“Maria…? Hoy, Maria…? Maledizione, apri quegli occhi
immediatamente o giuro su Dios che inizio la respirazione bocca a
bocca!!”
La
voce di Mendez.
Meno ispanica del solito e parecchio più preoccupata:
quasi irriconoscibile a dire il vero, con quell’ansia di sottofondo e senza la
solita inflessione boriosa.
Le
ciglia di Mancuso tremarono sugli occhi e si sollevarono mentre un sospiro le
usciva dalla gola, esausto.
“Gesù, è viva.” tremò la voce di Thorpe mentre la sua
ombra mastodontica si chinava su di lei “Lo sapevo che la minaccia di un tuo
bacio l’avrebbe resuscitata. Hei, Mancuso, mi senti?”
La
ragazza girò lo sguardo su di lui e lo mise a fuoco.
“Certo che ti sento, bestione” mugugnò con voce
impastata “Tirati su, diamine. Se mi sbatti in faccia quella dannata cravatta
ancora per un po’ mi togli l’aria.”
Thorpe si spostò, così evidentemente sollevato da
dimenticarsi di controbattere. Accanto a lui, l’agente Mendez aveva quasi perso
la parola tanto sembrava sconvolto. Mancuso pensò che non l’aveva mai visto così
pallido e così serio.
“Hei, Mendez” abbozzò debolmente “Che diavolo ci fai tu
qui? Non dovevi essere in ufficio ad aspettarci?”
Mendez sembrò perdersi per un attimo nella confusione
più totale: la sua espressione di sollievo era così indifesa che Mancuso provò
quasi un moto di tenerezza nei suoi confronti. Quasi, eh.
“Oh-ehm…” rispose Mendez, arrancando con lo sguardo
verso Thorpe in cerca d’aiuto “In ufficio, sì…bè, è tutta colpa del bestione. Tu
sei svenuta ribaltando gli occhi all’indietro come i vitelli al macello e questo
armadio incravattato se l’è fatta sotto dalla fifa. Mi ha chiamato piagnucolando
come una mammola e così sono dovuto venire qui a vedere cosa diamine fosse
successo. Confesso che a prima vista mettevi piuttosto paura: in mezzo a queste
vecchie ciabatte, con la bava che ti usciva dalla bocca e gli occhi ribaltati,
sembravi proprio morta.”
“Stecchita.” rincarò la dose Thorpe, come se volesse
scusarsi.
Mancuso si toccò la bocca per verificare la storia della
bava e trovò un taglietto sul labbro.
“E
questo quando me lo sono fatto?” domandò tergendosi la goccia di sangue che ne
usciva.
Thorpe e Mendez si scambiarono un altro sguardo
colpevole.
“Oh, quello” buttò lì Mendez, tentando di sorridere
“Sono stato io: ti ho dato qualche schiaffetto per cercare di
rianimarti.”
“Qualche schiaffetto, eh?” si rabbuiò Mancuso sentendo
il labbro che si gonfiava.
Mendez si strinse nelle spalle e le fece un sorriso
stranamente fragile.
“Se
non ne approfitto quando sei svenuta…” disse recuperando un po’ dell’antica
boria. Mancuso decise di rimandare a dopo il discorso
schiaffetti.
“Quanto sono rimasta svenuta?” domandò con un tono di
voce più spiccio.
“Quaranta minuti” annunciò Thorpe con una faccia così
sofferta che sembrò averli contati uno per uno “Spero per te che adesso
risolviamo la situazione, perché c’è Vartan che scalpita come un toro da rodeo
per farci sloggiare e le vecchie ciabatte non ne vogliono sapere di andare via,
finché tu non dici loro qualcosa.”
Mancuso sbirciò oltre la spalla di Thorpe e vide Vartan
al di là delle transenne che gesticolava come un forsennato e strillava
nell’orecchio di Mama Dubois che nemmeno sembrava accorgersi che fosse lì: gli
occhi della donna erano puntati verso di lei e quando incontrò il suo sguardo
sorrise con aria rinfrancata. Mancuso le indirizzò una smorfia strana, ancora
frastornata e incerta.
“Terra chiama Plutone. Terra Chiama Plutone. Niente, non
risponde: possiamo procedere con l’internamento coatto, così me la tolgo dai
piedi per sempre?”
Mancuso si girò verso Mendez che, a dispetto delle
parole poco gentili, sembrava ancora preoccupato.
“Niente internamento coatto, hijo” disse con voce calma
e misurata “Sto bene.”
“Certo.” rispose Mendez, per niente convinto “Allora,
saresti così gentile da dirci cosa diavolo ti è successo?”
