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Autore: My Pride    12/12/2011    5 recensioni
«Basta, Miguel», gli intimai, nella speranza che mi ascoltasse davvero. «Non concluderemmo niente se cominciassimo ad attaccarci fra noi»
Sbatté le palpebre per un attimo, catturando il mio sguardo. «Allora richiama i tuoi lupi, chica», mi apostrofò con voce bassa e quasi gutturale. «Se non lo farai, quel che accadrà in seguito sarà solo colpa tua»
Dannazione. Perché si finiva sempre così, con lui?
[ Lewis Ride Point Of View ]
[ Spin off della storia «Under a bloody sky» ]
[ Prima classificata al contest «Poesie&Storie» indetto da Starhunter ]
[ Prima classificata e vincitrice del Premio Giuria al contest «Pillole di ispirazione» indetto da Dolloflotus e valutato da Roro ]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'St. Louis ~ Bloody Nights'
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Nightmare_1
[ Prima classificata al contest «Poesie&Storie» indetto da Starhunter ]
[ Prima classificata e vincitrice del Premio Giuria al contest
«Pillole di ispirazione» indetto da Dolloflotus e valutato da Roro ]


Autore:
My Pride

Titolo: Nightmare in red
Fandom: Originali › Sovrannaturale › Vampiri
Tipologia: One-shot
Pillola di ispirazione scelta: Numero 3 › Le speranze svaniscono di fronte alla mano gelida della morte
Poesia e frase/verso scelti: Lady Macbeth: Atto III, Scena II › Meglio essere ciò che distruggiamo che inseguire con la distruzione una dubbiosa gioia
Personaggi principali: Lewis Ride, Giselle Storr, Nathan Doe, Miguel Rodriguez
Genere: Generale, Vagamente Introspettivo, Drammatico, Vagamente Thriller, Sovrannaturale
Rating: Giallo / Arancione
Nota: Questa storia è uno spin off di Under a bloody sky, è vagamente legato alla doppia one-shot Si Deus me relinquit e fa parte della serie St. Louis ~ Bloody Nights
Avvertimenti: Accenni Femslash, Accenni Slash, Linguaggio a tratti un po’ colorito
Binks Challenge: 51° Ufficio › 35° Saccenza
Prompt: 11° Argomento: Ordine e caos › Disordine


DISCLAIMER:
All rights reserved © I personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura immaginazione. Ogni riferimento a cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente casuale.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.



NIGHTMARE IN RED

    La parte destra del mio viso era completamente imbrattata di sangue.
    Erano da poco passate le due di notte, e dopo essere passata all’Old Passion per un giro di ronda ero anche stata a Mississippi Ave, alla semplice casa di mattoni rossi che dava su Lafayette Park. Non ero entrata nella dimora di Dante e dei suoi seguaci, fortunatamente, e la cosa mi avrebbe fatto di sicuro guadagnare dei punti agli occhi di Nathan e di Giselle, che non avevano fatto altro che ripetermi di fare attenzione e quanto fosse importante la mia vita. In realtà io non la ritenevo tale, ma come spiegarlo ad un paio di licantropi in fase di transizione che avrebbero potuto diventare pelosi da un momento all’altro? Semplice: si lasciava correre. E così avevo fatto io, giacché con quei due avrei sprecato soltanto fiato.
    Sospirai e mi passai una mano sulla guancia, riuscendo solo ad allargare lo sporco. Il sangue di Dominique e Paul, le guardie del corpo di Miguel, si era quasi del tutto raggrumato, e la cosa stranamente mi disgustava. In quanto vampiro non mi aveva mai fatto schifo un po’ di sangue, ma la consapevolezza di aver attaccato briga con i due tirapiedi di Miguel mi metteva in agitazione, forse proprio perché avrei dovuto spiegare cosa mi avesse spinta a farlo al diretto interessato. Non avevo però intenzione di raccontare niente né tanto meno di giustificarmi, quindi quello spagnolo da strapazzo si sarebbe dovuto accontentare solo del mio volto insanguinato e del mio pantalone ormai stracciato come spiegazione, anche se non avrebbe potuto vedere in che condizioni ero.
    Allora perché avevo quasi paura di attraversare quei due isolati che mi separavano dalla casa di Nathan, il posto in cui io e Miguel avevamo cominciato a stazionare dopo il nostro incontro con Dante? Bella domanda, peccato che non avessi una risposta abbastanza razionale. Forse la verità era che, in qualche recesso della mia anima falsamente immortale, avevo paura della furia che avrebbe potuto scatenare Miguel. Era sempre stato un tipo piuttosto pacifico - o almeno all’apparenza -, ma guai a dargli un qualsiasi motivo per farlo incazzare. A quel punto bisognava soltanto pregare che avesse misericordia di te e non ti riducesse a bere sangue dalla cannuccia. Anche se era cieco, Miguel poteva contare sull’esperienza dei secoli, e io non volevo battermi con lui se non ve n’era alcun motivo.
    Fu rincorrendo quei pensieri che mi ritrovai senza rendermene conto dinanzi alla villetta di una certa famiglia Robinson, dove pochi metri più avanti si ergeva l’abitazione di quel sacco di pulci. Se ci fossimo ritrovati in un’altra situazione, magari più piacevole di quella che stavamo vivendo, avrei detto che il fatto che ospitasse due vampiri in casa era alquanto ironico, specialmente se uno dei due aveva strane tendenze anche in campo sessuale. E, nay, io a quei livelli non ci arrivavo nemmeno.
    Dovetti arrendermi all’evidenza quando le gambe mi portarono praticamente alla porta d’ingresso della villetta di Nathan, e sospirando brevemente mi apprestai ad aprirla, giacché il padrone di casa mi aveva insegnato un modo per farlo anche non disponendo di un paio di chiavi. Avevo pure il permesso di oltrepassare quella soglia finché lui stesso non avrebbe deciso di revocarlo, dunque di cosa mi preoccupavo?
    Dall’interno non proveniva alcun suono, ma quando aprii la porta la scena che mi si presentò davanti mi lasciò abbastanza basita: Nathan si trovava a cavalcioni sulle gambe di Miguel, le mani artigliate alla gola come in procinto di strangolarlo, e in viso un’espressione così rabbiosa che deturpò i bei lineamenti del suo viso. Invece Miguel, per quanto apparisse sorpreso quanto me da quella situazione, aveva tutta l’aria di non dispiacersi poi così tanto della svolta che avevano preso gli eventi. Dopo tutti quei secoli mi risultava ancora bizzarro il modo in cui quel tipo riusciva a stupirmi, davvero.
