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Autore: Luce Lawliet    05/12/2011    13 recensioni
[ dedicata a Menhiteve ]
Fu debole, appena accennato, ma lei lo sentì.
Un rumore.
Come un fruscio, qualcosa che si muoveva.
Poi, un respiro ovattato, appena affannato.
Comprese immediatamente che c'era qualcuno dall'altra parte.
" Chi c'è? " sussurrò, gli occhi sgranati dall'orrore.
Il suo cuore batteva così in fretta che minacciava di spaccarle la cassa toracica da un momento all'altro.
" Chi sei? " ripetè, senza rendersi conto che stava urlando, ora.
L'ultima cosa che udì fu un click agghiacciante, segno che la telefonata era stata interrotta.
Questa storia riprende il periodo incentrato sulla morte di Quarter Queen, la seconda vittima di Beyond Birthday, tratta del desiderio della sorella Dakota  di uccidere il suo assassino, e del suo incontro con lo stesso BB.
Genere: Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Beyond Birthday, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
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                                                                                                                Strawberry gashes


                            





     

                                                                                                                                     1.


                                                  Il killer di Los Angeles si fa un'overdose








<< Mi dispiace! >>

<< Risparmia il fiato. >>

<< Ma ho detto che mi dispiace! >>

<< Non me ne frega un cazzo! >>

Una ragazza dai lunghi capelli castani raccolti in una coda ormai sfatta trottava frettolosamente lungo il marciapiede della Avenue 25, il cellulare in una mano, il libro di Chimica nell'altra, il borsone da ginnastica che le inclinava la spalla e i nervi che le solleticavano perfino i capelli.

<< Perché non sei andata tu a comprare quello che serviva a mamma se sapevi che questa sera avremmo avuto ospiti a cena? >> volle sapere.

<< Oh, senti, ti ho già chiesto scusa; che ti costa andare un attimo, hai la macchina, no? >>

Eccerto, a me tocca giocare alla fattorina solo perché ho la macchina, pensò la ragazza, furiosa.

<< Se ti permetto di prendere l'auto ci vai tu? >> le propose ironicamente, mentre attendeva che scattasse il verde del semaforo. In nessuna delle sue altre vite avrebbe permesso a quella nanerottola bionda alta un metro e uno sputo di sua sorella Quarter di mettersi al volante della sua auto, e non solo perché aveva tredici anni.
Quel giorno Los Angeles aveva l'aspetto di un vespaio: grumi ammassati di persone che parlavano al cellulare per i fatti loro, bambini strillanti che si tenevano per mano, controllati dalle rispettive madri, i soliti venditori ambulanti, disposti lungo i marciapiedi come ornamenti.

<< Ehi! >> esclamò. << Come mai tu non hai organizzato una giornata con le tue amiche per visitare i musei e le bellezze cittadine? >>

<< E da quando la nostra città possiede bellezze? Comunque ho tredici anni, non le faccio più, queste scemenze! >>

<< Guarda che non sono scemenze; ogni volta che andavi in giro rincasavi tardi, il che significava per me completo relax fino all'ora di cena.>>

<< Tu intanto vai a fare la spesa. >>, la incitò Quarter. Anche se non poteva vederla, la ragazza intuì che la sorellina ci godeva a comandarla a bacchetta.

<< Se mamma scopre che non sei andata a fare la spesa, come ti aveva chiesto... >> interloquì, col preciso intento di provocarle una potenziale dose di strizza.

<< Tu non glielo dirai. >> ribattè immediatamente Quarter con tono intimidatorio.

<< E tu allora adesso alzi il tuo delicato e ossuto sederino, dai una pulita a tutta la casa, carichi la lavastoviglie, rifai i letti e togli tutte le ragnatele...>>

<< ... Cosa? >>

<< E già che ci sei controlla l'acquario dei pesci, quel dannato filtro continua ad intasarsi... >>

<< Sai? Questi pesci in fondo puzzano e basta... stavo pensando che, visto che manca il cibo per la cena di stasera, potremmo farli alla griglia. >>

<< Piantala di sparare stronzate e vedi di renderti utile! Mamma tornerà stasera alle otto con i suoi colleghi e i pavimenti dovranno essere talmente lucidi che mi ci potrò specchiare! >>

<< Ma va' a cagare, Dakota! >> ringhiò la sorellina, un attimo prima di sbatterle il telefono in faccia.

