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Autore: ElderClaud    09/12/2011    2 recensioni
[Transformers Prime]
sbuffando seccata, Arcee posò la tazza sul tavolino dinnanzi a dove si trovava e, conscia di essere in pigiama e di avere un aspetto piuttosto “casalingo” – i corti capelli scuri erano in disordine, e le sue ciocche tinte di rosa avevano un colore fin troppo sbiadito – andò verso l'ingresso a due passi dal soggiorno per vedere chi fosse lo scocciatore di turno.
Quando arrivò ad osservare dallo spioncino però, dovette sussultare mentre un brivido poco gradito le scendeva giù dalla schiena alla vista di chi ci fosse oltre la sua porta di casa.
Ora capiva perchè alla reception nessuno avesse osato fermare l'individuo che ancora aspettava che gli venisse concessa udienza. Nessuno poteva fermare un uomo che portava il nome di Megatron

Partecipa alla "Gift Boxes Challenge" di Fanworld
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Arcee, Megatron
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Transformers: Prime
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Titolo: Something Wrong
Autore: medesima sottoscritta
Fandom: Transformers Prime
Personaggi/coppia: Human!Arcee/Human!Megatron
Rating: + 14
Conteggio parole: 1988
Avvertenze: AU, oneshot, introspettivo, sentimentale
Note:
Questa oneshot è ambientata con i personaggi dell'ultima saga sui TF, ossia Prime, doppiata in modo pessimo in italiano dalla carissima Mediaset. Una saga questa che mi ha colpito molto in senso positivo (con una trama decisamente più matura rispetto alle altre serie). La coppia è assolutamente crack, per di più umanizzata, però ho iniziato a fantasticarci su dall'episodio 25 (quello dove lui le fa l'inchino). La canzone che ho sfruttato è Wrong dei Depeche Mode.
Ps: la storia partecipa alla “Gift Boxes Challenge” di Fanworld con il prompt: Vischio, “certe cose non si sciolgono così facilmente”


I took the wrong road
That led to the wrong tendencies


Se c'era una cosa che Arcee amava più di ogni altra cosa durante le sue meritate ferie, era di portarsi il lavoro extra a casa senza che ce ne fosse reale bisogno.
Libri di contabilità, scartoffie varie e pure interi scatoloni da archiviare, lei da brava stagista in cerca di un impiego fisso lavorava sodo per mostrarsi come la migliore qual era effettivamente. Aveva trovato assunzione in una delle più potenti – nonché discusse – società della sua città di origine, ma non è che lavorare per i Decepticon la rendesse propriamente felice.
Anzi, se non fosse stato un momento di crisi economica avrebbe ben volentieri declinato l'offerta di assunzione, però poi come avrebbe fatto con le bollette della luce, il vestiario e tutto il resto?
L'appartamento dove viveva – tra l'altro in un buon quartiere – non provvedeva ad auto mantenersi da solo, non era un robot, e lei aveva comunque bisogno di lavorare.
I suoi amici oltretutto, le avevano dato coraggio di non arrendersi qualora in ditta si fosse trovata a che fare con gente piuttosto subdola – e ce n'era parecchia tra l'altro – ma quel piccolo particolare di lei che si sobbarcava di lavoro anche durante le feste Natalizie loro proprio non o sapevano.
Per Arcee tuttavia era di fondamentale importanza tenersi occupata la testa. Di poter avere sempre qualcosa da fare se non voleva cadere preda della sua peggior nemica: la frustrazione.
La giovane donna aveva motivi colossali per essere stressata costantemente. Il punto sostanziale era che trovava ridicolo che per ogni momento di felicità che viveva, il destino – o forse era meglio dire il caso – glielo strappasse sempre via nei modi più traumatici.
Per di più era la vigilia di Natale, un giorno che sostanzialmente aveva smesso di apprezzare all'età di otto anni e aveva perso definitivamente di significato una volta diventata adulta.
Accettava tale ricorrenza solo quando la festeggiava assieme ai suoi amici – cosa che avrebbe fato domani – e per senso del dovere si sentiva di dover addobbare casa in festa con i soliti addobbi polverosi e ormai datati. Solo il vischio era sempre nuovo – lo comprava dal fiorista sotto casa sua – e puntualmente lo piazzava sopra la porta del suo appartamento unicamente per dovere di tradizione.
Era convinta che ci fosse qualcosa di sbagliato nel suo stesso io, o forse nella sua stessa personalità orgogliosa, se si attirava così tante sfighe e tanti problemi da dover gestire. Ma era straordinario che riuscisse spesso a superarli, quindi avrebbe superato quel Natale convinta che nessun problema avrebbe potuto fermarla.