    Quando quel sacco di pulci fu sul punto di squarciargli la gola, esclamai «Nathan!» senza essermi realmente resa conto di averlo fatto, e fu solo in quel momento che quei due si accorsero finalmente della mia presenza.
    Una calda risata fece eco ad un ringhio sommesso, e non ci sarebbe voluto un genio per capire chi avesse dato vita a cosa. «Tranquila, chica, io e il tuo amico peloso stavamo solo discutendo», esordì Miguel con voce innaturalmente ferma e pacata, specialmente se si teneva conto delle grosse mani che avrebbero potuto sfondargli la gola in men che non si dica.
    «Io non lo chiamerei discutere, quello», ribattei nervosa, distogliendo lo sguardo dal suo viso per osservare quello di Nathan. «E tu lascialo», gli intimai, ma i suoi occhi dorati mi fulminarono all’istante, dandomi la netta impressione che fosse stato quasi completamente divorato dalla sua bestia. Quanto mancava alla luna piena?
    Miguel rise di nuovo e si liberò facilmente delle mani di Nathan, senza dover far ricorso né a trucchi, né ad illusioni: fu semplicemente forza bruta allo stato puro, forza che fu capace di far capitolare a terra quel licantropo in fase di transizione. Senza guardarmi, anche perché se l’avesse fatto non avrebbe potuto vedermi comunque, Miguel accennò un sorriso in cui rivelò la punta scintillante delle zanne, roteando di poco la testa in direzione della mia voce. «Lo siento, chica, sono muy... mortificato», disse in tono di scherno, giacché tutto sembrava tranne che mortificato da quanto era successo. Che avesse un lato masochista lo sapevo, ma che arrivasse fino a quel punto lo avevo sempre ignorato.
    Decisi dunque di lasciar perdere e mi diressi verso Nathan, cosicché potessi aiutarlo ad alzarsi. In un primo momento mi soffiò contro come un gatto, poi si abbandonò mogio contro le mie braccia facendo leva con i piedi per facilitarmi la cosa, visto che mi superava di parecchi centimetri buoni con il suo sicuro metro e ottanta. «Va’ a distenderti, Nathan, a quello lì ci penso io, adesso», gli sussurrai, sebbene sapessi che anche il diretto interessato avrebbe potuto sentirmi benissimo. Ma che cosa importava, in fondo?
    Quello scemo di Nathan, però, scosse la testa. «Non ti lascio da sola con quel succhiasangue, Lewis», ribatté con voce gutturale, simbolo che la sua parte animale dimorava ancora in qualche angolo della sua personalità.
    «Non ho bisogno della balia, sacco di pulci, quindi vedi di starmi a sentire», sbottai, e gli avrei anche dato un bel paio di ceffoni se non avessi avuto il sentore che avrebbe potuto rivoltarsi anche contro di me, in quel momento. «So come trattare Miguel da prima ancora che tu lo conoscessi, quindi vedi di calmarti».
    «Ma...» tentò di replicare, però io lo interruppi con un brusco gesto della mano.
    «Niente ma, Nathan. L’ultima cosa di cui ho bisogno è un licantropo pronto a fare a botte».
    «Tranquilo, amigo, non torcerò un capello a questa bella senõrita», si intromise sarcasticamente Miguel, riuscendo solo a far infuriare nuovamente Nathan, e dovetti difatti afferrarlo per le spalle per impedirgli di balzargli al collo ancora una volta. Che tra quei due non corresse buon sangue l’avevo intuito sin dal primo incontro, ma non poteva essere solo quello il motivo. Conoscendo Miguel, però, la colpa era di sicuro sua.
    «Chiudi quella boccaccia, Miguel», sbottai, rinserrando la presa sulle spalle di Nathan prima di afferrargli un polso e rivolgermi ancora una volta a lui. «Vai di là, Nathan, e non preoccuparti. Anche se è uno stronzo, Miguel sa essere un vero gentiluomo, quando vuole». E in fin dei conti era vero, vista la vasta varietà di amanti - uomini o donne che fossero - che aveva avuto in quei lunghi secoli e che aveva sempre trattato con i guanti. Me inclusa. «Se ci sentisse litigare, Giselle potrebbe svegliarsi. E sai meglio di me quanto diventa irascibile quando succede».
    Forse mettere in mezzo sua cugina servì davvero a qualcosa, poiché Nathan si ritrovò a rilassare un po’ i muscoli delle spalle e a trarre un sospiro, non prima però di aver lanciato un’altra occhiata in direzione di Miguel, come se volesse tenerlo sott’occhio per far sì che non facesse scherzi. Alla fine si arrese ed annuì, ritirandosi come gli era stato detto non appena gli mollai il polso. A me non restò altro da fare che dirigermi a grandi passi verso Miguel, squadrandolo attentamente dall’alto in basso giacché non aveva minimamente pensato ad alzarsi. E perché mai avrebbe dovuto farlo, in fondo?
    «Odori di sangue, chica», costatò d’un tratto, inspirando a fondo. «Sangue di lupo».
    Per un momento sussultai, dimentica di avere ancora il viso sporco. Visto che Nathan, troppo preso dalla furia che chissà in che modo aveva scatenato in lui Miguel, non mi aveva minimamente guardata in volto con attenzione né tanto meno era sembrato essersi accorto dell’odore che emanavo, di conseguenza me l’ero dimenticato anch’io. Che errore stupido. Con la s maiuscola. «E tu sei uno stronzo attaccabrighe», ribattei, nonostante non c’entrasse assolutamente niente con ciò che lui aveva appena detto. «Si può sapere cosa stava succedendo e che diavolo hai fatto?»
    «Te lo dirò solo dopo che mi avrai raccontato cosa hai fatto tu questa notte, chica».
    «Niente scherzi, Miguel», rimbrottai. «Parla».
    Scrollò di poco le spalle. «Perro labrador poco morderor [1], chica».
    A quel suo dire inarcai un sopracciglio, guardandolo con aria scettica. «Un modo come un altro per dirmi “Io non c’entro niente”?»
     I suoi occhi ciechi scintillarono di pura ironia. «Se vogliamo metterla in questi termini, chica, è esattamente ciò che voglio dire».
