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Autore: Acardia17    03/12/2011    11 recensioni
Per la prima volta dopo mesi si tratta di una deduzione logica, l'asterisco vergato a tratto fine in un angolo di pergamena della ricetta di una pozione.
Il mondo sta per finire. Morirai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VI libro alternativo
Capitoli:
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Titolo: Le righe tra le piastrelle
Autrice: Acardia17
Beta: Nefene, che amo e amerò sempre, nei secoli dei secoli ♥.
Pairing:Draco/Hermione
Rating: 16+/Arancione
Genere:Guerra, Angst, Introspettivo, Sentimentale
Contoparole: 18.472 (tutti e tre i capitoli)

Note tecniche: (1) La storia è ambientata in un ipotetico futuro (Draco ha ventun anni) in cui la guerra è ancora in corso. Naturalmente questo significa che troverete tanto elementi tratti dal Canon quanto inventati di sana pianta: a me piace fare un po' di pout-pourri ;)
Oltre a questo, la fic è stata scritta e pensata per essere una oneshot. L'ho divisa in tre parti per comodità (sarebbe stata una oneshot di 18.000 parole circa, anche se altrove è stata pubblicata come tale), ma rimane il fatto che nasce per essere "unica".
(2) "Le righe tra le piastrelle" nasce in occasione dell'invito a partecipare al "Calendario dell'Avvento" indetto da Fanworld.
(3) La fantastica Stitch-84 ha realizzato una splendida fanart per questa fanfiction: la trovate QUI, in attesa che il banner per il quale l'ho sfruttata (banner che per inciso sarà a opera di Juniper Fox ♥) sia pronto e messo in mostra direttamente su questa pagina! ♥

Nota molto meno tecnica: Questa è la prima Dramione massiccia che scrivo da... beh, secoli. Doveva essere una one-shot di media lunghezza ed è diventata un mostro di quasi ventimila parole - e rispetto allo schema originale si è anche accorciata molto. Non credo si accosti molto alla classica Dramione - diciamo che ho cercato uno sviluppo leggermente alternativo - ma io la percepisco intensamente come tale.  

Buona lettura ;) 





  
 








Col tempo si dimentica perfino la paura di calpestare le righe tra le piastrelle.
(David Grossman)




 

