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Autore: Lady Snape    05/12/2011    2 recensioni
Mello è sopravvissuto a Kira. Near ha risolto magistralmente il caso grazie al suo aiuto, alla prova avuta grazie alla sua quasi-morte.
Adesso? Che cosa potrà mai fare Mello della sua vita? Come passare il tempo che gli resta da vivere?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mello, Near
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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            IL TOCCO DELLA NEVE

 

 

 

            Il suo urlo squarciò il buio della notte. Si sedette sul letto, madido di sudore. Quell'incubo lo perseguitava da un po': vedeva fiamme intorno a sé, fiamme inclementi che facevano liquefare la sua pelle chiara, trasformandola in una colata di lava rossastra. Si passò una mano sulla fronte per asciugarla, senza tanti complimenti. Fu un gesto veloce e privo di grazia. Non si sentiva aggraziato, non si sentiva un essere umano. Aveva perso sé stesso, la sua ragione di vita, il suo orgoglio e non capiva cosa aspettasse a farla finita.

            Sono un vigliacco.

Era vero? Forse. Si sentiva a pezzi, si sentiva particolarmente inutile in quel nuovo corso che la sua esistenza aveva intrapreso o gli era stata propinata a forza, che la cosa gli piacesse o no.

Si rese conto di essere totalmente fradicio, le lenzuola erano umide, così scivolò veloce fuori dalla loro presa e le sradicò con malagrazia dal letto. Mise su un lenzuolo pulito, poi si diresse verso il bagno. Aveva bisogno di una doccia, anche per levarsi quella sensazione di dosso, quella tensione data dall'adrenalina, forse il terrore che aveva provato a vedere sé stesso sciogliersi come cera.

            La luce del bagno fu impietosa, come sempre, su di lui e quello specchio appeso sul lavandino era da qualche tempo il suo confessionale. Che gli piacesse o no, non poteva sfuggire al riflesso del suo volto. Beh, spesso lo specchio aveva fatto una brutta fine, ma in quel periodo trovava che era un modo economico, semplice e solitario per sputarsi in faccia e per detestarsi più di quanto non avesse fatto in passato.

            Si fissò negli occhi azzurri, così limpidi quanto stretti in due fessure inquietanti, illuminate da uno sguardo sinistro. Lo stesso sguardo fu rapito subito dall'orribile cicatrice che portava come una medaglia, l'unica, di tutta quanta la sua storia. Almeno in quel caso, quella volta, era stato eroico, potente e risoluto e aveva goduto di questa sua qualità. Oh, sì, che ci avesse rimesso mezza faccia e una spalla era decisamente un merito, non un errore. Quanto se l'era goduta a mostrarsi sfigurato al suo rivale!

            Guarda di cosa sono capace!

Era questo che gli aveva detto con lo sguardo, quando, per un attimo questi si era voltato a guardarlo. Ora non aveva luogo dove posare quegli occhi inquieti, men che meno sul viso di lui. Con che coraggio? Con quale orgoglio? Era perduto, andato, finito completamente, quando, come un topo in trappola, si era fatto aiutare, quando la sua strada si era interrotta, quando non aveva modo di risolvere il caso, pur avendo una prova meravigliosa tra le mani.

            Sospirò. Che brutti pensieri! Che brutti ricordi! Lasciò perdere il filo dei suoi ragionamenti infausti, che tendeva ad aggrovigliarsi su quell'unico punto, un buco nero che risucchiava qualunque pregio della sua esistenza. Lanciò pantaloni e biancheria in un angolo del bagno ed entrò nella doccia. Aprì l'acqua, che schiaffeggiò gelida la sua schiena, poi lentamente si intiepidì, fino a diventare talmente calda da produrre vapore.

Nella nube intorno a lui la mente vagò ancora. Era difficile per lui non pensare; l'unico modo era agire in qualche maniera, ma non è che avesse tanta possibilità di fare qualcosa. Al momento era ancora un ricercato, con due omicidi importanti sulle spalle, omicidi che non aveva commesso, ma non è che chi lo cercasse stesse lì a sottilizzare.

«Devi restarne fuori adesso.» gli aveva comunicato la voce incolore di Near.

«Cosa?!» era tutto quello che la sua rabbia gli aveva permesso di esprimere, per quanto di cose da dire al suo rivale ne avesse, nessuna troppo gentile.

Near si voltò a guardarlo. Lui era lì, impalato e tremante, le guance arrossate da quella che si potrebbe definire rabbia mista a vergogna.

«Ho elaborato un piano e tra due giorni sarà messo in atto. Al momento tutti ti credono morto e va benissimo così.»