     «Non me la dai a bere, Miguel. Ti avrei creduto molto di più se mi avessi detto che hai provato a scopartelo».
    Rise, una risata gorgogliante e fresca come un limpido ruscello, ma che fu quasi capace di farmi accapponare la pelle. Un vampiro che riusciva a far provare una sensazione simile ad un altro vampiro era decisamente pericoloso. «Suvvia, chica, per che hombre mi hai preso?»
    «Ne saresti capacissimo, non mentire», risposi, e il nuovo sorriso che mi rivolse fu più eloquente di mille parole. Forse uno dei tanti motivi dell’arrabbiatura di Nathan era stato proprio quello, chi poteva dirlo. Il fatto che odiasse Miguel, poi, incrementava i guai e non risolveva di certo le cose.
    Miguel finalmente si alzò, ergendosi in tutta la sua eleganza dinanzi ai miei occhi, lasciando così che godessi del suo fisico asciutto esattamente come facevo secoli addietro. Sebbene a quei tempi indossasse abiti di pizzo e broccato che su di lui apparivano tutt’altro che ridicoli, dovevo purtroppo ammettere che anche in jeans neri e felpa faceva la sua bella figura. Alzò una mano per cercare il mio volto, sfiorando appena con due dita il sangue raggrumato sulla guancia prima di portarsi quelle stesse dita alle labbra, leccandosi i polpastrelli. Il suo gesto apparve così inconsapevolmente erotico da farmi correre un brivido lungo la schiena, poiché non potevo mentire a me stessa: per quanto mi ripetessi che tra me e lui fosse tutto finito, il suo corpo mi tentava ancora. E pensare che non era nemmeno passato molto tempo da quando Giselle aveva detto di amarmi e io avevo candidamente affermato che Miguel fosse storia vecchia. Com’ero contraddittoria, certe volte.
    «Questo è il sangue di Dominique, chica», mi riscosse la sua voce sensuale, bassa e carica di tensione. «Cosa hai fatto ai miei lupi?»
    Oh, merda. Anche se con l’olfatto aveva intuito che l’odore che emanavo era sangue di lupo, aveva dovuto assaggiarlo per capire realmente a chi appartenesse. Da quanto tempo non si nutriva come avrebbe dovuto? Ma non era quello il mio problema principale, adesso. «Non li ho uccisi, se è questo ciò che credi», lo informai, e un vago sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra sottili. A quanto sembrava ci teneva davvero, a loro. «Ma ho dovuto discutere con loro per avere un po’ di informazioni dalla clientela».
    «E che bisogno c’era di attaccarli?» domandò freddamente, indurendo ogni lineamento del suo volto. Ai miei occhi apparve come una statua di marmo, una statua collerica che avrebbe potuto ridurmi in briciole se solo avesse voluto.
    Non ero io, però, ad essere nella parte del torto, diamine! «Guarda che neanche io ne sono uscita illesa», ci tenni a precisare in tono ironico, «e sappi che non abbiamo fatto ricordo a nessun potere sovrannaturale. E’ stata solo una sana scazzottata tra vecchi amici». Non era andata proprio così, ma la verità ci si avvicinava abbastanza. «Alla fine abbiamo trovato un accordo e ognuno ha ripreso il proprio lavoro».
     «Ciò non spiega perché tu sia andata nel mio Night Club, chica».
     «Mi è forse vietato andare all’Old Passion per fare due chiacchiere, adesso?»
    «Sei ancora convinta che io ti stia nascondendo qualcosa nonostante abbia accettato di aiutarti... non è forse così, chica?» mi chiese in tono basso e pacato, squadrandomi con così tanta attenzione che quasi trasalii nel vedere l’ombra di qualcosa di spaventoso passare nei suoi occhi d’un pallido azzurro cieco. Cos’era quell’ansia che mi aveva assalita così d’improvviso?
    Mi venne spontaneo indietreggiare, ristabilendo così le distanze tra me e lui. Era sempre meglio che stargli appiccicata con il timore che potesse fare qualche mossa avventata. «Finora non mi hai mai dato ragione di credere il contrario, Miguel», rimbeccai, «e una buona fetta della tua clientela non è composta solo da malfattori, ma anche da poliziotti. Manipolare la loro mente da ubriachi è molto più facile di quanto non sembri».
    «Il mio Night è aperto a chiunque voglia divertirsi, chica», precisò con voce piatta e una calma immane, specialmente se si teneva conto del fatto che lo stessi apertamente accusando. «Non mi sembra che sia vietato».
    «Ma tenersi per sé dettagli importanti è intralcio alla giustizia».
    In un gesto lento e distratto si portò una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie con due dita e apparendo più vulnerabile e umano di quanto non fosse. «Por favor, chica, sono stanco di questa tua insistenza», disse. «Ti ho detto per ben due volte di non impicciarti in questa storia, mi sembra. Tutto questo non farà altro che portarti alla tomba», sospirò pesantemente. «Vive cada día como si fuera el último [2], si dice dalle mie parti, ma tu stai prendendo queste parole troppo alla lettera». La sua voce suonò così addolorata che quasi parve stonare con l’aria solitamente divertita che avevo imparato a vedergli in viso. «Non voglio che ti succeda qualcosa solo perché vuoi giocare ad essere la paladina degli umani, mi corazòn».
    Feci per aprire bocca ma mi interruppi, forse perché erano secoli che non mi chiamava più in quel modo. Era passato tanto di quel tempo da quando mi aveva accolta e mi aveva iniziata a tutto il male del mondo, che il sentire quel soprannome uscire dalle sue belle labbra quasi riuscì a calmarmi. Però scossi la testa, rabbiosa: non dovevo farmi abbindolare come un tempo. «Anche se per te sembrerà stupido, è sempre meglio essere ciò che distruggiamo che inseguire con la distruzione una dubbiosa gioia [3], Miguel».
    «Dunque è così che vuoi che vada, chica?» mi chiese ancora. «Vuoi lasciarti alle spalle secoli di vita per cercare di salvare almeno un pezzetto della tua anima?» La risata che gli scappò fu amara e aspra, tagliente come vetro spezzato. «Oh, chica, riesci ancora a divertirmi!»
    Fremevo di nervosismo, ma prendermela con lui a cosa sarebbe servito? In fin dei conti aveva ragione: forse mi ero attaccata così tanto a quel caso nella vana speranza che con quella buona azione mi sarei guadagnata un posto lassù, al fianco di quel Dio che secoli addietro mi aveva lasciata al mio destino. Però io non volevo che fosse così, dannazione. Io e l’Onnipotente avevamo ancora un affare in sospeso.