<< Ti voglio bene anch'io, scema... >> cantilenò la sorella maggiore, prima di chiudere con uno scatto il cellulare, infilandoselo poi in tasca.

Attraversò la strada gremita di bambini e turisti. La mole dei grattacieli proiettava lunghi giochi di ombre che la proteggevano dal rovente sole mattutino del 4 agosto e Dakota si sistemò meglio il libro sottomano, mentre il fiatone iniziava a farsi sentire.
Il suo stomaco urlava dalla fame.
Purtroppo era abituata a parcheggiare l'auto nei pressi del Griffith Park, poiché era quella l'unica zona del quartiere non a pagamento, modestamente lontana dal centro.
Per adesso, l'unica cosa davvero importante da fare era, come soleva dire Quarter, colazionare. Puntò dritta verso il Golden Cake, il suo ristorante preferito.
Ralph, il proprietario, la vide arrivare quando le porte scorrevoli si aprirono per farla entrare, e la accolse con un sorriso riservato solo ai clienti che riteneva più simpatici.
Non ai più abituali.
Ralph non era uno di quelli che pensavano solo al profitto, lui guardava solo l'essenza delle persone, la loro simpatia... e ogni tanto, anche le loro gambe, se si trattava di ragazze atletiche come Dakota, ma si fermava lì. Forse era per questo che le piaceva.
Solo che il sorriso cordiale dell'uomo non durò più di due secondi.

<< Come va oggi, gazzella? >>

Gazzella, puah. Dakota aveva sempre odiato quel nomignolo.
Solo perché eccelleva nella corsa. 
Si stava allenando per correre i mille metri e al momento il suo record era tre minuti e cinquantatré. Non che non ne andasse fiera, ma a causa di una scommessa stipulata taaaaanto tempo prima con la sua adorabile sorellina, ( di cui inoltre Quarter si divertiva a rammentarle), se non fosse riuscita a battere i tre minuti e quarantacinque le sarebbe toccato pulire casa per cinque mesi, scarrozzarla dappertutto ogni qualvolta che la piccola ne avesse avuto voglia, e naturalmente comprarle tutti i nuovi libri che attiravano la sua attenzione nelle librerie.
Quarter Queen adorava leggere.
Romanzi rosa e manga giapponesi.
" I passi dell'amore" e " Lovely complex".

Doppio, triplo puah.

Dakota non vedeva l'ora che Quarter iniziasse a crescere, almeno sua madre l'avrebbe sollevata dall'incarico di badare a quella vipera diciotto ore su ventiquattro. D'altro canto, la capiva. Sua madre lavorava come infermiera al Medical Center di Los Angeles e sovente era costretta a svolgere intensi turni di notte, perciò il giorno seguente era sempre troppo stanca per sbrigare le faccende domestiche, sicché le sorelle si erano divise i compiti.
Quarter sgarrava in continuazione e a Dakota la cosa faceva solo incazzare.

<< Male. >> rispose a Ralph, lasciandogli la solita somma, dodici dollari, sul bancone. Non ci fu nemmeno bisogno che dicesse cose del tipo: << Il solito >>, lui ormai la conosceva quasi quanto se stesso. Dakota fece per dirigersi nella sala da pranzo, al tavolo che ormai era diventato " di sua proprietà ", quando l'uomo la fermò.

<< Oggi ti hanno fregato il posto. >> le fece sapere, lasciandola interdetta. << Ma puoi sederti in quello di fronte, è ancora libero. >> aggiunse, preparando lo scontrino per una giovane coppia che si era fermata alla cassa.

Gli occhi nocciola di Dakota rotolarono verso il soffitto, maledicendo quella mattinata. Subito dopo si diresse a passo scattante verso il tavolo libero, senza però incrociare il volto della persona che aveva usurpato il suo.
Si accomodò mollando con la grazia di uno scaricatore di porto il borsone sul parquet, guadagnandosi delle occhiatacce da parte degli altri clienti. Mentre aspettava che uno dei camerieri le portasse la colazione, aprì il libro di Chimica e cercò di capirci qualcosa.
Doveva finire il più in fretta possibile quei maledetti compiti delle vacanze, non ne poteva più.
Tirò fuori dalla tasca interna del borsone una matita e si sistemò meglio sulla sedia.
Neanche dieci minuti dopo era tentata di gettare il libro nel bidone dei rifiuti, posto in un angolo della sala.
Una delle cameriere la raggiunse con un grande vassoio in mano e le sistemò tutto sul tavolo. Lo stomaco di Dakota prese a cantare dalla felicità e l'acquolina la travolse come un fiume in piena. Si diede giusto un'occhiata attorno per constatare se qualcun altro avesse sentito l'imbarazzante gorgoglio del suo stomaco avido, poi afferrò una delle due pizzette nel piatto grigio. In quello giallo c'erano tre ciambelle al cioccolato, in quello blu biscotti alla cannella e un bicchiere di latte, poi anche un vasetto di yogurt e un pezzo di torta al limone fatta in casa per la quale Dakota nutriva una profonda dipendenza.