È sufficiente respirare.
Respira, si dice Draco sui frammenti di pavimento sgretolato. Respira, ripete contro le proprie nocche poco prima di infilarsi il pugno in bocca e morderlo. Nella stretta dei denti riesce a sentire le scanalature delle proprie dita come ciottoli sul letto di un fiume, irrequieti sotto i piedi nudi. Vorrebbe poterle raccogliere, allo stesso modo in cui farebbe con i ciottoli, e scagliare lontano, farle schizzare sull’acqua come frecce.
Inspira, si impone chiudendo gli occhi, cercando di ignorare il forte pulsare irradiatosi al di là della propria fronte. Sposta il capo di lato, e si accorge di essere crollato sul pavimento con una tempia appoggiata su un frammento aguzzo di quella che un tempo doveva essere una piastrella. Quando risolleva le palpebre ne riconosce l’arzigogolato disegno sulla superficie polverosa delle altre decine di mattonellee che lo circondano e viaggiano sul terreno, come rotaie di un treno deragliato. Raffigurano un grosso fiore conoidale, un bocciolo blu in tinta unita avvinto da un viticcio di petali nella riproduzione sgraziata di un orpello aristocratico. Uno, due, tre… sei petali. Tre tralci, due foglie.
Espira.
Al di là della seconda piastrella crepata alla sua sinistra intravede una brocca rovesciata. Al suo interno ristagna abbastanza acqua da placare la sete che non gli dà tregua da più ore di quanto sappia dire siano trascorse dal momento in cui si è svegliato quella mattina, ma alzarsi e raggiungerla significherebbe mettere fine all’armistizio che ha stretto con il proprio corpo quando si è accasciato a terra, subito dopo aver varcato la soglia dell’infermeria; non è sicuro di poterselo permettere. Con ogni probabilità se si rimettesse in piedi ricomincerebbe a correre allo stesso modo in cui un bambino rimesso a cavallo di una scopa a una buona altezza ricomincia a precipitare.
Un colpo di tosse gli scuote il petto: quel poco di fiato che era riuscito a radunare si riversa sul pavimento in una costellazione di minuscole goccioline di saliva. La polvere – frammenti di mattonella – si tinge di scuro e dipinge una nebulosa di chiazze umide.
Draco la rimescola con i polpastrelli, cancellando le prove dell’esistenza di qualcosa di ancora liquido nel suo corpo, a parte il sangue. Pensava di essersi disidratato.
Sulla punta delle sue dita il pulviscolo aderisce a una strana sostanza viscosa che non riesce a identificare. Non subito, almeno.
Si è ritirato dal campo di battaglia infilandosi in una viuzza stretta quanto le spalle di Macnair, braccato da Carrow. Quando Draco l’ha visto affacciarsi sul vicolo non si è dato il tempo di capire le sue intenzioni: ha rovesciato il tavolino di legno di una locanda e ha cominciato a correre come se non ci fosse un domani. Ha pensato che forse non ci sarebbe stato davvero. Mentre la suola delle sue scarpe pattinava sul lastricato lucido, il tavolo ha preso a rotolare sul selciato della stradina scoscesa, saltando e scrocchiando sulle mattonelle di tufo. Sul menù che vi era saldato era vergata la scritta “Pietanze da favola”: era incantato per recitare a gran voce i piatti principali a ogni pagina sfogliata. Draco ci era stato, qualche volta. Facevano un ottimo stufato al curry. Man mano che il tavolo rotolava e i fogli del menù si dibattevano a mezz’aria, la voce cavernosa della proprietaria della locanda aveva esclamato “bistecca al sangue” e subito dopo “manzo ai ferri”, per poi incalzare il ritmo in una sequela di spezzettati “pa-“, “-eef”, “-rumble”, “zup-” per tenere il passo con il movimento delle pagine. A Draco è parso che Carrow lo stesse inseguendo per fare di lui il piatto principale del suo menù giornaliero. Per un attimo, le sue ginocchia hanno vacillato. Si è aggrappato a un grosso anello di ferro sporgente dalla parete scrostata di una palazzina, di quelli che in passato venivano utilizzati per legare le redini dei Thestral, e si è spinto in avanti con tanta foga da sentire le caviglie scrocchiare. La spinta ha funzionato per un paio di passi, poi le sue ginocchia hanno ceduto davvero. Si è schiantato a terra con la faccia su un tombino. Ha sentito il proprio naso penetrare nel cranio, il dolore lo ha stordito alcuni istanti, ha pensato di morire. Così, faccia a terra su un tombino, pronto per un ingresso trionfale nelle profondità delle fogne. Poi, ha sentito una mano afferrargli la punta di una scarpa. Ha capito di non essersi rotto il naso quando si è scoperto in grado di strattonare il piede lontano dalla presa e di rialzarsi senza svenire o seminare zampilli di sangue, arrancando in avanti e appoggiando la punta dei polpastrelli sul selciato per recuperare l’equilibrio. Anche se il naso ha continuato a fare un male cane. Prima di ricominciare a correre si è girato, pronto a fronteggiare la visione del volto scheletrito di Carrow contratto in una smorfia che gli lasciasse scoperti i denti giallastri intinti nella saliva.
Carrow crede che sputare addosso a qualcuno rappresenti il segno ultimo di disprezzo. La qual cosa è piuttosto ironica, visto che i suoi sforzi di accumulare grossi grumi di saliva contro il palato generalmente si risolvono in un lungo e disgustoso filo di bava intrecciato ai peli ispidi della sua barba.
Draco si è girato, forse nella speranza che quel filo di bava gli infondesse sufficiente ribrezzo da stimolare i suoi nervi a intraprendere una corsa ancora più disperata. Invece, ai propri piedi, ha visto una donna.
Il pavimento sul quale è sdraiato ora non è poi così diverso dal lastricato di quella viuzza, ma non c’è nessuna donna ad afferrargli un piede e a supplicarlo di aiutarla, con il viso più scheletrito di quello di Carrow e l’interno esangue delle labbra dipinto di sangue. Lo stesso sangue nel quale Draco teme di aver intinto i polpastrelli quando è caduto.
Sul pavimento su cui è sdraiato ora c’è una brocca rovesciata, non il corpo riverso di una strega schiacciata dall’insegna di un emporio di pozioni. Indossava un paio di guanti senza dita con l'orlo in pelle verde bottiglia. La precedente Vigilia di Natale sua madre ne ha bruciato nel camino di casa un paio di identica fattura, regalo di sua zia Andromeda. A differenza di questi ultimi, quelli della strega erano strappati e il risvoltino in pelle era logoro. Draco li ricorda bene, perché la donna ha teso una mano verso di lui quando lo ha pregato di trarla in salvo, e ha continuato a tenerla tesa anche quando Draco è indietreggiato, ha deglutito e si è sentito come se avesse appena lanciato un pesante masso in un pozzo profondo chilometri.
Non ha atteso di udire il macigno fracassarsi sul fondo: sotto lo sguardo implorante della donna, si è voltato e ha ricominciato a correre. Un lampo di energia magica ha illuminato il vicolo per un istante prima che lui si girasse del tutto e gli ha permesso di scorgere con chiarezza gli occhi della strega, vacui e acquosi come le profondità del pozzo. Gli sono sembrati gli occhi di un morto.
Era già morta, si è ripetuto mentre incespicava a zig zag tra i blocchi di tufo, raggiungendo i grossi anelli agganciati alle pareti per farsi forza e proseguire. Era già morta.
I disegni sulle mattonelle del pavimento sul quale è sdraiato ora sono opera di una mano mediocre, si ritrova a pensare distrattamente. No, le mattonelle sono opera di una mano mediocre. Nonostante fuori abbia appena cominciato a lampeggiare sono già diventate opalescenti, nitide solo a tratti, tra un battito di ciglia e l’altro.
Draco infila le unghie nella fessura tra tra due piastrelle, trascinandosi in avanti. Lo fa senza una ragione particolare, visto che l’intero pavimento dell’infermeria è rivestito di frammenti di ceramica. Ottiene soltanto di conficcarsi il frammento particolarmente acuminato che prima gli premeva contro la tempia nello stomaco, protetto dalla corazza della sua divisa da Mangiamorte. Se non altro tuttavia riacquista consapevolezza di avere ancora forza nelle braccia, e ha trovato un modo di frenare il tremore delle sue dita.
Solleva il viso, respirando con la bocca perché ha il naso otturato di sangue. Alla sua destra, vede le gambe sottili e brillanti di un letto su rotelle.
Per un attimo medita di rialzarsi in piedi, raggiungerlo e dormire fino alla fine del mondo. Gli viene in mente una canzone delle Stravagarie, Svegliatemi quando il mondo sarà finito. Il solo pensiero di riappoggiare le piante dei piedi a terra gli provoca uno sciabordante moto di nausea, così si limita a strisciare di lato verso sinistra, aggrappandosi ai bordi ballerini delle piastrelle. Gli ci vuole qualche istante per individuarli, nella superficie sgretolata e traslucida: dove le mattonelle si sono spaccate, emergono spicchi di terra arida. È piovuto poco prima, ma l’energia magica che satura l’aria ha inaridito il fango dopo appena una manciata di minuti.
L’interno della brocca è sporco di polvere. Galleggia sulla superficie dell’acqua, riflettendo ombre scure sull’acciaio. Draco decide di avere troppa sete per curarsi di un po’ di sporcizia che presto svanirà con l’effetto della magia da accampamento, per cui raddrizza la brocca e se la porta alle labbra con entrambe le mani, affondandovi il viso.
Non deglutisce fino a quando non si è riempito la bocca, mentre un paio di rivoli valicano il bordo della caraffa e gli percorrono il mento e il collo. A guance gonfie, gli occhi chiusi, si gode il refrigerio dell'acqua contro il palato, e per una volta in vita sua gli sembra di sentirne davvero il sapore. La polvere gli pizzica la lingua.
Dopo averla svuotata, riadagia la brocca sul pavimento nella stessa posizione in cui era quando l’ha raccolta, riversa e in bilico sul manico.
Non ha ancora risollevato le palpebre: le tiene chiuse, rimane immerso in un’oscurità confortevole, concentrato solo sul suono lieve del proprio respiro. Immagina le proprie gambe fondersi con le piastrelle, le proprie braccia sprofondare nei viticci di petali e il proprio volto aderire alla ceramica, nitida solo a intermittenza. Immagina il proprio stesso corpo divenire impalpabile per poi riacquistare sostanza, una, due, tre volte, fino a quando perfino la sua coscienza non oscilla tra i diversi gradi di consistenza. Il naso ha smesso di pulsare, ormai.
Svegliatemi quando il mondo sarà finito.





