arrivo.
[ settembre, 16 anni. ]
Ricordava
molto bene la sera piovosa in cui due forestieri -uno molto vecchio,
l'altro molto giovane- avevano bussato all'imponente portone
dell'Ordine Oscuro. Tutti imbacuccati nei loro mantelli, che
cercavano disperatamente di ripararsi dalle intemperie, e quello
strano sguardo serio e coscienzioso negli occhi: non molto felice, è
vero, ma assolutamente determinato. Ricordava bene quella sera perché
l'incontro con quel tipo dai capelli rossi non è cosa che si
può dimenticare facilmente; e sì che ci aveva provato
eccome, a dimenticare.
Non che avesse avuto una vera e propria
presentazione col nuovo arrivato, sia chiaro. In realtà per la
prima settimana del suo soggiorno alla Sede, ogni volta che vedeva
quello strano ragazzo avvicinarsi con un sorriso speranzoso a lui
aveva fatto dietro-front ed evitato bruscamente un qualsiasi scambio
verbale. Ma l'aveva spesso sentito parlare con gli altri membri
dell'Ordine, questo sì, e sfoggiare il suo sorriso migliore e
il suo tono di voce più squillante, mentre ripeteva in modo
discretamente abile un copione sempre uguale.
Si chiamava Lavi, o
almeno così diceva. Il tono della sua voce mentre pronunciava
quel nome, in realtà, non sembrava poi così convinto:
come quello di un bambino che recita un'imbarazzata poesia imparata a
memoria. Ma si chiamava Lavi, ed era un Bookman.
Aveva avuto
bisogno di Komui e delle sue conoscenze al riguardo per capire cosa
esattamente fosse un 'bookman'. Ma anche dopo un'ora intera di
spiegazione dettagliata, l'idea che si era fatto di loro rimaneva
piuttosto confusa e imprecisa. Osservavano, i bookman. Osservavano e
scrivevano, e annotavano ogni particolare che potesse servire al
grande libro della storia; non erano certo gli abili combattenti di
cui necessitavano gli Esorcisti per vincere la Guerra, erano solo dei
visitatori di passaggio che la Guerra, invece di combatterla, la
trascrivevano in ogni suo più insignificante aspetto, su
grossi tomi dalle pagine ingiallite. I due forestieri erano quindi,
come i finders, persone del tutto inutili al loro scopo.
Il
vecchio non aveva nome, per questo si faceva chiamare semplicemente
Bookman. Era basso e dall'aria severa, stoica, ma per nulla fragile.
Con tutti gli anni che si portava appresso, dietro a quella manciata
di rughe e occhiaie, avrebbe potuto tranquillamente testimoniare
sull'esistenza dei dinosauri; eppure, anche se dimostrava almeno
duecento anni, era ancora abbastanza in forze da picchiare senza
alcuna pietà il suo giovane e impertinente apprendista. Lavi,
per l'appunto.
Lavi, così gli aveva spiegato il
supervisore, faceva parte del clan dei bookman ma non era ancora un
Bookman effettivo. Sarebbe rimasto sotto la guida del suo vecchio
maestro ( il Panda,
come l'aveva stupidamente ribattezzato il ragazzo ), almeno fino alla
morte di questo; e solo a quel punto avrebbe preso il suo
posto.
Poteva essere una conclusione del tutto errata la sua -e
decisamente inopportuna, visto che non l'aveva degnato ancora di uno
straccio di benvenuto-, ma l'apprendista in questione non sembrava
poi così entusiasta del suo ruolo. Svolgeva le sue mansioni
con efficienza, e si era adattato alla nuova casa in modo
sorprendentemente veloce: ma in ogni cosa che diceva o faceva,
sembrava trapelare una nota di stonata amarezza. Del tutto fuori
luogo, in quel viso solare e perennemente sorridente.
E poi,
la serata fatidica. Quando, non appena concluso l'ultimo allenamento
della giornata -alle undici di sera, come da rituale-, stava tornando
nella propria stanza per dormire le sue solite sei ore scarse. Colpa
forse della stanchezza, o del buio, o della insospettata furbizia del
criminale in questione: ma era stato preso in contropiede,
nell'esatto momento in cui aveva svoltato l'angolo del corridoio per
prendere le scale. Il viso così disgustosamente allegro del
nuovo arrivato lo aveva accolto con un bel sorrisone gioviale,
sbucando fuori dal nulla, mentre per poco non gli finiva addosso: e
decisamente, a quel punto, era troppo tardi per lui cambiare strada e
deviare la destinazione per non dovergli parlare.