Mancuso ci pensò su un po’: per quanto fosse ancora
immersa in un clima di ovattata irrealtà, capì d’istinto che era meglio non
parlare di quello che aveva visto e sentito.
“No” rispose quindi, piuttosto rilassata “Non mi
credereste e procedereste con l’internamento coatto…o, ancora peggio, mi
credereste e andreste ad ammazzare i colpevoli di questa carneficina con le
vostre stesse mani. In ogni caso, credo sia meglio per voi starne
fuori.”
Thorpe sembrò di colpo interessato e
vigile.
“Vuoi dire che hai scoperto chi è stato ad uccidere
queste tre persone?” domandò dubbioso mentre Mancuso
annuiva.
“Ho
i nomi, il movente e lo svolgimento dei fatti.”
“Certo: confessione rilasciata post mortem” ringhiò
Mendez, stizzito “Per favore, Marria, dimmi che ti sei bevuta una damigiana di
tequila e che queste sono solo allucinazioni alcoliche!”
Mancuso si strinse nelle spalle,
indifferente.
“Devo andare a parlare con Vartan” dichiarò scrollando
le spalle in modo deciso “Se solo riesco a convincerlo a lasciarmi due minuti
sola con un certo Marcel, oltre ad una confessione scritta e uno scroto da
appendere come trofeo potrò portarmi a casa anche qualche soddisfazione
personale.”
Mendez e Thorpe si scambiarono uno sguardo
interrogativo, ma preferirono grandemente lasciar perdere: Mancuso era già
difficile da trattare normalmente, figuriamoci al ritorno da una esperienza
mistica! La ragazza, intanto, era già corsa verso Mama Dubois la quale, dopo
aver ascoltato attentamente quello che Mancuso le raccontava nell’orecchio,
annuì saggiamente, fece un cenno secco con la testa e nel giro di un minuto era
sparita nei meandri di Storyville, insieme alla sua congrega sospirante di
donnine colorate. Mancuso, poi, si diresse verso Vartan e dopo qualche minuto di
concitata conversazione lo piantò
in asso per andare a chiudersi con discrezione dentro al furgone blindato dove
stava rinchiuso uno dei sospettati. Vartan, indeciso, si avvicinò a Mendez e
Thorpe, il quale gli offrì subito una sigaretta, solidale.
“Avete idea di cosa abbia in mente di fare la vostra
esimia e schizofrenica collega?” domandò a Mendez, piuttosto
bruscamente.
“Assolutamente no” rispose questi con un sorriso
serafico “A te che ha detto?”
“Che Dio mi fulmini se l’ho capito” brontolò Vartan
grattandosi la nuca “Credo che abbia detto che una fantasma le ha raccontato
come sono andate le cose e che mi concederà una cena in sua compagnia se non
esce dal furgone con una confessione scritta. A quel punto mi sono detto, oh,
bè…quel viscido topo di fogna mentecatto di Marcel si merita proprio una visita
da una signorina così interessante. Anche se non riesco ad immaginare che cosa
potrà mai tirare fuori quello scricciolo spettinato da quella carogna marcia di
Marcel.”
“Facciamoci un caffè” propose Thorpe, accomodante, e i
tre passarono il successivo quarto d’ora immersi in un silenzio cogitabondo,
sorseggiando la bevanda tiepida e amara tolta dal thermos della
Omicidi.
“Mi
chiedo perché diavolo l’ho lasciata andare là dentro” sospirò ad un certo punto
Vartan, guardando l’orologio “Quella non caverà un ragno dal buco e noi avremo
solo perso tempo.”
“Evidentemente, tu non conosci Mancuso” sorrise Thorpe,
dopo un breve sguardo d’intesa con Mendez “Ma se dice che verrà fuori con una
confessione, credimi, lo farà.”
“Hai presente quel bestione tatuato di Beauregard
Delacroix?” domandò Mendez con aria da cospiratore.
“Chi, quello sciroccato che ha quasi fatto fuori da solo
una decina di sicari? Quello che quando lo vedono per strada i bambini piangono,
le finestre si chiudono e le donne abortiscono?”
“Proprio lui” approvò Thorpe, annuendo “Bè, ci credi che
la confessione della strage dei sicari gliel’ha estorta
Mancuso?”
“Noooo…” si stupì Vartan, impressionato “E che gli dirà
mai per convincerli?”
“Mah, chiedilo a lei” rispose Mendez con un sorriso
storto “E’ già qua che ritorna e dalla faccia soddisfatta direi che avrai la tua
preziosa confessione insieme a ricchi premi e cotillons.”
Mancuso era effettivamente uscita dal furgone e si
avvicinava ai tre con aria trionfante sventolando davanti al naso un foglio di
carta.
