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Autore: _hurricane    22/12/2011    15 recensioni
Quando Kurt va ad aprire alla porta una fredda sera di Dicembre, non si aspetta di trovare il più bel regalo di Natale della sua vita.
[Christmas!Klaine scritta per il concorso "La più bella OS di Natale!" della pagina EFP Glee Fanfiction]
C’era un ragazzo sotto il portico di casa sua; un po’ più basso di lui, ma probabilmente della stessa età. Kurt riuscì a capire che aveva i capelli neri dai buchi sparsi qua e là sul suo berretto di lana, e incuriosito dalla cosa lo squadrò velocemente, cercando di non farsi notare troppo. Vide che indossava una felpa grigia un po’ dimessa, con sopra una giacca troppo leggera; pantaloni di tuta e un paio di guanti di quelli con le punte delle dita scoperte. La sciarpa che aveva al collo gli copriva leggermente le labbra, lasciando visibile soltanto un tratto del suo viso. Ma era il tratto che bastava.
Aveva due occhi che lo fecero trasalire. Nocciola? Miele? Ambra? Oro? Non lo sapeva. Non avrebbe saputo dirlo, sapeva soltanto che luccicavano nella notte più delle luci che riempivano le strade, ardevano più del fuoco che aveva nel camino, e riscaldavano istantaneamente il cuore più di quanto qualsiasi regalo avrebbe mai potuto fare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Blaine/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Et voilà!” esclamò Kurt, mettendosi le mani sui fianchi con un ghigno soddisfatto sul viso. Finn camminò titubante nella neve per raggiungerlo, e si fermò accanto a lui prima di voltare lo sguardo nella sua stessa direzione.

“Ma Kurt…” esordì, lanciando una rapida occhiata all’ammasso informe di neve che si era lasciato alle spalle, “…non puoi mettere un gilè ad un pupazzo di neve!”

“E perché no? Non hanno diritto anche loro ad essere alla moda, prima di sciogliersi? Il tuo è deprimente” lo ammonì Kurt, indicando appunto quello che avrebbe dovuto essere un pupazzo di neve ma che somigliava più che altro ad un insieme di palline bianche con sopra due pietre e una carota.

“E’ realistico!” sbottò Finn, alzando le mani al cielo in tono offeso. I due ragazzi si guardarono in silenzio per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere all’unisono.

La neve cadeva a fiocchi leggeri intorno a loro, accumulandosi sotto i loro piedi sopra quella già caduta in precedenza e creando un soffice strato bianco in cui affondare le suole. Faceva più freddo del solito, a Lima: così tanto che dovevano indossare cappelli di lana, sciarpe avvolte con cura quasi fino alla punta del naso e guanti. Le luci di Natale che adornavano le case creavano la classica atmosfera gioiosa e serena che ad entrambi piaceva molto, ma in quel momento non si sentivano canzoni né suoni di campane a ravvivare il quartiere.

Era tutto… immobile, quieto. Anche i fiocchi di neve sembravano voler indugiare nell’aria, fluttuando pigramente a destra e a sinistra prima di poggiarsi sui loro nasi e sciogliersi lentamente in goccioline di acqua fredda. Non c’era nessuno davanti alla loro casa: ormai era quasi ora di cena, era comprensibile.

“Che dici, torniamo dentro?” disse Finn, scoccando un’ultima occhiata ai due pupazzi di neve a pochi passi di distanza l’uno dall’altro. Kurt sembrò pensieroso per un attimo.

“Secondo te dovrei metterci una spilla o gli darebbe un’aria troppo antiquata?”

Finn roteò gli occhi con aria divertita.

“Kurt, è fatto di neve. Cosa vuoi che gli importi?!”

“Che tristezza” mugugnò Kurt, prima di scuotere la testa con disapprovazione e seguirlo verso la porta d’ingresso degli Hummel-Hudson.

 


 

Dlin dlon!

“Kurt, tesoro, potresti andare tu ad aprire?” gridò Carole dalla cucina, mentre tirava fuori un pollo arrosto dal forno. Kurt uscì dalla sua stanza, dove si era prontamente rifugiato per idratarsi le labbra screpolate dal freddo, e scese le scale per poi attraversare a grandi passi il salotto che faceva da ingresso.

