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Autore: Stupid Lamb    24/12/2011    34 recensioni
"Mi chiamo Edward. Ho ventiquattro anni. Vivo in strada."
Mini-ff, OOC, All Human.
Genere: Dark, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
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Come scritto sul blog, questo extra natalizio è ambientato nel futuro rispetto alla fine della storia vera e propria. All’ultimo capitolo di Pop Tart, Edward e Bella notano che il piccolo Michael Adam ha una voglia sul tallone uguale a quella di Edward. La stessa voglia è presente anche sul piede di Anthony, il figlio perduto dei Cullen.

Nell’extra che state per leggere sono passati poco più di due anni dopo quel momento. Con non poche difficoltà, Edward ha scoperto che Carlisle ed Esme sono i suoi veri genitori e che Alice è sua sorella. Lui ha ritrovato la sua famiglia, e loro hanno ritrovato un figlio e un fratello. Edward lavora ancora nella società di Esme, ma ora è non è più un operaio. Adesso si occupa di gestire il personale, e grazie all’aiuto di sua madre dà spesso lavoro ad ex senzatetto alla ricerca di una nuova opportunità per ricominciare. Bella fa la mamma a tempo pieno, invece: si prende cura del bambino nella nuova casa – più grande rispetto all’appartamento degli inizi – ed è decisa a riprendere gli studi. La vita procede in maniera tranquilla, e sia lei che suo marito (sì, c’è stato anche un matrimonio!) vivono in maniera modesta e serena. Lontani dalla strada, circondati dall’amore della famiglia e degli amici, oltre che di quello dato loro dal piccolo di casa, si preparano a festeggiare un nuovo Natale insieme.

Ed è qui che comincia questo extra. Buona lettura.

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Pop Tart – Extra natalizio

Regalo di Natale

Edward

Quando vivi in strada, il Natale è una ricorrenza estremamente particolare. Non solo perché le persone impegnate negli acquisti tendono a lasciarti qualche spicciolo in più, e neppure perché alle mense il cibo è migliore, più caldo e più saporito. Quando vivi in strada – soprattutto a New York – il Natale è una ricorrenza particolare perché la possibilità che tu muoia diventa altissima. Rapina, freddo, percosse. A Natale, la vita dei senzatetto diventa ancora più pericolosa, più sottile, più precaria.

Quando vivevo in strada ho visto più gente morire durante i giorni di Natale che in un mese intero. Il freddo è il nemico numero uno. E’ un freddo unico, diverso da quello che senti quando sei sotto le coperte in una casa calda e aspetti che le piume d’oca ti riscaldino a dovere. Il freddo dei senzatetto è quello che ti rende immobile, morto dentro ancor prima che fuori. A nulla servono i quattro cappotti che non sono mai della tua misura. A nulla servono le bevande calde che diventano fredde non appena esci dal ricovero con il bicchiere in mano. A nulla serve l’alcool, che bevi fio a sentirti male, nella speranza che ti dia calore. Quando il sole cala, la gente termina gli acquisti e torna a casa, tu resti sul marciapiede da solo, senza la compagnia delle scarpe altrui che ti passano accanto, e non hai altro che il freddo con te. Ed è un freddo che può ucciderti.

Ma questo è il passato. Questa è la mia vita passata. La vita che ho lasciato due anni fa, quando Carlisle ed Esme hanno dato a me e a Bella l’opportunità di ricominciare a vivere. Adesso i miei giorni natalizi sono diversi: più caldi, più sereni, più felici. Il camino è acceso nella nostra casa, e su di esso spiccano le calze che qualche settimana fa Bella ed io abbiamo appeso. Il frigorifero è pieno di cibo, e nostro figlio dorme in un lettino caldo e sicuro.

Nonostante questo, non riesco a non pensare a chi vive in strada. A chi non ha nulla, se non una bottiglia o un po’ di droga. A chi non avrà nessuno al suo fianco quando le strade si svuoteranno e nelle case e nei palazzi si festeggerà.

Io e Bella non abbiamo dimenticato cosa significa vivere in un vicolo, o nella stazione della metropolitana. Non abbiamo dimenticato le volte in cui rubavamo per mangiare. Non abbiamo dimenticato le notti in cui non riuscivamo a dormire, tanto era il dolore fisico causato dal freddo.

Ma il passato è passato, ed è mio dovere guardare al futuro. Sono un padre, adesso; sono un marito. Sono un uomo che lavora e che ha delle responsabilità. Sono un figlio che sta imparando a conoscere la sua famiglia.

