The
beauty and the beast
Titolo: The beauty
and the Beast [Who could ever learn to
love a beast?]
Autore: hotaTERU
Fandom: One Piece
Personaggi: Zoro Roronoa, Nico Robin
Rating: giallo
Disclaimer: One Piece non mi appartiene, bensì è opera di Eichiro Oda ©. (E s’è visto. Non a caso Zoro non ha ancora
assaltato Robin finendo col fare l’amore violentemente e Paulie
non s’è più visto dopo Water 7. Io ci tenevo a lui, eh!).
prompt: 01. Addio.
Avvertimenti: Fanfiction
partecipante alla “Mezza Tabella Maledetta”.
01.Addio (Would you
like to spend your life with me, mr. swordman?)
L’addio
ha uno strano sapore; molto simile ad un boccone troppo amaro, mandato giù perché si deve o perché
è l’unica alternativa possibile, che resta in qualche modo impregnato sulle
labbra, cosparso sulla lingua e bloccato proprio lì, nel mezzo della gola, impossibile
da cancellare. E’ un sapore la cui asprezza la conosci già, la conosci da
sempre e la assaggi molto spesso, a malincuore, un’asprezza che pizzica e
scortica il palato per quanto è intensa.
Ma, allo stesso tempo, è un sapore mutevole, percepito ogni volta diversamente,
perché non v’è un addio che sia uguale ad un altro, sia per le circostanze in
cui avviene sia per le persone o gli oggetti che vi sono coinvolti. L’unica
costante è sempre quell’amarezza che t’invade la bocca, che resta lì e non va
più via, puoi coprirla con altri sapori, più dolci e piacevoli, ma non
cancellarla, no, non cancellarla,
quello mai.
Loro, tutti quanti, di addii ne avevano vissuti e vissuti, e chi più di loro aveva perso ciò a cui maggiormente
tenesse? Chi più di loro aveva visto strappato dalle proprie mani, dopo aver
lottato con le unghie per trattenerne almeno un brandello, quel piccolo angolo
di felicità cucito filo per filo quasi fosse un consunto straccio di lana?
Ne avevano vissuti anche troppi di
addii, e così decisero di rendere quell’ennesimo nient’altro che un fugace
saluto, un gesto d’intesa di spaventosa intimità, qualcosa di più simile ad un ci vediamo presto.
In realtà, ognuno di loro aveva un posto in cui tornare, un antro dimenticato
che sapeva ancora di famiglia. Ognuno di loro, tranne quei due che soli erano
sempre stati e sembravano quasi non appartenere a nulla, essere anime separate,
a sé, ignare del mondo dalle quali erano circondate, proiettate unicamente
verso un sogno oltre il quale non c’era futuro.
Quei due, Zoro e Robin, che una famiglia ce l’avevano avuta, sì, ma erano stati
i sette folli e spensierati ribelli che avevano percorso insieme a loro la
strada per realizzare un obbiettivo comune, individuale
eppure comune a tutti, il tuo sogno è anche il mio.
Andarono via uno alla volta, con la tacita promessa di rivedersi, perché
non era la fine di un’amicizia o di un legame inscindibile, ma unicamente di un
viaggio, e della ciurma di cappello di paglia.
Restavano i ricordi – memorie incancellabili di giornate nelle quali sembrava
tutto un gioco e l’orizzonte non era altro che il confine tra se stessi e i
propri sogni -, l’esperienza, il dolore e la gioia mescolati insieme, la
soddisfazione nell’essere arrivati al compimento di ciò che ci si era prefissi
insieme, e un sapore un po’ amaro che si chiamava rimpianto, affiorato alle
labbra dopo aver capito di essere arrivati sulla cima della montagna, non vai
più avanti ma il panorama è da mozzare il fiato.
Andarono via velocemente, anche, scherzando, ridendo, un goccio d’alcool di
troppo a fare da sfondo ad una giornata tutta d’un fiato, senza neppure un’ ora
di sonno.
Andarono via, sì, ma non tutti.
Loro due – erano sempre loro due –
no.
Si guardarono intorno, un’ultima fugace occhiata al veliero che Franky aveva
acconsentito a lasciare loro con la promessa di venirlo a riprendere, al più
presto.
Dovevano tornare a casa, aveva detto
il Capitano. Solo per poco, per chiarirsi le idee, godersi quel po’ di felicità
che ci si era guadagnati, e poi vivere.
A casa, certo.
