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Autore: mamehota    26/11/2011    5 recensioni
[Zoro Roronoa, Nico Robin, ZoroxRobin, Zoro e Robin].
50 fanfiction su due dei personaggi migliori del manga, basate sulla Mezza Tabella maledetta.
# 01.Addio - era quell’odore di legno forte, piacevole, intenso, odore di famiglia e amore, che ormai ce l’avevano addosso e stava lì, in tre spade abbandonate lungo il fianco e in un libro letto e riletto molte volte.
# 25.Risveglio - «Non rispondermi ad una domanda con’altra domanda» protestò.
# 43. Sorriso - Si domandò quand’è che avesse imparato a ridere così.
# 26. Incontro - Robin arrivò d'improvviso.
# 41. Tempo - Ma Zoro dovette ammettere che non v’era compagnia migliore di Robin.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nico Robin, Roronoa Zoro, Z
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                  The beauty and the beast

Titolo:
The beauty and the Beast [Who could ever learn to love a beast?]
Autore: hotaTERU

Fandom: One Piece
Personaggi:
Zoro Roronoa, Nico Robin
Rating:
giallo
Disclaimer:
One Piece non mi appartiene, bensì è opera di Eichiro Oda ©. (E s’è visto. Non a caso Zoro non ha ancora assaltato Robin finendo col fare l’amore violentemente e Paulie non s’è più visto dopo Water 7. Io ci tenevo a lui, eh!).
prompt:
01. Addio.
Avvertimenti: Fanfiction partecipante alla “Mezza Tabella Maledetta”.

 

01.Addio (Would you like to spend your life with me, mr. swordman?)
L’addio ha uno strano sapore; molto simile ad un boccone troppo amaro, mandato giù perché si deve o perché è l’unica alternativa possibile, che resta in qualche modo impregnato sulle labbra, cosparso sulla lingua e bloccato proprio lì, nel mezzo della gola, impossibile da cancellare. E’ un sapore la cui asprezza la conosci già, la conosci da sempre e la assaggi molto spesso, a malincuore, un’asprezza che pizzica e scortica il palato per quanto è intensa.
Ma, allo stesso tempo, è un sapore mutevole, percepito ogni volta diversamente, perché non v’è un addio che sia uguale ad un altro, sia per le circostanze in cui avviene sia per le persone o gli oggetti che vi sono coinvolti. L’unica costante è sempre quell’amarezza che t’invade la bocca, che resta lì e non va più via, puoi coprirla con altri sapori, più dolci e piacevoli, ma non cancellarla, no, non cancellarla, quello mai.
Loro, tutti quanti, di addii ne avevano vissuti e vissuti, e chi più di loro aveva perso ciò a cui maggiormente tenesse? Chi più di loro aveva visto strappato dalle proprie mani, dopo aver lottato con le unghie per trattenerne almeno un brandello, quel piccolo angolo di felicità cucito filo per filo quasi fosse un consunto straccio di lana?
Ne avevano vissuti anche troppi di addii, e così decisero di rendere quell’ennesimo nient’altro che un fugace saluto, un gesto d’intesa di spaventosa intimità, qualcosa di più simile ad un ci vediamo presto.
In realtà, ognuno di loro aveva un posto in cui tornare, un antro dimenticato che sapeva ancora di famiglia. Ognuno di loro, tranne quei due che soli erano sempre stati e sembravano quasi non appartenere a nulla, essere anime separate, a sé, ignare del mondo dalle quali erano circondate, proiettate unicamente verso un sogno oltre il quale non c’era futuro.
Quei due, Zoro e Robin, che una famiglia ce l’avevano avuta, sì, ma erano stati i sette folli e spensierati ribelli che avevano percorso insieme a loro la strada per realizzare un obbiettivo comune, individuale eppure comune a tutti, il tuo sogno è anche il mio.
Andarono via uno alla volta, con la tacita promessa di rivedersi, perché non era la fine di un’amicizia o di un legame inscindibile, ma unicamente di un viaggio, e della ciurma di cappello di paglia.
Restavano i ricordi – memorie incancellabili di giornate nelle quali sembrava tutto un gioco e l’orizzonte non era altro che il confine tra se stessi e i propri sogni -, l’esperienza, il dolore e la gioia mescolati insieme, la soddisfazione nell’essere arrivati al compimento di ciò che ci si era prefissi insieme, e un sapore un po’ amaro che si chiamava rimpianto, affiorato alle labbra dopo aver capito di essere arrivati sulla cima della montagna, non vai più avanti ma il panorama è da mozzare il fiato.
Andarono via velocemente, anche, scherzando, ridendo, un goccio d’alcool di troppo a fare da sfondo ad una giornata tutta d’un fiato, senza neppure un’ ora di sonno.
Andarono via, sì, ma non tutti.
Loro due – erano sempre loro due – no.
Si guardarono intorno, un’ultima fugace occhiata al veliero che Franky aveva acconsentito a lasciare loro con la promessa di venirlo a riprendere, al più presto.

