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Autore: Toti1424    01/12/2011    3 recensioni
Questo è un mio tema dell'anno scorso che ho scritto per italiano, dovevamo scrivere un giallo, ma direi che ho un pò esagerato con la fantasia. ^^
Sephi Casper è una docente delle scuole medie che nasconde una mente molto disturbata, la sua classe di allunni non le da retta e questo non fa altro che creare fantasie perverse ed orrente sugli alunni che non fanno altro che farla impazzire.
Una sera, finite le lezioni, incontra una delle sue alunne in biblioteca e non si fa scappare l'occasione, inizia la sua macabra vendetta.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I personaggi, i dialoghi e le situazioni di questo testo sono di pura fantasia.

Fatti e riferimenti ad alcune persone sono puramente casuali.

 

Stephi Casper

 

 

Sulla scuola era calata la notte, le giornate erano corte in quel periodo, ma gli alunni non si facevano problemi e rimanevano anche due ore in più in sede.

Un fitto strato di polvere ricopriva gli scaffali più alti della biblioteca facendomi starnutire ogni volta che li andavo a consultare. Quelle vecchie antologie non erano mai consultate dagli alunni, solo i docenti, anche se di rado, ne facevano uso.

Ero nell’ultimo reparto quando la vidi, una mia allieva, quella più brava, quella tipica ragazza colta che riesce a mettere in difficoltà anche i professori di lunga esperienza con le sue domande. Il tipo d’alunna che mi dava più sui nervi.

Quando ero all’università ce n’erano tante come lei, la maggior parte erano di buona famiglia, quindi… ricche, intelligenti e la maggior parte anche belle. Quelle ragazze che mi guardavano dall’alto al basso, mi fecero passare molti brutti momenti, non glielo potrò mai perdonare, hanno reso un inferno la mia vita scolastica.

Jasmine stava curiosando nello scaffale dietro al mio, riuscivo ad intravedere i suoi occhi azzurri leggere le righe di alcuni libri di solidarietà e sentivo le sue dita sfiorarne la copertina ingiallita.

Tutti i brutti ricordi riaffiorarono, digrignai i denti: una rabbia incontenibile, una rabbia repressa da molti anni stava bruciando all’interno del mio corpo.

Non ci pensai, mi mossi senza ragionare, e spinsi con tutte le mie forze lo scaffale su di lei.  Il suo grido venne soffocato dai libri che cadevano a terra ed il suo corpo venne tagliato dai ripiani. In un attimo il pavimento dalla biblioteca venne ricoperto da una chiazza di sangue che non smetteva d’ingrandirsi, gli passai di fianco osservando attentamente il suo volto: non aveva alcuna espressione, era vuoto, spento.

Con un’enorme soddisfazione uscii dall’aula, non mi ero mai sentita così bene: Mentre salivo in macchina mi misi a ridere, stavo impazzendo, la personalità che avevo schiacciato dopo essere stata assunta in questa scuola stava prendendo di nuovo il controllo, la rabbia di una donna derisa tutta la vita stava man mano iniziando a perseguitare tutte quelle personalità così simili a coloro che l’avevano umiliata per anni, io, mi stavo vendicando.

Tornai a casa, Bob era intento a cucinare il mio piatto preferito con indosso il mio grembiule con su scritto “ Kiss the cook”. Non appena mi vide mi stampò un sonoro bacio sulla fronte invitandomi a sedermi a tavola, ma riuscii a svignarmela dicendo di aver avuto una giornata stressante e dopo una doccia calda andai a dormire.

Il giorno dopo prima di andare a scuola mi accorsi di aver perso un’unghia, possibile che mi sia caduta in biblioteca? Decisi di non rischiare e mi tolsi la manicure da 200 franchi e mi misi un semplice smalto da quattro soldi blu scuro. Dopo di che andai a scuola.

Attorno alla sede c’erano un sacco di auto della polizia, più quella  della scientifica. Salii di corsa le scale ritrovandomi di fronte al cadavere in pezzi della ragazza che veniva chiuso in un sacco di plastica nera. Bob era stato incaricato di risolvere il caso e di conseguenza me lo ritrovai a vagabondare per la scuola intento ad osservare gli atteggiamenti degli allievi e degli insegnanti.

Il direttore decise che per non creare ancor più scompiglio le lezioni proseguivano normalmente, la mia classe era quella dove c’era la vittima. I compagni non erano molto scossi: Dalia e Symphony ridevano e scherzavano senza alcun ritegno sul fatto che una di loro fosse morta;  Bice e Sazimir non smettevano un attimo di parlare, non smettevano mai di parlare in effetti. Quando tornavo a casa, le loro voci risuonavano ancora nella mia mente, anche mentre dormivo, sempre.