E il Natale fa parte della mia nuova vita.

Vorrei poter dire che sono completamente sereno, in questi giorni. Vorrei poter dire che la mia esistenza è priva di ombre, ma non posso. C’è qualcosa che non va. C’è qualcosa che mi tormenta. C’è qualcosa che, pian piano, mi sta togliendo il sonno.

Bella.

In apparenza, le cose fra di noi vanno a gonfie vele. Viviamo in una nuova casa, graziosa, con il giardino. Bella si è data da fare molto per arredarla, e non ha perso un colpo: Michael, i mobili, i pavimenti, la carta da parati. E’ una donna eccezionale, e nella nostra casa è una regina. E’ una madre attenta ma piena d’amore per nostro figlio. Lo ricopre di coccole, perfino quando lui dorme.

In apparenza, come dicevo, le cose sembrano andare nel verso giusto. In realtà, però, qualcosa non va.­ E’ iniziato tutto tre mesi fa, quando Bella ha deciso di iscriversi in palestra. In questi due anni, complici uno stile di vita diverso, la gravidanza e tanto cibo, Bella è aumentata di quasi dieci kg. Per me il suo peso non è mai stato un problema, ma lei ha sentito il bisogno di fare qualcosa. Non ho battuto ciglio quando si è iscritta, e sono stato felice con e per lei quando abbiamo visto i primi risultati. Il suo corpo è sempre stato magnifico, però mentirei se dicessi che le ore di aerobica fanno male ai suoi glutei o alle sue cosce.

Da quando ha iniziato ad allenarsi, tre volte alla settimana, qualcosa è cambiato in lei. Bella è diventata distante, silenziosa, nervosa perfino. Come se nascondesse qualcosa, come se non volesse rendermi partecipe della sua vita al di fuori della casa.

In principio mi sono detto che si trattava solo di una stupida paranoia maschile, e che Bella era la stessa persona di sempre, ma poi alcuni avvenimenti mi hanno fatto cambiare idea.

Circa due mesi fa sono tornato a casa mentre lei parlava al telefono. A differenza delle volte in cui era al telefono con Rosalie o con Alice, quella sera, quando si è accorta della mia presenza, ha riagganciato in fretta e furia, e quando le ho chiesto con chi stesse parlando mi ha detto Oh, nulla. Era solo Angela. Angela dovrebbe essere una sua amica, conosciuta in palestra. Dico dovrebbe perché in tre mesi non l’ho mai avuto il piacere di conoscerla. Neanche la volta in cui sono andato a prendere Bella alla fine di una lezione di step, pronto a stringere la mano alla fantomatica Angela. Oggi Angela non è venuta, mi ha detto. Sarà per la prossima volta. La prossima volta non è ancora arrivata.

Il mese scorso, invece, è rientrata due ore dopo la fine di una lezione. Le ho chiesto cosa fosse successo, e lei ha detto: L’istruttore ha allungato di mezzora gli esercizi e poi le docce si sono rotte. Ecco perché ho tardato. Nulla di strano nella sua spiegazione, se non fosse che le sue parole mi sono sembrate recitate, come se avesse preparato bene la scusa da rifilarmi. Non mi ha neppure guardato negli occhi, mentre lo diceva.

Pochi giorni dopo quella sera, un sabato pomeriggio, si è precipitata a rispondere al suo cellulare strappandomelo letteralmente di mano: era appoggiato su un tavolino e lei era lontana. Volevo semplicemente passarglielo, ma Bella – innervosita dal mio gesto – mi ha detto: Lascia fare a me, Edward. Rispondo io. Non volevo rispondere al suo telefono. Volevo solo passarglielo, con un gesto gentile, come ho fatto altre mille volte.

Da quel momento non ho più visto il cellulare di Bella. Lo tiene sempre con sé, nelle tasche dei jeans o nella borsa.

E poi, come se queste (e tante altre) piccolezze non fossero sufficienti a farmi avere dei dubbi, l’atteggiamento di mia moglie è cambiato anche in camera da letto. Nell’ultimo mese si è negata più volte, e l’ha fatto sempre con una scusa recitata, senza mai guardarmi negli occhi. So che può accadere che il desiderio diminuisca, e non pretendo che Bella abbia sempre voglia di me, ma non posso fare a meno di pensare che la mancanza di sesso sia un altro indizio, un altro problema.

Siamo ancora una coppia, siamo ancora marito e moglie, ma ci stiamo allontanando.