    Trassi un profondo respiro, socchiudendo di poco gli occhi prima di puntarli ancora una volta in quelli pallidi di Miguel. «Se la cosa ti fa tanto ridere, perché mai hai accettato di aiutarci?»
    Le sue risate si spensero come se non fossero mai cominciate, e fu sfiorandomi appena una spalla che mi sorpassò, iniziando a camminare nel soggiorno con una tale fluidità che sembrò quasi che ci vedesse. Toccò qualsiasi cosa, dalle cianfrusaglie sparse in ogni dove ai mobili stessi, e io supposi che si stesse orientando per capire con precisione in che punto si trovasse. «Se ho preso questa decisione, chica, è perché contrariamente a quanto tu creda ci tengo ancora, a te».
    «E saresti pronto anche a morire?»
    A quel mio dire si voltò e sorrise al vuoto. «Non chiedermi troppo, chica».
    Avrei dovuto immaginarlo. Avrei anche risposto a tono se qualcuno non mi avesse anticipata con voce rabbiosa, esordendo con un «Che razza di vampiro saresti, tu?» prima di avanzare a grandi falcate nella nostra direzione. Nathan era tornato - senza starmi minimamente a sentire, tra l’altro - e sembrava avvolto da una vampata di calore che quasi fu capace di farmi socchiudere gli occhi. La luna stava cominciando ad avere la meglio sulla sua bestia, a quanto sembrava. Al suo seguito vidi anche Giselle ed imprecai a denti stretti, volgendo lo sguardo su Miguel per controllare le sue reazioni. Sembrava tranquillo, forse anche troppo, come se il trovarsi in casa di due licantropi pronti a trasformarsi non lo preoccupasse minimamente. Beh, forse avrebbe dovuto cominciare a farlo.
    Con la solita tranquillità di cui disponeva fece qualche passo verso di loro, fissandoli con quei suoi occhi freddi e ciechi. E mentre lo faceva, sorridendo compiaciuto come un gatto che si era appena mangiato un topo, capii le sue reali intenzioni: non avrebbe permesso che fossero loro ad attaccare per primi, ma li avrebbe soggiogati e poi costretti al proprio volere, annullando al tempo stesso le loro personalità e i loro pensieri. Mi frapposi dunque fra loro per impedirlo, allargando le braccia e guardando attentamente Miguel in viso. «Basta, Miguel», gli intimai, nella speranza che mi ascoltasse davvero. «Non concluderemmo niente se cominciassimo ad attaccarci fra noi».
    Sbatté le palpebre per un attimo, catturando il mio sguardo. «Allora richiama i tuoi lupi, chica», mi apostrofò con voce bassa e quasi gutturale. «Se non lo farai, quel che accadrà in seguito sarà solo colpa tua».
    Dannazione. Perché si finiva sempre così, con lui? «Loro non sono i miei lupi, Miguel. Non mi appartengono», replicai, distogliendo gli occhi solo di poco per fulminare gli altri due. «Quindi vediamo di darci una calmata, d’accordo?» soggiunsi, e nel dir questo mi riferri specialmente a Nathan. Giselle difatti, sebbene avesse quasi drizzato letteralmente le orecchie, era ancora troppo addormentata per capire cosa fosse realmente successo. Quella situazione si stava trasformando in un fottutissimo incubo.
    «Se vuoi davvero che mi calmi accompagnami alla mia dimora, chica».
    «Non se ne parla nemmeno», si intromise Nathan. E tanti cari saluti al mio “State calmi”. «Lei resta qui, succhiasangue».
    Fu impressionante riuscire a vedere la velocità con cui Miguel stornò lo sguardo verso di lui per fissarlo in viso con i suoi occhi ciechi. «Qualcuno ha chiesto il tuo parere, lupo?»
    «Il mio nome è Nathan, succhiasangue».
    «Va bene, ragazzi, time out», li fermai immediatamente, sentendo la tensione salire come mercurio in un termometro. «Miguel vuole solo controllare come stanno i suoi lupi, Nathan. Non è così, Miguel?» Non mi importava se in realtà non era vero, però in quel momento una scusa valeva l’altra. E poi magari avevo avuto ragione, chi poteva dirlo. In fin dei conti Miguel era sembrato realmente preoccupato per loro.
    Nel sentirmi, Miguel cambiò espressione in un lampo, quasi si fosse appena tolto una maschera. L’aria seria che gli si era dipinta in volto lasciò spazio ad un piccolo sorriso, prima che con un gesto aggraziato della mano indicasse a tutti noi l’uscita. Come riusciva a farlo, essendo cieco, per me era ancora un mistero. «Andiamo, chica?»
    Alzai appena lo sguardo al soffitto. A quanto sembrava aveva deciso lui per noi: prossima destinazione, Old Passion.


    Il Night Club di Miguel era il più frequentato di tutta St. Louis.
    Pur lavorandoci soltanto esseri umani - escludendo ovviamente Dominique e Paul, le guardie del corpo di Miguel -, l’atmosfera che si respirava al suo interno era così tetra e soffocante da somigliare ad una vecchia cripta ammuffita. Nonostante tutto, però, la clientela non mancava mai. Se fosse per l’arredamento o la possibilità di realizzare i propri sogni proibiti era ancora un mistero, per me. Quel che era certo, era che nel suo regno Miguel appariva molto più rilassato di quanto non lo fosse stato fino a quel momento a casa di Nathan.
    Dopo aver appurato che le sue guardie del corpo non avevano subito lesioni gravi, difatti, si era accomodato su una delle poltrone di pelle nera presenti nel suo ufficio e ci aveva invitati a fare lo stesso - lasciando fortunatamente che mi lavassi prima il viso -, sorridendo cordiale come il miglior padrone di casa. Per quanto potesse fingere, però, le sue intenzioni erano chiare come il sole: era pronto a dichiarar battaglia non appena ne fosse stata richiesta l’occasione.
