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Autore: nainai    05/12/2011    4 recensioni
“You Belong to Me I Believe”
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The Sharpest Lives

Well it rains and it pours
When you're out on your own
If I crash on the couch
Can I sleep in my clothes?
'Cause I've spent the night dancing
I'm drunk, I suppose
If it looks like I'm laughing
I'm really just asking to leave

This alone, you're in time for the show
You're the one that I need
I'm the one that you loathe
You can watch me corrode like a beast in repose
'Cause I love all the poison
Away with the boys in the band

I've really been on a bender and it shows
So why don't you blow me a kiss before she goes?

Give me a shot to remember
And you can take all the pain away from me
A kiss and I will surrender
The sharpest lives are the deadliest to lead
A light to burn all the empires
So bright the sun is ashamed to rise and be
In love with all of these vampires
So you can leave like the sane abandoned me
 
“The Sharpest Lives”
My Chemical Romance
“The Black Parade”
 
Alle cose buone ti abitui in fretta.
Frank si era abituato in fretta a stare a casa di Gerard. Gerard si era abituato in fretta ad avercelo in giro per casa. Jamia era quella che ci aveva messo di più – in termini di cuore e non di tempo, però – ad accettare l’idea che Frank stesse da Gerard. Alla fine, una volta di più, era stata ad un gioco che ricominciava a somigliare tragicamente ad una corsa tondo tondo intorno ad un falò. Troppo vicino al fuoco, troppo vicino, Frank, ma di tirarti via…nemmeno a parlarne.
Quando lui l’aveva chiamata il giorno dopo, lei era rimasta in silenzio, attaccata alla cornetta del telefono macerando rabbia e tenendola zitta, chiusa nel proprio corpo, dove l’unico danno che poteva produrre era a lei, massacrandole un organo – il cuore – che tanto di funzionare bene non voleva più saperne. Mentre lui parlava e le chiedeva di capireancora?! – lei mulinava nella sua testa una ghirlanda di odio e rancore con cui avrebbe voluto strangolare Gerard, soffocarlo e vederlo agonizzare, ed invece taceva e soffocava solo lei. “Me lo strapperai dalle braccia. So che non potrò impedirlo”. La consapevolezza però non bastava a farle abbandonare per prima lo scoglio, arrendersi alla morte inevitabile del suo matrimonio e lasciarsi andare sulla corrente di quella tempesta iniziata il giorno in cui Lindsay era stata sepolta. E quindi, per una volta di più, era stata ragionevole ed amorevole e disponibile e sorridente e comprensiva e amica di Gerard e fiduciosa di Frank e tenera e dolce e…
Quanti milioni di bugie aveva accatastato nella propria vita? Fino a scomparire sotto la superficie liscia di uno specchio riflettente, lei era un’Alice intrappolata oltre lo specchio.
Frank non aveva chiesto altro. Un appiglio striminzito a cui aggrapparsi, come era stato il suo sorriso strozzato al telefono, quell’ingoiare una volta di più e mormorare con un fiato così sottile da essere inudibile un “certo, capisco, resta pure lì quanto sarà necessario”. Lui aveva afferrato quella frase e l’aveva sollevata fino a farne un caposaldo su cui fondare la propria convinzione ed era rimasto proprio per tutto il tempo necessario. A lui, per riprendersi dalle proprie ferite, a Gerard, per riprendersi ciò che non aveva mai smesso di appartenergli.
