Un nuovo futuro per l' umanità
Quella mattina, uscendo di casa, Martin Peterson
sentiva che quello sarebbe stato un giorno davvero speciale. Tutto intorno, il
resto del mondo non si rendeva conto che mentre proseguiva per la sua consueta
strada, un gruppo di uomini, un gruppo di ingegni, aveva lavorato per anni,
sudato per reperire capitali, superando frustrazioni, insuccessi ed alla fine
conseguendo i risultati attesi, solo puntando sulle proprie forze, sulle
proprie capacità, sulla propria determinazione. Salito sulla sua automobile,
attendendo che si scaldasse il motore, Martin osservò un aereo che appena
decollato dal vicino aeroporto, stava prendendo quota con i motori a pieno regime.
A sinistra, lungo i pontili del porticciolo, le barche ormeggiate si
dondolavano al movimento delle onde mentre qualcuno a bordo era impegnato a
svolgere pulizie, piccole operazioni di manutenzione o semplicemente sdraiato
sul ponte, smaltiva la sbornia dopo l' ennesima festicciola a bordo della notte
precedente. Scostandosi dal marciapiede, non poteva non pensare che forse, da
lì a poche ore, tutto quello poteva essere cambiato. Le porte del futuro si
sarebbero aperte per l' umanità, in una direzione imprevista ed incredibile.
Tutti ne avrebbero ricavato un indiscusso vantaggio ed il gruppo di cui faceva
parte avrebbe finalmente ricevuto i meritati riconoscimenti per tutto il
periodo di stressante e massacrante lavoro e per la costanza con cui si era impegnato
per tutto quel tempo. Guidò con infinita prudenza. Ci sarebbe mancato altro che
proprio quel giorno mandasse tutto all' aria per una semplice svista o per
impazienza. Dodici anni, ci erano voluti per arrivare a quel punto. Giunse al
laboratorio dopo circa mezz'ora. Il fabbricato, piuttosto anonimo era un
vecchio magazzino che avevano avuto in affitto per una cifra modesta ed era
stata la loro base per tutto quel tempo. Piano piano l' avevano attrezzato con
tutta la strumentazione necessaria al loro progetto, andando avanti con i
calcoli e le prove parziali mentre il loro capo, il prof. Mattias Clark faceva
la spola fra gruppi finanziari, grosse società, facoltosi privati e chiunque
altro avesse potuto contribuire con un finanziamento per portare avanti il loro
sogno. Pian piano, quel semplice magazzino, attrezzato anche con mobilio
adeguato e generi di conforto, aveva consentito loro un soggiorno, anche per
discreti periodi, per evitare di perdere tempo negli spostamenti, quando un
esperimento in corso richiedeva un controllo continuo o quando le loro
discussioni circa i risultati di alcuni calcoli, si protraevano per ore ed alla
fine, sfiniti, si lasciavano letteralmente cadere sulle brandine poste in una
stanza arredata a dormitorio. Avevano anche allestito un fornito cucinino dove
preparare pasti d'emergenza o provvedere alla ininterrotta, copiosa
preparazione del caffè. La cosa era costata loro famiglia, amici, conoscenze ma
ne era di certo valsa la pena ed ora, prossimi al successo, sapevano che avevano
fatto bene, che avevano fatto la scelta giusta. Dopo aver suonato alla porta ed
essersi fatto riconoscere dal sistema televisivo a circuito chiuso, Martin
entrò nell' edificio e percorso un corridoio, superato un altro controllo di
sicurezza, arrivò finalmente nel laboratorio. C' erano già tutti gli altri. Il
prof Clark , il matematico Henry Turner, gli
ingegneri Katrin Bailey e John Adams, i due tecnici Samuel Cox e
Margaret Rivera ed ora lui, scientificamente il meno dotato di tutti, ma forse
uno dei principali artefici del progetto, completava quella eccezionale
compagnia. La specialità di Martin era quella di rimediare le cose, di trovare
la strada per fare qualcosa, per risolvere nelle varie difficoltà. Quando
apparentemente il lavoro si arenava, per i più svariati motivi, loro gli
spiegavano cosa serviva, cosa non andava e lui modificava gli strumenti,
adattava i congegni, reperiva il materiale, trovava le soluzioni alternative e
si era reso prezioso in mille occasioni.