    Ci osservò per un lungo istante, quasi fosse stato in grado di vedere le espressioni sui nostri volti e la tensione che si era impossessata delle nostre membra. Anche se non poteva farlo, però, ero più che certa che potesse benissimo fiutare l’ansia che aveva attanagliato non solo l’animo di Nathan e di Giselle, ma anche il mio. Era tutto troppo tranquillo, persino la musica nel locale sembrava essere scemata per lasciar spazio a quella quiete quasi irreale, come se da un momento all’altro essa potesse scoppiare come una bolla di sapone. Perché mai Miguel aveva insistito affinché ci radunassimo nel suo Night Club? Che fosse solo perché lì si sentiva più al sicuro era da escludere, conoscendolo. Sotto doveva per forza esserci qualcos’altro. Ma cosa? In certi momenti restare all’oscuro delle cose era la soluzione migliore.
    Giacché nessuno si era ancora deciso ad aprir bocca, come al solito toccò a me rompere il silenzio che si era creato. «Siamo qui, Miguel, esattamente come hai richiesto», esordii pacata. «Adesso potresti dirci che cazzo succede?»
    «Un tempo eri meno volgare, chica», ribatté distratto, carezzando il bracciolo della poltrona come se si trattasse di un gatto. «Ma non siamo certo qui per discutere di questo, vero?» soggiunse in tono sarcastico, quasi mi avesse letto nel pensiero. «Voglio sapere precisamente con chi hai parlato, stanotte».
    «E che bisogno c’era di portarci nel tuo covo, succhiasangue?» domandò in mia vece Nathan, agitandosi sulla propria poltrona. Non gli saltò al collo solo perché ci pensò Giselle a trattenerlo, e di questo gliene fui grata. Volevo evitare uno scontro, se potevo.
    «Cerchiamo di stare calmi, per favore», esortai, ed entrambi avrebbero dovuto ascoltarmi, questa volta. Sapevano fin troppo bene che non sprecavo quasi mai un “Per favore” se non ce n’era strettamente bisogno.
    Miguel e Nathan si guardarono letteralmente in cagnesco prima di decidere di stabilire una tregua, facilitando così il compito. Non avrei davvero saputo cosa fare se si fosse presentata l’eventualità di uno scontro tra loro due.
    «Adesso credo che possa dirci il vero motivo per cui ci voleva qui, signor Rodríguez», disse Giselle, guardandolo attentamente negli occhi. E per quanto fossi sicura che lui non potesse vederla a sua volta, ero certa che sapesse esattamente che espressione avesse assunto il suo volto.
    Difatti sorrise brevemente, adagiandosi contro lo schienale della poltrona in un gesto falsamente umano e stanco. Invidiavo la sua capacità di apparire indifeso, certe volte. E c’era da dire che lui non lo era quasi per niente. «La lupa ha più intuito di quanto credessi», ridacchiò, ignorando la protesta a cui diede prontamente voce Nathan quando sentì il modo in cui aveva chiamato la cugina. Miguel volse invece lo sguardo verso di me, e nei suoi occhi pallidi sembrò dardeggiare un sentimento simile alla paura. Miguel spaventato? Oh, cazzo. «Dante vuole la nostra testa, chica», mi informò, e a quel suo dire non potei fare a meno di sgranare gli occhi, esterrefatta. Incredula e scombussolata, prima ancora che potessi formulare un pensiero coerente Miguel continuò, «La visita alla sua dimora e ciò che è successo gli hanno dato il pretesto per richiedere l’esecuzione. Siamo tutti condannati a morte».
    Aveva pronunciato quelle parole senza che il sorriso sulle sue labbra si appassisse, ma sapevo che non aveva potuto prenderla così bene. A meno che non stesse cominciando ad impazzire alla pari dei più antichi della nostra razza, Miguel non avrebbe mai venduto la sua pellaccia senza lottare. E io nemmeno.
    «Che motivo ha questo Dante di toglierci dai piedi?» chiese ancora Giselle, umettandosi le labbra. La bestia palpitava dietro i suoi occhi dorati, desiderosa di liberarsi. «Di cosa ha paura?»
    Per la prima volta da quando si erano conosciuti, Miguel la guardò come se fosse appartenuta alla nostra stessa specie: con venerazione. «Sappiamo qualcosa che lui non vuole venga a galla», rispose seriamente, lasciando che il suo accento spagnolo trasparisse ad ogni parola pronunciata. «Però il punto è proprio quello: che cosa sappiamo?»
    «Ci siamo infilati in un fottuto guaio», grugnì Nathan, e non potei fare a meno di dargli ragione. Diamine, qual era il significato di quel gioco a cui avevamo preso parte? Non lo sapevo, però ero certa che venirne a conoscenza avrebbe preteso un sacrificio non indifferente.
    In quello stesso istante entrò una delle guardie del corpo di Miguel, e noi tutti ci voltammo per osservare la sua mole. I morsi sul collo erano recenti e non erano di sicuro miei. Miguel si nutriva forse di lui e anche del gemello, oltre ad usarli come guardie del corpo e lupi da compagnia? A quanto sembrava era esattamente così. Ci degnò appena di un’occhiata prima di avvicinarsi al suo capo, chinandosi a mezzobusto per sussurrargli qualcosa all’orecchio in una lingua che non avevo mai udito. Un altro idioma europeo, forse? Più che probabile.
    Quando terminò, Miguel annuì e lui raddrizzò la schiena, voltandosi per adocchiare me. E quel suo sguardo non mi piacque affatto. «Paul ti ringrazia sentitamente per l’avergli quasi spezzato il braccio, senõrita», ringhiò, con voce quasi per niente umana. Och, vero. Avevo dimenticato che la luna influiva anche su di lui e sul suo gemello.
    «Digli che è stato un vero piacere», lo sfidai, ricevendo quella che sembrò un’occhiataccia da Miguel e sentendo un suono simile ad un grugnito risalire dal fondo della gola del lupo. Certo che ero proprio brava a far incazzare i licantropi, quella notte.
    «Glielo dirai tu quando ti avrò portata da lui per una ripassata, femmina».
    «Lei non si tocca, Dominique. Mai», sibilò Miguel in tono rabbioso. «Vai piuttosto a fare ciò per cui ti pago».
    Sebbene si stesse trattenendo dal farmi a pezzi, Dominique digrignò i denti ma scattò sull’attenti come un vero soldato. «Come vuole, senõr», disse sprezzante, gettandomi un’occhiata di puro odio. E pensare che lui e il gemello mi avevano anche detto che non alzavano le mani sulle donne! Beh, sembrava proprio che avessero cambiato idea. C’era però da dire che anch’io me l’ero andata a cercare. «Con il vostro permesso», ironizzò poi rivolto a noi, dedicando un’occhiata particolare a Giselle prima di sparire. E, nay, la cosa non mi piacque per niente. Avevo imparato fin troppo bene che quando i licantropi maschi guardavano una femmina in quel modo voleva significare soltanto una cosa: sesso. E io avrei preferito marcare Giselle come mia piuttosto che lasciarla fra le grinfie di quell’energumeno.