Non che le cose tra loro si fossero sistemate con un magico colpo di bacchetta. C’era una distanza invisibile che mantenevano anche dopo giorni da quella “notte delle confessioni”. Frank non sentiva il desiderio di colmarla e su cosa pensasse Gerard al riguardo preferiva non farsi domande. All’inizio, poi, era stato solo un diverso modo di scannarsi: ritrovarsi a dividere gli spazi quando si è due estranei come loro erano ritornati ad essere è dannatamente difficile. Frank sembrava sempre si trovasse nel posto sbagliato al momento meno adatto, Gerard pareva incapace di riadattarsi alla presenza di un essere vivente in una casa che era stata abitata solo da lui e dai fantasmi. Si mordevano se facevano tanto da restare nello stesso identico posto per più di mezz’ora, avevano un bisogno fisico di separarsi e rintanarsi in zone diverse della casa appena la presenza dell’altro diventava una dolorosissima consapevolezza. C’era stato un inseguirsi di cattiverie ed insulti, litigi violenti e malignità urlate da una parte all’altra dell’appartamento in un inseguimento feroce che era finito più di una volta a pugni e calci e minacce di “andare via/ buttare fuori”. Non se n’era mai fatto nulla, man mano che il tempo passava l’odio si smorzava nell’abitudine. Il ricordo prendeva il sopravvento sul bisogno di vendetta. La familiarità di una volta tornava a ripetersi in gesti che erano rimasti troppo uguali a se stessi per essere cancellati del tutto.
L’unica ombra scura nella vita di Frank divenne in fretta l’assenza di Jamia. Non riusciva a parlare con lei come avrebbe voluto…non riusciva a parlarle e basta, le mentiva sapendo di starlo facendo e la comprensione di quanto grande fosse quella menzogna cresceva con il numero di sorrisi spenti che riusciva a strappare a Gerard. Meglio di niente, si diceva quando ci riusciva, alla prossima volta sarà un sorriso vero, di quelli che ricordo ancora come fosse ieri…
I sorrisi non tornavano, ma Gerard sì. Lentamente forse, ma era di nuovo con lui e Frank se ne rendeva conto quando, seduto nello studio dell’altro fingendo di leggere un fumetto ed ascoltare musica, poteva permettersi di spiarlo dipingere senza che Gerard sentisse l’esigenza di cacciarlo via dalla stanza.
Quella mattina, comunque, non era affatto un giorno come gli altri. Che fosse stato il bisogno di fare qualcosa per tenere sotto controllo la tensione o che fosse davvero una decisione ponderata, Gerard lo raggiunse in cucina con una faccia strana, che non prometteva necessariamente del buono, e quella richiesta già sulle labbra.
-Mi dai una mano a sbaraccare la stanza da letto?
Frank sollevò un sopracciglio, la tazza vuota e la brocca del caffè ancora a mezz’aria sopra il ripiano accanto ai fornelli.
-…eh?- chiese.
Gerard sbuffò stizzito. Questa cosa non l’avevano ancora superata del tutto, bastava che Frank facesse tanto da contraddirlo – o semplicemente, non assecondarlo subito - e lui perdeva la pazienza e sbuffava, come se doversi ripetere gli costasse una fatica eccessiva ed il più giovane dovesse apprezzare già il fatto avesse parlato una volta.
-Eccheccazzo, Iero!- sbottò adesso, sedendosi al tavolo su cui l’altro stava posando caffè e tazza.
Frank s’indispettì, mollò tutto e si tirò dritto, approfittando spudoratamente del temporaneo vantaggio di poterlo squadrare dall’alto in basso.
-Senti un po’, Way!- rintuzzò rabbiosamente.- com’è che non te lo sei ancora levato ‘sto vizio di usare un tono del cazzo con me?!
-Non è colpa mia se sei lento, Frankie.- lo prese per il culo il cantante, servendosi tranquillamente del caffè e della tazza dell’altro.- Ti ho chiesto una mano per liberare la camera da letto della roba che c’è ammont…
-Guarda che il concetto lo avevo afferrato!- ribatté acidamente il più piccolo, interrompendolo e spostando di malagrazia una sedia per sistemarsi di fronte a lui.- Ovviamente ti sembra il caso di farlo proprio stamattina!- gli sputò contro subito dopo.
-Un giorno vale l’altro.- biascicò con indifferenza Gerard, chiudendosi nelle spalle e sbrindellando una biscotto tra le dita.
-Abbiamo l’udienza tra tre ore.- gli ricordò Frank secco.
Gerard scaraventò i resti del dolce nel piatto da cui lo aveva prelevato e lo guardò malamente.
