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Autore: Flami Destrangis    10/12/2011    13 recensioni
Ai ha finalmente completato l'antidoto contro l'APTX. Ma, come tutti i farmaci, quella piccola pillola, all'apparenza innocua, potrebbe rivelarsi una medicina o un veleno. Che fare, dunque? Provarla significa due cose: morire o tornare ad essere Shiho. E' davvero ciò che vuole?
Ma ben presto, quando gli Uomini in Nero torneranno a farsi vivi, non ci sarà più tempo per riflettere, e i dubbi lasceranno spazio ad un'unica certezza: non c'è vita senza libertà. Ed è per essa che bisogna lottare, ad ogni costo.
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gocce di Sherry

 

INCERTEZZE

Migliaia di fiori gialli che si voltavano a guardare il sole. Migliaia di esseri senza mente che amavano essere baciati dalla luce di quella sfera incandescente. Erano gialli, come il sole. Erano grandi, erano alti, erano belli. La facevano sentire piccola, la proteggevano.  Una ragazza dai capelli castani stava distesa, immobile, riparata da quegli steli verdi alti quasi quanto lei. I raggi del sole non riuscivano a penetrare oltre quei fiori, non riuscivano a sfiorare la sua pelle. Lei era lì, al fresco, nonostante il caldo terrificante. Sì, faceva caldo, ma lei non lo sentiva.

Era tutto diverso in quel campo di girasoli. Si sentiva come in trance, come se la sua anima si fosse liberata dal peso inutile del corpo e da quello ben più gravoso della stanchezza. Era libera da tutto. Nessuno avrebbe mai potuto trovarla. Se non ci riusciva nemmeno il sole da lassù, come avrebbe potuto il resto del mondo scovare il suo nascondiglio? Aprì gli occhi azzurri, come a voler confermare di essere ancora viva. Si sentiva troppo leggera per essere davvero ancora viva.  Ma attorno a lei tutto era reale. Respirò l’aria a pieni polmoni. Anche quella era reale: era ancora viva.

Ma chi era, lei? Non ricordava il suo nome. Non sapeva cosa ci facesse lì, né da dove venisse. Chi era lei? Si sentiva una bambina ancora troppo piccola per capire appieno il mondo là fuori, ma già troppo grande da avere qualcosa da ricordare. Che strana sensazione. Alzò leggermente il capo, per guardarsi attorno. Per guardare il suo corpo, per vedere chi era. Le mani erano troppo forti per essere quelle di una bambina, il seno troppo sviluppato, le gambe troppo lunghe. Quel camice bianco che portava era troppo grande per poter contenere il corpo di una bambina. No, lei era una ragazza. Era se stessa, in un mondo in cui nessuno avrebbe potuto nuocerle. Stava sdraiata sul terreno morbido di un campo di girasoli, dove non esistevano né dolore né sofferenza.

Avrebbe potuto vivere, finalmente, vivere come se stessa. Una gioia che qualcuno le aveva negato, un dolore che lei si era imposta da sola. Ma non ricordava nulla del suo passato. Sapeva solo una cosa: non aveva intenzione di ricordarsi nulla. Andava bene così. Chiuse di nuovo gli occhi, per riperdersi nel mare incantato di pensieri senza alcun senso. Il cielo era sereno, non si sentiva nulla…

Poi, all’improvviso, un frastuono. Un botto forte, sordo. Un rumore capace di fracassare i timpani.

 

Ai Haibara si svegliò di colpo, alzandosi a sedere, e il contraccolpo le fece quasi perdere l’equilibrio. Riuscì a stento a non cadere dalla sgabello su cui era seduta. Si stropicciò gli occhi, cercando di tornare alla realtà. Aveva solo sognato. Che stupida, aveva creduto di poter dimenticare tutto.

Di poter dimenticare di chiamarsi Shiho Miyano. Di poter dimenticare che le sue capacità intellettive al di sopra della media in ambito scientifico l’avevano portata a lavorare per l’Organizzazione, a continuare il progetto intrapreso dai suoi genitori. Di poter dimenticare il suo nome in codice, Sherry. Di poter dimenticare la morte di sua sorella. Di poter dimenticare quella paura che si era impossessata di lei quando aveva capito di essere davanti a morte certa. Di poter dimenticare di aver ingerito l’APTX4869, nel tentativo di salvarsi. Di poter dimenticare di avercela fatta. Di poter dimenticare di essere una bambina dal nome di Ai Haibara. Infine, di poter dimenticare che i suoi veleni avevano ucciso chissà quante persone. E stavano per uccidere anche quello che ora era il suo migliore amico.

Ma in fondo, anche credendo di potercela fare, non avrebbe potuto dimenticare un bel niente. Nel suo sogno indossava un camice bianco, proprio come allora. Era stato così bello, almeno per qualche momento, non avere pensieri in testa. Sentirsi libera e sicura.  Accidenti! Era come credere di essere Jekyll e risvegliarsi Hyde. Che terribile sensazione: la portava ad odiare se stessa con tutte le sue forze.

Lasciò che i pensieri  sfilassero via dalla sua mente. Saltò giù dallo sgabello, troppo alto per una bambina della sua età. Il computer continuava a borbottare con quel suo strano rumore meccanico, lamentandosi per essere acceso da troppo tempo.  Ma Ai non poteva ancora spegnerlo: doveva controllare gli ultimi dati, avere le ultime conferme. Poi, forse, sarebbe tutto finito.

