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Autore: Ella_Sella_Lella    14/12/2011    3 recensioni
Ennesima delirante CrackShip in tema naturale
Potrebbe essere la peggiore, ma tentar non nuoce.
Ma provò.
Soffiò via tutta la sua aria.
Però Connor restò lì.
L’aria andava via
Portava pace o meno.
Si disgregava e ricompattava.
Ma andava via.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Natura'
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La demenza di questa Crackship è epica, ed in confronto alle altre fa davvero pena (si aggiunge, dietro il fuoco lussurioso e la terra arida) abbiamo l’aria inconsistente. Che è metafora delle genti che vanno e vengono. E tutto il pezzo del vento e per le sfaccettature.
La coppia non è poi così crack, anzi penso sia un’antiparing. Ma ho deciso che shipperò Connor con Phoebe tutta la vita. Basta.
Spero sia di vostro gradimento
Baci baci
EsL


Ps- Riguardo al padre di Phoebe, io rimarrò in eterno dell’idea che sia Apollo












Aria




L’aria è una brezza fresca, che ti accarezza il viso e ti scompiglia i capelli.
E a Phoebe piaceva da impazzire allungarsi su un prato alle prime luci del giorno.

L’odore dell’erba frasca, le gocce di rugiada che bagnavano la pelle.

L’erba tra le dita.

L’aria fresca sul volto, sui capelli.

Phoebe amava restare in silenzio, con le mani congiunte e farsi cullare dal vento.

Era convinta che in tutta l’aria, che le baciava la faccia, trasportasse con se tutte le particelle di chi era esistito e si era scomposto.

Era certa che tra quei dolci soffi ci fosse anche sua madre.

Era al campo quella specifica mattina, aveva lasciato le altre a sonnecchiare e si era diretta sulla piana.

Non c’era anima viva.

Solo lei. Il vento fresco. E l’odiato padre che tracciava il sentiero del sole.

Era rimasta seduta con le ginocchia strette al petto, con gli occhi a guardar il sole.

Non amava esser figlia di chi era, ma era lieta di poter guardare il sole ostacoli.

Si godeva l’aria sul volto.

Le rinfrescava la pelle.

La faceva sentire viva.

L’aria era onesta, le baciava la faccia.

L’aria era pace. Era pura tranquillità.

Ma la tranquillità non dura, come la pace.

Qualcuno si era seduto accanto a lei.

Rompendo la pace e quella splendida relazione che si era formata tra Phoebe e l’aria fresca.

“Posso sedermi qui?” tonno beffardo, sorriso malizioso.

Un elfico ragazzo dalla zazzera riccia era seduto accanto a lei.

“No” rispose con nervosismo.

Non le piacevano i ragazzi, non le erano, mai, mai piaciuti.

Ed era una cosa che continuava. Ma non aveva mai avuto paura di loro.

Ma di quel subdolo ragazzino si ed anche del suo altrettanto cattivo fratello maggiore.

Il ragazzo non si mosse.

“Io sono Connor Stoll” si presentò, allungandoli una mano.

Phoebe non rispose alla stretta.

So chi sei. Tu e tuo fratello mi avete costretto a stare per quasi tre mesi male”

Rispose schietta. Lo ricordava bene quel periodo.

Bolle e frebbe altissima.

“Vero. Però tu hai colpito me con una freccia”

Si difese Connor, omettendo che la freccia lo avesse colpito sull’elmetto.

Phoebe roteò gli occhi.

Se prima era nella pace assoluta, la sola presenza di quel ragazzo la mandava in tempesta.

Era come se fosse nell’occhio di un ciclone.

Come se un tifone si fosse accanito su di lei.

L’aria era fredda, pungente.

La sua presenza era aria malsana.

“Potremmo metterci una pietra sopra?” propose Connor, con un sorriso lezioso.

“Mi hai avvelenato” rispose tagliente la cacciatrice.

Connor non si scompose e continuò a sorridere.

Il suo sorriso l’irritava.

Come il monsone.

Caldo, afoso, secco. Che intrecciava i capelli. E non accarezzava il volto.

Era come uno schiaffo.

Il monsone era uno schiaffo secco ed afoso.

Il sorriso di Connor era come il monsone.

Ma a differenza di questo, non passava mai.

“E dai” biascicò lui, con quel irritante sorrisino.

Gli occhi azzurri spalancati.

Ricordava un cucciolo.

Era buffo.

Le venne da sorridere, si impose di non farlo.

Non funzionò.

“Vedi Phoebe l’imperturbabile, ti ho fatto ridere” esclamò solare lui.

Phoebe ritornò subito seria, guardandolo male.

“Accontentiamoci dei piccoli passi” esclamò, ilare.

Sorrise ancora.

Era mutato quel sorriso.

Era un aliseo. Di quelli che gonfiavano con vigore le vele delle navi.

Era il vento che esprimeva la velocità e la potenza.

Il sorriso di Connor era aliseo.

“comunque mi dispiace per quell’affare … sai il sangue di centauro”

Bisbigliò comunque lui, lievemente in imbarazzo.

La sua voce era bella.

L’aria emanata dalla voce, si era infranta delicatamente sul volto di Phoebe.

Non sapeva se definirlo vento fresco o che altro.

Era dolce.

Non aveva mai provato un aria così dolce.

Anche se dolce non era mai stato l’aggettivo per l’aria o il vento.

Ma lo era per Connor.

Che non era aria. Era concreto.

Con lei. In quella mattina.

Sorrise.

“Potresti farti perdonare, accettando di confrontarti come me a baskett” propose Phoebe.

Connor annui.

“Per farmi perdonare, ti faccio vincere” esclamò.

“Ma per favore. Gioca bene. Tanto vincerò lo stesso” rispose a tono la ragazza.

Stoll si cimentò in un commentino sarcastico sull’eccessiva spavalderia di lei.

Phoebe lo guardò scettica. “Sei cosciente che basterebbe un soffio di vento per farti volare via” esclamò.

Connor si morse un labbro.

Prova” esclamò malizioso.

La cacciatrice figlia del dio del sole, ridacchiò.

Ma provò.

Soffiò via tutta la sua aria.

Però Connor restò lì.

L’aria andava via.

Portava pace o meno.

Si disgregava e ricompattava.

Ma andava via.

Le persone no.

Non si disgregavano con l’aria.

Non sempre almeno.

Non quella volta.

Non Connor.

Ma lei?

Sarebbe rimasta?

O avrebbe cercato altra aria?

Sarebbe emigrata guidata dalla leggerezza del vento?

Phoebe sapeva la risposta.

Solo che non voleva ammetterla.

Non ancora almeno.
   
 
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