Il mondo si è avviato verso la propria fine all’incirca due mesi prima.
In principio si è trattata solo di una qualche favilla a mezz’aria. Draco ne ha avvertita una la prima volta mentre incantava una lettera perchè si schiudesse solo tra le mani di sua madre. Per poco non si è lasciato sfuggire la bacchetta di mano, quando una minuscola scarica elettrica gli ha percorso il braccio, da polso a gomito. Ha attribuito il fenomeno al fatto che nella lettera informava sua madre di come il Signore Oscuro avesse preteso i suoi servigi al fronte nella battaglia che si sarebbe svolta di lì a pochi giorni. Per riuscire a scrivere quella lettera aveva dovuto stregare una penna, e anche così i riccioli sottili del “tre” in “tredici ottobre”, la data, avevano preso le sembianze di una lingua secca di serpente schiacciata su un foglio.
Pian piano, col passare dei giorni, le scintille sono divenuti scoppiettii. Draco è rimasto svenuto in una vasca da bagno per tre ore, quando ha Evocato il suo accappatoio dall'appendiabiti nell'angolo della stanza.
Si è recato da un fabbricante di bacchette, sicuro che la sua avesse qualche problema, e ha scoperto che anche un’altra sessantina buona di persone avevano avuto la stessa idea. È tornato a casa e ha scritto un’altra lettera, questa volta diretta a suo padre. Il gufo che il giorno seguente gli ha recapitato la risposta ha sbagliato strada tre volte, lungo il percorso tra il Maniero Malfoy e la Maisonette a tre passi dal Ministero in cui è stato spedito dai propri genitori per essere tenuto al sicuro da spiacevoli incontri con l’Oscuro Signore lungo i corridoi.
La lettera è giunta sguarnita di un incantesimo di protezione, dotata dei tre timbri delle tre differenti nuove frontiere postali attraversate, lisa, forata là dove le zampe del gufo l’hanno artigliata, e recante solo due parole: “Niente magia”.
Draco ha estratto un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, vi ha avvolto la bacchetta e l’ha adagiata di fronte a sé sullo scrittoio. Ha osservato le iniziali ricamate “D” e “M” per lunghi minuti, immobile, prima di infilare l’involucro in un cassetto e richiuderlo.
Niente magia.
Col passare delle settimane, sono arrivati i lampi. “Lampeggia spesso ultimamente,” hanno detto i più, popolando le conversazioni di circostanza di commenti atmosferici.
Draco ha spostato lo scrittoio in cui era racchiusa la sua bacchetta nella stanza accanto a quella in cui dormiva, fingendo di non sentire il cassetto tremare nello scomparto, di tanto in tanto.
Il primo incendio è scoppiato durante una battaglia, in mezzo alla piazza di un villaggio sperduto nelle campagne a sud di Birmingham, in corrispondenza di un campanile incantato da secoli per fungere anche da faro di una città gemellata distante decine e decine di chilometri.
All’urlo di uno Schiantesimo le fiamme hanno roso al suolo l’intera costruzione campanaria, per poi cominciare a incenerire tutto il circondario. Non si sono placate fino a quando la totalità degli abitanti non è fuggita e sia Mangiamorte che Auror non hanno battuto in ritirata.
Dopo decine e decine di lampi senza tempesta e di incendi scoppiati all’improvviso, i Maghi e le Streghe d’Inghilterra non hanno più potuto ignorare ciò che stava avvenendo.
E ciò che stava avvenendo e continua ad avvenire, è il preludio della fine del Mondo Magico così come chiunque di loro l’ha conosciuto.