Stupido
idiota.
- Ciao! Tu devi essere Kanda. -
E il sorriso
dell'interlocutore scemò appena, dopo aver sostenuto il suo
sguardo per più di qualche secondo.
- Levati.
dai. piedi.
-
-
Me l'avevano detto che avevi un caratteraccio! - rise lui,
spensierato, con un tono di voce talmente cristallino e infantile che
fu un miracolo per l'Esorcista stringere i pugni e tenerli saldamente
in tasca. - Kanda... Kanda. E di nome?-
- Fatti gli affari tuoi. -
L'aveva superato, senza tante cerimonie, ad occhi chiusi e un
grosso nervo pulsante sulla fronte che testimoniava tutta la sua
insofferenza. Aveva sperato, oh sì, che quel cretino
demordesse e lo lasciasse in pace come facevano tutti i sopravvissuti
alla sua furia; ma non potè dirsi molto fortunato, perchè
non importa quanto veloce camminasse in direzione di camera sua, né
quanto si dimostrasse palesemente disinteressato alla sua conoscenza,
che subito aveva sentito i suoi passi seguirlo agilmente. Chiedersi a quel punto cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto ciò, sarebbe stato straordinariamente fuori luogo perfino per uno come Kanda.
- Beh, io mi chiamo Lavi. - continuò
il giovane Bookman, senza perdere la speranza, nonostante tutto.
-
Non mi interessa. -
- Eddai, odio chiamare le persone per cognome!
Dimmi come ti chiami! -
- Per te non mi chiamo in nessun modo,
smettila di infastidirmi e non rivolgermi più la parola. -
-
Ma uffa! -
Mai la strada verso la propria stanza gli era parsa più
lunga. Portarsi dietro quell'idiota che blaterava in continuazione,
in giro per la Sede, gli stava facendo venire davvero un gran mal di
testa.
- Beeeh, Kanduccio...
Come mai ti alleni a quest'ora? -
Passo falso.
Solo a
quel punto, l'Esorcista si era girato in sua direzione e l'aveva
guardato dritto in faccia. Per la prima volta aveva osservato il suo
viso, la sua bocca, i suoi occhi; o meglio, il suo occhio,
visto che l'altro era curiosamente nascosto da una benda nera. Strano
che non l'avesse notato prima.
E poi, ah, quei capelli. Rossi,
troppo rossi, esageratamente rossi. Tenuti su in maniera bizzarra da
un pezzo di stoffa verde e bianco dalla fantasia imbarazzante.
Sembrava davvero uscito da un circo; eppure,
eppure,
c'era qualcosa di rassicurante in quel volto.
Non che ora Kanda si
sentisse rassicurato. Piuttosto, era decisamente, incredibilmente
arrabbiato.
- IO...
TI AMMAZZO.... -
Probabilmente Lavi non aveva notato prima l'elsa
della katana che era sempre rimasta agganciata alla cintura dei suoi
pantaloni, perchè quando lui l'aveva sfoderata e gli aveva
puntato minacciosamente la lama affilata al collo, il ragazzo aveva
esibito una faccia davvero sorpresa.
- H-Hey, ma che ho fatto..!
-
- NON MI CHIAMARE MAI
PIU'
IN QUEL MODO, SE NON VUOI ESSER FATTO A FETTE. -
- Cos'ha
'Kanduccio' che non va! -
Non ci fu bisogno di risposta,
naturalmente.
- E-E va bene, va bene! Ma scusa, se tu non mi dici
il tuo nome... -
- NON MI DEVI CHIAMARE IN NESSUN MODO! -
-
..Neanche 'Kandino'? -
E niente aveva potuto risparmiare a
quell'incosciente un vigoroso pugno in pancia, che l'aveva fatto
volare ad almeno un metro di distanza da lui.
Accidenti... Aveva
davvero un caratteraccio, quel Kanda.
Ecco il primo di una lunga serie di capitoli della raccolta dei momenti perduti LaviYu. Brevi, semplici, concisi e spero discretamente buoni, che hanno come unico scopo quello di raccontare tutto ciò che c'è di non detto -almeno dal mio punto di vista- sulla loro storia. Non so assolutamente come ho fatto a convincermi ad intraprendere un'impresa tanto impegnativa... ma vedrò di portare a termine ciò che ho cominciato, giuro.
Ah, per il rating: ho messo rosso prevedendo alcuni capitoli futuri, quando le cose non saranno più così deliziosamente innocenti, ma può anche darsi che lo cambi. E' ancora tutto da vedere. See ya! ♥
macch