Forse mi conviene andare in palestra questo pomeriggio, si ritrovò a pensare, masticando lentamente. Così, una volta terminata la colazione sarebbe andata a comprare ciò che le serviva e sarebbe tornata a casa. Ma così voleva dire compiere due viaggi in macchina... che seccatura.
Mentre divorava la seconda pizzetta, si allungò ad afferrare il giornale sul lato opposto del tavolo. La prima pagina era ancora occupata dal delitto avvenuto quattro giorni prima; un giornalista free-lance di nome Believe Bridesmaid era stato trovato morto nel suo appartamento e con una serie di incisioni create probabilmente con un coltello o con un oggetto affilato lungo tutta la schiena.
E poi le wara ningyo appese alle pareti della stanza.
A Dakota ricordava tanto uno di quei rituali voodoo che aveva visto fare una volta in un film di serie b.
Il resto dell'articolo era un susseguirsi di ipotesi e raccomandazioni da parte della polizia in quanto chiunque fosse, questo omicida avrebbe potuto colpire nuovamente da un giorno all'altro. Non avevano neanche una pista.
Bevve un sorso di latte.
Be', chissà quale novità, dopotutto Los Angeles strabordava di crimini ogni giorno. I cittadini ormai si erano abituati ad assumere varie precauzioni, prima fra tutte, farsi gli affari loro. Lì nessuno dava una mano, o uno imparava a cavarsela da solo oppure rimaneva fregato.
Del genere: " meno impicci, meno impacci."
Si fece aria usando il giornale a mo' di ventaglio e chiedendosi che razza di persona potesse accanirsi in modo così brutale contro un uomo. Sicuramente doveva essersi trattato di questioni personali.
Senza dubbio...
Altrimenti, quale altra giustificazione sarebbe stata plausibile?

<< Come...!? Ehm, u-un altro barattolo? >>

Una voce femminile dal curioso accento stralunato la indusse ad alzare lo sguardo. La cameriera che le aveva portato il vassoio era in piedi di fronte a lei, voltata di schiena e intenta a parlare con l'usurpatore del suo tavolo preferito.

<< Facciamo due. Questa marmellata è davvero ottima. >> rispose una giovane voce maschile, appartenente a un ragazzo, o forse a un giovane uomo, che Dakota non riusciva a vedere a causa della cameriera che le bloccava la visuale.

<< ... Certo. >> mormorò quest'ultima, decidendosi a superare il momento di sorpresa; si voltò, dirigendosi verso le cucine con passi nervosi.

Dakota non capiva. Che c'era di male se quel tizio voleva ancora marmellata?
E quella semplice, banalissima domanda le infuse una profonda curiosità che finalmente si decise a colmare, spostando gli occhi verso l'interessato.

E lo vide.






Certa gente ha la straordinaria capacità di riconoscere i veri lupi, anche quando questi vestono le più innocenti spoglie d'agnelli, è un dono davvero utile se lo si sfutta nella maniera corretta.
Purtroppo Dakota non era fra quelle, ma non era questa la cosa più preoccupante. Ciò che realmente l'aveva lasciata e la stava lasciando tutt'ora alquanto sconcertata e incredula, era che a nessuno, nemmeno all'uomo più idiota sulla faccia della terra, sarebbe venuto in mente di classificare lui come un insospettabile.
Da qualsiasi punto di vista lo si guardasse.
Mistero e diffidenza riverberavano negli occhi di Dakota, intenti a scrutare con profondo scetticismo lo strano esser... uomo... no, ragazzo, accovacciato sulla sedia. Si rigirava tra le mani un barattolo di marmellata vuoto, tenendo gli occhi bassi.
I raggi del sole che penetravano dalla finestra proprio di fianco al suo tavolo ( l'unica con una splendida visuale del parco, per questo Dakota l'adorava ) illuminavano i suoi capelli neri, facendoli brillare come mica.
Intanto, la cameriera tornò.