Lo sguardo degli sgherri di quel nanerottolo bianco lo pungeva da due schermi appesi alle pareti e dal volto non troppo amichevole di Rester, che pareva aver messo su una particolare simpatia per il suo rivale. Non aveva scelta, non aveva possibilità di decidere un bel niente. Così era restato fuori da tutta quanta la faccenda, nel senso che non gli fu spiegato nemmeno tutto il piano, quasi non fosse degno di sapere niente. L'importante era che se ne stesso buono, senza fare nulla.

            Non muovere un dito era stato più difficile di quanto pensasse. Non poteva nemmeno parlare, discutere con Near, unica persona che riteneva comunque degna di avere una conversazione decente con lui; gli altri erano decisamente inferiori per meritare la sua attenzione. Ogni volta che faceva obiezione su quella parte di piano che conosceva, veniva zittito.

            Chiuse il rubinetto della doccia. Prese un asciugamano pulito e si asciugò alla bell'e meglio. Strofinò i suoi capelli con rabbia e li lisciò un po', dato che pareva un pazzo con i capelli per aria, l'espressione truce e il volto sfigurato.

            Ma vaffanculo!

Nella sua nudità varcò la porta del bagno e non si stupì di trovare Near seduto sul suo letto. Non l’aveva sentito entrare, come sempre. Near strisciava silenziosamente nelle stanze e solo dopo ti accorgevi della sua presenza, quando il tlack dei suoi puzzle ne svelava l’essenza.

«Vattene.» disse secco Mello, mentre tirava fuori dal cassetto del comodino dei vestiti puliti.

«Vorrei parlare con te.» confessò il ragazzo albino con tranquillità.

Mello lo fissò, poi spostò lo sguardo sulla sveglia sul mobile.

«Alle tre di notte?» chiese senza tanta enfasi nella voce. In teoria il contenuto della frase avrebbe fatto desistere chiunque, ma non Near che, semplicemente, constatò che sì, erano le tre, ma lui era sveglio.

Non voleva discutere, di conseguenza si sdraiò ostinatamente sul suo letto, pronto per dormire. Diede le spalle al suo dannato ospite e decise che ignorarlo era la sua arma migliore... prima di decidere di prenderlo e gettarlo fuori di peso, poteva provare a ignorare.

«Vorrei che tu non fossi così testardo.» iniziò il nanerottolo e Mello lo immaginò arrotolarsi una ciocca di capelli su un dito.

«Non sempre ciò che si vuole si può ottenere.» rispose il biondino, tenendo gli occhi saldamente chiusi.

«Io lo so.» fu la frase di rimando del ragazzo e a Mello sembrava che avesse sottolineato quell'io in modo crudele, cosa che chiunque, avesse sentito quella voce monotona, avrebbe mai pensato o rilevato.

Questo bastò a far scattare il ragazzo che si sedette e inchiodò lo sguardo sul viso del suo interlocutore.

«Near, esci di qui.» il tono usato fu basso e minaccioso, ma non scalfì l'espressione indifferente dell'altro.

«Parliamo.»

«E di cosa?!» stava perdendo quel briciolo di pazienza che aveva in dotazione, un piccolo granello nel mare agitato della sua anima.

«Intanto vorrei ringraziarti, sarei morto se tu non avessi scoperto che si poteva scrivere anche su un frammento di quaderno.»

«Peccato.» il sarcasmo fu difficile da nascondere. Near lo ignorò.

«Senza di te non ce l'avrei fatta.»

«Il concetto era chiaro anche prima.»

«Non sono migliore di L, quindi non potevo essere migliore di Yagami, che ha battuto L.»

«Gran ragionamento da bambino di sei anni.»

Era un battibecco assurdo. Mello pensava decisamente che quella era una situazione surreale e indesiderata. Se avesse potuto andarsene dalla sede dell’SPK, lo avrebbe fatto giorni prima. Purtroppo doveva stare a sentire anche le chiacchiere del suo rivale.

«Io e te batteremmo di certo L e tu questo lo hai sempre saputo, anche se ti sei ostinato a voler agire per conto tuo.»

Questo zittì Mello per un po' che, a gambe incrociate, osservava lo sguardo perso, che non lo sfiorava, di quel ragazzo sbiadito, seduto in una posizione stramba e con una dito avvolto dai suoi  capelli candidi.

«Dove vuoi arrivare?» Near non faceva discorsi tanto per parlare, non parlava mai per riempire i silenzi, ma aveva sempre uno scopo preciso, un obiettivo.