So che Bella mi nasconde qualcosa, so che la sua mente è occupata in attività di cui non so nulla. Qualcuno potrebbe dire che sono paranoico. Qualcuno potrebbe pensare che sono soltanto un marito geloso che non sopporta l’idea che sua moglie vada in palestra. No, non è questo. Conosco Bella da un bel po’ di tempo: so che mi ha mentito nel giustificare i ritardi. So che non è con Angela che parla al telefono quando io sono fuori casa. So che la distrazione delle ultime settimane non può essere causata solamente dai preparativi per il Natale, come lei dice.

E’ per questo che ho deciso di seguirla. Ebbene sì, sto seguendo mia moglie, la donna di cui dovrei fidarmi ciecamente, la donna con cui dovrei parlare di ciò che mi angoscia. Mi sono preso un pomeriggio di vacanza dall’ufficio, e l’ho seguita alla palestra.

Bella esce puntuale dalla porta della sala attrezzi. Non può notarmi: sono nella mia auto, nascosto completamente da un cassonetto. E’ da sola, Angela non c’è. Neppure questa volta.

Ha davvero inventato l’esistenza di un’amica? Perché lo avrebbe fatto? Per coprire l’esistenza di qualcun altro? Di un uomo, magari? Sto cercando di non far andare la mente in quella direzione, ma non ce la faccio, è più forte di me.

Bella e un uomo. Bella e un altro uomo. Conosciuto in palestra, che la chiama a casa quando io non ci sono, con il quale si incontra quando fa tardi. Bella e un amante. E’ possibile?

Dio, fa che non sia possibile. Ti prego.

Abbiamo un figlio, siamo felici. Siamo felici, vero? Riesco sempre a darle ciò di cui ha bisogno, vero? Perché dovrebbe avere un amante? Non è più soddisfatta di me, di noi?

La guardo salire nella sua auto, avvolta dall’abbigliamento sportivo e dal cappotto pesante. Metto in moto poco dopo di lei e inizio a seguirla.

Non percorre il tragitto che dovrebbe portarla a casa. Prende la strada della periferia. Conosco bene questo posto, è il posto in cui abbiamo vissuto insieme quando non avevamo nulla. La seguo in uno dei vicoli più poveri, rimanendo a debita distanza dalla sua auto. Perché sei qui, Bella? Ci vieni spesso? Che cosa stai facendo?

Parcheggia la sua auto di fronte ad un negozio di fiori. Scende e entra nel palazzo, una vecchia struttura meno fatiscente di quelle che la circondano. Non si guarda attorno, e non sembra spaesata. Non conosce solo il quartiere: conosce qualcuno nel palazzo. Chi vive lì? Perché mia moglie non mi ha mai detto che viene qui?

Parcheggio anch’io, sempre a distanza di sicurezza dalla sua vettura, e spengo il motore. Posso solo aspettare, mi dico. Aspettare e pensare.

Penso che sto seguendo mia moglie come il peggiore dei mariti. Penso che ho paura. Penso che non voglio perderla e che temo che invece stia accadendo proprio questo. Gli indizi ci sono tutti, maledizione. La sua improvvisa freddezza, la sua lontananza. Le telefonate, i ritardi immotivati. Angela. L’atteggiamento di chi nasconde qualcosa.

I minuti passano, il sole tramonta dietro i palazzi della periferia di New York. In questo quartiere ci siamo innamorati. In questi vicoli ci siamo conosciuti, amati, difesi, protetti. Proprio qui, io, Bella e il mio amico Adam abbiamo lottato contro il freddo e contro i ladri. Contro la fame e contro l’astinenza. Siamo cresciuti, siamo diventati forti, siamo anche stati felici.

E’ buffo che sia proprio qui che adesso io mi chieda se il nostro amore è alla fine. E’ buffo, e fa tanto male.

Soprattutto quando, un’ora dopo il suo arrivo, Bella esce dal portone accompagnata da un uomo. E’ alto, ha i capelli neri pettinati indietro con il gel e il viso torvo di chi ne ha viste parecchie. Indossa un giubbotto di pelle nera e ha le mani in tasca. Vederlo al fianco di Bella è come un pugno nello stomaco. No, più di un pugno nello stomaco. E’ qualcosa di più doloroso, di più forte. E’ l’aria che va via dai polmoni, è il corpo che diventa fuoco e cenere.

