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Autore: Miyuki chan    18/12/2011    5 recensioni
Io, giuro, quella ragazza non l'avrei mai capita.
Prima mi ringhiava contro, poi si arrabbiava, poi mi ignorava, poi ancora fuggiva.
E adesso addirittura mi baciava...
*
Io, un giorno o l'altro, a quello stupido pirata avrei staccato la testa dal collo.
Lui e quella sua perenne aria da moccioso compiaciuto, i capelli corvini e ribelli, le lentiggini, gli occhi scuri e ardenti...
Stupido pirata, tanto bello quanto stupido.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Smoker, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Fire and the Tiger'
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Premessa:

Ladies and gentleman, buonasera e benvenuti ^^
Chiarisco subito due cose e vi lascio alla storia: ho scelto di non seguire passo a passo la trama originale, quindi non stupitevi troppo per quello che di volta in volta farò o non farò accadere.
Detto questo, per il primo capitolo mi sono ispirata all'incontro di Ace e Smoker ad Alabasta (ve ne accorgerete anche leggendo il loro scambio di battute), diciamo che è una mia interpretazione di come avrebbero potuto incontrarsi.
I personaggi non mi appartengono ( purtroppo ç_ç) tranne la  new entry che spero avrete voglia di conoscere, non scrivo a scopo di lucro, etc etc...

Si insomma, buona lettura!

Going under

 
“E anche Crocodile è sistemato”
Annunciò Smoker.
Si lasciò andare contro lo schienale della sedia , sbuffando una nuvola di fumo bianco nell’aria satura dell’ufficio mentre incrociava le braccia dietro la nuca.
Trattenni il fiato: odiavo l’odore dei sigari.
Dopo qualche secondo, quando non riuscii più a stare in apnea, mi rassegnai a respirare con la bocca: almeno così riuscivo a non sentire l’odore acre e pungente di quelle schifezze.
L’uomo sogghignò alla mia abituale reazione, socchiuse gli occhi e ispirò profondamente un’altra boccata di fumo.
“Chi è il prossimo?”
Chiesi.
Smoker rimase per qualche istante in silenzio, come se stesse pensando, e sbuffò un’altra spirale di fumo.
Stringendo i due sigari tra i denti si piegò in avanti, poggiando pesantemente i gomiti sulla scrivania e guardandomi negli occhi: ricambiai lo sguardo, notando nel suo una luce quasi inquietante.
“Monkey D. Rufy”
Disse soltanto, mentre la sua espressione già torva diventava ancora più cupa e minacciosa.

 
*

 
Con un mugolio mi allontanai dal parapetto in legno scuro e lucido: osservare le onde che si infrangevano sui fianchi della nave mi dava un senso di vertigine tutt’altro che piacevole.
Irrequieta, strusciai i piedi sulle assi del pavimento, pensando che non c’era cosa che odiassi di più dell’andare per mare.
Il mio sguardo cupo incontrò volti e uniformi di diverse decine di Marines, prima di incrociarsi con quello di Smoker.
Dava le spalle all’oceano, i gomiti contro il parapetto della nave e , tanto per cambiare, fumava: rimase impassibile davanti alla mia espressione afflitta.
Sospirai rassegnata, chiedendomi come facesse ad essere a suo agio.
Dopotutto anche lui aveva mangiato un frutto del diavolo, motivo che , almeno a me, sembrava più che sufficiente per temere il mare: sarebbe bastato un secondo, un solo attimo di distrazione, e se fossimo caduti in acqua saremmo entrambi colati a picco come sassi.
Il solo pensiero mi fece rabbrividire, perciò mi portai verso il centro della nave dove ero un po’ più lontana dalle onde spumeggianti e mi sentivo un po’ più al sicuro.
“E’ proprio necessario?”
Gridai a Smoker con fare tragico, rimanendo ferma vicino all’albero maestro.
“Non fare domandi inutili – mi rimproverò accigliato – sai che lo è”.
Chinai il capo sospirando sconfitta, capendo che il momento per scherzare era terminato.
Non che non avessi realmente paura del mare, tutt’altro, ma mi sarei controllata come avevo sempre fatto.
“Rilassati”
Buttò lì Smoker un po’ più amichevole capendo che avevo recepito il messaggio, mentre l’ennesima spirale di fumo veniva dissolta dal vento salato, che gli spettinava i capelli corti e gli accarezzava il petto.
“Mmh”
Mugugnai in risposta, ben sapendo che eravamo troppo lontani perché potesse udirmi.
I miei occhi si alzarono al cielo azzurrissimo, sporcato soltanto da qualche strascico di nuvola bianca, mentre appoggiavo la schiena contro il grande albero maestro e lasciavo che il sole mi scaldasse il viso.
Lo scalpiccio lieve dei Marines indaffarati a svolgere i propri compiti, unito al lieve dondolare della nave, fece in modo che ben presto le palpebre mi sembrassero estremamente pesanti.
Stiracchiandomi, attraversai il ponte, diretta sottocoperta dove si trovava la mia cabina, decisa a recuperare le ore di sonno arretrate.