    «Vedo che neanche i tuoi scagnozzi hanno poi tutta questa gran voglia di seguirti, succhiasangue», esordì Nathan, risvegliandomi al tempo stesso dai miei pensieri. Volsi lo sguardo verso di lui, vedendolo con un sorrisetto sardonico dipinto in volto. L’espressione di Miguel, invece, era di puro e semplice odio.
    «Non ti permetto di parlarmi in questo modo, lupo», replicò lui, e un ringhio sommesso si levò ben presto dalla gola di uno dei due. Fu difficile capire da chi, ma ciò che accadde in seguito fu così rapido che né io né Giselle riuscimmo ad intervenire: ormai al culmine di quella tensione che si era accumulata dentro di lui, Nathan aveva infranto quella maschera sorridente che indossava di continuo e si era gettato contro Miguel, che aveva a sua volta contrattaccato avvertendo probabilmente lo spostamento d’aria. Sebbene si fosse trovato disorientato quanto noi dalla velocità dimostrata da Nathan, Miguel era riuscito a parare il suo primo colpo, alzando in tempo un braccio per bloccare gli artigli che miravano al suo cuore. Noi vampiri guarivamo in fretta, certo, ma senza il cuore eravamo carne morta.
    «Nathan, basta!» Giselle tentò di richiamare il cugino, ma lui sembrò non volerne sapere; con la dentatura umana ormai trasformata in zanne acuminate, aveva affondato le fauci nel braccio destro di Miguel, facendo sì che il sangue spruzzasse sul viso e sul pavimento, inzuppando anche i vestiti di entrambi. Miguel sibilò e gli soffiò contro come un gatto, afferrandolo per i capelli per strattonarlo via con forza, fregandosene altamente dei canini conficcati nella sua carne. Sembravano entrambi intenzionati ad avere la meglio sull’altro, e questo non volgeva a nostro favore. Non ci sarebbe stato più niente per cui combattere se si fossero ammazzati a vicenda. Ogni speranza di vittoria contro Dante sarebbe sparita nel momento esatto in cui uno dei due sarebbe morto, e non ci sarebbe stato più niente da fare: la morte avrebbe in seguito afferrato anche i sopravvissuti con le sue gelide mani 
[4].
    Miguel allontanò Nathan dal suo braccio con un grido strozzato, e brandelli di pelle e tessuto si sparpagliarono sul pavimento e sulla moquette, impregnandola di altro sangue. Tenendosi una mano sul braccio ferito, poi, lui obnubilò le nostre menti e sparì alla nostra vista, lanciando un lamento rabbioso. Le polle dorate di Nathan scrutarono l’ufficio senza perdere d’occhio nessun anfratto, e le zanne scoperte, ormai tinte di rosso, sembrarono palpitare fra le sue labbra.
    Serrai i pugni lungo i fianchi, dandomi della stupida per non essere riuscita a fermare prima quella situazione. Feci poi per avvicinarmi a Nathan, così da dargli una bella lezione, ma Giselle mi precedette: gli fu accanto con due sole falcate, e il sonoro schioccare di uno schiaffo risuonò come un colpo di fucile in quella stanza chiusa. «Razza di... deficiente!» esclamò, guardandolo furente. Nathan dilatò gli occhi e si portò una mano alla guancia schiaffeggiata, ma Giselle gli bloccò ogni replica sul nascere, continuando, «Che diavolo ti è saltato in mente?! Non dovevi attaccarlo!»
    Con quelle zanne da lupo e quelle labbra sporche di sangue, Nathan appariva mostruoso nonostante l’espressione sconcertata e fortemente umana che gli si era dipinta in viso. E forse era proprio per quel motivo che risultava terrificante. «Miguel è vendicativo, Nathan», mi intromisi in tono serio, guardandolo con attenzione. «Se lo conosco bene, non te la lascerà passare liscia».
    Nathan indietreggiò dalla cugina e si leccò il labbro superiore, guardandomi. «Che faccia quel che vuole, quel vampiro», esordì sprezzante, sputando il sangue sulla tappezzeria. «Non ho paura di quel succhiasangue».
    «E invece dovresti», lo misi in guardia. Conoscevo Miguel da troppo tempo per credere che non gli facesse del male dopo ciò che Nathan aveva fatto. «Miguel non perdona, e tu hai fatto una cosa tremendamente stupida».
    «Non voglio repliche da una che se lo scopava», replicò duramente, e, nonostante il trasalimento iniziale, io accusai il colpo. Dopo seicento anni non potevo prendermela per una cosa del genere. Sentire però quelle parole uscire dalla bocca di Nathan, per quanto egli fosse influenzato dalla sua bestia, faceva male. Era un dolore sopportabile, certo, ma faceva male. E cos’era poi quell’aria quasi ferita che gli leggevo in viso? Avrei dovuto essere io quella ferita, non lui.
Nathan cominciò a camminare per l’ufficio a braccia spalancate, calpestando volutamente le gocce di sangue e la pelle sul pavimento, le zanne ben in mostra come pronto alla battaglia. «Cosa fai, succhiasangue, ti nascondi?» urlò al nulla, ignorando le nostre raccomandazioni e il nostro dirgli di star zitto. «Hai paura che il lupo possa farti male? Vieni fuori, codardo!»
    Continuò con quella tiritera senza che noi potessimo fare niente per zittirlo, sebbene avessimo pensato stupidamente di stordirlo per far sì che almeno l’influsso della luna scemasse un po’; però non facemmo niente di tutto questo, forse anche perché non sarebbe servito ad un granché.
    Fu però quando Nathan ricominciò ad inveirgli contro con voce tonante che mi accorsi dell’ombra alle sue spalle, e non feci in tempo ad aprir bocca e ad avvisarlo che Miguel si materializzò dietro di lui, cingendogli i fianchi con entrambe le braccia per impedirgli di muoversi o scappare. Il suo volto era una maschera scarna e terrificante, e i suoi occhi, di solito d’un azzurro pallido come il cielo d’autunno, erano ormai ridotti a due vacui oblii, giacché la pupilla aveva ormai inghiottito l’iride e la cornea. L’avevo visto così soltanto una volta, e la consapevolezza di ciò che aveva intenzione di fare mi colpì come una secchiata d’acqua fredda. «Miguel, no!» esclamai, correndo nella loro direzione per tenare di fermarlo.
