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Autore: Luine    05/12/2011    3 recensioni
«Ehi, ragazzina,» la chiamo, in un tono a metà tra lo scocciato e il divertito. Azumi Yuka è diventata una sfida personale. «non ti sei ancora arresa?»
Spoiler, ovviamente, per chi non ha letto il manga.
Partecipa all'iniziativa "Gift Boxes Challenge" di Fanworld.it, col prompt "Vacanze di Natale, "Cosa farai?".
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Yuka Azumi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Ho inserito il genere "Malinconico" perché, a me, Gakuen Alice, soprattutto da capitolo 130 in poi, mette un sacco di angoscia, e pure questa fic, sebbene l'abbia scritta da poco, mi dà un senso di malinconia per la situazione della povera Yuka. Ovviamente, come autrice non sono obiettiva riguardo le mie opere, soprattutto se le ho scritte sul momento, però, ecco, se avete letto il manga sapete di che parlo. XD
Buona (spero) lettura.



Promesse e scommesse

Eccola lì, di nuovo, che tenta di scappare. Quante volte l'avrò fermata, con provocazioni e altri metodi,che sicuramente il vecchio Jin-Jin mi rimprovererebbe, per la loro poca ortodossia, una parola che non esiste nel mio vocabolario, soprattutto se si tratta di accostarla me? Non lo so, ecco la verità.
Ormai, da quando sono arrivato, le volte in cui Azumi Yuka ha tentato la scalata del muro di cinta non si contano più. Ogni volta è sempre la stessa storia. E di solito la becco solo perché la sto cercando e non la trovo da nessuna parte. È prevedibile, quella monella, anche perché, essendo così piccola, non può sperare di trascinare quella scala dalla rimessa fino al muro senza essere notata. Fintanto che è vicina…
Ma quando capisco che non la troverò nella scuola, so benissimo dove dirigermi. Ed eccola lì, la marmocchia. Sta proprio tentando la scalata.
«Ehi, ragazzina,» la chiamo, in un tono a metà tra lo scocciato e il divertito. Ormai non so neanche io quale sentimento prevalga di più. Sebbene sappia come si sente, sebbene conosca la storia, il fatto di non riuscire a convincerla non mi va giù. Azumi Yuka è diventata una sfida personale. «non ti sei ancora arresa?»
Lei si volta a guardarmi, con rassegnazione, ma non molla la scala. È combattiva, la marmocchia. Mi aspettava, lo vedo dalla sua espressione, ma vedo anche che non recederà facilmente dalle sue intenzioni. Le sorrido, credo che cambiare tattica possa servire, anche se mi gela, non appena lo faccio.
«Io non so davvero più cosa fare, con te.» le confido, fingendomi – ma sto fingendo davvero? – disperato.
«Fammi andare via.» risponde lei, sicura di sé, come se fosse la risposta che ho sempre cercato. «Io non ci voglio rimanere qui. Sensei, fammi andare via. Oltre il muro. Oltre questa scuola. Voglio tornare a casa dai miei genitori e dai miei fratellini!»
«Perché?» domando, con un sospiro. È disarmante, certe volte, la piccola Yuka e stavolta lo è più delle altre. Ha qualcosa che stringe il cuore.
«Te l’ho già spiegato il perché.» dice lei, e stavolta vedo un lampo di indecisione balenare nei suoi occhi. Credo che si metterà a piangere come quando mi ha pregato di lasciarla andare perché i suoi genitori dovevano stare male, per forza, perché non le scrivevano mai. Sorrido di nuovo, ma senza ilarità, non ne sento, se ripenso alle sue lacrime e alle sue preghiere e mi avvicino alla scala, per tenderle una mano. Povera piccina: come si fa a dirle che, per i genitori che lei vuole disperatamente raggiungere, lei non è altro che merce di scambio? Come si fa?