-Quindi restiamo tre ore seduti a fissare il muro?!- sbottò- Comunque figurati! volevo solo rendere quella dannata stanza funzionale così da poterti lasciare quella degli ospiti e farti dormire in un letto vero, ma resta pure sul divano se preferisci, Iero!- lo aggredì un istante prima di sollevarsi ed uscire.
Lo raggiunse quasi un’ora più tardi, di sopra e dopo aver sbollito la rabbia che provava. No, non aveva voglia di prendersi a pugni con Gerard poco prima di entrare in un’aula di Tribunale. L’altro stava seduto per terra in camera da letto, fissando con odio palese la distesa informe di oggetti che appestavano il lato opposto della stanza. Frank incrociò le braccia al petto e guardò nella stessa direzione.
-Beh, se non cominciamo, non finiremo.- commentò propositivo.
***
Bob era di nuovo il più nervoso di tutti e tre. A parte Brian, s’intende; ma Brian si sarebbe accontentato delle loro teste per smettere di essere nervoso e, quindi, continuando a mandarli a ‘fanculo a mezza voce – a ritmo di una volta ogni tre minuti – riusciva a mantenere i nervi abbastanza saldi. Fuori di lì c’era la stampa che li aspettava e Brian doveva mantenere i nervi saldi. Gerard sedeva composto davanti al banco loro riservato, osservava tutto spostando lo sguardo con sincera curiosità attorno a sé. In fondo non aveva sbagliato a pensare che ammazzandosi di fatica quel mattino, spostando scatoloni e mobili per quasi due ore ininterrottamente, sarebbe riuscito ad affrontare bene quella cosa. Ora ricambiava le occhiate divertite di quel tipo, nel banco di fianco al loro, senza necessariamente sentire l’esigenza di raccogliere la provocazione, aspettarlo fuori di lì e prenderlo a botte fino a lasciarlo in un lago di sangue sul selciato. Oddio…il desiderio di farlo c’era, ed era anche tornato più volte ad ondate concentriche che avevano coinciso con i momenti in cui il ragazzino gli aveva sorriso apertamente e con aria così innocente da fargli sentire un groppo allo stomaco.
Era pazzo. Era un fottuto pazzo. Ed era anche un dannato stalker.
Sapeva che Frank se n’era accorto da un po’, lui ci aveva messo più tempo ma alla fine l’aveva notata quella figurina bionda appostata vicino a casa sua, oppure fuori dei negozi in cui lui ed il chitarrista entravano, perfino fuori dagli Studi l’ultima volta che ci erano stati. Non sapeva come avesse avuto il suo indirizzo, aveva provato l’impulso di chiederglielo – afferrarlo per il risvolto della felpa, attaccarlo al muro fino a lasciarcelo appiccicato da sé e poi…magari…anche fargli la domanda, sì. Non sapeva come fosse riuscito a tenere a freno quello stesso impulso, ma ci era riuscito.
Ogni dannata volta che quel moccioso gli sorrideva, Gerard vedeva lo striscione del concerto come se lo avesse avuto davanti a sé. Ogni volta. Ogni fottutissima volta…
Frank se n’era accorto. Non gli aveva detto nulla per fargli capire che sapeva cosa gli passava per la testa, si era limitato a guardarlo preoccupato e poi a sforzare un sorriso che era decisamente mal riuscito e Gerard aveva subito intuito che lui sentiva esattamente le stesse cose. Questo gli era stato utile, questo e la fatica.
Al termine dell’udienza, Mikey era venuto a prenderli con la propria macchina, aspettandoli davanti ad una delle uscite laterali con Alicia e Jamia mentre Brian attirava l’attenzione su di sé e Stacy e s’infilava nell’auto della casa discografica dopo le domande di rito.
-Tutto ok?- aveva chiesto ansiosamente suo fratello vedendolo pallido peggio del solito.
