America
is my country and Paris is my home town
“L’America
è il mio Paese e Parigi la mia città.”
Blaine
non aveva mai compreso il significato di quella celebre citazione di
Gertrude Stein fino a quando non si era ritrovato a camminare per le
strade di Parigi a riempirsi i polmoni della sua aria speciale e unica,
abbracciato a Sebastian, intirizzito dal gelido freddo invernale
francese.
Tutto
era successo poco dopo aver lasciato Kurt; in lacrime, aveva guidato
fino a casa Smythe, aveva bussato alla porta di casa e aveva soffiato
con semplicità la notizia al cantante, tra i singhiozzi
disperati per aver ferito una persona che aveva amato tanto e il
contemporaneo sollievo della fine che gli faceva sentire
l’anima leggera come una piuma.
Lo
aveva fatto per lui, perché si era innamorato di quel
biondino all’apparenza strafottente, sfrontato e presuntuoso,
ma in realtà affettuoso e fragile come cristallo.
Non
ce la faceva più a essere diviso. Voleva tornare a sentirsi
se stesso, una cosa sola coi propri sentimenti. Insieme a quel ragazzo
che gli faceva provare quel maremoto di emozioni incontrollabili,
inspiegabili, incomprensibili.
Sebastian
lo strinse a sé per calmare i suoi singulti, con quella
dolcezza che riteneva con sicurezza estrema di non possedere
assolutamente ma che Blaine riusciva sempre a
tirargli fuori dall’animo, gli sorrise
nell’orecchio e gli sussurrò delicatamente una
serie di frasi con il tono di voce più soave
dell’universo.
“E’
inutile che restiamo qui, allontaniamoci per un po’. Prepara
le valigie. Ti porto a vedere Parigi.”
E
così, incuranti di qualsiasi altra cosa che non fosse loro
due, dopo poche ore erano già saliti sul primo aereo in
partenza da Cincinnati, attraversando l’Oceano per fuggire
nella Ville
Lumiére.
Assieme,
trascorsero lì una manciata di giorni, i più
perfetti della loro intera esistenza, girovagando ovunque volessero,
non pensando a nient’altro che non fosse la presenza
dell’altro di cui nutrirsi.
Ascoltare
Sebastian parlare fluentemente francese fu una delle esperienze
più vicine all’estasi che Blaine avesse mai
provato in vita sua; mangiare un croissant appena sfornato o un
thé bollente con le madeleine in qualche bistrot sperduto a
Montmartre, discutendo sulla vita dei bohémien e su
Toulouse-Lautrec erano piccoli piaceri che si concedevano, viziandosi a
vicenda.
Ormai,
si erano rinchiusi nella loro bolla privata con gioia, chiudendo le
porte al mondo esterno, ai problemi che li avrebbero travolti una volta
tornati in Ohio, alle giustificazioni, agli altri che non avrebbero
capito il loro legame.
Ma
Parigi invece… Parigi li capiva.
Perché
quella città incastonata nel nord era semplicemente un luogo
magico, intessuto sulla Senna e la sua placida presenza, in bilico tra
storia e futuro.
La
sua atmosfera era inesprimibile a parole: agrodolce, malinconica,
decadente, tragicamente romantica. Tuttavia, anche ricca di fascino
oscuro e chiaro allo stesso tempo.
Vita,
morte, amore si mischiavano nell’aria, come in un gioco di
riflessi.
Blaine
e Sebastian passeggiavano tra le rue e le avenue, camminavano tanto,
sempre. Interrompevano le loro scarpinate tra musei, monumenti e negozi
per darsi un abbraccio, un bacio, circondati da quella meraviglia di
posto disegnata da mani divine e imprimere quegli istanti incantevoli
nella loro memoria.
Il
ragazzo più alto era una guida eccellente, memore degli anni
vissuti lì, dei posti visti, delle cose fatte.
Eppure
tutto gli sembrava così irrimediabilmente diverso.
Come
cambiava il modo di vedere anche i luoghi più familiari e
quotidiani con accanto la persona che più di tutte contava,
se ne rendeva conto mentre i giorni gli scivolavano via tra le
dita come fogli di carta scostati dal vento.
La
cattedrale di Nôtre Dame, con il suo severo stile gotico e i
minacciosi gargoyles, che mutava aspetto dal giorno alla notte.