«Beh, potresti aspettare ancora un po’.» le propongo, in tono leggero.
Lei mi guarda sospettosa. «Perché?» mi chiede, proprio come ho fatto io un momento fa.
«Perché tra poco ci sono le vacanze di Natale!» esclamo, come se questo bastasse anche per una bambina che non vuole arrendersi al fatto che i suoi genitori l’hanno davvero abbandonata. La capisco, certo, quale bambino riuscirebbe ad accettarlo? Almeno, in questa scuola, le feste natalizie sono un’occasione di svago, potrebbero quantomeno allontanare il pensiero dal suo tentativo di fuga. «E poi pensa a come si sentirebbe sola Luna-chan, se tu la lasciassi sola proprio durante le vacanze. Pensaci bene, poi: ci sono i dolci, c’è quell’enorme albero di Natale e poi… beh,» sorrido, pensando che, forse, quello è proprio uno dei motivi principi per cui qualcuno dovrebbe rimanere in Accademia. «ci sono i dolci! Ma lo sai quanto sono buoni, quei dolci?»
Lei continua a fissarmi. Se mi dice di no, io non saprei davvero a cosa aggrapparmi.
«E si balla, sai?» continuo. Mi chiedo se voglia essere convinta a rimanere o se mi creda semplicemente scemo, il suo sguardo è talmente imperscrutabile che potrebbe essere entrambe le cose. «Una bellissima festa mascherata. E puoi chiedere a chiunque di ballare con te.»
«Chiunque?» domanda lei, poco convinta.
Annuisco con un sorriso gentile.
Ce l’ho fatta. Ditemi che ce l’ho fatta.
«Anche con te, sensei?»
«Ovvio.» asserisco di nuovo, con convinzione e un’allegria eccessiva. «Sono un ottimo ballerino, nel ballo dove bisogna pestarsi i piedi in continuazione.»
Sono il re dei negoziatori! Ditelo. Un bell’applauso per Yukki!
O forse no. Lei mi guarda con quello sguardo raggelato e raggelante. Uffa.
«Però devi scendere da lì.» dico, ignorando la cosa.
Yuka stavolta mi dà retta, con riluttanza, e scende ogni gradino della scala come se fosse la cosa più pericolosa e dolorosa del mondo. La afferro per le ascelle, quando si trova alla mia altezza e la faccio atterrare senza sforzo. È leggera come una piuma, sottile, ma più forte e ostinata di qualunque altra bambina io abbia mai conosciuto. Le accarezzo i capelli e poi le prendo la mano.
«Coraggio, marmocchia, torniamo indietro!»
«Rimarrò solo per le vacanze di Natale!» mi chiarisce, mentre stiamo tornando nei dormitori delle elementari.
Mi scompiglio i capelli per la disperazione. Mamma mia, quanto sei ostinata, bambina mia! «E poi?» domando, con educata perplessità.
«E poi cosa?»
«Cosa farai?»
Lei ci pensa su. «Ci riproverò, ovviamente.»
Inarco un sopracciglio. «Ovviamente.»
«Sì.» dichiara Yuka, aiutandosi con la testa, come se questo mi dovesse convincere che non avrei trovato il modo di fermarla.
«Okay, se sei così convinta, allora facciamo una scommessa:» alzo un dito con fare saputo. «se durante la festa di Natale ti divertirai, non proverai più a scappare e comincerai a sorridere almeno un po’. Che te ne pare?»
«E’ una scommessa stupida.»
«Quindi… è un sì?» voglio sapere.
Lei mi trafigge con un’occhiataccia. Meno male che non può uccidere con quelle, o sarei morto stecchito in mezzo al sentiero! «Ma tu ballerai con me, vero, sensei?» vuole sapere, mentre il suo sguardo si addolcisce, speranzoso.
Sorrido. Certo che ballerò con te, piccola Yuka. Per te, questo ed altro. «Affare fatto, monella che non sei altro!»
Lei mi fa uno sberleffo, la sua espressione è tanto divertente che scoppio a ridere.
Torniamo indietro, mano nella mano. Speriamo che riesca a mantenere la promessa, stavolta, o non saprò davvero che pesci pigliare. Ragazzi, che lavoraccio, quello dell’insegnante!

  
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