Nei primi tempi la sua attività veniva puntigliosamente controllata, specie dai
due ingegneri, ma poi avendo dato prova di indiscussa affidabilità nel suo
lavoro era diventato piuttosto indipendente. Riusciva anche a risparmiare
diversi soldini come la volta in cui, acquistando il cavo d' argento per
realizzare la bobina finale del campo, aveva accettato un grado di purezza
leggermente più basso valutando, con adeguata tolleranza, che non avrebbe avuto
alcun peso sul risultato finale o quando dovendo trovare delle memorie superveloci,
era riuscito a reperirle su un' apparecchiatura che l' università con cui
collaborava aveva scartato perchè ritenuta non all' altezza degli standard
richiesti. Il macchinario al centro del laboratorio era bellissimo. Per chi
l'aveva visto crescere giorno per giorno, sviluppandosi per inglobare tutte le
specifiche richieste, ogni componente, ogni cavo, ogni strumento aveva la sua
storia, dodici anni di storia, di sforzi, di lavoro. Ora era pronto. Quando la
sera prima avevano eseguito l' ultima regolazione, era sceso un silenzio
irreale, la prima volta in dodici anni, ed erano rimasti così, a guardare
attorno ed a osservarsi l' un l'altro quasi increduli di ciò che avevano fatto,
di ciò che avevano ottenuto. Erano ormai una squadra affiatata e così legati
uno all' altro, da non riuscire a concepire un futuro in cui non apparissero
tutti insieme. Ora, senza più indugi, Martin indossò il camice e immediatamente si tuffò nel suo
lavoro. Ognuno sapeva con esattezza cosa fare. A parte lo scalpiccio dei passi,
il ticchettare delle tastiere dei computer, il sibilo dei gas di raffreddamento
della bobina finale, il crepitio di qualche previsto arco elettrico causato
dall' altissimo valore della tensione in gioco, non si sentiva altro suono.
Alla fine, ognuno comunicò di essere pronto. Il professor Clark controllò gli
ultimi dati, gli ingegneri verificarono che i principali protocolli fossero in
azione ed opportunamente allineati, i tecnici controllavano che i parametri
fossero nella norma, il matematico verificava i dati che uscivano ad intervalli
dalla stampante e Martin alla consolle principale, era l' addetto
all'attivazione dei controlli che avrebbero portato avanti l' esperimento. Ora
era tutto pronto. Finalmente, il viaggio nel tempo sarebbe stata una realtà. Tutti
i test avevano dato esito positivo ed ora si sentivano pronti a scrivere una
nuova pagina di storia. Al centro della bobina avevano posto un grosso
cristallo di quarzo, un cesto di frutta ed una gabbietta con due cavie da
laboratorio. La prova prevista per quel giorno avrebbe spedito quel gruppo di
elementi nel futuro, di un' ora. Avrebbero così potuto controllare se ciò che
sarebbe stato spedito, avrebbe riportato danni nel salto, specie le due cavie.
Ad un segnale del professore, Martin avviò la procedura e continuò ad attivare
la sequenza prevista via via che gli ingegneri gli davano l' OK per le fasi
successive. Giunti alla sequenza finale, iniziarono a percepire il consueto
sibilo dovuto al campo che si formava all' interno della bobina. Il circuito di
confinamento del campo funzionava ampiamente nei parametri. Arrivarono
gradatamente alla piena potenza. Il sibilo divenne un fischio sempre più
intenso e più acuto, quasi insopportabile ma tutto funzionava nella norma. Gli
elementi all' interno della bobina cominciarono a smaterializzarsi. Il campo
iniziò a pulsare, emettendo una luce bianca ed intensissima, la bobina cominciò
a surriscaldarsi. Il circuito di confinamento si trovò a lavorare al limite
delle sue capacità. Il gruppo ora osservava il fenomeno con una certa
apprensione. Non era mai successo ma era anche vero che mai avevano spinto il
campo a questa intensità. La bobina continuava a surriscaldarsi e gli ingegneri
che avevano calcolato le specifiche non se ne spiegavano il motivo. Il prof. Clark gridò a Martin di compensare e
questi eseguì all' istante. Le memorie di controllo facevano il possibile per
limitare gli effetti. Il campo tornò a regolarizzarsi ma dopo un brevissimo
intervallo, divenne ancora più luminoso ed una improvvisa intensa onda di
energia si propagò dalla bobina tutto attorno, attraversando le
apparecchiature, i membri del gruppo che osservavano il fenomeno ammutoliti
dalla sorpresa, le pareti del laboratorio, perdendosi all' orizzonte.