La lezione andò come sempre, nessuno ascoltava o faceva ciò che gli dicevo tutti erano intenti a fare le proprie cose, non lo potevo più sopportare, non riuscivo a fare lezione, non ero ascoltata, solo derisa.

In quel preciso istante Bob entrò nell’aula e la classe ammutolì all’istante. Dopo essere entrato iniziò a presentarsi: << Io sono l’ispettore Smith, chiunque sia all’interno di questa scuola è un sospettato! Chiunque ha o ha avuto un legame con la vittima è un sospettato! Chiunque sia stato ieri oltre l’orario scolastico all’interno della sede è un sospettato! Ma chiunque d’ora in avanti avrà un atteggiamento diverso da quello che ha di solito entrerà nella lista dei principali! Ci siamo capiti?!>> disse come uno di quei gangster alla televisione traumatizzando gli alunni. Dopo di che uscii dall’aula senza nemmeno salutare.

Nella pausa pranzo mi ritrovai a vagabondare per i corridoi, mi servivano dei fogli per delle fotocopie così entrai nello sgabuzzino, quel posto così angusto faceva emergere la mia più oscura personalità, non so precisamente perché, ma è così, quello stanzino grigiastro, pieno di oggetti, con le tapparelle abbassate ed anche quel pungente odore di gesso per la lavagna sbriciolato in una qualche scatola o su di un foglio, mi faceva sentire… non so come spiegarlo, in me nasceva un odio, una rabbia, anzi… non nasceva, quella c’era sempre stata.

Dopo aver preso in mano un piccolo picchetto di fogli mi voltai urtando sbadatamente un barattolo pieno di pennelli, il contenitore venendo a contatto con il pavimento si ruppe in mille pezzi.

<< Cavolo, questa non ci voleva.>> mi lamentai tra me e me.

<< Professoressa?!>> una voce con un timbro basso fece una flebile domanda.

Mi voltai scorgendo Sazimir sull’orlo della porta.

<< Oh! Sazimir, mi hai spaventata.>> dissi con un sorriso falso come quello di Giuda.

<< Ha bisogno?>> sorrise il ragazzo entrando e richiudendo la porta alle spalle.

<< Si, grazie, mi faresti un favore.>> dopo aver detto questa semplice frase, senza aver neanche alzato la voce, l’alunno, come un bravo soldatino che ubbidisce sempre agli ordini, si accovacciò per terra cercando di avvicinare i cocci rotti.

<< Non c’è per caso una scopa?>> mi sorrise. Quindi mi misi a guardare nella stanza alla ricerca di essa.

La trovai in un armadio, tutta sola. L’impugnai, sfregando la mano sul manico robusto di metallo…

lo colpii, non ci pensai su troppo e lo bastonai con tutte le mie forze. Lui cadde a terra: per prima andò giù la testa, poi il corpo ed in fine si ritrovò sdraiato sui vetri rotti. Respirava ancora, così mi decisi a legarlo, volevo fargli patire un dolore orrendo, volevo farlo morire nella maniera più adatta a lui.

Dopo che misi a sedere il corpo del ragazzo legato con i cavi della fotocopiatrice e la porta dello sgabuzzino si aprì: per fortuna feci in tempo a nascondermi, perché Bice entrò come un razzo per soccorrere l’amico svenuto, ma non ci riuscì poiché afferrai di nuovo la scopa e ripetei la scena di poco prima. Così mi ritrovai tra le mani due ragazzi svenuti, che potevano svegliarsi da un momento all’altro ed iniziare a sbraitare come gli era d’abitudine. Decisi di farli stare zitti in qualche modo, in un modo doloroso com’erano le loro voci mentre dormivo o meglio, mentre cercavo di dormire. Vicino alla finestra del locale c’era un tavolo e su di esso vi era una di quelle graffettatrici per libri, quelle che usavamo per legare le fotocopie più numerose. L’afferrai come se fosse una pistola e senza ripensamenti l’adagiai sulla bocca di Bice, la graffetta perforò le labbra della ragazza per poi andarsi a chiudere all’interno di esse, nel fare quest’operazione su di lei colpii molte più vene che su Sazimir, ma nessuno dei due accennò alcun dolore, non si erano ancora svegliati… << Svegliatevi bastardi!>> non soffrivano, non soffrivano ancora! Patite le pene dell’inferno odiose creature! Soffrite! Soffrite! Non mi trattenni non pensai nemmeno di farlo, così per farli stare svegli gli fermai con una graffetta la palpebra dell’occhio sul sopracciglio << vedo che ci siamo svegliati, com’è? Fa male?!>> sorrisi camminando avanti ed indietro di fronte ai due.