Dovevano tornare a casa, aveva detto il Capitano. Solo per poco, per chiarirsi le idee, godersi quel po’ di felicità che ci si era guadagnati, e poi vivere.
A casa, certo.
E loro c’erano andati, certo che c’erano andati; semplicemente, era quella casa loro. Era quell’altalena maldestramente legata al ramo di un albero, era quell’erba accarezzata dal vento – erba su una nave, e chi altri l’aveva mai avuta?-, era quell’odore di legno forte, piacevole, intenso, odore di famiglia e amore, che ormai ce l’avevano addosso e stava lì, in tre spade abbandonate lungo il fianco e in un libro letto e riletto molte volte.
«Né, signor spadaccino».
La voce di Robin risuonò forte nel silenzio (e dov’erano le urla di Rufy e gli schiamazzi di Chopper e le sgridate di Nami e Sanji?), e Zoro si voltò appena rivolgendole un’occhiata severa e imperscrutabile.
«Dov’è che abiti, tu?» domandò la donna, inarcando un sopracciglio.
Lo spadaccino rimuginò a lungo sulla risposta. Socchiuse l’occhio – l’unico occhio – per qualche istante, accarezzò l’elsa delle sue katane con le dita, e poi rispose.
«Qui».
L’archeologa si abbandonò ad una fugace risata che era tutto tranne che divertita. Aggrottò leggermente le sopracciglia, e arricciando le labbra in maniera spontanea sussurrò «anch’io».
Zoro le rivolse un’altra occhiata, più duratura e intensa, che somigliava ad un misto di comprensione e assenso.
Poi, il silenzio. Pesante, madido di parole non dette, di pensieri comuni ma non espressi.
«Né, Zoro» risuonò nuovamente la voce di Robin, più sicura, più incalzante.
Lo spadaccino mugugnò in risposta, invitandola in tal modo a continuare.
«Dov’è che vai, tu?».
Lui ghignò, in maniera meccanica e spudoratamente costruita. Si passò le dita bronzee tra i capelli verdi, che col passare degli anni avevano raggiunto il collo ed erano più selvaggi del solito, e scrutò l’orizzonte in un misto di concentrazione e semplice vuoto interiore.
«Da nessuna parte».
«Anch’io» rise lei nuovamente. «Non ti andrebbe di ricominciare?» propose poi, prendendo a fissarlo con quegli occhi di ghiaccio che avevano visto troppo, del mondo, eppure neppure un posto, lì a terra, avevano conservato come una casa, o un rifugio.
«Ricominciare in che modo?» domandò Zoro, curioso.
E lei spiegò.
«Non lo so in che modo. Ma lo sai, no? Siamo rimasti solamente noi, qui. Se ti va, possiamo ricominciare. Anzi, cominciare e basta, insieme».
Lui ricambiò lo sguardo. Si fissarono, per istanti lunghi un secolo, quasi stessero immaginando le stesse cose, un futuro che forse poteva essere migliore, una famiglia che forse c’era ancora ed erano l’uno per l’altra, una casa che non c’era ma sarebbe stata qualunque luogo, s’erano insieme.
«Cosa ne dici, signor spadaccino? Proviamo?» concluse Robin, con un sorrisetto.
Zoro accarezzò nuovamente la sua katana, rimuginò per qualche secondo e poi, semplicemente, come fosse la cosa più naturale del mondo, prese a camminare e balzò giù dalla nave, con uno scatto agile e veloce. Infine, si voltò.
«Ti muovi? Non ho intenzione di stare dietro ai tuoi comodi. E la guardia la facciamo una notte a turno. Sai cucinare, vero? Io ti procuro la carne, ma non so neanche accendere il fuoco. Sia ben chiaro, non appena Rufy decide di ricomporre la ciurma, ovunque siamo ti riporto qui. Mi ricordo la strada, io».

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Angolo Autore:
Ehila! Sono ritornata dopo tantissimo tempo di assenza dal fandom, perché non avevo voglia di postare di aborti che scrivevo xD neanche questa fanfiction l’avrei postata, in realtà, se non avesse fatto parte di una tabella e se oggi non fosse il ZoRobin day in Giappone, data alla quale sono legatissima poiché mi riempie di gioia sapere che da qualche parte del mondo altre persone festeggiano il mio alquanto sconosciuto OTP xD.
Sinceramente non ho tempo voglia di dire altro, quindi ci aggiorniamo al prossimo prompt che non so quale sarà ù_ù (sia chiaro, è una pura coincidenza l’aver iniziato proprio con il primo prompt della tabella u_u…  proprio col primo prompt, proprio col primo prompt... un’allitterazione involontaria :D ... niente, sono una classicista esaurita, parlo di sperequazioni come fosse ovvio e elucubro in continuazione riguardo gli assertori della politica augustea, senza considerare gli elementi concernenti l'ironia manzoniana che a più ripres- no, niente davvero. Capitemi).

 

 



 

 

 

 




   
 
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