Seduta in modo scomposto sul divano del suo piccolo soggiorno – e con indosso un pigiama blu di due taglie più grande della sua – Arcee sorseggiava distrattamente del caffè caldo mentre osservava dei registri di contabilità aperti sul grembo, facendo scorrere i suoi occhi azzurri per tutte quelle fitte scritte con fare minuzioso e professionale.
Era la vigilia di Natale e alla televisione stavano dando un programma di cucina sulle ricette adatte al periodo di festa. Non che stesse realmente ascoltando ciò che lo chef stesse dicendo – alle volte alzava lo sguardo ma solo per memorizzare meglio gli ingredienti da sfruttare nel caso avesse deciso di fare lei qualche dolce, ma la cosa finiva li – però la televisione l'aiutava a rilassarsi mentre svolgeva del lavoro non richiesto.
Si era comunque prefissata di andare a letto presto e di non perdere del tempo sul lavoro extra fino alle due di notte. Domani mattina l'aspettava una sveglia alle sette per passare prima dai parenti e dagli amici poi nel pomeriggio. L'aspettava una giornata di abbuffate e puro caos che solo i fermenti lattici alla sera avrebbero dato una tregua al suo stomaco delicato.
Ma tutto sommato le andava bene così.
Quando però dalla porta d'ingresso avvertì nitidamente il trillo del campanello – ed era sicura fosse il campanello della sua porta e non quello del portone del palazzo – si ritrovò quasi a rovesciarsi addosso il caffè bollente per quell'interruzione nella sua routine decisamente poco gradita e inaspettata.
Tra l'altro, dopo neanche qualche secondo di attesa che prevedeva una risposta dal proprietario di casa – cioè lei ancora colta di sorpresa – lo stridulo campanello tornò a farsi risentire.
“Oh... Arrivo! Un momento!”
sbuffando seccata, Arcee posò la tazza sul tavolino dinnanzi a dove si trovava e, conscia di essere in pigiama e di avere un aspetto piuttosto “casalingo” – i corti capelli scuri erano in disordine, e le sue ciocche tinte di rosa avevano un colore fin troppo sbiadito – andò verso l'ingresso a due passi dal soggiorno per vedere chi fosse lo scocciatore di turno.
Quando arrivò ad osservare dallo spioncino però, dovette sussultare mentre un brivido poco gradito le scendeva giù dalla schiena alla vista di chi ci fosse oltre la sua porta di casa.
Ora capiva perchè alla reception nessuno avesse osato fermare l'individuo che ancora aspettava che gli venisse concessa udienza. Nessuno poteva fermare un uomo che portava il nome di Megatron – nome costruito nel tempo anche se all'anagrafe il suo nome era il più marcato Megatronus – leader indiscusso della ditta in cui lei, purtroppo, lavorava come stagista da oltre un mese.
Anche se il desiderio era tanto quello di ignorare la sua chiamata esigente, non poté ignorare il fatto che fuori dalla porta c'era quella figura imponente e minacciosa – avvolta in un cappotto piuttosto costoso tra l'altro – che l'attendeva per chissà cosa. Era il suo capo, non poteva fare brutta figura così in fin dei conti, anche se aveva tutte le motivazioni del mondo.
Esitando ancora un poco per questo, si decise ad aprire la porta del tutto con molta calma.
Il rosso delle iridi di Megatron andò immediatamente a scontrarsi con l'istintiva durezza degli occhi della donna, ignorando completamente come fosse conciata, che più che in qualsiasi altro momento ricordavano il ghiaccio più puro e duro.
Lo sguardo del direttore tuttavia, per quanto era come se guardasse ogni volta attraverso le rocce, non tradiva particolari emozioni verso la stagista che ancora attendeva una risposta da lui.
“Signore...” lo esortò Arcee, quasi con acida ironia.
“Arcee... credo che questo tu lo abbia lasciato nel mio ufficio”
il tono cupo così come cupa è la notte parve quasi farle una ramanzina d'altri tempi, con sguardo però minaccioso e paziente quel tanto che bastava perchè davanti ad una donna, nel mentre che dall'interno del cappotto si sfilava una busta gialla di pratiche che la giovane era solita controllare durante le feste natalizie.
Quando la vide non poté non sgranare gli occhi azzurri a quella sua assurda dimenticanza. Gli aveva assicurato che si sarebbe occupata lei di quei documenti, così come di tutti gli altri che si era portata a casa e in cui sperava di trovare riparo dalla frustrazione tanto odiata.
Mordendosi il labbro inferiore prese in mano quella busta con molta cautela da quelle del direttore inguantate di pelle nera – piuttosto costosa – cercando di sopprimere un crescente brivido e un ancor peggior imbarazzo per la situazione ridicola e per la sua spudorata sfacciataggine di aver profanato quel tempio sacro che la donna chiamava “casa mia”.
“Si... mi scuso per il disagio che le ho causato e farò il mio meglio per...”
c'erano sostanzialmente due cose che Arcee aveva trascurato nell'arco di quei pochi minuti.
La prima era una domanda che si sarebbe dovuta forse porre quando Megatron aveva suonato alla sua porta. Perchè scomodarsi lui a portarle quella roba, tra l'altro non abitavano neppure a pochi metri, quando avrebbe potuto mandare uno dei suoi adorabili scagnozzi – come ad esempio Starscream che non perdeva mai occasione di importunarla – per consegnarle cose a dir poco futili.
La seconda era una autentica dimenticanza che si trovava proprio sopra la sua testa.
Il vischio la giovane donna lo aveva sempre messo solo per tradizione e null'altro, tuttavia il fatto che Megatron si fiondò come un cacciatore sulle sue labbra la colse quasi impreparata se non addirittura spaventata.
Il suo capoufficio non le aveva mai dato idea di essere un individuo che credesse a qualsiasi tradizione o religione, pertanto, era risaputo che ciò in cui credeva era nelle sue stesse capacità sul campo lavorativo. In quel momento però non stava semplicemente onorando una tradizione romantica.
Ora, i due punti precedentemente detti letteralmente potevano scomparire dalla testa di Arcee per il semplice motivo che i due, oltre a essere stagista e direttore, erano sfortunatamente due amanti ben collaudati.