*

 
Fui svegliata bruscamente da un rumore improvviso che scosse come un terremoto il letto su cui ero stesa.
Spalancai gli occhi sorpresa e spaventata e, dopo i primi secondi di smarrimento, balzai in piedi improvvisamente sveglia e schizzai fuori dalla piccola cabina, allarmata dal vociare concitato dei Marines.
Arrivai sul ponte: gli uomini correvano indaffarati per tutta la nave mentre Smoker impartiva ordini a qualche metro da me, avvolto dalla nebbia densa e umida che era scesa sull’oceano.
“Cosa succede?”
Chiesi preoccupata correndo da lui.
L’uomo distolse l’attenzione dal soldato che aveva davanti e la portò su di me, gli occhi grigi più cupi che mai:
“Dove diavolo eri? I pirati ci attaccano e siamo appena stati colpiti da un colpo di cannone, e tutto perché questo idiota si è addormentato”.
Ringhiò minaccioso e arrabbiato mentre il Marine incriminato, che avrebbe dovuto stare di vedetta, continuava a scusarsi chinando il capo, più spaventato che mai.
“Sappiamo chi sono?”
Domandai con urgenza, ignorando il brivido che mi era corso lungo la schiena nell’udire che una palla di cannone aveva aperto un bel buco nella nostra nave e che, con tutta probabilità, da quel bel buco stavano entrando litri e litri di acqua marina.
“E’ una delle navi di Barbabianca”.
Rispose cupo.
“Quale flotta?”
Domandai titubante.
“Ragazzina, come diavolo credi che io possa saperlo?”
Rispose irritato.
Deglutii sussurrando uno “scusa”, mentre i battiti del mio cuore acceleravano vertiginosamente.
In quello stesso momento la sagoma di una grossa nave emerse dalla nebbia, ad appena un centinaio di metri dalla nostra.
Il vento freddo soffiava sulle sue vele mentre il teschio della bandiera pirata si gonfiava fiero,  stagliandosi nei cielo nuvoloso.
Nel giro di una manciata di secondi le due imbarcazioni arrivarono ad essere così vicine che il fianco della nave pirata urtò quello della nostra, squassata dall’ennesimo scossone.
In piedi sul parapetto nemico, a nemmeno una decina di metri da noi, un ragazzo a dorso nudo si stava calcando un cappello arancione sul capo corvino, mentre nell’aria densa le voci dei Marines si andavano mischiando al vociare indistinto dei pirati che fremevano alle sue spalle.
“Portgas D. Ace…”
Dissi con un filo di voce, identificando il ragazzo.
“Anche tu qui eh, vecchio? Che coincidenza!”
Esordì il pirata allegro in un tono che, se non fossi stata sufficientemente vicina da scorgere il sorriso minaccioso sul suo volto, avrei potuto benissimo definire amichevole.
“Le coincidenze non esistono, Portgas”.
Rispose burbero Smoker, senza scomporsi davanti ai modi affabili del ragazzo.
“Non sei tu il pirata a cui sto dando la caccia al momento, ma ora che siamo entrambi qui non posso certo lasciarti andare”
Ringhiò, mentre il suo pugno destro perdeva consistenza e si mutava in una spirale di fumo bianco.
“…e voi, non statevene lì impalati.”
Rimproverò me e la vedetta pigra subito dopo, minaccioso.
Trasalii notando che gli altri uomini avevano già assunto i propri posti di combattimento, ricordandomi soltanto in quell’istante che il mio era dalla parte opposta del ponte.
“Sì!”
Esclamai dando le spalle a Smoker e ad una decina di uomini fidati, schierati e pronti a combattere con lui fianco a fianco, raggiungendo la mia postazione.
“E’ ora di divertirsi!”
Sentii Portgas dire, mentre le urla selvagge dei pirati che si lanciavano all’attacco segnavano l’inizio della battaglia.
 