Quella mattina, uscendo di casa, Martin Peterson
sentiva che quello sarebbe stato un giorno davvero speciale. Tutto intorno, il
resto del mondo non si rendeva conto che mentre proseguiva per la sua consueta
strada, un gruppo di uomini, un gruppo di ingegni, aveva lavorato per anni,
sudato per reperire capitali, superando frustrazioni, insuccessi ed alla fine
conseguendo i risultati attesi, solo puntando sulle proprie forze, sulle
proprie capacità, sulla propria determinazione. Salito sulla sua automobile,
attendendo che si scaldasse il motore, Martin osservò un aereo che appena
decollato dal vicino aeroporto, stava prendendo quota con i motori a pieno
regime. A sinistra, lungo i pontili del porticciolo, le barche ormeggiate si
dondolavano al movimento delle onde mentre qualcuno a bordo era impegnato a
svolgere pulizie, piccole operazioni di manutenzione o semplicemente sdraiato
sul ponte, smaltiva la sbornia dopo l' ennesima festicciola a bordo della notte
precedente. Scostandosi dal marciapiede, non poteva non pensare che forse, da
lì a poche ore, tutto quello poteva essere cambiato. Le porte del futuro si
sarebbero aperte per l' umanità, in una direzione imprevista ed incredibile.
Tutti ne avrebbero ricavato un indiscusso vantaggio ed il gruppo di cui faceva
parte avrebbe finalmente ricevuto i meritati riconoscimenti per tutto il
periodo di stressante e massacrante lavoro e per la costanza con cui si era
impegnato per tutto quel tempo. Guidò con infinita prudenza. Ci sarebbe mancato
altro che proprio quel giorno mandasse tutto all' aria per una semplice svista
o per impazienza. Dodici anni, ci erano voluti per arrivare a quel punto.
Giunse al laboratorio dopo circa mezz'ora. Il fabbricato, piuttosto anonimo era
un vecchio magazzino che avevano avuto in affitto per una cifra modesta ed era
stata la loro base per tutto quel tempo. Piano piano l' avevano attrezzato con
tutta la strumentazione necessaria al loro progetto, andando avanti con i
calcoli e le prove parziali mentre il loro capo, il prof. Mattias Clark faceva
la spola fra gruppi finanziari, grosse società, facoltosi privati e chiunque
altro avesse potuto contribuire con un finanziamento per portare avanti il loro
sogno. Pian piano, quel semplice magazzino, attrezzato anche con mobilio
adeguato e generi di conforto, aveva consentito loro un soggiorno, anche per
discreti periodi, per evitare di perdere tempo negli spostamenti, quando un
esperimento in corso richiedeva un controllo continuo o quando le loro
discussioni circa i risultati di alcuni calcoli, si protraevano per ore ed alla
fine, sfiniti, si lasciavano letteralmente cadere sulle brandine poste in una
stanza arredata a dormitorio. Avevano anche allestito un fornito cucinino dove
preparare pasti d'emergenza o provvedere alla ininterrotta, copiosa
preparazione del caffè. La cosa era costata loro famiglia, amici, conoscenze ma
ne era di certo valsa la pena ed ora, prossimi al successo, sapevano che
avevano fatto bene, che avevano fatto la scelta giusta. Dopo aver suonato alla
porta ed essersi fatto riconoscere dal sistema televisivo a circuito chiuso,
Martin entrò nell' edificio e percorso un corridoio, superato un altro
controllo di sicurezza, arrivò finalmente nel laboratorio. C' erano già tutti
gli altri. Il prof Clark , il matematico Henry Turner, gli ingegneri Katrin Bailey e John Adams, i due
tecnici Samuel Cox e Margaret Rivera ed ora lui, scientificamente il meno
dotato di tutti, ma forse uno dei principali artefici del progetto, completava
quella eccezionale compagnia. La specialità di Martin era quella di rimediare
le cose, di trovare la strada per fare qualcosa, per risolvere nelle varie
difficoltà. Quando apparentemente il lavoro si arenava, per i più svariati
motivi, loro gli spiegavano cosa serviva, cosa non andava e lui modificava gli
strumenti, adattava i congegni, reperiva il materiale, trovava le soluzioni
alternative e si era reso prezioso in
mille occasioni. Nei primi tempi la sua attività veniva puntigliosamente
controllata, specie dai due ingegneri, ma poi avendo dato prova di indiscussa
affidabilità nel suo lavoro era diventato piuttosto indipendente. Riusciva
anche a risparmiare diversi soldini come la volta in cui, acquistando il cavo
d' argento per realizzare la bobina finale del campo, aveva accettato un grado
di purezza leggermente più basso valutando, con adeguata tolleranza, che non
avrebbe avuto alcun peso sul risultato finale o quando dovendo trovare delle
memorie superveloci, era riuscito a reperirle su un' apparecchiatura che l'
università con cui collaborava aveva scartato perchè ritenuta non all' altezza degli
standard richiesti. Il macchinario al centro del laboratorio era bellissimo.