<<…>>

<< Non disperatevi, questo dolore sparirà presto, poiché morirete!>>

<<…>>

<< Sssst. Ssst. Non urlate… ma… voi non potete urlare!>> feci una risata sadica << non potete farlo perché non potete aprire la bocca! >> non smisi un attimo di sghignazzare, le lacrime mi scendevano sulle guance dal tanto ridere.

<< Allora… come vi faccio morire… potrei sgozzarvi qui, all’istante, ma sarebbe qualcosa di troppo veloce, voi vi meritate qualcosa di più, vi siete guadagnati una morte lenta e dolorosa quindi siate felici, avete vinto il primo premio!>> iniziai a trascinare il primo verso l’armadio delle scope, per poi metterlo a sedere all’interno, quell’armadio era molto spazioso per mia fortuna, ma anche per la sua direi: almeno sarebbe morto in una posizione comoda!

Dopo di che vi misi all’interno anche la fanciulla, che si svegliò: forse non l’avevo colpita molto forte.

 Bice iniziò a dimenarsi, tentò di aprire la bocca, ma non fece altro che lacerarsi ancor più la carne. Il suo pullover bianco ormai era zuppo dei sangue. La ragazza continuava a guardarmi disparata, con occhi dolci che supplicavano aiuto… o forse era pietà? Afferrai lo sportello che chiudeva l’armadio e la guardai dritta negli occhi << Bice, è una ragazza…>> presi a recitare il suo giudizio di metà semestre << con un profitto discreto, purtroppo è spesso e volentieri distratta, troppe chiacchere. Mi aspetto molta più concentrazione e serietà da parte sua.>> gli sorrisi per poi continuare << spero che nel prossimo semestre rimanga più concentrata e seria e che riduca al minimo indispensabile ogni chiacchera con il vicino di banco.>> mi avvicinai al suo viso pieno di rivoli di sangue, aveva chiuso bruscamente gli occhi quando si era svegliata ed aveva così squarciato la palpebra in due parti << forse nella tua prossima vita ti converrà ascoltare i consigli che ti da la gente, così magari non morirai a quindici anni.>> dopo di che gli chiusi la portiera in faccia.

Con tranquillità rientrai in abitazione, Bob si era chiuso nel suo studio, molto probabilmente era intento a disegnare il profilo dell’assassino… il mio profilo.

Aveva già preparato la cena, la lasagna giaceva calda e fumante sulla tavola apparecchiata, mi sedetti dopo essermi lavata accuratamente la mani, riflettendo sul fatto che molto probabilmente era uno di quei tic da killer di cui parlano tanto, il fatto di lavarsi con eccessiva attenzione le mani.

Accostato al tovagliolo su cui vi era la forchetta c’ara un bigliettino a forma di fiore, su di esso scritto con una bellissima calligrafia c’era un “ Ti amo” e subito sotto “ il cuoco”. Mi rigirai tra le  mani il pezzetto di carta per un lungo lasso di tempo prima di metterlo in tasca, tanto che la cena s’era già raffreddata. La fame mi era passata, così avvolsi il piatto nella carta trasparente per poi metterlo in frigo. Mentre lo feci, rividi il volto di Bice, come se fosse all’interno di esso, non fu una brutta sensazione, anzi, fu stupenda.

Mercoledì la giornata scolastica terminava alle undici e quaranta, suonata la campanella, dopo che tutti gli alunni erano usciti, mi misi a pulire l’aula. C’erano le finestre spalancate, pezzetti di carta per terra, la lavagna era completamente ricoperta da scarabocchi e c’era addirittura un dizionario, uno di quelli che pesano più di cinque chili, buttato sul bordo di legno che sottostà ai vetri. Mi avvicinai a lo raccolsi, per poi rigirarmi e ritrovarmi Renaldo di fronte << Hai dimenticato qualcosa?>> il ragazzo annuì, per poi avvicinarsi ed appoggiarsi al bordo della finestra aperta << che fai?>> in quell’istante il giovane appoggiò la sua mano sul mio sedere, accarezzandolo.

Presi il dizionario e per difendermi glielo sbattei con forza in faccia. Renaldo venendo colpitô si sbilanciò e cascò dalla finestra, l’adolescente non urlò, non disse nulla mentre cadeva nel vuoto, mi sporsi velocemente e vidi sotto di lui, che stava camminando tutto impettito Riccardo, il suo gemello. In un attimo Il primo cadde addosso al fratello ed entrambi si schiacciarono al suolo, mischiando il loro sangue e le loro ossa in un impasto di carne. La gente incominciò ad urlare, io mi ero già nascosta per fortuna poiché sentii tutti iniziare ad urlare da che finestra era caduto. Uscii di corsa dall’aula, la chiusi a chiave, andai in aula docenti, mi vestii in fretta e furia ed incominciai a scendere le scale come se non avessi fatto o visto niente.