*



Il combattimento andava avanti ormai da parecchi minuti, e per la nave erano già abbondantemente disseminati i cadaveri dei soldati, mentre i pirati erano in netto vantaggio.
Avevo subito capito che non avevamo nemmeno mezza possibilità di uscire vittoriosi da quello scontro: gli uomini di Barbabianca erano troppo forti, niente a vedere coi pirati ordinari che andavano al tappeto con un paio di colpi.
L’unico modo per evitare una disfatta totale era ritirarci.
Certo era più facile a dirsi che a farsi, i pirati erano tanto numerosi sulla nave quanto stupide formiche in un formicaio.
Capii che dovevo parlare con Smoker, in qualità di mio superiore nonché unico Marine abbastanza esperto da poter trovare una soluzione.
Schivai con un paio di rapidi balzi il pirata che si stava dirigendo verso di me con la sciabola sguainata, attraversando di corsa il ponte affollato, diretta al punto in cui avevo visto Smoker per l’ultima volta.
Mi augurai di cuore che lui e i suoi uomini se la stessero cavando meglio di quando non stessimo facendo noi, mentre i Marines intorno a me continuavano a cadere inesorabilmente sotto i colpi nemici.
Tra le urla dei pirati e quelle dei soldati che si accavallavano nella nebbia fitta, percorsi parte della distanza che mi separava dalla mia meta.
Mi arrestai bruscamente: la parte anteriore del ponte era completamente avvolta da fiamme crepitanti.
Mi guardai attorno atterrita, cercando disperatamente di distinguere la figura di Smoker tra la nebbia, il fumo, le fiamme e il groviglio di uomini.
Un grido strozzato uscì dalle mie labbra mentre un’improvvisa vampata di calore mi investiva in pieno.
Con un singhiozzo indietreggiai barcollando, momentaneamente accecata dal bagliore e dalla temperatura elevata, mentre un dolore acuto si impossessava del mio corpo ferito dalle fiamme. 
Inciampai nelle mie stesse gambe e, cadendo all’indietro, precipitai: capii cosa stava succedendo soltanto nel momento in cui la mia schiena colpì violentemente l’acqua gelida dell’oceano.
All’iniziale senso di sollievo per l’acqua fredda che leniva le mie scottature, si sostituì ben presto il terrore più cieco.
Iniziai ad agitarmi dimenando braccia e gambe, come se così facendo potessi riacquistare la capacità di nuotare che avevo perso mangiando il frutto del diavolo.
Pensai che, stavolta, ero davvero morta, mentre l’acqua salata mi bruciava gli occhi e la gola, si insinuava nella mia bocca e mi riempiva i polmoni.
Mi sentivo debole, stanca, pesante, non c’era una singola fibra in tutto il mio corpo che non mi facesse un male terribile e così, ben presto, mi arresi: smisi di lottare lasciando che la corrente mi trascinasse verso il fondo, ormai priva di sensi.

Spazio autrice:

Bè a dire il vero sul primo capitolo non ho molto da dire °_°
A parte che, ovviamente, visto che ci sarà un secondo capitolo  qualcuno o qualcosa interverrà per salvare il mio povero personaggio (o forse no? Mwahahaha come sono cattiva!).

Spero soltanto che sia piaciuto e che qualche anima pia abbia voglia di esternare la propria opinione, positiva o negativa che sia **
E.. beh si ecco io…
Buona serata!
*fugge*

 
  
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