Salì le scale del laboratorio e arrivò in casa del dottor Agasa. Era ancora notte, le lancette segnavano le tre e mezza. Ricordava di essere ancora sveglia alle due e mezza. Aveva dormito poco meno di un’ora, me le sembrava di essersi trovata in quel campo di girasoli per più di un giorno.

Il rumore che l’aveva svegliata era stato il boato di un tuono. Fuori, per la strada, pioveva a dirotto su una Tokyo non del tutto addormentata. Aveva mal di testa, un fortissimo mal di testa. Avrebbe voluto dormire, ma sapeva che quello non era il momento adatto. Le mancava un passo, un solo piccolo passettino, per raggiungere il suo scopo: completare l’antidoto dell’APTX4869. Il nuovo farmaco era stato creato, doveva solo controllare alcuni dati. Quella doveva essere la volta buona, ma non ne avrebbe avuto la sicurezza finché la pillola non fosse stata provata. Qualcuno doveva correre il rischio, doveva ingerire quella capsula per controllarne l’effetto.

Farmaco. Farmakòn, la parola greca. Due significati: medicina, veleno.

Il confine che separava questi due concetti era talmente sottile che Ai, o meglio Shiho, l’aveva oltrepassato diverse volte. E aveva imparato a temerlo. Non avrebbe permesso che qualcun altro rischiasse di nuovo la vita per le sue invenzioni. Avrebbe dovuto provarlo lei, quella volta.

Scese di nuovo nel laboratorio. Controllò gli ultimi dati: tutto sembrava combaciare. Poi, finalmente, spense il computer, caldo per il troppo sforzo. Si fermò per qualche attimo, mentre guardava la capsula che stringeva fra le mani.

Cosa avrebbe dovuto fare? Provarla, forse? Le possibilità erano due: morire o tornare ad essere Shiho, questa volta, forse, per sempre. Ma era quello che voleva? Non era forse meglio continuare a vivere così, come una bambina, sforzandosi di dimenticare il passato, provare a rifarsi una vita? Avrebbe potuto crescere di nuovo ,questa volta come una ragazza normale. Diventare amica di Ayumi, andare a fare compre con lei, studiare insieme nei pomeriggi freddi d’inverno, parlare dei rispettivi fidanzati. Avrebbe potuto chiudere a chiave quel laboratorio e crescere come una ragazza normale.

Ma c’era un problema. Non era da sola. C’era Conan, o meglio Shinichi, che lei aveva fatto diventare Conan. Era sicura che, appena fosse venuto a conoscenza di quella nuova pillola, di quell’antidoto forse definito, Conan non avrebbe sentito ragioni: avrebbe desidera rato provarla a tutti  i costi. E poteva fargli correre il rischio di morire, per la seconda volta?

No, non poteva. Doveva provarlo lei, doveva sacrificare i suoi sogni. In fondo, era abituata a farlo. Guardò di nuovo l’ora. Doveva andare a dormire, il giorno seguente doveva andare a scuola con Conan e gli altri.

-A questa maledetta pillola penserò più avanti, domani, a mente fresca.-

Aveva un’unica certezza. Finché non avesse preso una decisione, Conan non avrebbe dovuto sapere nulla di quella storia. In fondo, Shinichi aveva aspettato per tanto tempo: avrebbe potuto attendere anche qualche altro giorno.

Ripose la capsula in una scatoletta di plastica, vi scrisse sopra “Anti-APTX n 127, definitivo, da provare”.

127. Erano stati tutti i suoi tentavi per riuscire a creare quella concentrazione di pura follia. Aveva oltrepassato le colonne d’Ercole, si era spinta dove non avrebbe mai dovuto spingersi. Era riuscita a modificare il corso di una vita.

Ripose in un cassetto la scatoletta, spense la luce e salì le scale. Buttò  in tasca la chiave del laboratorio, dopo essersi assicurata che fosse ben chiuso, e si avviò a dormire. Nessuno doveva entrare lì finché non si fosse decisa a ingerire l’anti-APTX n. 127.

 

 

Ciao a tutti!!

Prima di tutto, vi ringrazio per aver letto il primo capitolo della mia storia! Spero continuiate a seguirmi =)

Poi, qualche piccola direttiva: la storia è ambientata quando Akai è ancora vivo, ma l’FBI è già a conoscenza del fatto che Kir è in realtà una spia della CIA. Nel corso della fan fiction compariranno praticamente tutti i personaggi principali, quindi non temete, ce n’è per tutti!!=)

La fanfic è stata scritta a settembre, quindi è già pronta sul mio pc.. aggiornerò il prima possibile, non appena lo studio mi lascerà un po’ di tempo per ricontrollare singolarmente i vari capitoli! Tra le fic che ho scritto questa è in assoluto la mia preferita.. quindi, che dire.. spero abbiate la pazienza di seguirmi e di leggere fino alla fine!!

Grazie a tutti! Se avete ancora qualche minuto, mi piacerebbe leggere molto un vostro commento, per sapere il vostro parere sull’inizio!!

A presto, _Flami_

  
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