Gerard aveva annuito soltanto, perché non sapeva se ce la faceva a parlare. Bob aveva raccontato cosa era successo e aveva riferito il verdetto del Giudice – i lavori sociali se li sarebbero fatti ma, dati gli impegni di lavoro, potevano essere rimandati per un po’ – Jamia aveva buttato le braccia al collo di Frank e gli si era appesa addosso con l’urgenza di una qualunque moglie che non veda suo marito da due settimane. Gerard si ritrovò a ringraziare l’abbraccio caldo di Alicia perché lo fece sentire decisamente meno solo e meno debole di quanto non avesse provato fino a quel momento. Si nascose nei capelli di lei e le rimase addosso, approfittando spudoratamente dei suoi diritti di amico fraterno.
-Ehi, è tutto a posto, Gee.- lo consolò lei carezzandogli le spalle e cullandolo come un bambino.
-Sì, lo so.- mormorò lui in tono così basso che fu Alicia soltanto a sentirlo. Mikey continuava a studiarlo con la preoccupazione che si sarebbe sgretolato da un momento all’altro sotto i loro sguardi.
-…a me, non mi abbraccia nessuno?- s’imbronciò Bob in un timido tentativo di smorzare la tensione che si avvertiva nell’aria.
Mikey colse al volo e si infilò nella risata stentata degli altri con una battuta in tono smozzato.
-Non provarci, Bobby bello, non m’ingannerai con la cazzata del calore umano.
-Andiamo a casa, vi preparo la cena!- propose Alicia staccandosi dall’abbraccio di Gerard con una delicatezza tipicamente femminile e solo per abbracciare anche l’omone biondo al proprio fianco.
Bob ricambiò impacciato e poi la lasciò andare subito per permetterle di raggiungere l’auto parcheggiata lì di fianco.
-Vieni con noi, Gee?- s’informò Frank con naturalezza.
Jamia, già in direzione dell’Hammer nero che aveva ripreso al deposito giudiziario, si voltò disinvoltamente.
-Non essere sempre invadente, Frank! Lascia stare Gerard e Mikey un po’ da soli, ché Mikes stava morendo stamattina!- lo rimproverò con un sorriso affettuoso per il cantante.
-Vado con mio fratello.- annuì anche Gerard.- Potete portarvi Bob se volete,- scherzò poi con un sorriso incerto.- da noi occupa solo spazio!
Bob gli diede un buffetto risentito sulla nuca e Gerard rise ed entrò in auto, lasciando poi spazio al batterista per sederglisi di fianco sul sedile posteriore.
-Ci vediamo a casa!- annunciò Alicia in un ultimo richiamo generalizzato, un secondo prima di sparire anche lei nella berlina metallizzata.
***
Jamia insistette per riaccompagnarli dopo cena. “Non intendo andare un’altra volta a riprendere la macchina in quel posto orrendo!” sbraitò quando Frank provò a dirle che potevano fare il contrario e riaccompagnarla loro per poi andarsene con l’Hammer. Il chitarrista cedette davanti alla minaccia di essere sbranato da una moglie inferocita che aveva passato quattro ore della propria esistenza litigando con i custodi di un deposito giudiziario per auto; lasciarono Bob sul divano di Mikey, dove si era addormentato serafico come un bambino e troppo pieno di cibo e birra per sollevarsi di lì, e si infilarono nel fuoristrada nero parcheggiato sotto casa.
-Almeno mi chiami quando arrivi? Per essere sicuro che sia tutto a posto!- pregò Frank, piuttosto preoccupato all’idea che Jamia se ne andasse in giro da sola in piena notte.
Lei, impegnata nella guida, si limitò a grugnire il proprio fastidio ed a rimbeccarlo con un risentito “come credi che faccia quando tu non ci sei?!” che fece ridere Gerard, seduto sul sedile posteriore dell’auto. Lei li lasciò davanti il cancello del cantante, Gerard scese, salutò rapidamente e si allontanò per dare agli altri due la propria privacy con la scusa di dover aprire il cancello. Frank ci mise un po’ a decidersi a staccarsi dalle labbra della moglie, lei continuava a spingerlo via ma lui si ostinava ogni volta che Jamia gli faceva notare che era tardi e Gee lo stava aspettando davanti al portoncino. C’era qualcosa negli occhi di Jamia che faceva credere al ragazzo di stare facendo la più grande cazzata della propria vita.
