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Autore: rospina    18/12/2011    3 recensioni
La seconda guerra mondiale incombe sull'Europa e sull'Italia, tutto appare uguale e diverso da sempre, perchè il vento impone la sua danza e i suoi tempi e non resta altro che muoversi ai suoi ritmi per non essere spazzati via...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sabrina Paso stava camminando lentamente fra la neve, era stremata, il freddo le aveva spaccato tutte le mani, le guance scarne e incavate, erano rosse e secche, per coprirsi non aveva nulla, se non addosso quella misera tuta di cotone a righe. Un soldato le intimò di fermarsi. Tremante, un po’ per il freddo e un po’ per la paura si fermò. Lentamente verso di lei vide arrivare un uomo in giacca e cravatta, il cappello in testa, fece un po’ di fatica a riconoscerlo, ma quando le fu vicino non ebbe dubbi.

Era Fabio Paris!

Un impeto di rabbia la invase, ma non aveva forze per ribellarsi e rimase cheta, nello stesso punto dove si trovava da quando l’aveva accompagnata il soldato.

“Ciao Sabrina! Finalmente ti vedo …” disse l’uomo tenendo le mani nelle tasche

La donna deglutì.

“Mi spiace di vederti così, non mi ero raccomandato altro che ti trattassero bene …”

“Cosa vuol dire?” chiese lei

“Vuol dire, che quando ti ho fatta prendere con tuo marito, non volevo certo che ti trattassero in questo modo, io volevo solo allontanarti un po’ da Giulietta …”

“Ma perché lo hai fatto! Perché? Io non ti ho mai fatto nulla di male …”

L’uomo rise.

“Perché volevo che Giulietta non avesse più nessuno su cui appoggiarsi! Se era sola, non poteva far altro che correre da me!” rivelò l’uomo

“spero con tutto il cuore che non sia andata così!”

“Ed è qui che ti sbagli! – fece un passo lasciando l’orma sulla neve bianca –lei è corsa subito da me, mi è grata, infinitamente grata, che non ha neppure il coraggio di tornare dal suo grande amore … dovresti vederla, così innamorata di lui, ma così legata a me, è davvero speciale, ho avuto la conferma, che potrà stare con me tutta la vita, ma adesso vista la sua premura nei miei confronti voglio farle un regalo, ti riporto a casa, così si deciderà a sposarmi … e poi dovresti vedere com’è dolce il tuo bambino … mi chiama zio … mi adora” una risata cinica

Sabrina lanciò un urlo:

“NO! Mio figlio, non può essere, tu non puoi …”

“Certo che posso, ha vissuto con me in questi ultimi anni … l’ho cresciuto, l’ho vestito, gli ho dato da mangiare, l’ho messo a dormire …”

Un dolore al petto per Sabrina.

Una fitta lancinante e insopportabile.

Cadde a terra in ginocchio dicendo:

“Tu le hai tolto l’amore di sua madre …”

Piangendo cadde sdraiata a terra. Un riverbero di sole le accarezzò il volto per posarsi sulla lacrima che le stava incastonata fra le ciglia.

Chiese perdono.

Perdono a Dio, se in quel momento il suo cuore era pieno d’odio.

Chiese perdono.

Perdono alla Mamma Celeste, che era sopravvissuta al dolore della morte di suo figlio, mentre lei non riusciva a vivere, sapendo che le era stato tolto l’affetto del suo bambino da un essere indegno.

Poco distante Giulietta aveva assistito alla scena, arrivò correndo. Nella corsa perse il suo cappello rosso, che pareva una chiazza di sangue fra il candore della neve. Il silenzio regnava. Surreale. Si accasciò su Sabrina. Doveva essere uno dei giorni più belli della sua vita, ed invece si era trasformato in un incubo. Fabio era la causa di tutto il suo dolore, aveva sentito abbastanza per capire tutto. Le sue lacrime cadevano copiose, bagnando il volto della cugina.

“Non lasciarmi. Non ora che ti ho ritrovata” disse Giulietta singhiozzando

La cugina poté solo guardarla e nulla più. Il suo cuore era ormai spezzato dal dolore.  Riuscì solo a donarle un’ultima carezza sul volto per poi far ricadere la mano inerme sul suo corpo smunto.