<< Molto gentile. >> fu la risposta del ragazzo, afferrando uno dei due barattoli appena portati. La cameriera non disse una parola e si dileguò.

Dakota lo fissò, curiosa e perplessa, chiedendosi come avrebbe fatto a mangiarla senza neanche un coltello e una fetta di pane su cui spalmarla, ma poi ciò che il tipo fece una volta tolto il coperchio la lasciò completamente incredula.
Infilando le dita lunghe, pallide e affusolate all'interno del vasetto, tirò fuori un grumo di marmellata rossa e prese a leccarla con gusto.
Così, davanti a tutti, in un luogo pubblico.
Dakota faticò a trattenere un gemito sconcertato.
Leccava con foga, con un'inarrestabile ingordigia che lei non aveva mai visto nemmeno in sua sorella.
Finì il barattolo nel giro di due minuti; poi, senza perdere tempo passò al secondo.
Quella non era una colazione, era un'overdose.
Quello svitato si stava letteralmente facendo un'overdose di marmellata.
D'un tratto i suoi occhi si staccarono da quella che per lui sembrava essere pura ambrosia degli dei, per poi posarsi su quelli della ragazza.
Smettila di fissarlo, smettila di fissarlo, smettila stupida!!!
Dakota ormai era completamente imbambolata, vittima dello stupore e dell'angoscia.
Quegli occhi neri la scrutavano silenziosi e senza alcun pudore, mentre la lingua continuava a muoversi su e giù, ripulendo quelle dita immacolate dalla più insignificante macchia scarlatta.
Dakota vide le sue labbra curvarsi appena in uno sbilenco sorriso.
Deglutì, a disagio.

Sospetto.

Fu ciò che quello sguardo anormale le aveva provocato.

Disgusto.

Prudenza.

Angoscia.

Improvvisamente si alzò, afferrando libro e borsone da ginnastica.

Paura.

Si diresse verso l'uscita passandogli accanto e ignorandolo completamente.

Uscì il più in fretta possibile dal ristorante, incamminandosi tra la folla. Non riusciva a capire il motivo, ma avvertiva un insopportabile fastidio allo stomaco e non per colpa del cibo.
Mentre si allontanava, la sensazione permase; la avvertiva anche dietro la nuca, come se quei laghi neri la stessero ancora osservando dalla finestra del locale.

Solo più tardi avrebbe forse compreso il motivo di quell'inquietudine.





                                                                                                 
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Quarter Queen aveva appena finito di dare da mangiare ai pesci tropicali di sua madre. Era pomeriggio inoltrato ormai e ogni singola costola della schiena invocava pietà a causa di tutti i pavimenti lavati.
Il suo fisico basso e mingherlino non era decisamente adatto ai lavori domestici. Dakota gliel'avrebbe pagata cara...
Tornò a fissare l'acquario. Non aveva mai visto pesci più brutti di quelli. L'unica cosa che si salvava forse era il loro colore sgargiante e vivace, ma sembravano tutti strabici, molto più dei comuni pesci rossi. 
Controllò l'ora sul pendolo, in soggiorno. Le 18.16.
Dakota era in stratosferico ritardo e lei aveva apparecchiato la tavola da un pezzo.
Afferrò il cordless sul mobiletto in legno di ciliegio del salotto e compose il numero di cellulare della sorella.
 
 
 
 
 
<< ...Ma che diamine! Rimbambito, ho la precedenza io qui!! >> strillò Dakota, clacsonando aggressivamente contro il pick up che aveva avuto la brillante idea di tentare un sorpasso nel bel mezzo dell'ingorgo. Per poco non le aveva fatto saltare via il fanalino sinistro.
Era una sacrosanta rottura di scatole, ogni giorno, dalle 18 alle 20 traffico era la parola d'ordine per i temerari che si addentravano nelle strade di Los Angeles. Era l'orario in cui un sacco di gente terminava di lavorare e non vedeva l'ora di tornare a casa, farsi una doccia e gustarsi un pasto caldo, per poi uscire e godersi la serata sotto le luci che avvolgevano la Città degli Angeli.
Sbuffò, colta da un intenso attacco di sfinimento.
Spesa fatta, ginnastica fatta. Era sudata marcia.
In palestra aveva incontrato alcuni compagni di liceo e ne aveva approfittato per andare a bere qualcosa con loro. Si era accorta dell'ora solo quando la madre le aveva inviato un messaggio, ricordandole di usare il servizio di piatti in porcellana blu per apparecchiare la tavola.
Ed eccola qui adesso, intossicata dal calore e dallo smog di almeno un centinaio di veicoli.
Il cellulare sul cruscotto prese a vibrare.
Lesse il nome sul display: Quarter Qua Qua Queen. In realtà quello era il numero di casa, ma siccome alla sorellina non era permesso possedere un cellulare, Dakota aveva improvvisato un nomignolo tutto per lei, quando ancora la sua vocetta infantile le ricordava il verso delle papere.