Finn era tranquillamente spaparanzato sul divano, praticamente a meno di un metro dalla porta. Kurt gli rivolse un’occhiata eloquente ma fece come gli era stato detto: raggiunse la porta e la aprì.

“Sì?” chiese mentre faceva capolino sulla soglia con un’espressione leggermente annoiata, prima di ritrarre la testa e sbattere le palpebre.

C’era un ragazzo sotto il portico di casa sua; un po’ più basso di lui, ma probabilmente della stessa età. Kurt riuscì a capire che aveva i capelli neri dai buchi sparsi qua e là sul suo berretto di lana, e incuriosito dalla cosa lo squadrò velocemente, cercando di non farsi notare troppo. Vide che indossava una felpa grigia un po’ dimessa, con sopra una giacca troppo leggera; pantaloni di tuta e un paio di guanti di quelli con le punte delle dita scoperte. La sciarpa che aveva al collo gli copriva leggermente le labbra, lasciando visibile soltanto un tratto del suo viso. Ma era il tratto che bastava.

Aveva due occhi che lo fecero trasalire. Nocciola? Miele? Ambra? Oro? Non lo sapeva. Non avrebbe saputo dirlo, sapeva soltanto che luccicavano nella notte più delle luci che riempivano le strade, ardevano più del fuoco che aveva nel camino, e riscaldavano istantaneamente il cuore più di quanto qualsiasi regalo avrebbe mai potuto fare.

“Salve, signore!” disse il ragazzo in tono quasi ridicolmente formale, come se dovesse parlare per forza in quel modo indipendentemente dall’età della persona che aveva di fronte. Si aprì in un sorriso così ampio che Kurt potè vederlo stendersi al di sopra del bordo della sciarpa, rendendo i suoi occhi subito più luminosi, cosa che lo sorprese molto visto che pensava fosse impossibile.

“Mi chiamo Blaine, e sto facendo il giro del quartiere per raccogliere qualche offerta per la mia casa di accoglienza! Le andrebbe di donare qualcosa per Natale? Noi le saremmo molto grati e appenderemmo un bigliettino con il suo nome al nostro albero, insieme a quelli degli altri benefattori! Va bene qualche spicciolo oppure del pane, o una scatola di pasta, quello che preferisce. I sorrisi non si quantificano mica!” disse tutto d’un fiato il bellissimo ragazzo, saltellando leggermente sui suoi piedi mentre parlava.

Kurt cercò di non mostrarsi imbarazzato, non avendo capito chi aveva davanti all’inizio, e rispose prontamente: “Certo, certamente, mi farebbe molto piacere! Aspetta che vado a vedere cosa posso darti!”

Blaine gli sorrise radioso, gli occhi che traboccavano di gratitudine. Kurt si accorse che non aveva una borsa con sé, niente che potesse far pensare che qualcuno gli avesse già donato qualcosa. Forse aveva soltanto qualche spicciolo in tasca. Lasciò la porta leggermente aperta e tornò dentro, dirigendosi in cucina.

“Carole, abbiamo qualcosa da poter donare alla casa di accoglienza di Lima? Magari della pasta in più, o cereali, o biscotti? Quelli supercalorici che mangia Finn gli saranno sicuramente d’aiuto” disse, mentre iniziava già a frugare tra gli scaffali e dentro gli sportelli.

“Giù le mani dai miei biscotti!” mugugnò Finn dal salotto, mentre ne inghiottiva uno proprio in quel momento.

“Perché non gli dai la crostata che ho preparato? Tanto sappiamo entrambi che mia sorella avrà preparato dolci per un esercito per la cena di stasera” gli disse Carole con un piccolo sorriso, mentre si puliva le mani sporche di sugo sul grembiule che aveva intorno alla vita.

“Davvero? Sei sicura?” chiese Kurt, voltandosi per guardarla.

“Certamente! Anzi, mi renderebbe molto felice. E qualche spicciolo, naturalmente” gli rispose lei, annuendo vigorosamente. Kurt sorrise e raggiunse l’isolotto della cucina, su cui era poggiata appunto la crostata di ciliegie che aveva fatto, coperta dalla carta stagnola. Cercò una busta di plastica per potercela mettere dentro e una volta fatto ciò, la prese e cercò il suo portafogli. Lo trovò appoggiato sul camino del salotto e, poggiando per un attimo la crostata sul divano per non farla cadere, lo aprì e ne tirò fuori cinque dollari.