Renaldo e Riccardo da quando li avevo conosciuti avevano sempre avuto atteggiamenti un po’ molesti, poi nell’ultimo anno avevano iniziato ad avvicinarsi troppo: non era la prima volta che mi palpava, loro lo facevano molto spesso, ma più che rimproverarli, a lezione, non potevo. Oggi mi era capitata finalmente l’occasione di eliminarne uno, non c’era nessuno nei paraggi, così me n’ero approfittata. Per quanto riguarda Riccardo… è stato un colpo di fortuna, come si dice: due piccioni con una fava!

Il giorno dopo la polizia era ancora più allerta, erano già morti cinque ragazzi e non avevano ancora un principale indiziato, entro la fine della settimana dovevo trovare un modo per non farmi beccare, mio marito era l’investigatore, il caso era affidato a lui, quindi avrei potuto provare a rubargli le cartelle, si, questa era un’idea, ma Bob è troppo attento ai dettagli, se ne accorgerebbe subito.

Oggi, per tutta la giornata fui infastidita da due alunne in particolare: Dalia e Synphony. Per tutta la lezione non hanno fatto altro che ridere e disegnare, disegnare e ridere. Ovviamente non potevo darle un castigo, erano quella che facevano meno chiasso di tutti, quindi se l’avessi fatto si sarebbero lamentate sul fatto che disturbavano meno di altri. È sempre così con loro, non puoi mai riprenderle perché sei concentrata più sugli altri e intanto loro fanno tutto ciò che vogliono. Stanno li, praticamente d’avanti al mio banco, mi guardano in faccia facendomi capire che non potrò mai riprendere se il resto della classe continua così. Mi danno così sui nervi! Però… oggi, tutto questo avrà fine. Oggi è arrivato il loro turno. Durante una lezione sono riuscita ad ascoltare un pezzo di un loro discorso cioè che, a quanto pare, le due vogliono vedersi, o meglio, si vedranno alle cinque nell’aula 13 per disegnare un manga, almeno, da quanto ho capito è così.

Andai dove si erano fissate l’incontro, ci andai armata di scopa, loro erano di schiena, osservavano un foglio pieno di disegni in bianco e nero. Le colpii seccamente, prima una, pio l’altra, stordendole, dopo di che, le legai ognuna ad un banco, come se fossero su di una barella.

La prima cosa che feci prima che si svegliassero fu quella di togliergli il sorriso che avevano sempre in volto, gli ficcai un coltello in bocca e le tagliai i lati delle labbra verso il basso. La carne delle guancie era gommosa e quindi feci fatica a tagliare, ma alla fine riuscii in ciò che volevo, il risultato fu  una bocca triste, finalmente, le due erano tristi, ma purtroppo, erano ancora in grado di disegnare. Così impugnai di nuovo il coltello, lo appoggiai sui polsi della ragazza ed incominciai a spingerlo aventi ed indietro. Ad ogni taglio sgorgava sempre più sangue che andava a colare sul tavolo, per poi gocciolare sul pavimento formando una pozzanghera che andava sempre più ad ingrandirsi. Il coltello si bloccò all’osso, così iniziai a fare pressione su di esso per tranciarlo, ma nulla. Mi decisi così pi tenere l’arma da taglio in posizione verticale ed incominciai a picchiarla sull’osso come se fosse un martello, quest’operazione mi costò molta fatica, ma la soddisfazione che ne seguì valse lo sforzo.

Dopo essermi lavata accuratamente le mani misi il coltello nell’armadietto di Diana e me ne tornai a casa, le ragazze sarebbero morte in poche ore per un’eccessiva perdita di sangue.

Diana era una persona molto solitaria, odiava tutti, nessuna distinzione, poi trovava sempre un modo di litigare, lo faceva con tutti, non si sa bene il perché. Così, alla fine si ritrova odiata da tutti, e siccome anche i suoi sentimenti per il resto della classe erano identici, la cosa non la feriva, anzi, lei si sentiva bene, conviveva con questo fatto con tranquillità.

Il giorno seguente la classe, o meglio,, quello che ne rimaneva, decise di venire a scuola mezzora prima per fare un esperimento scientifico che era di compito, mi ero documentata su ciò che dovevano eseguire, gli serviva accendere un fuoco per riscaldare l’acqua, così, prima che arrivassero mi misi ad aprire tutti i fornellini a gas. Quel giorno, sarebbero morti tutti, si sarebbe sospettato di qualcuno di loro ed io mi sarei finalmente vendicata di tutto ciò che mi avevano fatto in quattro anni di insegnamento.

  
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