«Lavoriamo insieme. Roger ha intenzione di prendere il posto di Watari e noi possiamo superare L.»

Mello sbuffò.

«Sai che non lavoriamo bene insieme, ci hanno costretto a farlo alla Wammy's House ed è finita che abbiamo fallito, dove altri, in basso nella classifica, sono riusciti.»

«Eri tu a non voler collaborare.» ricordò Near, senza addolcire la pillola.

«Sì, perché non mi piace lavorare con te.» una risposta ostinata, che fu accompagnata dalle braccia incrociate al petto.

«Non è questa la ragione. Tu non accettavi di perdere contro di me, di essere dopo di me in classifica e pensavi che lavorando insieme avresti esaltato le mie qualità, che mi avresti aiutato, ma anche allora non era così.»

Mello sapeva che Near stava dicendo la verità. Collaborare per lui significava impersonare il ruolo del pezzo di puzzle nelle mani abili di Near, capace di mettere insieme gli indizi di qualunque natura. Si sentiva un mezzo, un tramite, non un soggetto alla pari e questa cosa gli faceva saltare i nervi.

«Entrambi abbiamo dei limiti che non riusciamo a superare, ma insieme siamo capaci di arrivare dove l'altro fallisce.»

Il ragionamento di Near era sempre pulito e corretto e Mello si trovava in difficoltà nel contraddirlo: era maledettamente bravo con le parole. Quel nano ci sapeva fare, ma lui non aveva la minima intenzione di essere collaborativo. Ok, era vero, anche quando sarebbe finita tutta quanta la faccenda di Kira, lui non avrebbe avuto un posto dove andare. Beh, questo era un problema a cui si poteva rimediare facilmente, ma quale sarebbe stato il suo scopo?

A fregarlo in tutti gli anni passati all’Istituto e quelli dopo, di solitudine, di corsa a briglia sciolta nella società, era il suo perseguire un obiettivo preciso, chiaro, lapalissiano: battere Near, mostrarsi superiore, vincere e diventare l’erede di L.

A fregarlo era che lui era l’unico che ci tenesse per davvero. Gli altri ragazzi della Wammy’s House o si sentivano troppo piccoli di fronte al detective o erano consapevoli che non erano poi così portati per l’investigazione, ma lui era diverso, lui considerava L un mito da raggiungere, qualcuno a cui tendere. Nemmeno Near era così interessato alla cosa, all’inizio; solo nel tempo era cresciuta dentro di lui la consapevolezza di potercela fare a diventare l’erede.

Eppure entrambi impallidivano di fronte a L. Fu terribile la notizia della sconfitta di quel mito e forte la voglia di vendicarlo. Ma Mello sapeva di non essere abbastanza; era una consapevolezza piccola piccola, relegata nel fondo, nella cantina della sua coscienza. Ecco, Near aveva l’ardire di tirarla fuori. Quanto lo odiava!

«Cosa vorresti dimostrare? Lo so che abbiamo dei limiti, siamo esseri umani alla fine.» disse ormai scocciato da quella presenza sul suo letto.

Near parve stupirsi della risposta.

«A me piacerebbe lavorare con te.» disse a bruciapelo.

Mello inarcò l’unico sopracciglio rimastogli. Ci mancavano gli entusiasmi repressi di Near.

«Penso che questo tuo desiderio non si avvererà.» parlò come si fa con i bambini piccoli: semplice e chiaro.

«Hai dei progetti diversi?»

La risposta era no, non c’erano progetti. L’unica cosa che forse poteva realizzare era diventare un vero criminale: finora si era servito di loro e sì, qualche volta aveva osato, ma era sempre protetto dalla sua capacità di usare il cervello. Near sapeva che non poteva fare altro, al momento.

«Non farmi domande stupide!» rispose stizzito.

«Allora proviamo, proviamo a lavorare insieme. Non hai niente da perdere.» poi Near fece qualcosa di completamente folle e incomprensibile: posò la sua mano su quella di Mello.

Era fredda, congelata. Pareva fosse fatta di ghiaccio, no … di neve, tanto si era posata delicatamente su quella dell’altro ragazzo. Mello guardò prima quella strana sovrapposizione, poi cercò gli occhi di Near: questa volta lo guardava intensamente, con gli neri e profondi, in tutto quel mare di bianco.

Certi ricordi tornarono alla mente del biondino, dettagli, indizi di qualcosa che non reputava importante allora, ma che adesso, forse perché cresciuto e con esperienze dure alle spalle, avevano un senso e un peso diverso.

