviai al minibar.
“La smetti?”
“Di fare cosa?”
“Di cercare di lasciarmi.”
“Come?”
“E' mezz'ora che cerchi di lasciarmi, e non stiamo neanche insieme.”
Si voltò a guardarmi sconvolto e divertito.
“E tu smettila di fare i tuoi giochetti parapsicologici con me. Lo sai che non abbocco.”
Scoppiai a ridere, sputacchiando vodka.
“Ah sì? Non sembrava.”


I'm feeling nervous trying to be so perfect,
cause I know you're worth it.
If I could say what I wanna say,
I'd say I wanna blow you away,
be with you every night,
am I squeezing you too tight?
If I could see what I wanna see,
I wanna see you go down on me,
marry me today.
What's wrong with my tongue,
cause words are slipping away
.

 

Giocherellavo coi suoi capelli, alle sue spalle.
Sembrava coeso con la finestra, in un'unione sacra e indissolubile. Che diamine stesse guardando non lo sapremo mai.
“Andiamo, quadra tutto. Non mi è mai funzionata una storia, e neanche a te. Continuavano ad essere tutti, imprescindibilmente, la persona sbagliata. Ma di cosa sto cercando di convincerti? Da qualche parte, non so dove, devi arrivarci tu da solo, James. Ora andiamo, non si può fare una festa di laurea senza la laureata.”
Rise piano, si voltò, mi afferrò per la vita e mi stampò un bacio sulle labbra.
“Hai ragione, andiamo.”
Poi rettificò.
“Hai ragione sulla festa di laurea. Sul dover arrivare a qualcosa, non lo so. Sono solo sconvolto, ecco tutto.”
“Allora sono io quella fuori di testa. A me una cosa del genere sembra non dico normale, ma prevedibile, ecco.”
“Prevedibile? Mia zia adottata, nessun vincolo di sangue tra noi, un inatteso via libera dopo aver passato anni a fare training autogeno e aver trovato finalmente la pace, adesso di nuovo tutto a soqquadro?”
“Soqquadro? Addirittura?”
Soffiò via il fumo.
“Non è questo il punto.”
“Sul serio hai detto soqquadro?”

 

I found a way to let you in,
but I never really had a doubt.

 