-Ti amo.- le disse piano, e dentro di sé aveva pensato tutt’altro, aveva pensato un “vuoi che venga con te?” che non aveva detto affatto perché si era trasformato un secondo prima di uscirgli dalla bocca. Lui, del resto, non voleva andare con lei.- Grazie.- si sentì in dovere di aggiungere.
Jamia si limitò ad annuire e poi sporgersi ad aprirgli la portiera per fargli capire che adesso doveva scendere. E farlo davvero. Ed anche in fretta. Perché magari lui non se ne poteva accorgere, ma lei lo sapeva che se fosse rimasto ancora avrebbe urlato e pianto.
-Se avete bisogno di qualcosa chiamami.- si costrinse a dire mentre lui usciva dall’auto.
-Oh…siamo grandi abbastanza!- scherzò Frank senza allegria.
Chiuse lo sportello, fece un passo indietro e spinse le mani in tasca, rimanendo lì a guardarla che faceva inversione e si immetteva nuovamente sulla strada. L’Hammer sparì in fretta svoltando qualche angolo più in là e Frank camminò lento e triste verso il cancello di casa di Gerard.
-Se volevi, potevi restare con lei.- suggerì quest’ultimo nel vederlo venire avanti a testa china. Frank scrollò le spalle e Gerard insistette.- Sto bene. Non ho bisogno che tu stia con me.- mentì.
-Beh, ne ho bisogno io.- ritorse Frank spiccio, sapendo bene che sarebbe stato inutile tentare di smentire l’altro. Lo spinse leggermente in avanti per dirgli di muoversi ad entrare e Gerard eseguì meccanicamente, anche se continuava a fingersi contrariato.- Ho bisogno di restare con te per assicurarmi che tu non abbia bisogno di me.- ridacchiò Frank alle sue spalle, salendo le scale al buio con la sola guida dei passi sicuri di Gerard.
-Idiota.- commentò il più grande infastidito. Poi cambiò tono – Lo hai visto?
-…chi?- domandò Frank in modo così sorpreso che Gerard gli scoccò un’occhiata dall’alto in basso a fargli intendere che sapevano entrambi perfettamente di chi stava parlando.- T…te…ne sei accorto?- borbottò stentato il chitarrista.
-Da un po’.- ammise Gerard.- Ma hai fatto bene a non dirmelo.- convenne breve.- Lo avrei ammazzato se me lo fossi ritrovato davanti…prima.- concluse con qualche difficoltà a spiegare il concetto.
Non era facile dire che il motivo per cui ora poteva accettare di essere stalkerato da un pazzo che si era permesso di infangare la memoria di Lindsay era solo e soltanto la presenza di Frank. Non era facile dirlo proprio a Frank. Gerard sapeva di stare ammettendo già troppo con quell’unica frase, ma sapeva anche che qualcosa doveva concederla all’altro dopo che lui aveva fatto già la parte più “grossa” in quella riconciliazione forzata.
Frank ebbe la decenza di limitarsi ad annuire, comunque, e mantenne un silenzio rispettoso ed una distanza, anche fisica, accettabile. Gerard arrivò sul pianerottolo cercando le chiavi in tasca ed il chitarrista si fermò poco più indietro.
-Gee.- si sentì chiamare il più grande. “Uhm…”- Pensi…che sia pericoloso?
-No, è solo fuori di testa.- sminuì Gerard.
-Non mi piace.- ammise Frank.
Gerard rise.
-Figurati a me!- esclamò con sincerità.-Non siamo i primi né gli ultimi a cui succede.- si strinse poi nelle spalle. Spinse la porta e lasciò libera la soglia all’altro.- Frank,- fu la sua volta di chiamarlo mentre lui gli passava davanti ed entrava nell’appartamento buio.- grazie.- disse solo davanti al suo sguardo interrogativo.
-Mi ringrazi troppo spesso.- borbottò Frank sfilandosi il cappotto nell’ingresso. Gerard accese la luce ridacchiando.- Sembra che tu debba farti perdonare!- infierì.
-Non sperarci!- lo puntò Gerard con il dito e Frank si allontanò ridendo anche lui.
 
 
 
  
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