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Autore: MarchesaVanzetta    27/11/2011    1 recensioni
Un cuoco allevato da una fata e un orribile abitante dei boschi. Quale destino potrà mai unirli?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nelle cucine del castello c’era una grande attività: poche ore dopo la principessa si sarebbe sposata e il banchetto per gli oltre trecento invitati doveva essere pronto.
Il re della cucina, il cuoco Gustavo, era l’unico a proprio agio in quella confusione, la cucina in subbuglio, l’aria grava di ordini, ogni superficie disponibile occupata, le pentole lavate velocemente per essere poi subito riusate. Stava controllando che la zuppa di lenticchie –la sua specialità- avesse la giusta dose dell’ingrediente segreto, ripensando al primo giorno al servizio del re durante il quale aveva cucinato proprio quel piatto, quando il fuoco sotto la pentola divampò.
La paglia che copriva il pavimento fece sì che tutta la cucina, in un attimo, prendesse fuoco.
I servi erano nel panico, i camerieri che stavano preparando la tavola nella sala del trono cercarono di spegnere le fiamme senza risultati apprezzabili, Gustavo stesso temeva per la propria vita, lui che aveva trascorso la sua infanzia in una grotta nella foresta più fitta, accudito da una fata del fuoco.
Stava ringraziando ormai tutti i suoi cari nella sua testa quando sentì una mano forte prendergli la spalla e trascinarlo via, fuggendo da un buco nel muro. Il giovane corse col suo salvatore senza neanche guardare chi fosse o dove stesse andando, tossendo per il fumo che ancora albergava nei suoi polmoni.
Giunsero infine in una radura dove sgorgava una polla d’acqua purissima e lì si fermarono. Stremato, il cuoco si buttò a peso morto sull’erba fresca, il viso rivolto al suolo e l’odore della terra umida nel naso. Il suo salvatore –era ormai certo che fosse un uomo, la sua stretta non lasciava dubbi- nonostante stesse ansimando anche lui si diresse vero la sorgente, riempì una tazza che era lì vicino e arrancò poi verso Gustavo, toccandogli gentilmente la spalla per porgergliela.
Quando il moro alzò la testa per vedere il viso di colui al quale doveva la vita e prendere la tazza: quale sorpresa trasparì sul suo volto quando vide l’aspetto dell’uomo! Doveva avere approssimativamente la sua età ma sembrava molto più vecchio: era eccessivamente magro e pallido, i capelli erano radi, scompigliati e sporchi, la bocca priva di un paio di incisivi e gli occhi erano piccoli e incavati.
Gustavo cercò di mantenere un atteggiamento normale, ma era turbato dalla bruttezza dell’uomo: solo un maleficio poteva rendere una persona così brutta! Gli era però tanto riconoscente da non volerlo offendere in alcun modo.
Trascorse alcuni mesi con lui in quella foresta, pensando alla sua permanenza lì come una vacanza. Era rimasto con Procopio perché vedeva che soffriva di solitudine, la stessa che affliggeva lui da bambino; ma, al contrario suo, Procopio non aveva una giocosa fata a fargli compagnia. L’uomo lo aveva accettato senza dire nulla ma sorrideva spesso e cercava di rendere la casetta di legno e frasche in cui viveva, appena fuori la radura, più accogliente e raffinata, addobbandola con fiori, felci e piume d’uccelli.
Al finir di settembre, quando ormai le fronde degli alberi iniziavano a cambiare colore e le giornate a farsi più fredde, Gustavo decise di tornare al castello, portando con sé anche l’amico, se avesse voluto. Attese una notte di luna piena, durante la quale erano soliti vegliare tutta la notte chiacchierando intorno al fuoco, per comunicare la sua decisione a Procopio. L’uomo non voleva che il suo amico –l’unico che avesse mostrato affetto nei suoi confronti e per il quale iniziava a nutrire sentimenti che forse non erano consoni all’amicizia- lo abbandonasse e nacque una lunga discussione in cui si urlarono parole anche crudeli che ferirono i cuori di entrambi.