    Nathan imprecava e scalciava per liberarsi, ma la morsa di Miguel era come quella di una statua di marmo. Una statua pronta ad uccidere. Reclinò la testa all’indietro e snudò oscenamente le zanne, pronto ad affondarle nel collo di Nathan e a prosciugarlo fino all’ultima goccia di sangue. Mi gettai su di lui per impedirglielo, e rotolammo insieme sulla moquette del suo ufficio in un groviglio di stoffa ridotta a brandelli e imprecazioni. Inchiodai Miguel al pavimento con entrambe le braccia, tentando in qualche modo di bloccarlo, ma lui ribaltò la situazione con un colpo di reni, ritrovandosi sopra di me a zanne scoperte.
    Mi alitò in faccia e io socchiusi gli occhi, quasi trattenendo il respiro mentre sentivo la tensione serpeggiare in tutta la stanza. «Perché lo proteggi, chica?» mi chiese Miguel con voce gutturale, serrandomi la gola con una mano. L’odore di sangue che emanava il suo intero corpo era così forte da farmi venire un capogiro. «Cosa ti spinge a schierarti dalla sua parte anziché dalla mia?»
    Mossi appena le labbra e tentai di guardarlo attraverso l’orlo delle ciglia, afferrandogli la mano con cui mi tratteneva per tentare di allontanarla, volgendo al tempo stesso lo sguardo in direzione di Nathan. Era a terra, ma almeno sembrava che ci fosse Giselle a prendersi cura di lui. Tornai dunque a fissare Miguel, stavolta aprendo del tutto gli occhi. «Non sa come funzionano le cose», riuscii a sussurrare. «E’ come un bambino, Miguel. Non capisce il nostro mondo».
    «E cosa ti aspetti che faccia, chica? Vuoi forse che lo perdoni?»
    Sarebbe un’idea, mi ritrovai a pensare, e se ero in vena di sarcasmo voleva significare che in fin dei conti stavo alla grande. A parte delle dita d’acciaio a stringermi il collo, ovvio. «Ti prego», lo implorai, e forse fu proprio per quel motivo che lo vidi accigliarsi, giacché era raro che pronunciassi quelle parole.
    Mi lasciò andare con la stessa velocità con cui mi aveva afferrato, rimettendosi in piedi prima di offrirmi una mano. La osservai con fare guardingo, massaggiandomi il collo con i polpastrelli di due dita e scoccandogli un’occhiataccia. Però l’afferrai, stufa di tutta quella storia.
    «Se vuoi che lo perdoni, chica, pretendo che tu mi paghi un tributo». Le sue parole mi raggelarono all’istante, e sgranai gli occhi prima di boccheggiare. Che diavolo voleva dire, adesso, con quella specie di ordine? Avrei per caso dovuto pagare io per le colpe di Nathan per evitare che lui venisse massacrato? Oh, diamine.
    Umettandomi le labbra, sbottai, «Se è del sesso, scordatelo».
    Quella mia rimostranza riuscì a strappargli una risata che riportò, almeno in parte, sul suo viso quella sua solita espressione tranquilla. «Il sangue va ripagato con il sangue, chica. Se ben ricordi, è stata una delle prime cose che ti insegnai».
    Il sangue va ripagato con il sangue. Avevo del tutto dimenticato questo suo insegnamento, e non sapevo dire se fosse peggio il sentirlo attaccato alla mia vena come se si fosse trattato del mio seno, oppure avvertire la sua presenza invadente nella mia intimità. Sesso o sangue, dunque? Avrei preferito nessuno dei due.
    Sospirai pesantemente e serrai le palpebre per qualche secondo, alzandole poi per guardare Miguel in viso. «Fai uscire Nathan e Giselle sani e salvi da qui», contrattai. «Non voglio che assistano».
    Fece un cenno galante con il capo. «Come desideri, chica».
    Ottenuto il suo consenso mi voltai verso di loro, guardandoli con la fronte vagamente corrugata dalla preoccupazione. «Aspettatemi fuori», dissi poi. «Arrivo subito».
    Si gettarono delle occhiate veloci e, mentre aiutava il cugino ad alzarsi, Giselle chiese, «Cosa vuoi fare?» La sua voce trapelava una piccola nota isterica. Non essendo abituata al lato sovrannaturale della sua vita, era più che normale che adesso avesse paura di ciò che sarebbe potuto accadermi, sebbene non lo desse a vedere in pieno.
    Provai a sorriderle, così da rassicurarla. E, diamine, mi sentii così falsa! «Porta Nathan fuori di qui, Giselle. Non mi succederà niente, sul serio».
    «Lewis», mi chiamò sottovoce, anche se ben udibile da tutti i presenti. Sembrava quasi che volesse convincermi ad andarmene con loro, ma non avevo intenzione di lasciare le cose in quel modo e di rischiare di inimicarmi anche Miguel. Mi bastava già uno stronzo in tutta quella faccenda.
    «Porta Nathan fuori di qui», ripetei insistente, e riuscii a farla muovere di lì solo perché alla fine capì che restare avrebbe soltanto complicato le cose. Una tipa davvero sveglia.
    Non appena uscirono mi ritrovai ad alzarmi la manica della maglietta, sentendo le dita di Miguel carezzare dolcemente la pelle una volta trovato il polso. Si chinò per ispirarne l’odore ma non mi morse, leccando appena la vena pulsante senza lacerare la carne. «Il collo, chica», sussurrò, ma io scossi il capo energicamente, dimentica che non poteva vedermi. Lui però parve accorgersene lo stesso, perché drizzò la testa e mi guardò con la fronte aggrottata. «Non costringermi a farlo con la forza, chica. Il collo».
    Mi sarei pentita per tutti i secoli che mi sarebbero passati davanti, per quella scelta, ma non potevo fare altrimenti; erano successe troppe cose, quella notte, e io volevo soltanto andare a riposare nella mia bara. Offrii dunque il collo a Miguel proprio come richiesto, sentendo serpeggiare entro di lui un trionfo così assoluto che quasi mi venne voglia di rompergli il muso. Rabbrividii nel sentire la sua lingua correre lungo l’arteria, le labbra che baciavano appena la pelle, e trattenni il respiro con un sibilo quando affondò le zanne nel mio collo, succhiando e deglutendo con tale ardore che quasi mi sembrò che fosse sull’orlo dell’orgasmo. Miguel mi cinse i fianchi con entrambe le braccia senza staccarsi dalla mia vena, abbeverandosi come un neonato che si nutriva del latte materno.