“Confessione completa” annunciò sbattendo il foglio con
decisione nella mano di Vartan “Nomi, luoghi, motivi, armi usate, posizioni
delle persone e persino orario esatto delle morti. Impressionante come una mente
così ordinata e matematica si nasconda dentro ad un essere immondo come Marcel
Vetterau, vero?”
Vartan prese il foglio di carta e si mise a leggerlo
velocemente mentre un sorriso soddisfatto e infantile si allargava sul viso di
Mancuso.
“Rilassati, Marria” mormorò Mendez, garrulo “Se ti gonfi
un altro po’ rischi di implodere dentro te stessa. Hai ottenuto una confessione,
non la costituzione americana.”
Vartan, nel frattempo, era rimasto letteralmente a bocca
aperta.
“Come hai fatto?” sfiatò quando recuperò l’uso della
favella.
Mancuso si
strinse nelle spalle e fece un sorrisetto evasivo.
“Oh, bè, mica posso svelarti tutti i trucchi del
mestiere, bello mio…Diciamo solo che sono partita descrivendo con minuzia al
buon Marcel l’incontro ravvicinato che avrebbero avuto il suo intestino retto e
il mio stivale in caso non facesse esattamente quello che gli chiedevo. Poi,
sono passata a qualche dimostrazione pratica. Tutto lì, in
effetti.”
“La
semplicità è sempre l’arma migliore” declamò Mendez, ironico incamminandosi
indolente verso la macchina “Anche se la storia del fantasma che hai incontrato
poco fa non mi sembra così semplice ed e sicuramente un argomento da
approfondire…”
“Ehi, Mendez.”
Il
giovane si voltò e un pugno piuttosto deciso lo colpì allo zigomo sinistro,
facendogli scattare la testa all’indietro.
“Ahi!”
“Questo era per lo schiaffettino che mi hai dato per
farmi rinvenire” annunciò Mancuso, soddisfatta “E anche perché erano anni che
volevo dartene uno. Peccato che non mi sia nemmeno lontanamente
bastato…”
Mendez la guardava stranito e attonito, massaggiandosi
lo zigomo offeso.
“Tu
sei completamente loca” decretò alla fine, offeso “Prima farnetichi di fantasmi
e poi mi prendo a pungi sul naso…devi essere ricoverata in clinica psichiatrica,
credi a me!”
“E
poi non sai tutto” aggiunse Mancuso con un sorriso innocente “Mi sono persino
presa una mezza cotta per un tizio morto, oggi.”
“Decisamente, non è la tua giornata fortunata.” annunciò
Thorpe avviandosi verso l’automobile.
Mancuso seguì Mendez che saliva in macchina salmodiando
sulla labilità della sua psiche poi si girò a strizzare l’occhio a Vartan che
era rimasto impalato con la dichiarazione in mano, ancora palesemente sconvolto.
Il suo sguardo poi spaziò sulla scena del crimine, stranamente svuotata
dall’aura negativa che sembrava avvolgerla quando era arrivata. La ragazza si
ficcò le mani in tasca ed abbassò le cigli su un misterioso sorriso segreto che
le increspò le labbra.
“Forse no.” disse a voce bassa e nessuno si prese la
briga di darle torto.
FINE
Elfie, Giugno 2006
NOTE DELL’AUTRICE
Ringrazio di cuore chiunque sia passato di cui, volente
o nolente, in particolare:
EyeOfRa : Troppo buona…è solo un asotriellina, un mio
personale delirio che dovevo scrivere per togliermi la soddisfazione. Comunque,
i tuoi complimenti sono stati felicemente accolti, grazie!! Un bacio galattico
non te lo toglie nessuno…
Sarah92: No, non era ancora finito… ma quasi!! Grazie
per le tue parole e per il tuo incontenibile entusiasmo. Rimani sempre così,
frizzante e fresca…con questo caldo sei un vero toccasana!! Baci ance a te, di
cuore.
Nisi Corvonero: Ma davvero ti sei commossa…? Non volevo,
scusa…bè, così impari a scrivere cose strappalacrime sul povero Andrè. La
prossima volta voglio, anzi, pretendo una barzelletta. Ti bacio tutta, o mio
dolcetto alla crema pasticcera!!
Romina: Mia Diletta!! Vedo che questa cosa del
lanternino portasfiga è una costante che si ripete nei nostri dialoghi…qualcosa
che ci accomuna e che ci rende sorelle di sangue, in un certo modo. Come sempre,
le tue parole sono balsami lenitivi sulla mia psiche malata, quindi il mio
cervelletto surriscaldato ti ringrazia per l’effetto refrigerante che hai su di
lui. A presto, mia Diletta, e grazie sempre di tutto!!