<< Pessimo momento per farmi la predica, piccola. >>

<< Dove cavolo sei, lo posso sapere? >> l'attaccò immediatamente la tredicenne.

<< Sono a cinque minuti da casa in auto, il problema è che sono nel mezzo di un bell'imbuto automobilistico. >> rispose sinceramente la ragazza, strofinandosi gli occhi con una mano. 

<< No, non dirmelo! >>

<< Te l'ho appena detto. >> ribattè Dakota, evidenziando l'ovvietà.

<< Per quanto pensi di averne ancora? >> le chiese la sorellina.

<< Mah. Facciamo quaranta minuti al massimo. >>

<< Ho capito... vabbe', ti aspetto. Cerca di fare il più presto possibile, però. >>

<< Ci proverò. Ehi, aspetta! Fammi un favore, vai sulla mia e-mail e controlla se il mio istruttore mi ha mandato l'invito di partecipazione alla gara estiva della campestre! >>

<< Tanto non riuscirai a vincere la scommessa... >>

<< Taci e fai come ti ho detto. >> la zittì Dakota, mentre la coda di veicoli avanzava di dieci centimetri.

<< Password? >>

<< 14041989 >>

<< Ehi, è la mia data di nascita!>>

<< E allora? Datti una mossa, su!>>
 
 
 
 
 
 

Quarter spalancò gli occhi.

<< Ehi, è la mia data di nascita! >>

Bella questa!
Perché non aveva inserito la sua?

<< E allora? Datti una mossa, su! >> la rimbeccò la sorella, impaziente.

Quarter si apprestò a fare come le era stato detto, quando sentì suonare il campanello.

<< Aspetta, hanno suonato! >>

Si allontanò dalla scrivania e uscì dalla camera di Dakota, dirigendosi verso la porta d'ingresso.
 
 
 
 
 
 
Dakota aggrottò la fronte.

<< Ma chi è? Non può essere la mamma, è troppo presto... >>

<< E che ne so io? >>
 
 
 
 
 

Guardò dallo spioncino della porta e rimase perplessa.

<< E questo chi è...? >>

<< Chi? >>

<< Non so chi sia... aspetta, resta in linea un momento... >> rispose la bambina, prima di aprire la porta.
 
 
 
 
 


Dakota si lasciò sfuggire l'ennesimo sbuffo, che le fece svolazzare una ciocca di capelli castani sulla fronte.
Si mise a canticchiare mentre attendeva la risposta della sorella.
Udì la serratura della porta scattare, il cigolio dei cardini e infine la voce della sorellina.

<< Che cosa vuoi? >>

Dakota non capì immediatamente cosa successe pochi istanti dopo.
Smise di canticchiare quando sentì dei rumori molto strani, rantoli soffocati uniti a gemiti di sorpresa.
Si sforzò di ascoltare con più attenzione e per un attimo pensò che la sorella le stesse facendo uno scherzo.

<< Quarter? >>

Non le rispose.

<< Ehi, che succede, rispondi! >>

Lo schianto che udì un secondo dopo fu talmente forte da farle fischiare l'orecchio e gelare le ossa dal terrore.
 
 
 
 
 

Lui l'aveva aggredita senza alcun preavviso, neanche un'emozione gli aveva contrastato il volto impassibile, seminascosto dai capelli neri, mentre con una mano le afferrava il volto, soffocandole le urla di sorpresa.
Una mano della ragazzina corse automaticamente ad avvolgergli il polso, nel tentativo di fargli mollare la presa, l'altra reggeva un cordless in mano.
Senza sprecare neppure un secondo, aumentò la stretta sul suo volto e con una spinta la buttò per terra.
Quarter Queen lanciò un grido terrorizzato, rialzandosi in fretta e cercando di raggiungere la porta, ma il killer la richiuse con un calcio, bloccandola all'interno dell'appartamento.
 