    Quella era una sensazione che non provavo da secoli, e per me era alquanto difficile dire se fosse piacevole o meno, giacché l’ultima volta che l’avevo fatto ero stata un tutt’uno con lui, sangue e carne. Ci eravamo nutriti a vicenda e avevamo condiviso il letto, a quel tempo, ma sapevo che in quel momento la cosa era ben diversa e che niente di ciò che avevo provato si sarebbe ripetuto. O almeno lo speravo.
    Finì tutto molto in fretta, fortunatamente, ma Miguel se ne approfittò per rubarmi un bacio, così da farmi assaporare il mio stesso sangue. In un primo momento restai interdetta, poi lo spinsi via con tutte le mie forze, fissandolo con occhi stralunati. «Direi che ti sei preso il dito con tutto il braccio, adesso», dissi in tono aspro, guadagnandoci solo un sorriso che mi fece irritare ancora di più.
    L’espressione che Miguel aveva in viso lo faceva apparire ebbro, quasi si fosse ubriacato del mio sangue. «Ma ne è valsa la pena», rimbeccò, reclinando di poco il capo all’indietro. «Non hai idea di quante cose potremo fare se ci alleassimo come un tempo, chica», soggiunse. «Potremo persino riuscire a spodestare una volta per tutte Dante e la sua Nobile Madre».
    A quel suo dire sgranai gli occhi, a dir poco incredula. Stava forse farneticando? Oppure aveva avuto quell’idea ancor prima che gli parlassi della mia indagine? Stavo cominciando a pensare che fosse stato tutto un suo stratagemma, quello. «Nay, Miguel, se vogliono la nostra testa come hai affermato, non riusciremo a vincere neanche con un esercito», replicai sarcastica, decidendo di dargli le spalle una volta per tutte. La conversazione era finita lì, per me, e non avevo la benché minima intenzione di continuare a discutere.
    Lui non mi fermò né tanto meno mi ordinò di tornare indietro, lasciando che uscissi senza intoppi dal suo ufficio. Alquanto strano, dovetti ammetterlo. Attraversai il Night Club e mi diressi fuori, dove le guardie del corpo di Miguel avevano scortato i miei due amici. Giselle fu la prima a corrermi in contro, e anche se non parlò potei capire quanto si fosse preoccupata. Subito dopo ci raggiunse Nathan, con in viso una strana espressione. I suoi occhi erano però fissi sulla mia bocca, e non ci misi molto a capire cosa stesse guardando. «Cos’è successo?» mi chiese, ma io lo fulminai immediatamente con lo sguardo.
    «Non un’altra parola, Nathan», sbottai nervosa, pulendomi il sangue che avevo sulle labbra prima di incamminarmi senza aspettare nessuno dei due. Avrei voluto lasciarmi quella notte alle spalle, cancellare tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti dal momento in cui avevo deciso di indagare, andandomene magari al Bloody Nights per il solito Bloody Mary che non avrei toccato. La mia vita monotona quasi mi mancava, adesso, e probabilmente era anche piuttosto triste arrivare ad una conclusione del genere.
    Senza fiatare ci dirigemmo tutti e tre verso casa, con i colori perlacei dell’alba che cominciavano ad affacciarsi in cielo. Dopo la pioggia torna sempre il sole si diceva, giusto? Beh, il mio sole era purtroppo tramontato troppi secoli fa, e nulla avrebbe potuto far sì che esso sorgesse ancora una volta per mostrarmi la strada da percorrere. La mia vita sarebbe sempre e solo stata simile ad un continuo incubo in rosso. Un incubo di sofferenza e sangue.




[1] Noto proverbio che recita “Can che abbaia non morde”.
Il co-protagonista, in questo caso, l’ha usato in maniera piuttosto sarcastica per far intendere che la colpa di quanto accaduto è prettamente di Nathan: essendo lui un lupo mannaro, capire il perché di quel proverbio diventa ovvio. 
 
[2] Noto proverbio che recita “Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”.
In questo caso Miguel prende in considerazione queste parole proprio perché Lewis sembra intenzionata ad andare avanti su quella strada sebbene lei stessa abbia il presentimento che non tutto si risolverà per il meglio.

[3] Frase pronunciata da Lady Macbeth nella scena II dell’atto III del Macbeth.
E’ stata pronunciata dalla protagonista con l’intenzione di far capire a Miguel che in quel momento preferisce passare per un essere umano (Ciò che lei distrugge) piuttosto che far finta che tutto scorra come al solito e che lei possa andare a caccia di quegli stessi umani come ha sempre fatto, inseguendo per l’appunto con la distruzione quella dubbiosa gioia.


[4]  Sebbene sia riveduta per adattarla al contesto, questa è la pillola d’ispirazione scelta che fa da base alla storia insieme alla precedente frase inserita.
Essa recita esattamente “Le speranze svaniscono di fronte alla mano gelida della morte”.



 


_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il contest Pillole d'ispirazione indetto da DollofLotus e valutato da Roro, nel quale si è classificata Prima vincendo il Premio Giuria, e ha partecipato anche al contest Poesie&Storie indetto da Starhunter, nel quale si è a sua volta classificata Prima.
Stavolta posso dire benissimo di essermi gasata, visto che mi sono classificata prima in due contest diversi. Nay, stavo scherzando, ma davvero sono contentissima.
Comunque, come già accennato nello specchietto introduttivo, questa storia è uno spin off della long fiction Under a bloody sky, facente parte della serie St. Louis ~ Bloody Nights.
A causa degli eventi e dei personaggi citati è legata a sua volta alla doppia one-shot intitolata Na doir sìon dhomh, mo brèagha aingeal, ma essa non è necessaria alla comprensione di questa determinata storia.
In realtà non saprei come catalogare questa storia e nemmeno cos’altro dire su di essa. Di certo posso dire che la fanfiction principale sta avendo più spin off di quanto io stessa non credessi, ma che posso farci... mi sono affezionata al personaggio di Miguel *Risatina*
Per quanto non mi convinca, spero che la storia sia piaciuta. ♥




PILLOLE DI ISPIRAZIONE
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POESIE & STORIE
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