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Autore: axlrosespack    17/12/2011    5 recensioni
Il 26 Settembre 1979. Quella sarebbe stata una fotocopia di tutte le giornate già trascorse. Quella sarebbe stata la stessa pioggia di sempre. William sarebbe stato lo stesso di sempre. Sarebbe cambiato però qualcosa il giorno dopo?
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axl Rose
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Niente che non fosse uguale a ieri, ci ha cambiati.
 
 
September 25, 1979.
 
 
Guardavo dalla finestra la prima pioggia di Settembre scendere dal cielo, mentre sentivo la mia angoscia salire lungo la gola.
23:55.
Sdraiata sul mio sobrio letto a pensare: mancano cinque minuti al mio compleanno. Cos'è domani? E' il mio compleanno. Cos'ha di diverso quel giorno? Niente, scenderà solo della pioggia in più.
23:59.
M'infilo sotto le coperte, conto i secondi che mancano alla mezzanotte. Quattro, tre, due, uno, zero.
00:00.
Beh, tanti auguri, hai compiuto 16 anni, sei sempre la stessa stupida, buonanotte. Spengo la candela.
 
07:45.
Scendo le scale, come se dovessi farlo per forza.
Quella cucina buia, mio padre che legge il giornale, mia madre con una stupida tazza di cioccolata calda. Sul tavolo un posa cenere pieno zeppo di sigarette.
 
Tanti auguri! Sei diventata grande! - Se ne ricorda solo mamma.
 
Grazie, buongiorno. Non sono diventata grande, sarò sempre la stessa stupida finché starò qui. - Rispondo io.
 
Che simpatica. Non mangi niente? - Incoraggia mia madre.
 
Mi accompagni a scuola? - Questo era quello che desideravo.
 
Lo sai che devo lavorare, che cazzo di domande fai? Vacci a piedi, sono due passi. - A 43 anni, questa è mia madre.
 
Posso andare al concerto degli Iron Maiden? - Era forse un sogno.
 
Tu sei impazzita! Chi ti ci accompagna? Dove sono i soldi? Smettila per favore. - Mamma.
 
Il regalo per il compleanno sarebbe stato un passaggio a scuola, grazie. Buona giornata. - Io.
 
08:00.
Dove cazzo è il mio ombrello? - Parlo fra me e me.
Prendo un giornale, me lo metto in testa e corro.
Un chilometro separa la mia casa dalla scuola.
Corro cercando di ripararmi sotto i tetti delle case che si trovano in stradine piccolissime.
Arrivo davanti la scuola e fisso. Ci sono circa 1500 ragazzi. Chi bacia la propria ragazza, chi è buttato in un bar, chi fuma l'ennesima sigaretta, quasi tutti con una sigaretta in mano, chi si nasconde nei vialetti per farsi.
 
08:15.
Entro in classe.
Ciao, ciao, ciao! Tanti auguri, ti voglio bene. Auguri! Auguri! Auguri! - Voci dei miei compagni.
Grazie a tutti. - Rispondo io.
 
Dalle 08:20 in poi, fisso la finestra, per cinque ore.
Guardo la pioggia che scende, così angosciante, così rilassante.
 
13:15.
Esco da scuola, fuori diluvia. Non importa, è una giornata uguale alle altre.
Corro per le strade strette, cercando di ripararmi sotto i tetti delle case, di nuovo.
Street St. Louis, numero 17, quella è la mia casa.
Mi soffermo a guardare quelle due noiose case, 17 e 18. I vicini del numero 18.
Una grande quercia divide le due case. Poggiato alla quercia c'è un ragazzo, il ragazzo del numero 18.
Alle 13:30 è sempre lì, a buttare rami d'albero nel lago. A 17 anni è un ragazzo bellissimo, il più bello che abbia mai visto, forse. Sarebbe quasi la perfezione per una persona asociale come me. Ha i capelli rossi, lunghi. Indossa sempre la sua bandana rossa intorno alla fronte. Poggiato al tronco dell'albero con una gamba distesa e una in corrispondenza del petto. Ogni giorno sta sempre lì, con un rametto in bocca e con uno in mano, pronto a lanciarlo nel lago. Si chiama W. A. Rose. So solo questo di lui, non c'è mai stato un rapporto in più.
A me non interessa. E poi figurati se guarda una come me.
Penso solo che quel ragazzo abbia un sogno, difficile da realizzare, ma non impossibile.
 
Entro in casa. La porta cigola. Sempre le solite facce deludenti.
 
Vuoi mangiare? Il piatto è lì, sennò ti arrangi. - Incoraggia mia madre.
 
No. - Mi avvio verso le scale, per andare nella mia stanza.
 
Ah! Eccola qua! La solita! Va nella sua stanza su quello stupido letto e ci sta tutta la giornata. Usi questa casa come se fosse un albergo! Neanche il giorno del tuo compleanno riesci a stare insieme a noi. Vai, vai, che fai meglio e non farti vedere. E dopo ci sono i piatti da lavare. Pulisci la tua stanza che è una giungla e leva quei dannati vestiti da quella sedia che ci stanno dall'anno scorso. - Mia madre.
 
E' questo quello che volevi? Cosa ci sto a fare con voi? Mi butto sul divano come le mie sorelle che sembrano guardare un film horror? Stamattina ti ho chiesto di accompagnarmi a scuola, era per stare un po' insieme, visto tutto il tuo lavoro. E stare insieme significherebbe lavare i piatti? - Finisce sempre così.
 
Mio padre mi guarda con rabbia, quegli occhi cupi, e la sua personalità rovinata da quella barba e da quella sigaretta.
 
Vattene in camera tua. - Conclude mia madre.
 
Era quello che stavo facendo. E alla conclusione ci sei arrivata da sola. Trascorrete con allegria il resto della giornata, io vado a godermi la pioggia più disperata delle vostre facce, almeno mi consolerò. Grazie. - Concludo acidamente, o almeno credo.
 
Salgo le scale.
Non metto a posto la stanza, né tolgo i vestiti da quella dannata sedia.
Il mio letto sa cosa poggerà su di lui.
Metto uno dei miei LP degli Iron Maiden mentre guardo il cielo grigio e la pioggia rilassante.
 
23:55.
Tra poco non sarà più quella data.
Cinque, quattro, tre, due, uno, zero.
Cos'è cambiato? Un cazzo, ecco cos'è cambiato. Avevi ragione, alla stessa ora, con la stessa pioggia. Sono passati 16 anni, la pioggia non mi abbandona, neanche l'angoscia.
 
Alle 00:05 il ragazzo con la bandana rossa è ancora lì, poggiato all'albero, i suoi rametti non sono cambiati, neanche la sua espressione è cambiata, il suo sogno non è svanito.
Ah.
Dimenticavo.
Chi lo sa perché lo so.
Oggi è anche il compleanno di quel ragazzo.
Niente che non fosse uguale a ieri ci ha cambiati.
  
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