“no … non può essere, non lasciarmi, ho bisogno di te, ho fatto tanto per ritrovarti ed ora tu mi lasci così” ondeggiava avanti e indietro, in un moto perpetuo, come se fosse fuori dal mondo, estranea a tutto ciò che stesse accadendo:

“Non è come pensi !” disse Paris toccandole una spalla

“Non toccarmi! Assassino” l’uomo indietreggiò a quelle parole, per la prima volta in vita sua sentì il suo cuore palpitare e stringersi dal dolore.

Alessandro arrivò lì, e vide Giulietta piangere. Nonostante sua madre fosse irriconoscibile la guardò, e disse alla zia:

“Così farai male alla mamma”

Guardandolo non seppe che dire, e Federico disse:

“La mamma ha smesso di soffrire …” lo prese in braccio e se lo strinse al petto mentre Giulietta piangeva. Accarezzava la cugina e la copriva, si tolse il giubbotto rosso e lo mise su di lei mentre con l’alito cercava di scaldarle la pelle e sussurrava:

“Quanto freddo hai patito? Quanto? Non preoccuparti, adesso andremo a casa … ti accendo il fuoco e ti scaldi” con la mano le accarezzò anche la nuca priva dei suoi capelli e proseguì:

“Oh cresceranno i capelli, ti darò uno dei miei cappelli …” era divenuto un pianto laconico. Poco distante Inès li guardava; Federico con Alessandro in braccio, Giulietta seduta sulla neve, incurante dei suoi abiti che si stavano inzuppando, e in piedi a guardarli vi era Fabio, che silenzioso li guardava. Una guardia in divisa verde era al fianco della donna argentina, fece alcuni passi in avanti e disse :

“è lei!”

Corse da Giulietta e la strattonò, tirandola per un braccio per farla alzare, ma lei rimaneva avvinghiata al corpo di Sabrina, fu Fabio che chiese:

“Cosa cercate da lei? Lasciatela stare!”

“Quella donna, ci ha detto che è un’ebrea  …”

“Non lo è!” rispose secco l’uomo  e si voltò verso di lei, e le disse:

“Hai ragione tu! Forse io e te siamo fatti della stessa pasta, potremmo stare insieme, peccato che il mio cuore abbia deciso di battere per un’altra”

A quelle parole Giulietta sollevò il capo e disse:

“Perché mi fai questo?”

“Perché tu non meriti l’amore di questi due uomini! E io voglio che tu sparisca per sempre”

“Visto? Abbiamo usato gli stessi mezzi per raggiungere il nostro scopo!” la voce di Paris era carica di amarezza, ma Giulietta disse stanca:

“No Inès, tu sei diversa, ne sono certa, l’amore non è questo! L’amore non è togliere, ma è dare, incondizionatamente, guarda Fabio, mi ha tolto tutto, mi ha lasciata sola per far si che avessi bisogno di lui … oh cosa credi che io possa provare per lui? Gratitudine, provavo solo gratitudine, ma l’amore è un’altra cosa … salvati se puoi …” smise di parlare, non ne aveva più voglia. Aveva solo voglia di piangere, non le importava più di nulla; il soldato incredulo guardò Paris e poi l’ambasciatore Argentino, fu quest’ultimo che disse:

“Vai c’è stato un errore”.

Inès con gli occhi pieni di lacrime scappò via.

Fabio si accasciò su Giulietta:

“Perdonami, non doveva succedere tutto questo …”

“Va via …” riuscì a bisbigliare

“Ma  …” tentò di obbiettare

“Ti ha detto di andartene … ed è ancora buona, se fosse stato per me …” non completò la frase, Alessandro stringendosi a lui gli chiese di smetterla.

I suoi grandi occhi neri erano stati chiari e decisi. Non era tempo per recriminare. Lentamente si allontanò da loro, senza poter staccare gli occhi da Giulietta che piangeva stringeva la cugina oramai priva di vita, con il corpo segnato da atroci sofferenze.  Fabio Paris per la prima volta in vita sua sentì nascere un senso di vuoto e smarrimento nel petto. Una gran voglia di piangere si impadronì di lui, ma non una lacrima scese dai suoi grandi occhi verdi. Desiderò la morte, ma anche questa forse era fin troppo poco per lui. Guardando Giulietta piangere capì tutto il male che le aveva fatto in quegli anni. Capì che aveva sbagliato tutto nella sua vita. A testa china si scontrò per un istante con Inès che era rimasta lì impalata, non la guardò che per un attimo. Prima di sparire nel nulla.