O
il cimitero di Père-Lachaise,
pieno di tombe di uomini comuni e personalità straordinarie.
Persino
Place de la Concorde, ai piedi degli
Champs-Élysées.
E addirittura l’Arc de Triomphe.
Tutto
era differente agli occhi di Sebastian. Più bello,
più eccezionale di come lo ricordasse.
L’ultimo
brandello di giornata, prima di partire per l’America e
tornare alla vita di sempre che avevano accantonato per immergersi in
loro e in Parigi, il ragazzo decise di portare il più
piccolo nel posto che riteneva più sacro di tutti in
città.
Più
della boutique di Dior in avenue Montaigne, in cui si era divertito a
comprare una sciarpa a Blaine che costava un occhio della testa solo
per vederlo arrossire, adorabile come al solito.
Più
dell’ingresso del Louvre con Amore e Psiche di Canova a
troneggiare superba e candida, rilucente splendore di un abbraccio
bloccato, che avevano ammirato per ore senza stancarsi.
Più
della tomba di Oscar Wilde, riempita di baci
all’inverosimile, eterno riposo del loro scrittore preferito,
su cui avevano posato entrambi un fiore commosso.
La
Tour Eiffel.
Sebastian
adorava quell’ammasso di ferro e bulloni con tutto se stesso.
Gli
trasmetteva calma, serenità, perché gli faceva
apparire tutto insignificante quando si sporgeva dall’ultimo
piano e vedeva le strade, i palazzi, le persone inginocchiarglisi
davanti.
Ogni
cosa di Parigi lo sopraffaceva ogni volta come se fosse stata la prima
e lo faceva sentire piccolo, minuscolo. E beneficiare di quella
sensazione era delizioso.
“Mi
domandavo se saresti stato in grado di farmi andare via da Paris la
prima volta senza salire sulla Torre”- gli chiese Blaine,
avvicinandosi e stringendogli le dita.
Sebastian
gli si accostò, curioso. Gli smeraldi che aveva incastrati
nel viso perfetto e devastante gli brillarono più del solito.
Gli
sfiorò il naso, deciso a provare un’ultima cosa
prima di partire e tornare dall’altra parte del mondo.
E
quando le sue labbra si attaccarono a quelle di Blaine e
inspirò il suo calore dal palato, ebbe l‘ultima
conferma.
Era
sulla Tour Eiffel e non era sparito solamente lui.
Era
sparito tutto il resto: ogni via, ogni casa, ogni abitante, ogni
problema, ogni timore, ogni cosa che aveva in petto.
Parigi,
la sua amata Parigi, si era dissolta.
Al
suo posto, solo Blaine.
E
quel cuore che gli rimbombava, uno scrigno pronto a rovesciarsi, a
svuotarsi e a riempirsi di tutto ciò che l’altro
era disposto a dargli.
Interruppero
il bacio assieme, i respiri leggermente esagitati, gli occhi puntati
l’uno sull’altro.
Il
silenzio li aveva stretti, come una sottile coltre di neve.
Sebastian
prese la parola, spezzando quell’incantesimo.
“Ti
amo”- affermò. E, mentre lo pronunciava, percepiva
la verità di quelle due brevi parole che non aveva mai detto
a qualcuno prima di quel momento.
Il
sorriso più splendente mai visto si disegnò sulle
labbra rosse e gonfie di Blaine, contornate da una lieve barba incolta,
e contagiò le pietre color terra che gli sfavillavano sul
volto.
“Sono
scappato a Parigi con te dopo aver lasciato Kurt. Mi sembra quasi
superfluo aggiungere che ti amo anche io”- enunciò
sereno, come se fosse assolutamente normale essere innamorato della
persona che aveva davanti e che gli aveva regalato i giorni
più belli mai trascorsi da quando era nato.
Sebastian
gli strinse la mano, racchiusa nel guanto di lana nero, e poi
fissò Parigi.
Era
stata la sua città, il suo più grande amore.
E adesso, con lei, ne aveva trovato un altro ancora più immenso.
***
Sano
fluff Seblaine, fa sempre bene un po' di romanticismo parigino, no? *.*
Ringrazio Ile
e Cat che l'hanno letta in anteprima, siete due cucciole che vi
stritolerei di abbracci... e, come sempre, è dedicata a lei, la mia
metà. <3