Tornò alla porta e uscì sotto il portico, dove il ragazzo lo stava aspettando guardandosi le punte dei piedi. Kurt notò che aveva le braccia strette intorno a sé e che si stava accarezzando le braccia con i guanti, rabbrividendo di tanto in tanto. Ma non appena lo vide tornare, si raddrizzò improvvisamente e riportò le braccia lungo i fianchi, sfoggiando di nuovo un sorriso che, se fosse stato possibile, avrebbe illuminato la strada, il quartiere, il mondo. Kurt era più che sicuro di non averne mai visto uno così. Era… sincero, pieno di una gioia che sembrava così pura da far quasi commuovere.

“Ecco qui” gli disse, sorridendogli di rimando. “Questa è una crostata di ciliegie, l’ha fatta la moglie di mio padre. E’ molto brava, garantisco io!” disse con una piccola risata, prima di porgergli la busta.

“Io- è- è sicuro che va bene?” chiese il ragazzo – Blaine, si corresse Kurt mentalmente – abbassando lo sguardo e poi rialzandolo su di lui con aria incerta.

“Certo! Le farebbe molto piacere! E questi sono cinque dollari” disse Kurt, tirando fuori la banconota dalla tasca. Blaine prese titubante la busta dalle sue mani e la tenne con una, prima di allungare nuovamente l’altra e accettare il denaro.

“Lei è davvero gentile, signore. Può darmi il suo nome, così lo appendiamo al nostro albero?” gli chiese, il sorriso un po’ più piccolo di prima.

“Soltanto se la smetti di chiamarmi signore, mi fa sembrare vecchio!” rispose Kurt, portandosi una mano al petto con aria fintamente offesa. Blaine scoppiò a ridere.

“Va bene, le chied- cioè, chiedo scusa.”

“Sono Kurt. Kurt Hummel” disse Kurt. Blaine annuì vigorosamente, facendo capire che lo avrebbe ricordato, quando un brivido particolarmente intenso lo scosse facendogli battere i denti. Strinse la mascella e chiuse gli occhi, come per concentrarsi su come fare a parlare.

“Grazie mille, Kurt. La casa di accoglienza augura a te e alla tua famiglia un felicissimo Natale” disse, in un tono che Kurt intuì avrebbe dovuto essere allegro. Ma non lo sembrò molto. Blaine gli rivolse un piccolo sorriso e fece per voltarsi, ma Kurt, senza neanche pensare a quello che stava facendo, allungò una mano e lo prese per il braccio.

“Vuoi entrare?” gli chiese in un sussurro. Blaine lo guardò sorpreso, gli occhi lievemente più spalancati sormontati da morbide ciglia scure.

“Mi- mi dispiace, devo finire il giro” disse dopo il più breve attimo di esitazione. “Grazie, comunque.”

Kurt lo guardò con aria triste e lentamente, molto lentamente, lasciò la presa dalla sua giacca inumidita dall’aria fredda della sera. Blaine si voltò senza guardarlo e si apprestò a scendere gli scalini del suo portico, facendosi subito più piccolo come per cercare calore da qualche parte dentro di sé.

“Blaine!” esclamò Kurt, facendo un passo in avanti verso di lui. Blaine si bloccò con il piede a mezz’aria e si girò leggermente.

“E se venissi io con te?” gli domandò Kurt con uno sguardo speranzoso. E in quel momento, si prese mentalmente a calci per aver pensato che il sorriso che aveva visto prima fosse il più raggiante che avesse mai visto. Perché non lo era, non più.

Blaine sembrò così felice in quel momento, i fiocchi di neve che gli danzavano intorno come se volessero incorniciare il suo viso in quadro perfetto, gli occhi così lucidi e brillanti da fare invidia alle stelle del cielo, il volto adornato da quel sorriso, quel sorriso di cui Kurt pensò di essersi innamorato. Ci si poteva innamorare di un sorriso?

“Davvero lo faresti?” gli disse, il tono simile a quello di un bambino incredulo davanti ad un enorme pacco regalo. Kurt annuì e sorrise.