Al proprio risveglio, Draco contrae le labbra sulla propria saliva. Si ritrae di colpo, disorientato, poi sospira e si asciuga la bocca con l’orlo di una manica. Non riuscendo a respirare bene dal naso, ha dormito a bocca aperta. È normale che abbia cosparso di bava il pavimento.
Per un attimo ha immaginato… non lo sa cosa ha immaginato.
Con stupore, si rende conto di essersi rialzato sui gomiti e di sentirsi anche abbastanza in forze per trarsi in piedi. Si appoggia prima sul ginocchio destro, poi trova il coraggio di fare lo stesso con il sinistro e di spingersi verso l’alto. Alla fine, si ritrova a vacillare di lato fino a un letto su rotelle. Si appoggia alla testiera, le rotelle slittano e il letto va a sbattere contro la parete. Una cartina giallastra appesa a una bacheca abbastanza nitida da essere reale e non frutto di un incantesimo cade svolazzando verso il pavimento.
Per la prima volta da quando vi è entrato, Draco si guarda attorno ed esamina il contenuto dello stanzone: sulla distesa di mattonelle frantumate giacciono libri, armadietti e carrelli rovesciati, garze, bende e alcuni attrezzi d’acciaio di cui Draco ancora non riesce a ricordare il nome, anche dopo mesi che assiste al loro utilizzo.
Aderente alla parete sulla sinistra, vede un lavandino di metallo. Vi si dirige con i passi più lunghi che riesce a strascicare, cercando di impedirsi di nutrire troppe speranze. Sono giorni che non si lava. All’inizio portava con sé una fiaschetta abbastanza grande da consentirgli di bere e di pulirsi viso, ascelle, il minimo indispensabile. La borraccia era stregata: poteva contenere più di quanto non sembrasse. Era l’unico artefatto magico che teneva ancora con sé. Poi perfino quel semplice incantesimo era divenuto troppo rischioso.
Apre il rubinetto: ne fuoriesce un forte getto d’acqua abbondante, trasparente. Draco vi immerge le mani, grato, ma le ritrae quasi subito: il fiotto bollente gli scotta i palmi. Ruota l’altro pomello, ma l’acqua rimane ustionante.
Si guarda alle spalle, alla ricerca di qualcosa che… di qualcosa. Richiude il rubinetto, nel timore che l’incantesimo che lo fa funzionare si dissolva e l’acqua cessi di scorrere. Soffia sulla pelle scottata, ma il suo fiato è caldo e non gli è granché di sollievo.
C’è un lenzuolo stropicciato, calato per metà sul pavimento attraverso la rete di una brandina, qualche passo più in là. Draco lo raccoglie, lo strappa da sotto un cuscino e lo appallottola in un’unica grossa spugna di cotone. Può andare.
Con un brivido, slaccia la fibbia che tiene chiusa la corazza di cuoio che ha sul petto. Ci sono placche di cuoio nero lungo tutti i suoi vestiti: sul torace, sullo sterno, sulla schiena, sui gomiti, sulle cosce.
Draco le ha trovate utili in diverse occasioni, quando si è visto schiacciato a terra da un incantesimo, mentre in altre ha trovato frustrante il pensiero di non potersi muovere a proprio piacimento. Ora la rigidità indotta dalla corazza rispecchia alla perfezione il suo desiderio di immobilità.
Dopo aver sganciato la pettorina e aver preso un respiro profondo, finalmente libero dalla costrizione delle cinghie, Draco procede a slacciare la casacca. Se ne libera con foga, buttandola a terra dove prima era il lenzuolo. Nonostante il brivido di freddo che lo percorre, le sue spalle si affossano per il sollievo di essere state finalmente alleggerite. Si sfila velocemente anche la canotta, madida di sudore, e raccoglie la palla di stoffa bianca da terra.
La bocca del lavandino emette un rivolo di fumo lattiginoso quando un abbondante fiotto bollente ricomincia a sgorgarne. Draco vi immerge il lenzuolo reggendolo con una mano, attento a non scottarsi. Quando si è impregnato a sufficienza lo strizza sul pavimento: l’acqua è ancora rovente, ma la stoffa ne ha in parte assorbito il calore.
Chiude gli occhi. La prima cosa che comincia a strofinarsi è la faccia, per lavare via le lacrime e il sangue.