Bella si ferma accanto alla sua auto, lui le apre lo sportello. Le dice qualcosa e lei annuisce, sorridendo. Sembra serena. E’ serena. Come se ciò che lui le ha detto l’abbia messa di buonumore.

Poi, prima di salire in macchina, Bella lo abbraccia. Appoggia la testa sul suo petto, chiude gli occhi, e gli cinge la vita con le braccia. Lui risponde al gesto con un braccio solo, mentre con l’altro tiene ancora aperto lo sportello. Si salutano. Bella entra in macchina e mette in moto. Lo saluta di nuovo, sorridendo, mentre lui si allontana e la guarda andare via.

La mia paura era fondata. Bella mi nasconde davvero qualcosa: il suo amante.

 

***

 

Nei giorni che seguono, vivo e mi comporto come un robot. Mi alzo, vado a lavoro, torno a casa. Mangio, bevo, dormo. Gioco con Michael, parlo con i miei genitori e con mia sorella, parlo perfino con mia moglie. Le parlo, ma non riesco più a guardarla negli occhi. Se lo facessi, rivedrei quell’abbraccio, rivivrei il dolore di quel momento. Il momento in cui l’ho vista con un altro uomo.

Non le ho detto nulla, dopo aver scoperto che ha un amante. Non l’ho confrontata, non le ho chiesto il perché del suo nuovo ritardo, non le ho neppure domandato com’è andata in palestra.

Vivo in un perenne stato di shock, e non so se sarò mai in grado di venirne fuori. Mio figlio è l’unica persona in grado di strapparmi un sorriso. Come ora, mentre gattona verso di me sul tappeto colorato che si trova al centro della sua cameretta. Si butta fra le mie braccia ridendo, e chiude le sue attorno al mio collo.

“Papà!” dice con la voce festosa. “Papà! Papà!”

Lo stringo al mio petto e cerco di trovare in lui la forza per pensare, per ragionare. Perché la verità è che, nonostante cerchi di rimanere tranquillo, dentro di me si agita un fuoco infinito, che non mi permette di essere concentrato.

Dov’è che ho sbagliato? Cosa ho fatto di male? L’ho trascurata per dedicarmi al lavoro? Sono stato meno attento, meno amorevole? Si è stancata di me, della nostra nuova vita? In questi due anni, Bella ha sempre accolto con gioia i cambiamenti che hanno riguardato me, soprattutto quelli relativi alla mia famiglia. Ha pianto di gioia quando l’esame del DNA ha confermato il fatto che sono Anthony Cullen. Lei e Alice sono come due sorelle, e Esme è una madre anche per lei oltre che per me. Che cosa è successo, allora, per farle desiderare un altro uomo? Perché? Che cosa devo fare, adesso? Affrontarla? Dirle che l’ho seguita e che ho scoperto il suo segreto? Immagino i litigi, immagino le sue lacrime, immagino di perderla per sempre, e la paura mi pietrifica, mi rende inerme.

Non so immaginare la mia vita senza Bella. Non so immaginarmi senza di lei. Assieme a Michael, lei è tutto il mio mondo. Non voglio perderla.

“Edward? Ehi, Edward!” Bella mi riporta al presente, appoggiando una mano sulla mia spalla. E’ in piedi, dietro di me. Mi sorride, e il suo gesto è un nuovo pugno allo stomaco, poiché la serenità che leggo nei suoi occhi sembra quasi sincera, priva di segreti.

Sembra felice di vedermi, di sorridermi.

“Che ne dici di metterlo a letto?” domanda, inginocchiandosi sul tappeto per prendere Michael dalle mie braccia. Il bambino indossa già il suo pigiama, natalizio come le lenzuola e le coperte che io e sua madre abbiamo scelto per il lettino. Bella rimane in ginocchio al mio fianco. Regge Michael con una mano, mentre con l’altra gli sistema la maglia e i pantaloni. “Edward, stai bene?” chiede. “Sei pallido…”

“S-Sì,” rispondo, guardando a terra. “Sto bene.” Mi avvicino a Michael, gli do un bacio sulla fronte. Gli accarezzo i capelli, rossicci come i miei. “Buonanotte, amore. Sogni d’oro.” Quando mi alzo in piedi, incrocio gli occhi con quelli di Bella. Non riesco a dirle nulla.