 
 
 
 
 

<< Quarter? Quarter!?! >>

Adesso la mano sinistra di Dakota stringeva convulsamente il volante, le nocche bianchissime, le orecchie ferite dalle urla che udiva dall'apparecchio.

<< Quarter, ma che sta succedendo?! >>

<< Aaaaaaaaaaaaaahhhhhh!!! Dakotaaaa!!!!!! >> 

Fu il grido più agghiacciante che l'orecchio umano avrebbe mai potuto sentire.
Bastò a far perdere un battito alla ragazza, che improvvisamente atterrita si slacciò la cintura, balbettando:

<< Chia... chiamo subito aiuto, non aver paura!!! >>

Uscì dall'auto in preda al panico.
 
 
 
 
 
 

L'intruso la afferrò con forza per i capelli biondi, strappandoglieli, sollevandola come se fosse un pupazzo di cinque chili, per poi scagliarla brutalmente contro la tavola apparecchiata.
Il colpo fece rovesciare il mobile e Quarter si ritrovò una scheggia di legno nel ginocchio. Singhiozzando, si aggrappò ai bordi per rialzarsi, ma lui le fu di nuovo addosso.
 
 
 
 
 
 

<< Signore, per favore, chiami la polizia per me!! Signore... signore!! Per favore... >> gridò Dakota, bussando con forza contro il finestrino dell'Audi nera che l'uomo al suo interno si era apprestato a sollevare, con aria disgustata.

<< Vi prego, aiutatemi, è urgente! >> ritentò, ma nessuno sembrava prenderla sul serio.

Zigzagò tra i veicoli, urlando a squarciagola.
Le urla continuavano, incessanti. Le sentiva tutte attraverso il cellulare.

<< Qualcuno ha un telefono?! >> supplicò allo stremo delle forze. Quasi le parve un miracolo quando un giovane ragazzo in moto le disse di sì.

<< Ehi, tu laggiù!! Sposta quella macchina, stai bloccando tutti, stupida!! >> gridò un uomo la cui testa sporgeva dal finestrino di un tir, una decina di metri dietro di lei.

<< Grazie! Puoi chiamare la polizia per me? Dì loro di andare a casa mia subito, Third Avenue, appartamento 605!!!  Quarter! >> gridò poi, al cellulare. << Mi senti? Ho fatto chiamare la polizia, presto saranno lì! Ti prego, resisti!! Io sto con te al telefono, non ti lascio!! >>
 
 
 
 
 

<< Io sto con te al telefono, non ti lascio!! >>

Il cordless giaceva a un paio di metri da lei, il vivavoce era attivo e lei poteva ancora sentire la voce spezzata e affannata della sorella.
Gli occhi della bambina piangevano fontane di lacrime, mentre tossiva sangue a causa del calcio che quel mostro le aveva appena inferto nello sterno.
Tentò di rialzarsi per fuggire.
Chiudersi in camera.
Allontanarsi da lui.
Fu inutile.
Un secondo calcio la colpì in pieno petto, quando era ancora inginocchiata. L'impatto la fece cadere di schiena sul pavimento. Lui le si mise addosso, inchiodandole le braccia in una morsa degna di un serpente.

Usò l'altra mano per serrarle la gola.
 
 
 
 
 
 

<< Sto correndo da te, Quarter! Non aver paura, tra poco sarò a casa! Ti prego, resisti Quarter!!! >>
 
 
 
 

Dakota...!, pensò disperatamente Quarter, focalizzando nella sua mente oltraggiata il volto e la voce calda della sorella.
Non seppe come, ma riuscì a mordergli la mano che la strangolava.
Il suo assalitore si lasciò sfuggire un'esclamazione di dolore, per poi serrare la mano a pugno e colpirla con forza animalesca, fratturandole il naso.
Le si tolse di dosso e le afferrò con le mani i lati della testa. Infine, con un forte movimento verso destra, la mandò a sbattere con la tempia direttamente contro lo spigolo del tavolo ribaltato.
 
 
 
 
 

Corse.
Corse come non aveva mai fatto in vita sua, scavalcando i cofani delle auto per giungere dall'altro lato della strada, corse, corse, corse.
Pur avendo le gambe rigide come il piombo, la sua mente oltrepassava i confini del tempo, percependo le grida, il pianto disperato carico di dolore, i colpi, i tonfi, rumore di oggetti spezzati...
In una frazione di secondo le tornarono a scorrere sotto la pelle, sotto ogni terminazione nervosa, tutte quelle sensazioni...
 