La mano piccola e fredda di Alessandro  accarezzò i neri capelli della zia e disse:

“La mamma non sarebbe contenta di vederti piangere …”

La donna non rispose, si morse il labbro e si asciugò le lacrime col dorso della mano, fu allora Federico che disse:

“Mi spiace … se solo fossi arrivato prima …”

“Già, se solo fossi arrivato prima … chissà, forse sarebbe ancora viva, oppure no, non lo sapremo mai” rispose Giulietta senza sollevare lo sguardo, poi aggiunse, parlando come se Sabrina potesse sentirla “avrei solo voluto poterti parlare ancora una volta, avrei voluto farti vedere Alessandro, sei tu che dovresti crescerlo! Io non sono la mamma … tu hai scelto me come mamma di tuo figlio … perché? Perché? Mi manchi Sabrina, torna da me … ti prego … io che faccio adesso da sola? Sola capisci?” tutte quelle domande salirono al cielo plumbeo, e Alessandro, stringendola le disse:

“Ha scelto te, come mia seconda mamma, perché sapeva che non avrebbe potuto scegliere di meglio, ha scelto te come mia seconda mamma perché sapeva che mi avresti amato tanto quanto lei, poi non ti ha lasciato sola, ci sono io …”

Quelle parole le scaldarono il cuore, ma non le spensero il dolore che aveva dentro, e fu sempre il piccolo che disse:

“Zia, non piangere più … non possiamo fare più niente per lei, ha smesso di soffrire, è andata in cielo, da Gesù! Non ti ricordi? Tu stessa mi hai detto che tutte le persone buone quando muoiono vanno da lui …

Andiamo, non piangere …”

Aveva ragione . non c’era più niente da fare. Federico le passò un fazzoletto bianco e l’aiuto ad asciugarsi le lacrime. Inès guardandoli provò dolore e pena per se stessa. Mai nessuna l’aveva amata in quel modo, e mai lei aveva amato con quella stessa intensità. Con un gesto della mano chiamò due soldati e li mandò da loro:

“Sono la futura moglie dell’ambasciatore, andate e aiutate quella ragazza, deve seppellire il corpo della sorella, voglio che sia dignitoso” sapeva bene che era la cugina, ma per il legame che avevano parevano due sorelle; fatto questo tornò nella pensione dove alloggiava.

Le ciminiere emettevano fumo grigio ed un forte odore acre; Paris, era in piedi accanto ad una delle capanne dove probabilmente aveva dormito Sabrina, e osservava ciò che accadeva. Aveva sentito tanti racconti, ma mai aveva visto cosa accadeva realmente. Grazie al suo tedesco capì che i militari gridavano:

“Tutti a fare la doccia”

Ma dopo non vedeva uscire nessuno. In quel momento capì cosa accadeva davvero, quello  doveva essere una delle docce a gas, dove venivano gasati i prigionieri, e successivamente venivano bruciati. Al pensiero gli salì la nausea.

Vomitò.

Un altro plotone in arrivo.

Si presentò:

“Sono Fabio Paris, mi hanno appena comunicato che questi ebrei devono essere portati nell’altra doccia!” la sua voce era dura come un tempo. Inflessibile.

“Noi non ne sappiamo nulla” contestarono i soldati di fronte a lui

“Per non incorrere in sbagli e punizioni io vi consiglio di andare a chiedere”

I giovani militanti si consultarono. Ed effettivamente aveva ragione lui. Si allontanarono. Fu in quel momento che Paris diede un’occhiata a quanti erano.

Solo un centinaio.

Ma poco gli importava, per quanto poco facesse tutto serviva, anche una goccia nel mare serve a riempirlo, pensò:

“Seguitemi” urlò

Abituati com’erano ad eseguire gli ordini, ubbidirono senza farsi domande.

A mani nude cercò di aprire il filo spinato che avvolgeva l’intero campo. Non poté far altro che aprire un piccolo buco, si mise in mezzo, tenendolo aperto tra le gambe e la schiena. Velocemente li vide passare uno dietro l’altro, con un’energia che credevano di aver perso, era forza della speranza, la speranza, che potessero davvero scampare a quel posto orribile; fra di essi Fabio riconobbe un volto.

Era Gabriele, il marito di Sabrina.

Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi.

Né lo fermò.

Lo vide andare via.

Non gli disse nulla, vide nell’uomo il luccichio della felicità, e non volle togliergliela.

Era l’ultimo della fila.