Sono già a letto quando lei esce dal bagno per infilarsi sotto le coperte. “Edward, sei sicuro di stare bene?” chiede quando è al mio fianco. Spegne l’unica luce presente in camera, quella della lampada sul suo comodino, e fa una cosa che ha sempre fatto,  anche quando vivevamo in strada: cerca la mia mano. E’ un gesto automatico il suo, e l’ho sempre adorato. Si addormenta così, Bella: con la mano nella mia. Lo ha fatto anche in questi mesi e, a pensarci bene, questa è stata l’unica cosa che non è cambiata fra di noi, ma adesso darle la mano mi sembra una presa in giro. Come può cercare la mia mano e poi incontrarsi di nascosto con un uomo che non sono io? Lo ama? Ama sia me che lui?

“Sì,” rispondo alla sua domanda. “Sono solo un po’ stanco.” Stringo la sua mano senza pensarci, come ho sempre fatto. Quando vivevamo nella stazione della metropolitana e dormivamo sulle coperte e sui cartoni. Quando rubavamo per drogarci. Quando eravamo nel nostro piccolo appartamento di Brooklyn. Ci siamo sempre addormentati così, mano nella mano.

“Bella, sei felice?” Le parole sono più veloci della mia testa: non riesco a fermarle.

“Che domande fai,” dice lei, girandosi, al buio, verso di me. “Certo che sono felice. Perché me lo chiedi? A cosa pensi?”

Penso che non voglio che il nostro matrimonio finisca. Penso che quando ti ho visto con quell’uomo sono morto dentro, e quello che ora è vicino a te è solo un fantasma. Te ne accorgi, Bella? Te ne accorgi che sono un fantasma?

“Non penso a niente,” rispondo, portando le nostre mani sul petto.

Bella si avvicina a me, appoggiando la testa sulla mia spalla. “Sei sicuro che vada tutto bene, Edward? Se c’è qualcosa di cui vuoi par…”

“No, non c’è nulla. Va tutto bene,” ripeto di nuovo, stringendo le sue dita. “Sono solo stanco.”

“Quello di domani sarà l’ultimo giorno di lavoro,” dice, strusciando i piedi sui miei. “Potrai riposare fino all’anno nuovo,” aggiunge con un sospiro. “Ti preparerò tutte le cose che ti piacciono di più, e passerai il tempo a leggere, guardare la tv e giocare con Mickey.” Si avvicina fino a darmi un bacio sulla guancia. “Grazie per tutto quello che fai per noi, Edward. Sei un padre meraviglioso, e un marito unico.”

Sembra sincera. Come fa? Come fa a parlarmi come se le pensasse davvero, quelle cose? Come fai, Bella?

“Dici sul serio?” sussurro.

“Certo che sì! Sono una donna molto fortunata,” dice ridendo. “Angela mi invidia da morire. Il suo Ben non le dà neppure la metà delle attenzioni che tu dai a me.”

Angela. Perché la nomina? Perché continua a fingere che la sua amica esista?

“Sarà meglio che mi metta a dormire,” dico fra i denti, senza commentare la sua battuta. “La sveglia suonerà presto.”

“D’accordo,” dice lei. “Buonanotte, Edward. Sogni d’oro.”

Rimane al mio fianco, non si allontana. La mano nella mia, come ogni notte.

“Buonanotte, Bella,” dico quando sento il suo respiro farsi pesante. “Ti amo.”

 

***

 

Il giorno di Natale, la nostra casa è piena di gente. Oltre ai miei genitori e a mia sorella, Emmett, Rosalie e Jasper sono con noi. In questi due anni le cose sono migliorate anche per i nostri tre amici e adesso tutti hanno un lavoro e una casa. Sebbene entrambi neghino e fingano di essere soltanto amici, credo che Alice e Jasper si frequentino più di quanto lascino intendere. Alla presenza di Carlisle ed Esme, però, Jasper è un perfetto gentiluomo: educato, sorridente, affettuoso come un semplice amico.

Michael Adam è la vera e propria attrazione della giornata. Indossa un completo di ciniglia rosso, regalo dei nonni, e un cappellino da elfo verde e bianco, regalo di Alice. Sorride a tutti e passa dalle braccia di mio padre a quelle di Rosalie a quelle di Emmett senza battere ciglio.

Bella si dà da fare in cucina, invece, e fra di noi, è l’unica a sembrare ad un funerale invece che ad un pranzo natalizio. Questa mattina, pensando che non la vedessi, ha controllato più volte il telefono nella speranza, forse, di ricevere una chiamata o un messaggio. Ha indossato una tuta per iniziare a cucinare ed è stata di poche parole, almeno fino all’arrivo dei nostri amici.