Ripensò a Near seduto in corridoio, in sala comune, mai in giardino, intento a giocare per conto suo.

            Da solo, sempre da solo.

Non c’era mai nessuno accanto a lui. Non gli piaceva molto condividere, era gentile ed educato quando declinava gli inviti a uscire fuori o a fare una qualunque cosa insieme ad altri. I suoi rapporti con gli ospiti dell’istituto parevano di cortesia, come se fossero stati impiegati in qualche ufficio e l’unica conversazione che riuscissero ad avere fosse fatta di convenevoli, di “scusi”, “prego” e “si figuri!”.

Mello ebbe un brivido.

            Che vita di merda …

Lo pensò tranquillamente e con un po’ di dispiacere. Ora, si rendeva conto, quel ragazzo così odiato gli stava tendendo una mano, non solo metaforicamente, perché, e questo fu un’epifania terrificante, lui era stato il solo e unico essere umano a cui aveva rivolto il suo interesse.

            Dear Mello

Pure quelle due parole dietro la sua foto divennero più chiare. Lui era tutto quello che si avvicinava di più alla parola “amico”. Lui capiva i suoi ragionamenti astrusi senza troppa fatica, lui poteva capire come ci si sentiva ad essere orfani e con un QI da paura, lui sapeva cosa significava essere diversi e, per quanto non sapesse nulla della vita di Near prima della Wammy’s House e degli ultimi cinque anni, era sempre la persona più vicina nel sentire.

Sentiva che quel nano lo stava fregando, di nuovo, per l’ennesima volta; questa, però, era la prima che lo vedeva consapevole di realtà fino a quel momento ignorate, era la prima che lo vedeva complice e accondiscendente.

Forse una possibilità poteva dargliela. Collaborare con lui non sarebbe stato una passeggiata, la pensavano diversamente su tante, tantissime cose, ma erano due persone sole, di una solitudine interiore che non aveva pari in nessuno che li circondava. Per quanto Rester fosse affezionato al suo capo (Mello sospettava che ormai lo considerasse un figlio) non poteva capire cosa volesse dire essere Near, essere un genio, essere una speranza per gli altri e sentirne il peso sulle spalle. Near non era fragile, questo era fuori discussione, forse era più forte di lui e Mello aveva imparato a incassare anche questa sconfitta, ma anche chi è forte e intelligente ha bisogno di essere confortato, di essere capito, di non dover sprecare parole e far bastare uno sguardo per comunicare. Nessuno però sapeva cogliere queste sfumature. Mello sì.

«Senti un po’» disse infine il biondino, ritraendo la mano da quella del nanerottolo «facciamo finta che io accetti. Metto in chiaro una cosa: io non sono un tuo sottoposto.» questa era una cosa ovvia e Near annuì.

«Non prendo ordini nemmeno dai quei tre che ti stanno incollati e qualunque cosa, qualunque, la decidiamo insieme. Voglio un perfetto 50 e 50.»

«Alla pari.» specificò Near.

«Bene, proviamo a fare questa cretinata.» disse Mello, tornando a sdraiarsi per dormire.

Tenne gli occhi aperti e le orecchie vigili a qualunque rumore. Non sentì Near muoversi per giungere alla porta e tornare nella sua camera o in sala monitor.

«Che altro c’è?» chiese Mello con la pazienza agli sgoccioli.

«Posso restare ancora un po’ qui?» questa volta il biondino avvertì un tono particolare, una richiesta da bambino di cinque anni.

«Fa come vuoi.» sospirò «Basta che non mi svegli o non russi. Ho il sonno leggero.»

Quanto voleva guardarlo in faccia! Resistette all’impulso di voltarsi, specie quando lo sentì accoccolarsi contro la sua schiena, posare su di essa la fronte e le manine fredde fermarsi vicine alla sua pelle.

            Che cazzo di situazione!

 

 

 

 

Nota dell’Autore

Buonasera, cari lettori!

Ho iniziato questa storia in un momento di noia infinita, dopo il lavoro. Avevo due ore di attesa e le ho rese produttive. Oggi ho trovato una conclusione appropriata.
La cosa strana è che ho iniziato questa fan fiction partendo dal titolo, cosa che non faccio mai. Probabilmente l’abbinamento Near-neve è banale, forse già usato, ma sarà anche il clima freddo ad aver contribuito a questa scelta.

Povero Mello! Che gli tocca fare! Si vogliono bene, sotto sotto … molto sotto, conoscendo Mihael. A me poi Near dà sempre un po’ di bambino.

Spero vi sia piaciuta!

 

Lady Snape

   
 
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