I soldati tornarono. Li videro scappare e iniziarono a mitragliare all’impazzata. Fabio si voltò un istante e vide cadere a terra proprio lui. In quel momento i suoi occhi piansero tutte le lacrime che non aveva versato in vita sua.

“Traditore!” gli gridarono i militari

Paris si alzò in piedi.

Alto e fiero, come mai lo fu in vita sua.

Molte erano le persone che aveva affossato, e che per colpa sua erano morte. Finalmente aveva capito di aver sbagliato. Finalmente si era pentito di tutto quello che aveva fatto nella sua vita. Aveva fallito in tutto,aveva pensato di poter ottenere anche l’amore con i soldi ed il potere, ma non era stato così. Ad insegnarglielo era stata lei:

GIULIETTA.

Il suo pensiero volò a lei.

Non avrebbe mai saputo che alla fine si era pentito sul serio.

Non avrebbe mai saputo che l’aveva amata sul serio.

I colpi di mitragliatrice lo raggiunsero nel petto. Freddi e taglienti lo trapassarono. Lasciandolo privo di vita. Pareva una macchia sul candore della neve che avvolgeva quel luogo.

Fra risa e sputi, dei tedeschi finì la vita di Paris.

Giulietta era tornata nella casa dove viveva con sua madre. Le ci volle poco per risistemarla e farla tornare calda e avvolgente.

La primavera era appena iniziata. La neve polacca sembrava un lontano ricordo, eppure nel suo cuore era forte il dolore per gli avvenimenti appena passati.

Avevano seppellito Sabrina nello stesso cimitero di sua madre. Così avrebbe potuto andarla a trovare facilmente. Ad accompagnarla a Roma erano stati Federico ed Inès; proprio quest’ultima prima di lasciarla la strinse a se, priva di rancore e rabbia, e le sussurrò all’orecchio:

“Perdonami se sono stata cattiva con te … se posso fare qualcosa per rimediare …”

Effettivamente una cosa c’era …

Le chiese di portare con se Donna Adelina, non le importava di quanto male le avesse fatto, ma sapeva con assoluta certezza che nessuna donna meritava di vivere senza il figlio accanto.

Fu esaudita.

Il saluto più doloroso lo diede a Federico.

Sapeva che sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto in vita sua. Lo strinse forte a se inspirando il suo profumo più forte che poté, quasi come a volerne fare scorta. Lui le baciò le mani, e con il labbiale le disse:

“ti amo e ti amerò sempre … sarai la mia camelia”

Giulietta rispose con gli occhi. Per loro non era più tempo. Avevano perso la loro occasione, con la morte nel cuore si dissero addio.

Quella mattina il fuoco era acceso, come sempre. Sulla cucina vi era una pentola dove ribolliva lo stufato per il pranzo. Giulietta cuciva. Aveva imparato quando era ragazzina, ed adesso manteneva lei e Alessandro con quei lavori di sartoria; il nipotino le diceva sempre:

“Diventerai una grande sarta! Ne sono certo” e lei poteva sorridere di cuore. La radio stava trasmettendo notizie importanti, si parlava ancora della guerra:

GLI AMERICANI SONO ARRIVATI NEL CAMPO DÌ CONCENTRAMENTO DÌ  AUSCHIWZT …

Poi non poté udire più nulla, un enorme frastuono veniva dalla strada; grida di gioia e di motori, si affacciò alla finestra e vide i carri armati sfilare per le vie della città.

La guerra era davvero finita. Erano gli americani che erano arrivati a liberare l’Italia. Un pianto di gioia e liberazione. Era come se un senso di pace si infondesse in Giulietta che aveva vissuto pienamente quella guerra. La porta di casa si spalancò:

“Zia! Zia! Guarda!” era Alessandro che festante mostrava qualcosa di nuovo, e pieno di entusiasmo disse:

“Me lo ha dato un soldato americano! Ha la pelle come l’ebano, ma un sorriso bianco … come la tua pelle! Mi ha dato questo, mi ha fatto vedere che lo devo mettere in bocca e lo devo masticare … l’ho fatto! Sa di caramella! Solo che non finisce … mi ripeteva solo chewingum!”

Giulietta lo guardava felice. Vederlo così le faceva passare tutta la tristezza che aveva nel cuore, poi il nipote le disse:

“Dai zia, vai a farti bella, vieni fuori, ci sono tutti i miei amici …”

Con un sorriso disparve e fu nella sua stanza; indossò un abito a fiori. Erano delle camelie rosa che volteggiavano su un drappo di stoffa bianco.  Aveva visto la stoffa al mercato e non aveva saputo resistere, si era fatta un vestito, cosa che accadeva raramente, ma sapeva che prima o poi sarebbe capitata un’occasione speciale. Si guardò allo specchio e fra i capelli, ormai cresciuti, mise il suo immancabile fermaglio.

