Il perdono e la
redenzione.
L’ho
baciato.
Il gioco
è fatto, il latte è versato, il dardo è tratto…sono
morto!
Lui mi
guarda con un’ espressione severa, non si è mosso di
un solo passo, quasi non respira, solo mi guarda con sguardo severo.
Io ti ho sempre amato, non costringermi a fare a botte un’altra volta,
non prendermi a cazzotti e a testate, te
ne prego.
Lasciala
perdere la sorella di Akagi.
Devo
dire, però, che di recente non l’hai quasi più guardata, da quando è iniziato
il secondo anno è come se lei non ti interessasse più.
Indossi
la t-shirt, quella bianca.
Non mi
parli, se io sono quello glaciale, allora come dovrei
definire te in questo momento?
Cosa
c’è oltre il ghiaccio?
Il vuoto,
suppongo.
E non
voglio!
Per cui
mi decido a parlare.
“ Sei in
collera con me? “
No
rispondi, e temo proprio che il vuoto mi inghiottisca.
Vorrei
risentire la voce di pochi istanti fa.
“
Sakuragi, io sono gay”.
Confesso,
ormai a cosa servirebbe tacerglielo?
“ Lo so”.
È la sua
lapidaria risposta.
Prende di
premura la sua sacca sportiva.
Si dirige
verso la porta degli spogliatoi.
“ Aspetta”.
Sussurro.
“ Faremo
finta non sia mai avvenuto”.
Il suo
tono non ammette repliche.
Esce e mi
lascia solo con il vuoto.
Il rumore
della porta che si chiude mi appare forse come una liberazione. Sono libero di
lasciare scorrere le lacrime.
È la seconda
volta che mi capita, la prima volta fu per la perdita
di mia madre.
Apro l’acqua
del lavandino e infilo la testa sotto e mi sciacquo il viso più volte.
Mentre mi
rivesto mi coglie un’ illuminazione.
“Sono
gay”.
“ Lo so”…” Lo so”…”lo
so”…
Come diamine
faceva a saperlo?
Sento una
voragine…No.
Non è
possibile che lo sappia…che sappia di …
No!
Ripetendo
queste due lettere alfabetiche nella mia testa pedalo
veloce fino a casa mia, in testa un solo imperativo: Trovare quella cazzo di
agendina e chiamarlo!
Non
ricordo il numero a memoria, come potrei? Non ho mai avuto,
motivo ne voglia di chiamarlo.
Entro in casa investendo un po’ tutto, la signora delle pulizie, mio
nonno, il gatto e il tavolinetto del soggiorno.
Finalmente
ho l’ gendina in mano, il telefono mi guarda burlone.
Compongo
il numero.
“ Pronto?”
“ Cazzo, perché
glielo hai detto? Avevi promesso!”
“ Ru.. Rukawa? Sei Tu?”
“ Dimmi perché
gli hai detto quella cosa?!” Stavolta urlo, avevo una gran voglia di farlo.
“ Non gli
ho detto nulla, lo giuro”.
“ Non è
possibile, l’ho baciato, lui mi ha…respinto, gli ho detto di essere
gay, lui ha risposto che lo sa!”
“ Io non
ho fiatato, è stato un errore tra di noi, tu lo sai,
io lo so, per cui penso che non hai problemi a sentirmelo dire, la cosa non l’ho
detta. È ovvio che non avrebbe senso dirla.. e..”
Non lo
lascio finire, gli blocco il telefono in faccia per poi maledirmi un attimo
dopo, avevo ancora qualche domanda da fargli,
maledetta impulsività, mi lasci per giorni interi per poi farti viva nei
momenti meno appropriati.
Mi lascio
cadere sul mio letto, sono confuso, non è possibile che non abbia parlato,se lui non ha parlato… allora…allora come faceva a sapere?
Magari
dal fatto che non cago le ragazze…ma se è per questo
neanche i ragazzi…No, e poi il suo tono era di chi sapeva…o forse penso così
solo perché ho il carbone bagnato.
Già, sono
un colpevole.
Spero
che, se davvero tu sai, che un giorno potrai perdonarmi e magari amarmi…
Mi sveglio
di mal umore...insomma, peggio del solito.
Con il
volto ancora assonnato giro per casa, sono solo, di nuovo, ma ci ho fatto il
callo.
Chissà
dove è oggi mio padre?
America,
Tokio, Italia, Germania…
America,
spero tanto di venire con lui un giorno.
Lui.
Hanamichi
Sakuragi.
Svogliatamente
afferro la mia cartella.
Arrivo a
scuola, avverto gli sguardi di irritante ammirazione.
Dove sei?
Ti noto davanti la porta della tua aula, sei circondato dai
tuoi amici, ridi, fai il buffone, come sempre.
Ma non
appena mi noti, mi dai la spalle e parli con il biondo
del tuo gruppo…Noma, forse.
Mi
ferisce questo tuo comportamento, e dire che le cose sembravano andare meglio.
Meno
risse, a volte scambiavamo poche parole.
Le cose
hanno cominciato ad avere senso da quando venni a trovarti
per la prima volta durante la tua degenza in ospedale.
Adesso è
la schiena che mi dai, voltandomi le spalle.
La
schiena che una volta tramite un evento triste ci ha uniti.
Ho
bisogno di perdono Hanamichi, se davvero sai, perdonami.
Scambio
uno sguardo fuggevole con Mito, e mi dirigo nella mia aula, preparandomi alla
noiosa lezione di storia dell’arte.