Quello della battaglia di quel pomeriggio è stato il cinquantatreesimo incendio.
Draco ha sentito un Auror latrare quei dannati figli di una cagna, sostenendo che fossero stati i Mangiamorte ad appiccare il fuoco. Ha visto la manica di un ragazzo più o meno della sua età bruciare come la miccia di una candela umana e gettare una luce malata su un vicolo stretto quanto le spalle di Macnair. Ha visto le fiamme avvolgere come un lazo le caviglie di un uomo con addosso la divisa degli Indicibili, nell’imitazione perfetta della fattura lanciata dal suo avversario. Le sue urla sono state sovrastate dal boato di un edificio che crollava e si fracassava a terra come un castello di carte. Carte che poco dopo hanno cominciato a bruciare: l’intera costruzione, un grosso palazzo in granito, si è accesa come un fiammifero.
Merlino, ha mormorato il tizio dei figli di una cagna, mentre il granito prendeva fuoco e si consumava.
L’Auror al suo fianco gli ha strappato la bacchetta di mano e l’ha spezzata a metàper poi gettarne i due pezzi lontano, emettendo un ringhio spaventato.
Draco ha abbassato lo sguardo sulla propria, stretta nel suo palmo dopo settimane trascorse ad ammuffire in un cassetto.
L’ha lasciata cadere al suolo e ha cominciato a correre a perdifiato verso il vicolo, digrignando i denti nell’udire i piagnucolii del ragazzo a cui il fuoco aveva appena rubato un intero braccio.





C’è un orologio, appeso grossolanamente al lampadario dell'infermeria da campo, attaccato a uno dei suoi pendagli con un laccio emostatico. Quando le pareti dello stanzone cominciano a vibrare e perdere consistenza, emette un cupo rintocco. Le lunghe e contorte lancette imprigionate al suo interno iniziano d’un tratto a mulinare, sferragliando all'indietro come la freccia aguzza di un segnavento, mentre quella più corta, ripiegata su se stessa a causa di chissà quale incidente di percorso, incide sul vetro del quadrante una circonferenza irregolare e spezzata. Quando si arrestano è l'orologio a iniziare a ruotare su se stesso, attorcigliando il tubicino di gomma che lo mantiene sospeso al centro della stanza. Si ferma solo grazie alla resistenza opposta dal lampadario, una lumiera in rame appesa alla proiezione magica di un soffitto tramite una catena abbastanza massiccia da vincere con facilità gli sforzi eversivi dell'orologio. Segna le tre.
A giudicare dall’oscurità che Draco scorge attraverso le vetrate opalescenti e il tempo trascorso dall’ultima volta che ha adocchiato un orario affidabile, devono essere all’incirca le undici di sera.
É allora, a un orario imprecisato tra le tre e la mezzanotte del suo ventunesimo quattordici dicembre, che Draco si rende conto che non vedrà mai l'alba del ventiduesimo. É una consapevolezza repentina, spontanea.
Per la prima volta dopo mesi si tratta di una deduzione logica, l'asterisco vergato a tratto fine in un angolo di pergamena della ricetta di una pozione.
Il mondo sta per finire. Morirai.
La neve brucia, sul campo di là delle vetrate opalescenti dell’infermeria. Illumina la notte come un’aurora boreale schiacciata sul terreno. Le pareti sono tremule laddove sfiorano le fiamme attraverso una barriera che presto si infrangerà, le piastrelle hanno già cominciato a farsi trasparenti: i vari frammenti che cospargono il pavimento paiono i resti del crollo di una cristalleria.
La neve. Brucia.
La magia sta collassando.
Draco si siede a terra e si abbraccia le ginocchia.
Quando la barriera si sarà sfaldata, le fiamme ingoieranno le mattonelle, i letti, l’orologio appeso al lampadario. Lui.