Per impedirle di ribellarsi, Megatron fu abbastanza veloce da prenderle i polsi – nell'esatto momento in cui la baciò – stringendo quel tanto che bastava per far sentire la propria autorità per non facendole del male, e portando l'inutile busta stretta in mano della giovane a cadere per terra.
L'espressione sconvolta dalla sorpresa di Arcee mutò lentamente in un misto di passione e rabbia, chiudendo gli occhi e assaporando ogni istante di quel bacio tanto possessivo quanto delicato.
Si sentiva strana ogni volta che finiva così o anche peggio – con loro due che finivano a letto assieme – e non poteva nel suo orgoglio non pensare di commettere la cosa più sbagliata al mondo.
Da un lato detestava lui e tutta la sua crudeltà, dall'altro lato non sapeva resistergli per un motivo che le era difficile da spiegare e neppure dire, visto il modo in cui la sua lingua giocava con quella del suo principale.
Finito con quel bacio che quasi sapeva di prepotenza, la donna non poté non arrossire con violenza cercando di evitare il suo volto di uomo maturo corrompersi di un sottile e perfido sorriso.
“Certe cose non si sciolgono così facilmente... eh?!”
l'irriverente battuta di Megatron sibilata ad un soffio dal volto della sua amante con sincera, e divertita, perfidia, andava a sottolineare la spesso poca malleabilità che la donna mostrava sul posto di lavoro. Come una stalattite di ghiaccio pareva inflessibile alla battutine di scherno dei colleghi suoi rivali naturali, eppure tra le sue braccia si tramutava in una creatura irresistibile.
Di tutta risposta Arcee ebbe il coraggio di guardarlo dritto negli occhi cercando di ammonirlo o quantomeno di scrutarlo male. Avrebbe anche ben volentieri berciato che non doveva permettersi di venire a casa sua e profanare il suo sacro tempio del disordine e della comodità, cosa tra l'altro sacrosanta, eppure non riuscì più a dirgli nulla, se non solo parlando a gesti. Un effetto completamente sbagliato, che la faceva sentire sbagliata, ma che Megatron aveva iniziato ad esercitare su di lei con un fascino tutto suo.
I suoi amici sapevano che detestava il proprio lavoro ma che non poteva farne a meno perchè uno dei pochi decenti che potevano darle profitti in futuro. Ma dubitava fortemente che avrebbero compreso che in lei si era accesa una passione così malsana eppure così irresistibile da travolgerla e farle dimenticare – anche solo per brevi istanti – tutti i problemi che l'avvolgevano in un sentimento che Arcee si rifiutava di definire amore. No, avrebbero compreso tutto meno che quella sua relazione clandestina con Megatron.
Un particolare che da un lato la faceva sentire piuttosto frustrata – sentimento questo che però non esisteva quando passavano del tempo sotto le lenzuola – e motivo tra i tanti che la portava a portarsi il lavoro extra a casa.

Ciò che successo dopo la portò a maledire quel dannato vischio poiché si lasciò spingere delicatamente in casa propria da un uomo che voleva festeggiare la vigilia con la propria piccola, chiudendosi a chiave la porta d'ingresso e con esso abbandonando il ramoscello che tanto – genialmente – lo aveva giustificato dal restare ed osare fermarsi li per una notte.
Cingendogli con le braccia il collo possente e tornando a deliziarsi della sua bocca possessiva, Arcee si ritrovò a mettere nel proprio catalogo mentale anche il Natale come sfiga assoluta della propria vita.


   
 
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