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Autore: LelleLaFolle    03/12/2011    5 recensioni
Non lo aveva convinto, per niente. Sapeva riconoscere le sue menzogne – non ci voleva poi molto, era una pessima bugiarda – e in quel momento gli stava rifilando una serie di balle una dietro l’altra. Tutto questo lo metteva decisamente di cattivo umore.
Detestava quando le persone gli mentivano, lo detestava soprattutto se a farlo era Mogami-san.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stalker


Camminava a passo spedito, i tacchi che sfioravano l’asfalto umido della notte il più velocemente possibile. Era tentata di mettersi a correre, ma sapeva che non sarebbe stato molto furbo da parte sua; avrebbe invitato un leone ad inseguire la propria preda. 
I passi felpati dietro di lei si fermavano ogni tanto, ma rimanevano sempre qualche metro più in là e ogni volta che si voltava non vedeva altro che l’oscurità fra quelle alte palazzine. Eppure ne era certa, lo sentiva dietro di se da più di un quarto d’ora ormai.
Si maledì mentalmente per aver usato i soldi predestinati al taxi che l’avrebbe dovuta riportare a casa per quel dolce al cioccolato ripieno di mandorle. Certo, doveva ammettere che era davvero delizioso e, se avesse potuto, ne avrebbe fatto volentieri il bis. Ma restava il fatto che i tassisti non lavoravano gratis e i suoi colleghi, per quanto gentili potessero essere, vivevano tutti dall’altro lato della città; le dispiaceva doverli infastidire a un’ora così tarda.
Una risata soffocata la sfiorò come una rude carezza.
Si girò ancora, niente.
I passi divennero più veloci. Non le piaceva questa situazione, non le piaceva per niente.
Prese la prima a destra, la seconda a sinistra e girò di nuovo. I vicoli si susseguivano, uno dietro l’altro, sempre più stretti e decadenti, finché non seppe più riconoscerli. Si era persa.
Deglutì a vuoto, guardandosi intorno alla ricerca di un qualsiasi indizio che le fosse familiare. Stava per scoppiare in una crisi isterica quando riuscì finalmente a scorgere l’insegna – o meglio, ciò che ne rimaneva – di un ospedale in disuso da più di una trentina d’anni. Dell’elegante struttura era superstite solo lo scheletro di un edificio costruito nel primo ‘900. 
Accidenti! Si era persino allontanata dalla direzione giusta, avrebbe come minimo impiegato un’ora per tornare a casa.
Okay, adesso si poteva lasciar andare alla disperazione.
Impedendosi categoricamente di piangere, percorse qualche altro metro alla cieca, mentre si stringeva il cappotto intorno al corpo, come un caldo abbraccio. Ciò di cui in quel momento aveva più bisogno.
Qualcosa nella borsa vibrò, facendola sussultare. Estrasse il cellulare dallo schermo un po’ graffiato e lesse il messaggio appena ricevuto.
Numero Sconosciuto.

“Sei davvero bella con quel vestitino. Scommetto che non porti niente sotto…Mi eccita”
 
La mano iniziò a tremarle. Questo era troppo. Stava già cercando nella rubrica il numero di qualcuno da poter chiamare, quando si ricordò di aver esaurito anche il credito telefonico.
Era forse una maledizione, la sua? 
In un impeto d’ira gettò il cellulare infondo alla borsa, graffiandolo ulteriormente, e riprese a camminare mentre tentava di abbassare l’orlo della gonna con le mani. Non avrebbe mai più indossato un vestito corto in vita sua; per quanto la facesse sentire femminile, non ne valeva la pena se quelle erano le conseguenze. Inoltre, quell’insinuazione!
Le vennero i brividi, ed era certa che non fosse per il freddo.
Un’altra vibrazione. Un altro accento di terrore. Riprese con riluttanza il cellulare e aprì il messaggio. Era un’immagine: un completo d’intimo blu scuro dal pizzo ricamato. Il SUO intimo, quello che non riusciva a trovare da un paio di giorni.
 «Come…?».
Vibrò ancora.
“Spero tu non lo rivoglia indietro, mi ci sono affezionato”

Persino attraverso le parole poté percepire il tono di scherno.
Iniziò a correre. Il telefono vibrava ininterrottamente fra le sue mani. Lesse di sfuggita l’ultimo SMS ricevuto, senza mai fermarsi, e scoppiò a piangere.

“Fammi compagnia, il mio letto è libero”

Concentrata sul messaggio, non vide il bordo del marciapiede.
Cadde per terra, il cellulare volò a qualche metro di distanza e l’orlo del vestito si strappò fino al fianco. Rimase lì, distesa sull’asfalto nero per una manciata di minuti, mentre i singhiozzi le morivano in gola uno dietro l’altro. Iniziò anche a piovere, ma non se ne accorse. Il cellulare, dall’altro lato della strada, si illuminava a intervalli continui.
Prima di rialzarsi prese dei lunghi e profondi respiri; non doveva farsi prendere dall’agitazione, nonostante tutta l’inquietudine che la tormentava. Assolutamente non doveva impazzire.
Con questo proposito in testa, raccolse quel maledetto oggetto tecnologico e, sforzandosi di non intraprendere una corsa che non l’avrebbe portata da nessuna parte, riprese a percorrere la strada zoppicando leggermente. 
Se non si era sbagliata – e sperava di possedere almeno un minimo di orientamento – si trovava nel quartiere di Ren, forse sarebbe riuscita a raggiungere almeno la sua abitazione. Forse.
Erano le due di notte, molto probabilmente l’attore stava dormendo; ma lei non aveva più la forza di correre. 
Quando vide la palazzina tirò un profondo sospiro di sollievo. Ren viveva nell’attico di un elegante condominio, piuttosto modesto per il suo stipendio – se solo avesse voluto, poteva comprare l’intero edificio – ma egli non era una persona con queste manie di grandezza. Prese l’ascensore e si fermò all’ultimo piano. Stava iniziando ad avere dei seri ripensamenti sulla sua idea. Ren sarebbe stato felice di vederla? Sicuramente la prospettiva di essere svegliato all’improvviso dopo una lunga giornata lavorativa non lo avrebbe allettato. Ma lei non aveva il coraggio di tornare in strada, da sola, ad affrontare l’oscurità e qualcuno nascosto fra di essa, un qualcuno capace di terrorizzarla a morte. Lei non era così forte come desiderava essere. Maledizione, non lo era!
Suonò il campanello, il rumore nel silenzio generale risultò assordante persino per il suo stesso udito. Ma, con il timore che potesse non averlo sentito, suonò ancora. Mentre attendeva speranzosa che la porta si aprisse, abbottonò del tutto il cappotto ormai bagnato. Non era proprio presentabile, con quel vestito strappato e i capelli grondanti; per non parlare del mascara che le era colato lungo le guance. Ma in quel momento il bell’aspetto era l’ultimo dei suoi problemi. 
Cercò di pulirsi il viso con le maniche il meglio possibile e prese dei profondi respiri, doveva apparire normale, sorridente e solare come era sempre.
La porta finalmente si aprì.
   
 
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