E loro c’erano andati, certo che c’erano andati; semplicemente, era quella casa loro. Era quell’altalena
maldestramente legata al ramo di un albero, era quell’erba accarezzata dal
vento – erba su una nave, e chi altri l’aveva mai avuta?-, era quell’odore di
legno forte, piacevole, intenso, odore di famiglia e amore, che ormai ce
l’avevano addosso e stava lì, in tre spade abbandonate lungo il fianco e in un
libro letto e riletto molte volte.
«Né, signor spadaccino».
La voce di Robin risuonò forte nel silenzio (e dov’erano le urla di Rufy e gli schiamazzi di Chopper e le sgridate
di Nami e Sanji?), e Zoro si voltò appena rivolgendole un’occhiata severa e
imperscrutabile.
«Dov’è che abiti, tu?» domandò la donna, inarcando un sopracciglio.
Lo spadaccino rimuginò a lungo sulla risposta. Socchiuse l’occhio – l’unico
occhio – per qualche istante, accarezzò l’elsa delle sue katane
con le dita, e poi rispose.
«Qui».
L’archeologa si abbandonò ad una fugace risata che era tutto tranne che
divertita. Aggrottò leggermente le sopracciglia, e arricciando le labbra in
maniera spontanea sussurrò «anch’io».
Zoro le rivolse un’altra occhiata, più duratura e intensa, che somigliava ad un
misto di comprensione e assenso.
Poi, il silenzio. Pesante, madido di parole non dette, di pensieri comuni ma
non espressi.
«Né, Zoro» risuonò nuovamente la voce di Robin, più sicura, più incalzante.
Lo spadaccino mugugnò in risposta, invitandola in tal modo a continuare.
«Dov’è che vai, tu?».
Lui ghignò, in maniera meccanica e spudoratamente costruita. Si passò le dita
bronzee tra i capelli verdi, che col passare degli anni avevano raggiunto il
collo ed erano più selvaggi del solito, e scrutò l’orizzonte in un misto di
concentrazione e semplice vuoto interiore.
«Da nessuna parte».
«Anch’io» rise lei nuovamente. «Non ti andrebbe di ricominciare?» propose poi,
prendendo a fissarlo con quegli occhi di ghiaccio che avevano visto troppo, del
mondo, eppure neppure un posto, lì a terra, avevano conservato come una casa, o
un rifugio.
«Ricominciare in che modo?» domandò Zoro, curioso.
E lei spiegò.
«Non lo so in che modo. Ma lo sai, no? Siamo rimasti solamente noi, qui. Se ti
va, possiamo ricominciare. Anzi, cominciare
e basta, insieme».
Lui ricambiò lo sguardo. Si fissarono, per istanti lunghi un secolo, quasi
stessero immaginando le stesse cose, un futuro che forse poteva essere
migliore, una famiglia che forse c’era ancora ed erano l’uno per l’altra, una
casa che non c’era ma sarebbe stata
qualunque luogo, s’erano insieme.
«Cosa ne dici, signor spadaccino? Proviamo?» concluse Robin, con un sorrisetto.
Zoro accarezzò nuovamente la sua katana, rimuginò per qualche secondo e poi,
semplicemente, come fosse la cosa più naturale del mondo, prese a camminare e
balzò giù dalla nave, con uno scatto agile e veloce. Infine, si voltò.
«Ti muovi? Non ho intenzione di stare dietro ai tuoi comodi. E la guardia la
facciamo una notte a turno. Sai cucinare, vero? Io ti procuro la carne, ma non
so neanche accendere il fuoco. Sia ben chiaro, non appena Rufy decide di
ricomporre la ciurma, ovunque siamo
ti riporto qui. Mi ricordo la strada, io».
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Angolo Autore:
Ehila! Sono
ritornata dopo tantissimo tempo di assenza dal fandom,
perché non avevo voglia di postare di aborti che scrivevo xD
neanche questa fanfiction l’avrei postata, in realtà, se non avesse fatto parte
di una tabella e se oggi non fosse il ZoRobin day in Giappone, data alla quale sono legatissima poiché mi
riempie di gioia sapere che da qualche parte del mondo altre persone
festeggiano il mio alquanto sconosciuto OTP xD.
Sinceramente non ho tempo voglia di dire altro, quindi ci aggiorniamo al
prossimo prompt che non so quale sarà ù_ù (sia chiaro, è una pura coincidenza l’aver iniziato
proprio con il primo prompt della tabella u_u… proprio col primo prompt,
proprio col primo prompt... un’allitterazione
involontaria :D ... niente, sono una classicista esaurita, parlo di
sperequazioni come fosse ovvio e elucubro in continuazione riguardo gli
assertori della politica augustea, senza considerare gli elementi concernenti l'ironia manzoniana che a più ripres- no, niente davvero. Capitemi).