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Autore: Alessia NightOwl    21/12/2011    27 recensioni
"Non dire mai no all'amore fino a quando non sarai certa che non possa più farti battere il cuore."
Questa è una semplicissima storia, è la storia di una donna e i suoi problemi nella vita reale.
Riuscirà ad affrontare le nuove avventure che gli si presenteranno davanti, oppure deciderà di mollare tutto, ancora una volta?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ciao a tutti. Io sono Alessia. Questa non è la prima fan fiction che scrivo e sinceramente non so neanche se si può chiamare tale.
E' una storia completamente inventata, con personaggi e situazioni inventati. Non ho preso spunto da niente in particolare, solo un po' dalla mia vita.

Per scrivere questa storia ho ovviamente usato la musica, in particolare finora ho ascoltato canzoni di Adele e dei Bat for Lashes, ma per questo primo capitolo non c'è una canzone che possa accompagnare la lettura.
Ok, spero che vi piaccia questo primo capitolo e che commenterete dandomi consigli e pareri.
Sono molto critica nei miei confronti, dunque non abbiate paura a dirmi quello che pensate (ovviamente senza offendere).
Credo che ci siamo.

Buona lettura.



-Set Fire to my Heart-


Capitolo 1. (Balance of Real Life)

Ero appoggiata con i gomiti al balcone del mio piccolo appartamento, osservavo la città che si svegliava.

La nebbia autunnale iniziava ad alzarsi e le luci notturne si spegnevano, i rumori del piccolo porto si facevano sempre più forti.

Le prime persone si facevano coraggio ed uscivano a quel freddo così pungente, sembrava quasi inverno, e si immergevano nella vita del paese.

Mi strinsi nel mio maglione di lana, fatto ai ferri dalla mia vecchia nonna tanti anni prima, uno di quei cimeli di famiglia che mi portavo addosso da sempre.

Diedi un'ultima occhiata alla vita esterna, inspirai un po' di quell'aria fresca che al mattino ti fa stare bene, e rientrai in casa.

Andai verso la camera di Sophie, aprii piano la porta e mi sedetti sul bordo del suo letto.

"Sophie, sveglia." Le dissi accarezzandole il viso con dolcezza.

Mia figlia aprì gli occhi contro voglia e iniziò a stiracchiarsi da sotto le sue calde coperte.

"Mamma, dai è già ora di svegliarsi? Non ne ho voglia, uffa."

Ogni mattina la stessa frase, ma ricordavo sempre che anch'io alla sua età non avevo mai voglia di svegliarmi presto, era un vero e proprio trauma.

Mi diressi in cucina, lasciandole il tempo di prepararsi per una nuova giornata di scuola e nel frattempo preparai la colazione per tutte e due.

Ormai ogni situazione era diventata un rito per noi due, sole.

La svegliavo, facevamo colazione insieme, la portavo a scuola e poi ci rivedevamo nel pomeriggio. Non cambiava quasi mai niente nei nostri programmi. Poteva sembrare monotono, ma avevamo trovato il nostro ritmo in quella vita così piatta e finalmente eravamo tranquille.

La salutai di fronte a scuola, mentre lei correva verso le sue amiche. Mi lanciò un bacio da sopra i gradini e poi scomparve dietro le grosse porte di metallo.

Tornai in macchina e accesi il riscaldamento al massimo. Era davvero freddo e non ero ancora abituata, soprattutto per una persona così freddolosa come me.

Il lavoro mi aspettava a braccia aperte, purtroppo e così andai al Tory Harbor Cafè, la tavola calda dove lavoravo ormai da 5 anni.

Era il bar del porto ed era sempre pieno di persone di ogni tipo, gente del paese, ma anche forestieri o semplicemente marinai che venivano a fare la pausa da un tragitto all'altro.

Odiavo quel posto, per l'umidità che lo circondava, ma soprattutto per il mio capo; un ometto di mezz'età, grassoccio molliccio e viscido. Jack era sempre pronto ad attaccarti per qualsiasi minuscolo errore commettessi, o  semplicemente, se la mattina si svegliava con la luna storta, diventavi il bersaglio del suo malumore. Non era piacevole, ma almeno ogni mese avevo la mia paga che mi permetteva di tirare avanti.

Il bar era già affollato, così corsi nel retro a cambiarmi e andai ad aiutare la mia cara amica Claire che era già sommersa di ordini.

"Ehi Elly, eccoti. Stamattina è assurdo, ognuno vuole qualcosa di diverso, ognuno ha una lamentela da fare  e ovviamente Jack ha l'umore nero come la pece, dunque preparati" mi disse mentre mi abbracciava.

"Tranquilla, ora ci divideremo lamentele e umore nero in due" dissi sorridendo. Quella mattina stavo bene, ero allegra ed ero convinta che niente avrebbe potuto cambiare lo stato in cui mi trovavo.