È il baluginio a incuriosirlo. Nell’opaco rivestimento di polvere che annebbia ogni cosa, gli unici oggetti rimasti vagamente brillanti sono alcuni attrezzi argentati lunghi, sottili, taglienti. Draco li ha visti raramente utilizzare per aprire ferite e fare penetrare al meglio gli incantesimi di guarigione nel corpo del Mago. Di solito morente.
Il baluginio che scorge al di là della rotella di un letto, tuttavia, è dorato.
Draco si allunga ad afferrarlo. Gli tremano le mani, ma se ne rende conto solo quando le vede tese di fronte a sé. Le sue dita si chiudono su una catenella. È incastrata sotto la ruota, quindi deve far forza per attirarla a sé, ma quando infine vi riesce scopre che al di là della gamba affusolata del letto si nascondeva un ciondolo tondeggiante.
Gli occhi gli si allargano per lo stupore nel realizzare che si tratta di una Giratempo.
L'ultima che ha visto era tra le mani di Dolohov, nei sotterranei del Maniero. Suo padre gli ha rivelato che la usa per rivivere gli ultimi istanti di tortura dei prigionieri, e infliggere loro nuove e più fantasiose sofferenze. Draco non ha fatto una piega: da Dolohov non si aspettava nulla di diverso. E in fin dei conti torturare i prigionieri lo rilassa, e quando è rilassato non rischia di fare del male a suo padre. O a sua madre. Per quanto lo riguarda, ha cercato di limitare le visite al Maniero al minimo indispensabile.
La clessidra incastonata nella struttura flessuosa della Giratempo è crepata, ma i granelli di sabbia continuano a scendere. Uno a uno, sembrano i minuscoli fiocchi di neve che hanno da poco cominciato a cadere fuori. Come loro, non fanno in tempo a raggiungere il suolo: si dissolvono prima, a mezz’aria, inghiottiti da fiamme invisibili.
Draco la stringe nel palmo, chiedendosi come possa essere finito un artefatto simile in un’infermeria da campo. Una Giratempo non può essere utilizzata per salvare vite umane: ciò che il tempo risparmia il tempo si riprende. È il destino, inevitabile come le fiamme che circondano la barriera e premono contro le pareti sempre più impalpabili.
L’intera stanza ormai è illuminata a giorno da origami di lampi.
A Draco pare quasi di sentire la Giratempo scaldarsi tra le sue dita. Ne osserva la crepa con tanta fascinazione quanto terrore, chiedendosi cosa accadrebbe se la clessidra si rompesse e la magia contenuta al suo interno si sprigionasse nell’aria. Forse l’infermeria esploderebbe, senza neppure attendere la carezza delle fiamme che si sono scatenate al suo esterno.
Si ritrova a domandarsi quale momento preferirebbe riassaporare, se davvero potesse. Gli viene da ridere, al pensiero che si tratti di un ricordo di quasi una settimana prima, quando si è sbronzato e si è accasciato sul pavimento di casa propria con in mano una bottiglia di Odgen e una scatola di cioccolatini. Glieli aveva regalati entrambi Blaise, di ritorno dalla Dalmazia.
Quella sera, dopo che Blaise si era chiuso la porta del suo appartamento alle spalle, li aveva trangugiati tutti, uno dopo l’altro, e si era scolato l’intera bottiglia. Eroicamente non aveva vomitato ma si era trascinato al piano di sopra ed era collassato sul letto, la mente vuota di pensieri.
Forse è in balia di quel ricordo che si infila la catenella dorata attorno al collo.
La stringe con forza nel pugno, se non altro per frenarne il tremore. Poi, all’improvviso, il mondo scompare.