Per chi l'aveva visto crescere giorno per giorno, sviluppandosi per inglobare
tutte le specifiche richieste, ogni componente, ogni cavo, ogni strumento aveva
la sua storia, dodici anni di storia, di sforzi, di lavoro. Ora era pronto.
Quando la sera prima avevano eseguito l' ultima regolazione, era sceso un
silenzio irreale, la prima volta in dodici anni, ed erano rimasti così, a
guardare attorno ed a osservarsi l' un l'altro quasi increduli di ciò che
avevano fatto, di ciò che avevano ottenuto. Erano ormai una squadra affiatata e
così legati uno all' altro, da non riuscire a concepire un futuro in cui non
apparissero tutti insieme. Ora, senza più indugi, Martin indossò il camice e immediatamente si tuffò nel suo
lavoro. Ognuno sapeva con esattezza cosa fare. A parte lo scalpiccio dei passi,
il ticchettare delle tastiere dei computer, il sibilo dei gas di raffreddamento
della bobina finale, il crepitio di qualche previsto arco elettrico causato
dall' altissimo valore della tensione in gioco, non si sentiva altro suono.
Alla fine, ognuno comunicò di essere pronto. Il professor Clark controllò gli
ultimi dati, gli ingegneri verificarono che i principali protocolli fossero in
azione ed opportunamente allineati, i tecnici controllavano che i parametri
fossero nella norma, il matematico verificava i dati che uscivano ad intervalli
dalla stampante e Martin alla consolle principale, era l' addetto
all'attivazione dei controlli che avrebbero portato avanti l' esperimento. Ora
era tutto pronto. Finalmente, il viaggio nel tempo sarebbe stata una realtà.
Tutti i test avevano dato esito positivo ed ora si sentivano pronti a scrivere
una nuova pagina di storia. Al centro della bobina avevano posto un grosso
cristallo di quarzo, un cesto di frutta ed una gabbietta con due cavie da
laboratorio. La prova prevista per quel giorno avrebbe spedito quel gruppo di
elementi nel futuro, di un' ora. Avrebbero così potuto controllare se ciò che
sarebbe stato spedito, avrebbe riportato danni nel salto, specie le due cavie.
Ad un segnale del professore, Martin avviò la procedura e continuò ad attivare
la sequenza prevista via via che gli ingegneri gli davano l' OK per le fasi
successive. Giunti alla sequenza finale, iniziarono a percepire il consueto
sibilo dovuto al campo che si formava all' interno della bobina. Il circuito di
confinamento del campo funzionava ampiamente nei parametri. Arrivarono
gradatamente alla piena potenza. Il sibilo divenne un fischio sempre più
intenso e più acuto, quasi insopportabile ma tutto funzionava nella norma. Gli
elementi all' interno della bobina cominciarono a smaterializzarsi. Il campo
iniziò a pulsare, emettendo una luce bianca ed intensissima, la bobina cominciò
a surriscaldarsi. Il circuito di confinamento si trovò a lavorare al limite
delle sue capacità. Il gruppo ora osservava il fenomeno con una certa
apprensione. Non era mai successo ma era anche vero che mai avevano spinto il
campo a questa intensità. La bobina continuava a surriscaldarsi e gli ingegneri
che avevano calcolato le specifiche non se ne spiegavano il motivo. Il prof. Clark gridò a Martin di compensare e
questi eseguì all' istante. Le memorie di controllo facevano il possibile per
limitare gli effetti. Il campo tornò a regolarizzarsi ma dopo un brevissimo
intervallo, divenne ancora più luminoso ed una improvvisa intensa onda di
energia si propagò dalla bobina tutto attorno, attraversando le
apparecchiature, i membri del gruppo che osservavano il fenomeno ammutoliti
dalla sorpresa, le pareti del laboratorio, perdendosi all' orizzonte.
Quella mattina, uscendo di casa, Martin Peterson
sentiva che quello sarebbe stato un giorno davvero speciale. Tutto intorno, il
resto del mondo non si rendeva conto che mentre proseguiva per la sua consueta
strada, un gruppo di uomini, un gruppo di ingegni, aveva lavorato per anni,
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