“Dammi un minuto” disse, prima di tornare in casa ancora una volta. Passò davanti ad un Finn interdetto, che evidentemente era riuscito a sentire parte della conversazione, e raggiunse l’attaccapanni per prendere cappello, guanti, sciarpa e cappotto. Mentre lo indossava, rimase con le braccia in alto, a mezz’aria, rendendosi improvvisamente conto di qualcosa. Senza dire una parola, corse di fretta su per le scale fino alla sua stanza e frugò nel suo armadio in un modo che avrebbe sicuramente rimpianto, chiedendo silenziosamente scusa ai suoi indumenti perfettamente allineati, finchè non trovò quello che cercava: un altro cappotto.

Scese le scale tenendolo sotto braccio e incappò in Carole, che stava apparecchiando la tavola.

“Dove stai andando?” gli chiese curiosa, vedendolo imbacuccato in quel modo.

“A fare il giro del quartiere per la casa di accoglienza” rispose Kurt un po’ titubante, aspettandosi un rimprovero visto che ormai era ora di cena e gli ospiti stavano per arrivare. Carole invece lo guardò per un secondo, sbattendo le palpebre, e poi sorrise.

“Oh, Kurt” gli disse, prima di avvicinarsi per dargli un buffetto sulla guancia. “E’ una cosa molto bella.”

Kurt omise di dire che si era appena innamorato di un sorriso e che lo avrebbe seguito volentieri in capo al mondo, e che molto probabilmente, se al posto di Blaine ci fosse stata una ragazza o un cinquantenne con i capelli brizzolati, a quest’ora sarebbe stato già seduto al tavolo con il fazzoletto sulle ginocchia. Si sentì un po’ in colpa a quel pensiero, ma poi si ricordò che Blaine lo stava aspettando e lo scacciò silenziosamente.

“Torno presto” disse, prima di darle un bacio sulla guancia. “Dillo tu a papà quando arriva.”

Carole annuì e lo guardò dirigersi verso la porta a passo sicuro, prima di chiudersela alle spalle.

“Ti ho preso questo” disse Kurt, trovandosi Blaine di fronte. Lui lo guardò ancora una volta con quello sguardo da Non dirmi che lo hai fatto davvero, ed esitò. Ma poi, dopo aver fissato l’indumento, lo prese.

“Te lo restituirò quando finiamo il giro” si premurò di precisare, prima di indossarlo velocemente ma senza far capire che non vedeva l’ora. Lo abbottonò e se lo strinse intorno, chiudendo gli occhi come se fosse in estasi per l’improvviso calore che lo avvolse. Kurt lo guardò con la testa inclinata da un lato, sentendosi un po’ più caldo anche lui. Al cuore.

“Allora, dove mi porti?” gli disse, mettendosi le mani in tasca. Blaine sorrise davanti alla sua intraprendenza, che forse poteva apparire fuori luogo ma che gli faceva soltanto venire voglia di prendere il viso di quel bellissimo ragazzo dalla pelle chiara tra le mani e baciarlo fino a fargli perdere i sensi. Ma non poteva farlo, lo sapeva bene. Sarebbe stato inopportuno, e non soltanto perché si conoscevano a malapena.

Blaine era un senzatetto e i senzatetto non baciavano ragazzi che si potevano permettere ben due cappotti palesemente costosi e che vivevano in una grande casa con la staccionata bianca, il sentiero ricoperto di ghiaia con la neve accumulata ai lati e un accogliente portico con il dondolo e le poltroncine da esterni.

I due ragazzi iniziarono a camminare l’uno accanto all’altro lungo il marciapiede, in un improvviso ma stranamente accogliente silenzio. Era come se si conoscessero, e non avessero bisogno di parlare. Le loro spalle si sfiorarono di tanto in tanto ma fecero finta di nulla, distogliendo palesemente lo sguardo per fissarsi i piedi, o guardare le case con eccessivo interesse, o dire cose scontate come “Che bello quell’albero laggiù”.

Kurt intanto stava dibattendo internamente sulla reale possibilità dell’innamorarsi di più cose. Un sorriso, un paio d’occhi, una voce calda e piena di vita ma in qualche modo fragile, una mano avvolta da un guanto che si scontrava con la sua con fare innocente, un ricciolo nero che sfuggiva dalla fessura di un logoro cappello di lana. Tante cose, tutte insieme e in così poco tempo. Era possibile?