“Avete fatto sesso?”
“No, Bliss.”
La mia migliore amica si confondeva con i fiori azzurri nelle piante, fumando una Marlboro rossa.
Ognuno ha il diritto di dire, ognuno quello di non ascoltare.
“Avete fatto ordine?”
“No, Bliss.”
“E che avete fatto?”
“Abbiamo parlato.”
“E che vi siete detti?”
Mi strinsi nelle spalle. “Che ci amiamo da sempre.”
Ognuno prende la strada che può.
Una sagoma a noi ben nota si stagliò contro la portafinestra della terrazza.
“Ciao, bambina.”
“Ciao, Matt.”
“Ciao a tutti.”, disse Bliss. E se ne andò.
Guardai Matt. Non eravamo riusciti a dare forma a un destino che si avvicinasse a noi.
“Mi manchi, a volte.”
“A me manca il coraggio di sentire la tua mancanza, Matthew.”
Scoppiò a ridere.
“Come te la passi?”
“Così. I colpi di scena non mancano.”
“No, infatti. Volevo presentarti mia moglie, ma non so che fine abbia fatto.”
Sorrisi. “La conosco già. Cioè, la conoscevo. Non come tua moglie, ovviamente.”
“Non avevo dubbi, tu conosci tutti.”
“Già. E' una maledizione.”
Tacemmo per un po'. Non hanno mai niente da dirsi, le persone che si sono amate, quando si incontrano nel futuro in cui non esistono più insieme.
“E tu? Stai con qualcuno?”
Sorrisi di nuovo. “E' una lunga storia.”
“Come sempre.”
“Beh, grazie per l'invito.”
“Ti voglio bene, Matt.”
Mi abbracciò stretta, e io ripiombai in quell'abbraccio come tempo prima.
“Ti voglio bene anche io, Ria. Anche se non hai sposato me.”
Risi. “Lo sai che non sposerò mai nessuno, non prenderla sul personale.”
Fece una smorfia. “Se permetti, ho i miei dubbi.”
Alzai le mani. “Perfettamente legittimo. Tanto sono gratis.”
“Posso chiamarti qualche volta? Vederti? Se lui non si arrabbia.”
Lo guardai.
“Non che tu abbia bisogno del suo permesso, è chiaro.”
Volsi uno sguardo alla mia sinistra. Jimmy parlava con Shadows, che lo fissava al di là degli onnipresenti occhiali a specchio. Un uomo che viveva nei Rayban specchiati. Avrei dovuto intitolarci un romanzo.
“Tua moglie non si arrabbia?”
“No, non credo. Le ho parlato molto di te.”
“Allora avrà capito che non torno mai indietro.”
“Sì, lo ha capito. Lo sa anche lei che le meduse vanno solo avanti.”
Annuii. “Per quello si spiaggiano.”
Scoppiammo a ridere.
L'uomo con gli occhiali a specchio mi mise un braccio intorno alle spalle.
“Mi dispiace, ma devo rubartela.”
“Me l'hanno già rubata, mi pare.”
Shadows sorrise, scoprendo quarantamila denti bianco cocaina.
“Non prendertela a male, amico. Doveva andare così.”
Mi voltai verso Shads. “Arrivo tra un attimo, caro.”
“D'accordo, gioia.”
Afferrai le mani di Matt Bellamy con le mie.
“Grazie di tutto, Matt.”
“Grazie a te, Ria.”
Un ultimo, soffice, sottilissimo bacio a fior di labbra.
Giusto per ricordarsi che non era un addio.

 

Da qui cominciano i ricordi.

 

“Mi volevate?”
“Ti voleva tuo cugino, veramente.”, disse Zacky. Poi disse cazzo. Poi disse scusate. E io gli dissi di darsi una calmata, che avevamo tutti bisogno di tempo.
Alzai gli occhi verso The Rev.
“Sì?”
“Mi chiedevo se ti andava di ballare.”, disse, porgendomi la mano.
I nostri occhi che diventano mani.
Le casse risuonavano di Billy Joel.
“She's always a woman to me?”, chiesi.
“E' una canzone che mi ha sempre fatto pensare a te.”
La canzone dopo era She's so high.
“Però.”, dissi, mentre ballavamo piano, occhi negli occhi. “Sei romantico. Chi l'avrebbe mai detto.”
Mi guardò divertito. “Davvero? Non ti ricordi neanche una volta in cui sono stato davvero romantico? In cui ti abbia detto qualcosa di dolce e sensibile?”
“La cosa più romantica che tu abbia mai detto è stata soqquadro, ed è successo appena poche ore fa.”
Calava la sera.
“Ci pensi?”
“A cosa?”
“A stanotte?”
Scoppiai a ridere.
“Perchè, ci è arrivato un ordine di esecuzione obbligatoria?”
“No. Non è obbligatorio, ma è fortemente consigliato.”
Risi di nuovo. Che guaio, quando gli uomini ti fanno ridere.
“Allora credo che dovremo ubriacarci seriamente.”, dissi, prendendo due bicchieri di champagne dal vassoio di un cameriere.
“Ci conosciamo così dannatamente bene che dire aspettiamo di conoscerci meglio suonerebbe tipo una barzelletta.”, disse Jimmy, e aveva ragione.
“Quanto mi piaci.”, gli dissi, così, semplicemente.
“Come, scusa?”
“Mi piaci da morire. Specie con gli occhiali. Perchè non li metti? Non mi vedi neanche, senza.”
Sorrise.
“Preferisco immaginarti, grazie.”
“Non c'è cosa più divina!!”
“Synyster, ti arriva uno schiaffo. Io ti ho avvertito.”, gli dissi.
“Veramente, era diretta al mio migliore amico.”
“Sì, ma ti conviene che te lo dia io, lo schiaffo.”
“Non lo so, eh!”, disse Jimmy.
“Jimmy!”
“Non ascoltarla, Brian, è una persona violenta.”
“Che deficienti...”
Sorridevo.