Il cuore di Procopio era così ferito che l’uomo ebbe un malore e poco dopo morì, accasciandosi al suolo. Gustavo, che si era allontanato stizzito, sentendo il tonfo corse indietro nella radura che era stata cornice di tanti ricordi felici e trovò l’amico steso al suolo, privo di vita.
Gli corse incontro, lo scosse, lo bagnò con acqua fredda, gli diede degli schiaffetti per farlo riprendere, sperando con tutto se stesso che fosse solo svenuto. Quando si rese conto che non c’era più niente da fare si lasciò cadere sul freddo corpo dell’amico, abbandonandosi a un pianto disperato, comprendendo solo allora di quanto amasse quell’uomo brutto ma buono e pentendosi delle sue parole cattive, le ultime che Procopio aveva sentito prima di morire.
Piangeva ormai da ore, quando sentì un tocco caldo e leggero sulla spalla sinistra. Si voltò di scatto e trovò Flaminia, piccola e bellissima come sempre, i capelli rossi che le si avviluppavano intorno al piccolo corpo candido, che gli sorrideva dolcemente. “Flaminia!” esclamò il giovane, entusiasta nel vedere di nuovo la madre.
“Ciao mia dolce fiamma” lo salutò la fata, secondo antichi usi. “Perché stai piangendo?” gli chiese poi, fingendo di non sapere nulla dell’incantesimo che aveva colpito il povero Procopio.
“Oh Flam, sono così triste! È morto Procopio, un mio caro, caro amico, che mi aveva salvato mesi fa da un incendio a palazzo. Ero così felice con lui, sai? Era dolce e generoso e andava matto per i miei piatti. Mi manca così tanto!” concluse infine il giovane, scoppiando di nuovo a piangere.
La fata lo fece piangere ancora un po’ e poi gli svelò il mistero che gravava intorno all’amico: egli era infatti un principe che dopo essere stato ripudiato e maledetto dalla madre strega, era stato costretto a vagare nei boschi con un aspetto orribile; solo il bacio di una persona che lo conosceva talmente bene da sapere quali fiori avrebbe voluto sulla sua tomba al momento della sua morte avrebbe potuto riportarlo in vita e bello agli occhi dell’amante.
Mentre gli raccontava tutta la storia, Flaminia intrecciava i lunghi capelli del giovane uomo che amava come un figlio. Fu per questo che venne sbalzata via quando il giovane scattò in piedi. Gustavo si diresse correndo verso un grosso tronco che aveva scavato Procopio con l’intenzione di farne un letto, e vi depose il corpo inerte dell’amico. Poi si diresse sotto un grande faggio e raccolse bracciate di margherite, per poi depositarle accuratamente su tutto il corpo del defunto. Non appena ebbe completato questa operazione si fermò un attimo, guardando il suo lavoro. Flaminia si sedette lieve come una farfalla tiepida sulla spalla sinistra e gli sussurrò all’orecchio parole di incoraggiamento. A passi incerti il cuoco si avvicinò alla tomba di Procopio e delicatamente posò le sue labbra calde su quelle gelide dell’altro uomo. Non accadde nulla.
Gustavo si era girato per allontanarsi dal suo dolore quando una mano tiepida sfiorò la sua e un flebile gemito venne dal corpo prima freddo dell’uomo. Si girò di scatto e abbracciò l’amato, sorridendo, baciandogli le guance che pian piano riprendevano colore, accarezzando i radi capelli e guardando rapito i piccoli occhi incavati nuovamente guizzanti di vita.
“Grazie per amarmi” sussurrò Procopio sulle labbra di Gustavo, prima di baciarlo.
E così Flaminia si trasferì nel bosco nel quale i due vissero per sempre brutti e felici.

  
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