Sbattendo le palpebre, Draco si accorge che il mondo non è scomparso. È semplicemente diventato buio.
Si strofina le mani sul viso e lo volta in direzione di dove sa trovarsi la vetrata dell’infermeria. Poco prima al di là del vetro rilucevano in lontananza lampi di energia magica, e le fiamme riflettevano sulle pareti interi drappi di bagliore aranciato. Ora lo stanzone è immerso nell’oscurità quieta di una notte stellata senza luna, fitta ma non impenetrabile. È un cambiamento piacevole.
Draco si sente a proprio agio nell’ombra: è uniforme, costante, riserva sempre meno sorprese di quante non ci si aspetti.
Negli ultimi mesi ha imparato a collegare luci e abbagli improvvisi a presagi di morte: quel velo scuro gli pare quasi una benedizione. Ma dove sono spariti i lampi? Dove le fiamme? Che lo scontro sia giunto al termine?
Si alza in piedi e procede a tentoni verso la finestra. Il fruscio dei suoi abiti contro le lenzuola dei letti disposti lungo il muro pare quasi un respiro.
Trascina lentamente i piedi sul pavimento, per non rischiare di inciampare. Rabbrividisce, al pensiero che potrebbe anche cadere per sbaglio su uno di quegli utensili sottili e affilati. Per un attimo giunge perfino a desiderare che un nuovo lampo rischiari il cielo e con esso il suo cammino, ma ciò che per lui non sarebbe altro che luce, per il campo di battaglia costituirebbe il degenerare del conflitto.
I passi lo conducono verso una superficie liscia e fredda. Sfiorandola con i polpastrelli, Draco riconosce i solchi sottili tra i pannelli della vetrata, ruvidi come cicatrici. Nonostante la vicinanza con il mondo esterno, l’oscurità rimane compatta e pesta, inscrutabile.
Si spinge così vicino alla finestra che la Giratempo adagiata sul suo petto cozza contro il vetro. Con un fremito, Draco se la sfila frettolosamente dal collo e la tasta con le dita, il battito accelerato dal timore che la crepa nella clessidra si sia allargata.
Nel silenzio teso che segue a quello schiocco improvviso ed estraneo, sente un altro tipo di rumore.
Un respiro.
Non il fruscio dei suoi abiti contro le lenzuola, non lo scalpiccio dei suoi piedi sul pavimento. Un respiro lento e regolare, vagamente strascicato.
Draco stringe la catenella della Giratempo più forte nel pugno, pietrificato. Il pensiero di Carrow è un sibilo dietro l’orecchio: l’ha trovato. Il buio non è reale, ma effetto di un incantesimo teso a disorientarlo, per colpirlo quando meno se lo aspetta. Carrow è abbastanza sconsiderato da incantare davvero le finestre anche quando un semplice Alohomora al momento potrebbe abbattere la barriera che protegge l’infermeria dal mondo esterno.
Draco ripensa all’orologio, al modo in cui ha cominciato a vorticare su se stesso poco prima che ogni fonte di luce si spegnesse. Può essere stato solo un sottile flusso di magia a muoverlo. L’incantesimo di Carrow.
Cade in ginocchio, striscia lungo la superficie fredda della vetrata.
La punizione per i disertori è la morte. Sono le parole che ha pronunciato Avery durante il discorso che ha preceduto l’inizio dello scontro. Draco le ha sentite più volte di quante non ne possa contare, metà delle quali durante esecuzioni. Solo da poco, dopo mesi di sforzi e conati di vomito, ha smesso di immaginare la propria morte, nell’udirle. Per riuscirvi ha dovuto cominciare ad associare il termine “disertore” all’immagine nitida della Professoressa Sprite che singhiozzava farfalle mentre tentava invano di spedirlo dal Preside per aver contaminato la sua pozione per il mal di gola. Solo in quel modo è riuscito a sfoderare persino qualche ghigno divertito durante i comizi al cospetto del Signore Oscuro: pensando alla Professoressa Sprite che singhiozzava farfalle ed erigendo il muro mentale più alto che le sue doti di Occlumante gli permettessero.
Ora le farfalle si sono materializzate nel suo stomaco, in senso tutt’altro che romantico.
Strizza le palpebre. Non tanto per non veder giungere il Crucio di Carrow – nessuna esecuzione di morte per un disertore si risolve con un semplice Anatema che Uccide, e a Carrow piace giocare al gatto col topo – quanto perché ha sempre detestato il pensiero di morire con gli occhi aperti.
Il terrore che gli paralizza le gambe sta cercando di sradicargli il cuore dal petto. Draco sente le vene tirare all’interno del torace.
Qualsiasi cosa gli accada, sua madre morirà in modo ancora più violento alla notizia della sua morte.
Suo padre trascorrerà il resto della propria vita ad addossarsene la colpa.
Se lo merita, pensa Draco, con un moto di ribellione che rimpiange subito.
Ha sempre saputo che non sarebbe morto in modo eroico. Semplicemente, si è limitato a sperare di non morire. Non prima dei suoi genitori, almeno. Non prima della fine della guerra, qualsiasi sarebbe stato l’esito.
Ripensando alla strega nel vicolo, stringe ancora più forte le palpebre.
Il respiro esala un sospiro profondo. Draco rabbrividisce da capo a piedi e appoggia le mani sul pavimento. La Giratempo sfugge alla sua presa e rotola lontano.
Poi, dall’altra parte della stanza, un tramestio di lenzuola. Un fruscio veloce, disturbato, al quale segue un mugugno basso e cupo.
Il respiro, a pochi passi dal suo orecchio, non ha mai smesso di spirare.
Draco, le vene tese da una parte all’altra del torace come funi per appendere i panni, comincia a credere di avere allucinazioni uditive. Senza trovare il coraggio di rialzarsi in piedi, si sbilancia in avanti e avanza carponi con le mani, allontanandosi dalla finestra come se potesse costituire una fonte di pericolo.
La sconclusionata serie di stramberie acquista un nuovo elemento: il pavimento è liscio. Liscio e pulito.