 

Avrò più senso insieme a te.
 

Erano le ventitrè e quarantanove. Lo so e me lo ricordo bene, perchè stavo per dire che si era fatta una certa, e forse era meglio andare tutti a casa.
Ero con Jimmy sulla ringhiera della terrazza, e le luci della città erano stelle cadute, desideri già espressi e, in qualche caso, realizzati.
“Ria, ti ricordi quando litigasti con zio John e dicesti che avresti voluto prendere il mio cognome e trasferirti da noi ad Hungtinton Beach?”
Aggrottai le sopracciglia: “Sì, me lo ricordo, certo.”
Guardò verso la luna, e disse: “Beh, ti andrebbe ancora?”
“Cosa? Di litigare con papà e telefonarti e trasferirmi ad Hungtinton Beach?”
Tacque un po'.
“Non è necessario che litighi con tuo padre.”
Silenzio.
“Non è necessario neanche che ti trasferisci ad Hungtinton Beach, o almeno, non subito.”
Silenzio.
“In realtà mi riferivo al cognome.”
Le parole gli uscirono come un singhiozzo, e io arrossii, e sorrisi.
“Mi stai chiedendo quello che mi stai chiedendo?”
“Ti sto chiedendo la cosa più logica e naturale.”
“Me lo stai chiedendo come se ti avessi ucciso la mamma.”
“Hai ragione.”
Silenzio.
“Non avrei mai pensato di fare una domanda del genere a chicchessia in vita mia, quindi perdona la forma un po' azzardata.”
Sorrisi, accarezzandogli una guancia.
“Allora quando ti sentirai abbastanza pronto a chiedermelo, me lo chiederai.”
Mi guardò.
“E io ti risponderò di sì, ovviamente.”
Sorrise anche lui, e disse: “Ok.”
“Ok.”
“Sai, non avrei mai pensato di poter essere abbastanza felice da fare una cosa del genere.”
“Fare cosa?”
Mi sollevò da terra e mi portò in braccio fino al centro della sala.
“Io amo questa donna. La amo in tutti i modi che conosco, e in tutti i modi in cui l'ho amata, da quando è nata.”
La gente applaudì.
Io pensai che Vecchioni cantava 'non eri ancora nata, e già ti avevo dentro', e lo cantava per me.
Per quel momento infinito.
Per quella vita incredibile.
Per ogni cosa che era già stata, e per tutto quello che ancora sarebbe dovuto essere.
Per mio padre che ballava ancora con mia sorella come quando era piccola.
Per Bliss che sorridendo beveva e fumava, sussurrando a Synyster.
Per Matt e la sua bella moglie, con la sua bella pancia e il suo bel sorriso.
Per la mia pelle bruna e i miei occhi gialli, che non somigliavano a niente.
Per quel tizio che una volta mi disse di ascoltare Have You Ever Seen the Rain di Rod Stewart, ascoltarla bene.
E per quella volta che provai a pensare alla felicità, e il viso che mi venne in mente fu quello di tale Sullivan, James Owen.

 

La veste dei fantasmi del passato
cadendo lascia il quadro immacolato.
(E l'immensità si apre intorno a noi.)

 

La fine non è mai vicina quanto si crede.
Q.
(Per la mia AnnaMaraiah, per la dottoressa Mitchell, per Bells, Evey, Heinekrapfen, E per te, sì, proprio te.)
Giuro che risponderò alle recensioni.
("Come hai detto? Giuro solennemente di non avere buone intenzioni?")


 

   
 
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