Aprì la porta della stanza e vide la cucina invasa di fiori, rose, gerbere, dalie e altre infinite varietà:

“Questa consegna è per lei!” disse un garzone

“Ci deve essere stato un errore” ribatté lei stupita

Ma il ragazzo non attese risposta e se ne andò.

“Alessandro … perché hai fatto entrare quel ragazzo?” chiese al nipote

“perché ho promesso, che avrei fatto di tutto per farti sorridere almeno una volta al giorno, perché ho promesso che avrei fatto tutto quello che lui mi avrebbe chiesto!”

“Ma hai promesso cosa? E a chi?” chiese Giulietta senza capire più nulla

“A me!” quella voce … era la sua! Non poteva sbagliarsi, ne era certa, alzò gli occhi e lo vide sulla soglia della porta

Federico Sepúlveda.

Aveva un pantalone marrone e una camicia bianca, la giacca la teneva con due dita. Era bellissimo come sempre, forse quella volta anche di più. La guardava sorridente, ma prima di avvicinarsi a lei si accostò ad Alessandro e gli disse:

“Sapevo che avrei potuto contare su di te! Sapevo che non mi avresti deluso … e ora va a divertirti” il bimbo gli diede un bacio e rispose:

“E io sapevo che non mi avresti deluso … che avresti mantenuto le tue promesse …” detto ciò andò fuori a far festa.

Federico si fece spazio tra i fiori che lui stesso aveva fatto portare in quella casa e  raggiunse Giulietta che lo guardava come se avesse visto un fantasma, le disse:

“Non guardarmi così …”

“Pensavo che non ti avrei più rivisto!”

“Io no … non sono così idiota da commettere lo stesso errore due volte”

“E Inès?”

“Inès … beh io le ho detto che ti amavo … e che non avrei mai potuto amare nessun’altra che te …”

“E adesso soffre per colpa mia!” rispose Giulietta

“no, di questo stanne certa …  mi ha chiesto di riaccompagnarla in argentina e così ho fatto, si è chiusa in convento, dice che vuole pensare e trovare l’amore più grande che si possa provare, era così felice quando è entrata che credo proprio che con l’aiuto del Signore lo troverà. E con lei c’è anche Donna Adelina, chissà magari si addolcisce un po’ … anche se non credo!” rise, oramai tutto era lontano. Aveva salutato per l’ultima volta la sua terra. Suo padre era ancora arrabbiato con lui. Pareva lo odiasse per ciò che aveva fatto, ma sapeva bene che avrebbe capito.

Prima o poi.

Sua madre lo aveva baciato e benedetto, da sempre ciò che le stava a cuore era la felicità del figlio, e sapere che dentro era rimasto sempre lo stesso la riempiva d’orgoglio.

“e tu sei tornato per me?” chiese Giulietta

“Vuoi davvero una risposta?”

“Io … non …”

“Ti amo Giulietta! Ti ho sempre amata, dal primo momento che ti ho vista, e non voglio certo correre il rischio di perderti sul serio …”

Le baciò le labbra.

Un bacio d’amore. Il primo bacio che finalmente racchiudeva la felicità di entrambi. Il primo bacio che finalmente dopo tanto dolore li avrebbe condotti verso la speranza di un mondo migliore.

Perché il loro amore era stato messo a dura prova. La danza del vento, freddo e ostile aveva provato a separarli, ma dopo il vento c’è sempre il sereno, basta saper aspettare e credere. E così avevano fatto Federico e Giulietta, avevano aspettato e creduto nel loro amore fino all’ultimo, cosicché anche il destino avverso si era dovuto arrendere a quella forza infinita e misteriosa quale è l’amore.

 

 

 

 

                                                                                    FINE

 

 

ANGOLO AUTRICE

Grazie a tutti quelli che hanno seguito questa storia. È con tristezza che pubblico questo ultimo capitolo, mi dispiace lasciare tutti voi che siete stati tanti e soprattutto affettuosi.

Spero di ritrovarvi al più presto!

Un abbraccio e Felice Natale e Anno Nuovo, con affetto

Rospina.

   
 
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