Sospetto.
Disgusto.
Prudenza.
Angoscia.
Paura.
 
<< Senti la mia voce, Quarter! Sono qui con te, piccola, non ti lascio...!! >>

Un colpo inaspettato di clacson, una sterzata... Dakota fece appena in tempo a realizzare che un taxi le stava arrivando addosso e che lei stava attraversando di corsa l'ultima corsia prima del marciapiede.
Gli pneumatici stridettero, il taxi slittò bruscamente nel tentativo di deviarla... tuttavia, la prese comunque.
Dakota si sentì sbalzata in avanti di almeno un paio di metri e il cellulare le sfuggì di mano. Tutt'intorno a lei si riempì di clacsonate, esclamazioni concitate.
I suoi polmoni si svuotarono di tutto il fiato trattenuto in quel momento e Dakota si rimise in piedi, traballando.
Stava bene.
D'un tratto, le gambe le cedettero e lei crollò a terra, sbucciandosi le ginocchia contro l'asfalto bollente.
Si mosse carponi, raggiungendo a fatica il cellulare.
Il conducente del taxi era sceso, preoccupatissimo, chiedendole se stesse bene.
Dakota dovette far ricorso a tutta la sua forza per far sì che le mani smettessero di tremare, quel tanto che bastava per tenere il cellulare premuto convulsamente contro l'orecchio.

C'era silenzio.
Troppo.

<< Quar... ter...? >> sussurrò, mentre gli occhi iniziavano a bruciare.
 
 
 
 
 
 
L'aggressore l'aveva appena stordita.
Era ancora viva; gli sarebbe bastato un minuto per terminare l'opera.
Ora che la mocciosa non strillava più, una voce attirò la sua attenzione.
Si voltò e vide il cordless, in mezzo a un mucchio di schegge e frammenti di vetro. La lucina verde segnalava che l'apparecchio era in funzione.
Lo prese tra le mani e se lo accostò all'orecchio.
 
 
 
 
 

Fu debole, appena accennato, ma lei lo sentì.
Un rumore.
Come un fruscio, qualcosa che si muoveva.
Poi, un respiro ovattato, appena affannato.

Comprese immediatamente che c'era qualcuno dall'altra parte.

<< Chi c'è? >> sussurrò, gli occhi sgranati dall'orrore.

Il suo cuore batteva così in fretta che minacciava di spaccarle la cassa toracica da un momento all'altro.

<< Chi sei? >> ripetè, senza rendersi conto che stava urlando, ora.

L'ultima cosa che udì fu un click agghiacciante, segno che la telefonata era stata interrotta.






                                                                                    [ continua ]







Questa storia la dedico a Menhiteve.
A te, che disprezzi le ingiustizie.


Questa è la seconda sera di fila che pubblico, non mi era mai capitato.
Onestamente, dopo un primo capitolo del genere, mi è passata la voglia di fare battutine...

Non so quanti di voi apprezzeranno questo tentativo, ma ci tenevo a provarci.
BB è un personaggio che adoro, anche se non penso che gli attribuirò mai più una parte così crudele come in questa storia!! 
Volevo solo offrire il mio tributo al romanzo Another Note... e mi rendo anche conto che non tutti riusciranno a comprendere appieno la storia, proprio perché non tutti hanno letto il romanzo e vi chiedo subito scusa per questo.

Inoltre, volevo provare a valorizzare un legame fraterno. Noto un sacco di mie coetanee che hanno sorelle e che sospirano sempre su quanto io sia fortunata a non averne, ma l'ho sempre pensata diversamente :)

Vi va di lasciarmi un parere riguardo a questo esperimento? :)

P.S. Non voglio approfondire troppo questa storia, perciò penso che la relativa lunghezza raggiungerà al massimo 6 o 7 capitoli. Ah, l'omicidio di Quarter Queen è leggermente differente da come veniva presentato nel romanzo, ho preferito descrivere la scena trasmettendo la tragicità del momento e prendendo come riferimento una parte del film " La prossima vittima".



E con questo, auguro a tutti voi buona notte,

vostra  Luce Lawliet.


 
 



 
 
 
 


                           
                         
   
 
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