La giornata passò veloce e frenetica. Il mio turno stava per finire, quando Jack venne da me e mi chiamò nel suo ufficio. Sospirai esasperata, mentre Claire mi osservava da lontano, sapevo che sarebbe stata al mio fianco, qualsiasi comunicazione avessi ricevuto dal "grande capo".

"Jack avrei finito. Dimmi cosa c'è?" gli chiesi quando entrai nell'ufficio tirandomi via il grembiule.

Quando alzai lo sguardo quello che vidi non mi piacque per niente, il ghigno dipinto sul volto di Jack e il suo tamburellare nervosamente con le dita sulla sua scrivania erano un cattivo presagio.

"Siediti Eloise, siediti cara."

Continuai a guardarlo dura in viso, mentre mi sedevo. Ero in attesa della brutta notizia.

"Ebbene, ho preso una decisione. Qui al bar a parte me siete in 4, tu Claire e le altre due pasticcione. I turni sono ben coperti, ma non sono molto contento delle due giovani ragazze che coprono il turno serale. E così chiedevo se da oggi potevi venire a fare qualche ora anche alla sera" continuava a guardami con aria di sfida e sapevo bene che questa non era una proposta, ma un ordine.

"Jack, sai bene che non ho nessuno che possa tenere mia figlia alla sera, non posso portarmela dietro. E sai anche che Claire è nella stessa situazione mia" dissi sperando che a quell'uomo così frustrato fosse rimasto un briciolo di buon senso.

"No cara, non vorrei Claire comunque anche se potesse. Voglio te, sei la migliore, potrei darti un aumento, ma ricorda che se non accetterai ci saranno delle conseguenze" ecco le parole magiche: conseguenze.

"Che conseguenze ci saranno Jack, spiegamelo grazie" dissi sempre più nervosa, sapevo che dovevo mantenere la calma per poter avere almeno quello straccio di lavoro, ma certi giorni era davvero complicato.

"Non so ancora di preciso che conseguenze ci saranno, ma stai certa che ci saranno. Non ti licenzio, questo no, ma ti abbasserò la paga e dovrai fare molte più commissioni durante il tuo turno" ecco le sue ultime parole, non potevo certo permettermi una paga inferiore a quel minimo che già prendevo, ma non potevo neanche pensare di lasciare a casa mia figlia da sola per le ore serali che avrei dovuto coprire.

"Jack, puoi lasciarmi qualche giorno per scegliere quale dei due mali è il minore?" gli chiesi sul punto di esplodere.

Il "grande capo" si alzò, girò intorno alla scrivania e venne dietro di me, appoggiò le sue luride mani alle mie spalle e iniziò a muoverle.

"Certo cara, un paio di giorni posso aspettare, ma dopo questi se non avrai ancora deciso, deciderò io per te" sentire il suo fiato pesante sul mio collo e la sua presa molliccia sulle mie spalle mi faceva venire la nausea.

Aveva già provato anni prima a toccarmi dove non avrebbe dovuto e rimediò un bel calcio nelle parti basse, e una denuncia. Sapeva che accettavo molte cose, ma il mio corpo era solo mio, e di certo le minacce non mi portavano a letto con lui, anche se lui avrebbe voluto.

Spostai le sue mani dalle mie spalle e mi alzai.

"Bene, in questi giorni ci penserò e poi ti verrò a dire quale decisione ho preso. Buona giornata Jack" mi girai e scappai da quel tugurio che lui chiamava ufficio. Non mi sarei meravigliata se un giorno l'avessi visto banchettare insieme a scarafaggi e topi di fogna sulla sua scrivania piena di scartoffie, con resti di cibo ormai ammuffito.

Quando uscii dall'ufficio avevo gli occhi di Claire puntati addosso come un radar, mi vide e capì ogni cosa, mi fece un cenno. Ci saremmo viste poco dopo davanti a scuola dei nostri figli e le avrei spiegato tutto. Lei doveva finire di mettere a posto alcune cose e doveva aspettare le altre ragazze che arrivassero.

Claire era la mia migliore amica da tempi ormai lontani, eravamo cresciute insieme e quando decisi di trasferirmi in questa piccola isoletta, lei mi seguì senza avere dubbi "tanto qui a Dublino non ho nessuno, le nostre figlie sono amiche, tu sei la mia migliore amica. Rinizieremo a vivere insieme" ecco cosa mi disse 7 anni fa.

La nostra storia era simile, due madri single che cercavano di sopravvivere. Le differenze sostanziali erano due. Lei aveva divorziato dal marito, mentre il mio fidanzato era scomparso non appena ebbe notizia della gravidanza. La seconda differenza era che i suoi genitori c'erano e l'aiutavano sempre in ogni modo, mentre i miei erano latitanti. Mio padre non lo sentivo da troppo tempo e mia madre, abitando a Londra, faceva quel che poteva.

In poche parole ero davvero sola, ma non mi importava poi molto. Ero finalmente riuscita a trovare un giusto equilibrio nella mia vita e in quella di mia figlia e non me lo sarei certo fatta rovinare da uno stronzetto che pensava di essere padrone del mondo.

   
 
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