Nomen
Omen
«Il
nome è
destino»
Qual
è il tuo nome nel buio?
{ Stefano Benni – Achille Piè Veloce }
Heine.
Anche nel buio.
Heine.
Nel buio.
Heine.
Il buio.
***
La
tua vita
è solo un impero di cancri e guarigioni.
Qual è il tuo nome, Heine? Quale era il tuo nome il giorno
in cui sei stato
incatenato alla rabbia?
Una
città
che ruggisce sotto la neve: è un inverno che sembra
perpetuo, un grigiore fatto
di nebbia e rimpianto color lattice.
Se la tua mente non fosse stata plagiata dal vezzo della morte, cane,
sapresti
che sotto questo cielo gli unici odori che regnano sono smog e polvere
da sparo
- non necessariamente in quest'ordine.
Ma i tuoi polmoni grondano sangue, e quello è un odore che
cancella ogni cosa.
E poi ci sono Bado e le sue maledette sigarette, l'aroma di una
rimpianto e di
una sconfitta.
-Ti porteranno nella tomba, prima o poi.
-Sarai tu ad uccidermi, in una di quelle tue maledette sparatorie. Non
le
sigarette.
Il rosso preferisce le siga forti,
perché quella spada acre che gli
spezza il fiato ha più calore di qualunque altro ricordo
sappia portarsi
addosso. E più i suoi polmoni sono torbidi, più
gli sarà concesso sentirsi a
casa sua- come quando la gola guaiva per le sigarette di Dave.
Poi è l'accendino con cui se ne accende una nuova, l'unica
luce che sa
trafiggere l'iride dell'albino nella notte. Fa un freddo porco e il
collare gli
gela il colletto della maglia.
-Tu non crepi di freddo vestito così?
-Io non crepo a priori.
Bado mastica una mezza imprecazione ma ritorna a tacere.
Heine ha detto una menzogna - una delle tante -, e si sente un ratto.
Il loro è un sodalizio fatto di disgrazie e ferite malamente
curate, si stanno
medicando nel modo infantile e orgoglioso dei sopravvissuti. E intanto
aspettano.
Un tram che non arriva più per portare le ossa a casa.
Non fanno nemmeno più male.
***
Il
nome è
qualcosa che hai addosso ed è un cappio sempre pronto a
stringersi intorno alla
gola.
Dal passato, Naoto ha imparato che ricercare continuità
nella vita è
sbagliato e che le assenze fanno più male
dell'inesorabilità dell'essere. Dal
futuro non ha imparato niente, perché sa che futuro
è sinonimo di utopia ed è
l'agonia di un presente che non arriva mai.
La vita di Naoto è una dimenticanza e un tentativo di
ricordare.
Magato una volta le ha detto che saper dimenticare significa salvarsi.
La
verità è che Naoto non dimentica mai nulla, ed
è questo a spaventarla.
-La tua è stata una resurrezione. Ricomincia da
capo e vivi per mordere e
prevalere.
-Solo i cani lo fanno.
-Solo i cani che sono randagi e non hanno un nome, Naoto.
Fu
viscida la sensazione che percorse Naoto –o chi per
me.
***
E
tu,
Giovanni? Tu lo ricordavi, il tuo nome, e piangevi perché
avresti voluto
dimenticarlo.
Faceva male, il nome. E faceva male non essere forte.
Giovanni
ha le costole più scoperte di prima, ma
gli occhi sono sempre gli
stessi.
Se li mostrasse al mondo più spesso, tutti leggerebbero nel
suo sguardo la
febbrile impazienza del cane da caccia, la paura della morte e la
mortificazione dell'essere succube del branco.
Nessuno si aspetta poi grandi cose da lui. Il suo attendere la
grandezza è
un'anticamera di smarrimento che non è certo di poter
attraversare: il suo
ringhiare non è profondo come quello di Heine, non lo
è stato mai.
La sua ferocia era ben lungi da quella di Lily, quando il suo nome non
lo
rammentava ancora.
Giovanni, nel buio, ha saputo solo singhiozzare. E anche nella
luce saprebbe farlo meglio di chiunque altro.
Giovannino non ha mai saputo lavare via la sua
umanità, nemmeno con il
pianto convulso di quell'eternità senza luce.
Perché piangere è il modo che
hanno gli uomini per scorticare il loro orgoglio e rafforzare il cuore,
ma in
un progetto come "Kerberus" quanto più uno è
umano tanto è un peso.
L'umanità è quella roulette russa per cui a Nill
è stata strappata la voce e al
reverendo la vista, se solo Giovanni li conoscesse potrebbe consumare
la sua
frustrazione sulla loro immagine.
L'umanità è la più pesante delle
croci, per un cane.
Ricorda Lily con i contorni sbiaditi e arrabbiati del ricordo, con la
paura e
la rabbia che incuba il cuore del debole.
Ricorda Heine ed è siero quello che gli avvelena il sangue -
qualcuno,
quell'astio che ha sempre addosso, lo chiamerebbe voglia di vivere.
-Tanto non mi aspettavo certo chissà cosa.*
La Fruhling ha sulle labbra il veleno delle tarantole e una voce che
è il
sibilo della vipera. Sono ferite continue quelle che spaccano le labbra
di
Giovanni in una smorfia e fanno l'anima a brandelli.
Il dolore è quel pizzicore sottopelle che balza addosso
all'improvviso e lo fa
sentire schifosamente sbagliato.
Giovannino il piagnucolone, la belva che alimenta a odio e rancore,
più che un
cane è una mantide che lo sta lacerando pezzo per pezzo
dall'interno.
Il suo viso si piega in una smorfia, mentre quella maledetta snocciola
la sua
miseria.
-Ho capito. Rientro immediatamente... Dottoressa.*
Il suo obbedire è una capitolazione dettata dalla mera
passività fedele dei
cani. China il capo e vomita rabbia.
***
Il
dolore di
Bado è nonostante tutto un dolore ordinario, in un mondo
come questo.
Ha perso un fratello, un occhio e la sensibilità alla mano.
Ha un passato di cui si ricorda e che, per dimenticare, rinnega
emulando il
disprezzo.
Heine ha nella schiena la forza sconvolta dell'eroismo.
Ha una memoria appena più spessa del vuoto profondo che
c'è nella mente di
Naoto.
Naoto
ha un solco che le trafigge il seno e le ricorda un passato di cui
non ha memoria.
La sua vita è una nebulosa di odio e futuro: il passato,
quello lei non lo ha
più.
Giovanni è un urlo che si fa latrato.
E l'ultimo respiro prima della disfatta.
---
*Tratto dal manga
Pubblico
il primo capitolo, nato mesi fa, anche se non do la certezza di una
prosecuzione.
Una
fan fiction sul valore del nome e del passato, perché avere
un nome proprio
significa appartenersi. Perché mi chiedo cosa significhi per
Naoto, Heine e
Giovanni aver dovuto ricominciare tutto da zero, con un nome non loro.
Bado
è armato di passato e nome, ma lui finisce nel manicomio per
par condicio. O
forse solo perché Dogs non è Dogs senza la sua
ciminiera personale.
La
velocità della stesura di capitoli successivi, se ci
sarà, potrebbe far invidia
alla lentezza del pennino del nostro Shiro Miwa –anche se a
voi questo non
interessa. Sputatemi negli occhi, adesso. Con tutta la forza con cui
potete
farlo.