E Blaine, Blaine non avrebbe voluto far scontrare la sua mano con quella di Kurt in modo accidentale, dando la colpa alla neve scivolosa. Avrebbe voluto stringerla, intenzionalmente, ma senza un motivo. Avrebbe voluto avere il diritto di farlo. Si chiese se qualcuno lo avesse.

Si chiese se a qualcuno fosse stato concesso da una qualche manna del cielo di stringere quell’insieme di pura perfezione tra le braccia quando faceva freddo, davanti al fuoco di un camino.

Si chiese se qualcuno fosse in grado di scostargli un ciuffo di capelli dalla fronte con fare sicuro, regalandogli un timido sorriso; se qualcuno potesse accarezzargli la guancia con il dorso della mano per vedere le sue lunghe e folte ciglia svolazzare nell’aria mentre sbatteva le palpebre.

Si chiese se qualcuno avesse il privilegio di baciarlo ogni volta che voleva, accarezzandogli morbidamente i fianchi mentre le loro labbra si incontravano in un movimento ormai familiare ma mai scontato.

E ipotizzando che quel qualcuno esistesse, si chiese se sapesse quanto era fortunato, o se invece desse tutto per scontato. Blaine aveva imparato molto tempo prima, quando era rimasto orfano e abbandonato a se stesso, a non dare niente per scontato. Forse era per questo che ogni suo sorriso era così raggiante: perché ogni cosa, anche la più piccola, lo rendeva felice. Era quello il segreto, perché altrimenti non sarebbe mai stato felice; doveva accontentarsi di quello che aveva e ringraziare Dio, il destino, la sorte, quello che più preferiva. Ed era grato per ciò che aveva, per il cibo, i suoi pochi vestiti, la vita.

Ma per una volta, una volta soltanto, desiderò di più. Desiderò Kurt. Non aveva mai voluto nient’altro nella sua vita, non si era mai lamentato della sua situazione, non aveva mai guardato con disprezzo le persone più ricche che gli rivolgevano sguardi falsamente compassionevoli mentre gli passavano davanti sul marciapiede, senza donargli nulla. Mai.

Ma se avesse incontrato la persona che aveva Kurt, se davvero esisteva, l’avrebbe guardata in quel modo. L’avrebbe invidiata. Perché quella persona aveva tutto l’oro del mondo, aveva il tesoro più prezioso di tutti, aveva tra le mani il sole e poteva abbracciarlo, baciarlo, accarezzarlo lasciando che la sua luce lo avvolgesse e penetrasse sotto la sua pelle. Quella persona aveva tutto.

Il giro di casa in casa non andò benissimo. A quanto pareva, Kurt era la persona più generosa del quartiere – il fatto che si fosse appena innamorato del modo in cui Blaine camminava era certamente d’aiuto – mentre le altre si limitavano a dargli spiccioli, letteralmente spiccioli, o avanzi di cibo senza preoccuparsi di metterglieli in una busta di plastica o avvolgerli nella carta stagnola, rendendo la cosa piuttosto umiliante.

Kurt scoccò occhiate furiose di tanto in tanto, per essere prontamente ammonito da Blaine che gli diceva “Non importa, va bene lo stesso. Devi sempre sorridere e far vedere che sei grato, e augurare un felice Natale.”

Kurt ammirava quanto Blaine fosse paziente ed umile, pur sapendo che lui non ci sarebbe mai riuscito. Fosse stato al suo posto, sarebbe stato arrabbiato con il mondo. Invece Blaine era così genuino, allegro, anche se forse parte dell’atteggiamento era una facciata. Ma sotto sotto, Kurt si convinse che era davvero così.

Quella era la persona che era, la sua essenza. Perché un sorriso del genere non avrebbe mai potuto essere falso o costruito. Una cosa così bella non poteva che venire dal cuore, un cuore puro e immacolato nonostante tutte le cose che aveva dovuto sopportare, e che Kurt non chiese sia per cortesia che per paura di scoprire quanto il mondo fosse stato ingiusto con il ragazzo che gli camminava accanto.

Alla fine, con quel poco che avevano ottenuto, tornarono davanti casa di Kurt. La neve aveva smesso di cadere, rendendo tutto ancora più immobile e silenzioso, come se fossero dentro una cartolina natalizia. I due poveri pupazzi di neve si erano sciolti, e il gilè marrone di Kurt spiccava sopra il cumulo bianco rovinando l’atmosfera con il suo aspetto bizzarro, fuori posto.