Niente polvere, niente frammenti aguzzi, niente aperture di terriccio tra una piastrella e l’altra.
Man mano che aggiunge distanza tra di lui e la vetrata il primo respiro si fa sempre più flebile, ma un altro vi si sovrappone.
L’infermeria è popolata di respiri, di tramestii di lenzuola, di… vita.
All’improvviso, nel preciso momento in cui Draco si sporge dalla fila di letti, un minuscolo lume si accende all’angolo opposto della stanza.
Draco sobbalza, impietrito dalla sensazione che la piccola lampada sia un occhio apertosi direttamente su di lui. L’istante immediatamente successivo, tuttavia, si ritrova a sussultare per una ragione del tutto diversa.
Ci sono delle persone nei letti. Più di una decina e tutte dormienti, con le coperte tirate fino al mento oppure arricciate disordinatamente intorno ai piedi. Dal punto in cui si trova sul pavimento, Draco intravede un vecchio del tutto scoperto, raggomitolato su un fianco con le mani strette alle braccia. Borbotta tra sé e sé nel sonno, contraendo le labbra.
Non c’è traccia di tavolini e carrelli rovesciati, neanche l’ombra degli attrezzi di metallo che fino a qualche minuto prima erano sparsi sulle piastrelle.
Da quel poco che gli è dato scorgere grazie al quasi impercettibile lumino, le pareti sono nitide. Le finestre non sono buie grazie a un Incantesimo Oscurante: al di là della vetrata adesso il profilo lattiginoso della distesa di neve sul campo è facilmente distinguibile, interrotto solo dalle fronde degli alberi. Non v’è più una sola scintilla delle fiamme che poco prima consumavano l’orizzonte.
Draco osserva il tutto a occhi sgranati, terrorizzato all’idea che le persone nei letti possano svegliarsi a causa della luce e allo stesso tempo terrificato dall’eventualità di ripiombare nel buio e riaprire gli occhi sul mondo così come l’ha lasciato l’ultima volta.
È tutto rimasto lo stesso, ma al medesimo tempo tutto è mutato da un estremo all’altro: dal disordine all’ordine, dalla sporcizia alla pulizia, dalla solitudine alla compagnia di più di una decina di Maghi e Streghe.
Pare quasi che non vi sia stato nessun conflitto, nessuno sconvolgimento naturale del normale corso delle cose. Par quasi di essere piombati… nel passato.
Gli occhi di Draco schizzano in alto verso l’orologio, ancora appeso al lampadario al centro esatto della stanza. È sempre lo stesso, ma il quadrante non è scheggiato e le lancette si ergono perfettamente dritte al suo interno. Il modo convulso in cui erano contorte e ripiegate su se stesse non è che un ricordo.
L’orologio segna le tre.
Il medesimo orario che ha indicato dopo aver mulinato impazzito su se stesso poco prima che Draco scorgesse il bagliore della Giratempo dietro la gamba sottile di un letto a rotelle. La Giratempo, unico oggetto contenente ancora una scintilla di magia nel caos di una stanza apparentemente vittima di una specie di esplosione. Una Giratempo che lui scioccamente si è infilato al collo. Una Giratempo la cui clessidra è attraversata da una lunga crepa.
“Merlino,” sussurra tra sé e sé, incapace di contenere la propria sorpresa. Si scopre disabituato al suono della sua stessa voce.
Si alza in piedi e inizia a percorrere il corridoio tra le due file di letti. Mentre procede, il silenzio si colora di differenti respiri – alcuni calmi, altri più irrequieti – gemiti e colpi di tosse che gli fanno vibrare la spina dorsale. In fondo alla stanza intravede un paio di brandine rasoterra per ogni lato.
Attaccata alla parete c’è una bacheca che prima Draco non aveva notato: è lì che è agganciato il lumino, un semplice barattolo di vetro contenente una fiammella della stessa dimensione di quella di una candela ma dal chiarore più tenue ed esteso. Al di là di esso, immerso in un tondino di luce, è appeso un plico di fogli ricolmi di tabelle compilate da una scrittura fitta e stretta. È un calendario.
L’ultima pagina reca l’iscrizione “dodici dicembre”.
Draco deglutisce un grosso grumo di saliva. È davvero tornato indietro nel tempo. A due giorni prima, quando la battaglia era già cominciata ma non era ancora entrata nel vivo.
La Giratempo era difettosa, e lui è stato così idiota da indossarla.
Due giorni prima. Due giorni in più rispetto a quanto si sarebbe aspettato di vivere. Forse non vedrà l’alba del suo ventiduesimo quattordici dicembre, ma per una strana combinazione potrebbe essere in grado di vedere quella del suo ventiduesimo tredici dicembre. Di lì a qualche ora.
Al pensiero, avverte quasi un moto di sollievo.
Svegliatemi quando il mondo sarà finito.
Si è svegliato, ma in un mondo che non ha ancora cominciato a finire.
Crolla seduto sul pavimento – intatto – la testa appoggiata contro la bacheca. Due giorni, ripete tra sé e sé, stordito, lo sguardo perso sulle figure deformi dei Maghi privi di conoscenza al di sotto delle coperte.
È allora che identifica le fattezze della Strega dormiente in una delle brandine: dalle lenzuola emerge ben poco oltre a un grosso cespuglio scompigliato di capelli, ma Draco crede di conoscere l’angolo di viso che si nasconde al di là della stoffa stropicciata.
Addormentata in una posa scomposta su una brandina larga quanto un braccio, un piede che sporge dalla trapunta come se fosse pronta a scattare in piedi da un momento all’altro, c’è Hermione Granger.











Fine primo capitolo.
Continua...







Grazie per essere giunti fino alla fine ♥
 
Il prossimo aggiornamento - connessione permettendo, dato che ne sono sfornita e usufruisco di quella della biblioteca a causa di un'anomalia di Teletu - è previsto tra quattro giorni, tra mercoledì e giovedì ;)
 

   
 
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