“Che ci fa un gilè nel tuo giardino?!” chiese Blaine, notandolo solo in quel momento. Kurt soffocò una risata.

“Lo avevo messo al mio pupazzo di neve, sai, per… dargli un tocco di classe” rispose arrossendo, aggiungendo una tonalità ancor più scura di rosso a quella del suo naso infreddolito.

Blaine osservò con insistenza la tinta rosata che si espandeva sulle sue guance, in netto contrasto con il candore della sua pelle, così chiara da confondersi quasi con la neve. E Dio, quanto avrebbe voluto sfiorarla con le dita. Quanto avrebbe voluto sentire quell’impalpabile ondata di calore sotto il suo palmo. Quanto avrebbe voluto avvicinarsi e avvolgere il viso di Kurt con la sua mano e guardarlo intensamente negli occhi e sussurrargli –

“Kurt, posso baciarti?”

E non appena lo disse, si rese conto che aveva appena fatto tutte quelle cose. Si era avvicinato, gli aveva preso il viso dolcemente con la sua mano – maledetto guanto che la copriva – e lo aveva detto, lo aveva detto. Pensò subito di ritrarsi e chiedere scusa, in fondo non era da presuntuosi dare per scontato che Kurt fosse come lui – per quanto il gilè parlasse abbastanza chiaro – e che soprattutto glielo avrebbe permesso? Non era da stupidi pensare che non avesse nessuno al suo fianco che aveva quel diritto solo e soltanto per sé?

Ma proprio quando pensava di fare un passo indietro e balbettare qualcosa, Kurt si fece più vicino e allungò una mano per stringere il suo cappotto. Con l’altra, gli avvolse il viso allo stesso modo, come il riflesso di uno specchio, e si avvicinò ancora così che i loro corpi erano separati da un centimetro di distanza, i respiri sempre più accelerati che creavano nuvole di vapore nell’aria mentre i loro nasi si sfioravano incerti e i loro occhi si incatenavano gli uni agli altri.

“Sì” disse Kurt in un impercettibile sussurro, prima di colmare la distanza che li separava e poggiare le labbra su quelle di Blaine. Fu dolce, e incerto, e intenso allo stesso tempo, per quanto potesse sembrare assurdo. Blaine rilasciò un profondo sospiro e chiuse gli occhi, lasciando che tutto scivolasse via, lontano: il freddo che rendeva le sue dita intorpidite, il dolore ai piedi per aver camminato dalla casa di accoglienza fino a lì, l’accenno di delusione per quel poco che avrebbe portato ai suoi amici quella sera.

Tutto lasciò il suo corpo come l’acqua di una cascata, raggiungendo il pavimento per poi continuare a scorrere, lontano, intorno a lui, e scomparire. Scomparire per lasciare spazio soltanto a Kurt, Kurt, Kurt, le sue labbra morbidissime contro le sue leggermente screpolate, il suo sapore di frutta, di canditi, di zucchero, di qualcosa che Blaine non avrebbe saputo definire perché, semplicemente, era amore.

 Amore che non ha sapore, non sa di niente e sa di tutto allo stesso tempo, amore che si muoveva a tempo con le loro labbra e scivolava languido sulle loro mani sempre più sicure e vorticava insieme alle loro lingue che si cercavano rendendo il bacio più appassionato, più disperato e più perfetto.

Amore che cadde ozioso insieme all’ultimissimo fiocco di neve che fluttuava nell’aria, amore che brillava nelle lampadine delle luci di Natale intorno a loro, amore che li osservava silenzioso dalla panchina dall’altro lato della strada, amore che si fece strada tra le paure e le incertezze e i Oh mio Dio, cosa stiamo facendo, non ci conosciamo nemmeno e i Non vorrà più vedermi, si vergognerà di me, perché l’hai fatto Blaine? e i Non smettere, ti prego, non smettere, non lasciarmi, non lasciarmi mai.

Blaine lasciò il viso di Kurt e fece cadere la busta che teneva ancora in mano, non si sa come, continuando a baciarlo come se non avesse potuto farlo mai più – perché forse, pensò tristemente, era così – e fece scorrere le mani lungo i suoi fianchi per accarezzarli, generando un brivido nell’altro ragazzo che si fece subito più vicino e gli avvolse le braccia intorno al collo, cercando istintivamente i pochi ricci che fuoriuscivano dal cappello sulla sua nuca per intrecciarli alle sue dita.

Ma alla fine, si resero conto entrambi di dover respirare. Fu l’unico motivo, l’unico motivo per cui si separarono, restando con i volti a pochi centimetri l’uno dall’altro, affannati e con la pelle arrossata. Si guardarono negli occhi, a lungo, senza dire una parola.

“Sei perfetto” sussurrò infine Blaine sulle sue labbra, investendole di aria calda, mentre spostava le mani dietro la schiena di Kurt per avvolgerlo. Kurt sorrise, una piccola lacrima di qualcosa tra la gioia e l’incredulità che lasciava le sue ciglia. Blaine se ne accorse e si protese per baciarla, prima che scomparisse al di sotto della sua mascella o che si congelasse sulla sua pelle per il freddo.

E adesso? Che cosa avrebbero fatto?

Kurt non lo sapeva con esattezza, era successo tutto così in fretta. Ma sapeva per certo, come non aveva mai saputo nulla nella sua vita, che non gli importava chi era Blaine. Voleva conoscerlo, voleva scoprire tante altre cose da amare che erano lì, nascoste da qualche parte, pronte per essere trovate e portate in superficie. Sperò che lui fosse dello stesso avviso, ma intanto, mentre il futuro rimaneva incerto ad aleggiare nell’aria aspettando che le vacanze di Natale passassero e la vita tornasse alla normalità, potevano fare qualcos’altro.

“Hai mai fatto l’angelo nella neve?” chiese all’improvviso, cogliendo Blaine di sorpresa. Il ragazzo moro fece un piccolo sorriso e scosse la testa.

“No? Davvero? Allora dobbiamo assolutamente farlo!” esclamò Kurt, sciogliendo l’abbraccio con entusiasmo e prendendo istintivamente Blaine per mano. Lui abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate, rimanendo in silenzio con uno sguardo estatico sul volto.

Kurt lo condusse al di là del suo piccolo cancello, nel giardino di casa sua. Oltrepassò i due cumuli informi e il suo gilè ormai umido finchè non trovò uno spiazzo abbastanza ampio da permettere ad entrambi di stendersi. Si sedette sulla neve e trainò Blaine con sé, finchè non furono tutti e due seduti, l’uno accanto all’altro.

“Sdraiati” gli disse sorridendo. Blaine lo fece, ritrovandosi a pancia in su a guardare il cielo scuro sopra di loro, punteggiato con qualche stella lontana. Si voltò lievemente e vide Kurt nella stessa posizione, che lo fissava. I suoi occhi azzurri sembravano due pietre preziose, incastonate nella neve.

“Tieni la testa ferma e muovi le braccia e le gambe, così” aggiunse, prima di alzare lo sguardo verso il cielo e muoversi proprio come aveva detto, creando grandi solchi nella neve e ripetendo l’operazione più volte. “Avanti, prova” lo incoraggiò.

Blaine alzò lo sguardo verso l’alto e lo fece anche lui, muovendo le braccia e le gambe con un po’ di impaccio, non sapendo quanto doverle distendere e quante volte farlo affinchè il solco fosse profondo abbastanza.

Kurt gli prese nuovamente la mano e lo invitò ad alzarsi insieme a lui, e poi si voltarono per vedere il risultato. Due figure a forma di angeli erano l’una accanto all’altra, impresse sulla neve come se qualcuno dal cielo avesse usato degli stampini per crearle. Quella fatta da Kurt era leggermente più sottile e delicata, mentre quella di Blaine un po’ sbavata in qualche punto, la forma delle punte delle dita troppo visibile perché non aveva chiuso bene le mani a pugno. Il ragazzo rise divertito.

“Il mio non è un gran che” disse, inclinando la testa da un lato. Kurt fissò le due figure ancora una volta, poi si voltò e gli prese entrambe le mani con le sue.

“E’ bellissimo” disse sorridendo. “Come te.”

E Blaine si aprì in un sorriso, uno di quei sorrisi, rischiando di far sciogliere la neve intorno a loro e i ghiacciai del Polo Nord e far innalzare il livello dei mari del pianeta Terra.

Kurt si innamorò giusto un po’ di più, e sorrise di rimando al suo meraviglioso regalo di Natale.

   
 
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