Si è comportata come se non esistessi, evitando di guardarmi negli occhi quando (che stupido!) le ho chiesto se stesse bene. Ha detto: Sì, sto bene. Non preoccuparti, ho solo un forte mal di testa. Ha continuato a controllare il telefono per tutta la mattinata, e ad un tratto si è perfino chiusa in bagno con esso.

In quel momento il dolore si è trasformato in rabbia: è triste perché il suo amante non le ha fatto gli auguri? Sente la sua mancanza e odia essere costretta qui con me, con la mia famiglia? Mentre mi facevo queste domande, la rabbia è scemata ed è apparso lo smarrimento, la paura. E poi, il bisogno di mettere fine a tutto questo, di confrontarla, di chiederle una spiegazione.

Ho bisogno di conoscere la verità, ho bisogno di sapere se e perché il nostro matrimonio è davvero finito. Non oggi, non adesso. Dopo pranzo, quando tutti andranno via. Quando nostro figlio sarà a letto. Quando ci guarderemo negli occhi.

 

***

 

Manca poco all’inizio del pranzo, quando il telefono di Bella prende a squillare. Lei è in cucina, intenta a cucinare, ma risponde subito. Attraversa il salotto per andare in camera da letto, e tutti sono presi da Michael che cerca di dire Babbo Natale per rendersene conto. Tutti, tranne me.

La porta della stanza resta aperta quel tanto che basta per sentirla dire: Fra venti minuti al solito posto, sì. Non vedo l’ora. Aspettami. Arrivo subito.

Felicità e sollievo, ecco cosa c’è nella sua voce.

Sta per incontrarlo. Sta per andare da lui, da quell’uomo. Sta per lasciare la sua casa, la sua famiglia, me, per andare dal suo amante.

No. Non posso permetterlo. No.

Entro in camera da letto spalancando la porta e chiudendomela alle spalle con un solo movimento. Bella salta in aria, sorpresa nel vedermi. “Edward, cosa…”

“Chi era?” chiedo, indicando il telefono. “Con chi stavi parlando?”

“Io? Umh…” Le sue guance sono rosse. “Era Angela. Sì, era Angela.”

“Bella.” Scuoto la testa, cercando di respirare profondamente. Sento la rabbia ritornare, sento la rabbia e la frustrazione unirsi in una palla incandescente nel mio petto. “Devi uscire?” chiedo. “Ti ho sentita dire che…”

“Edward…” E’ in difficoltà. Me lo dicono i suoi occhi, il suo tono di voce. Si mordicchia il labbro inferiore prima di continuare. “Adesso non posso parlarne, ma ti prometto che più tardi ti spiegherò tutto. Adesso sarà meglio che vada,” aggiunge, guardando l’orologio. “Devo proprio andare, Edward, non posso… Non posso spiegarti in questo momento.”

Mi passa accanto rapidamente, afferrando la borsa e il cappotto da una sedia. Dice qualcosa a mia madre, probabilmente una scusa per allontanarsi. La sento mentre saluta Michael, dicendogli di fare il bravo. La sento chiudere la porta e mettere in moto l’auto.

E’ davvero così che deve andare? Sono davvero destinato a perderla in questo modo? Vedendola preferire un estraneo alla sua famiglia? Rimanendo immobile ad ascoltarla mentre dice bugie? Rinunciando a lottare?

No. Non posso. Non posso arrendermi così. Non posso perderla senza aver lottato, senza aver sentito tutta la verità dalle sue labbra.

Mi precipito fuori casa cinque minuti dopo la sua partenza, evitando di rispondere alle domande dei miei genitori. Bella ha un certo vantaggio, ma stavolta so dove andare, so dove cercarla. E infatti, quando raggiungo il vicolo di periferia, vedo la sua auto parcheggiata nello stesso punto dell’altra volta. Lei è lì, davanti al negozio di fiori, stavolta chiuso, con lui. Parlano e sorridono, vicini, intimi.

Non si accorgono di me, se non quando inchiodo sull’asfalto ed esco dalla macchina.

A guidarmi, non più la paura e l’insicurezza. A guidarmi, ora, c’è solo la furia.

“E’ così, eh? E’ così che deve finire?” Il sangue ribolle nelle vene. Lo sento perfino negli occhi, perfino nelle punte delle dita. “Perché?” grido, camminando verso di lei. “Che cosa ho fatto, Bella? Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”

Bella impallidisce quando mi vede. “Edward. Che cosa ci fai qui…”

“Rispondimi,” dico, affannato come se avessi corso per mille isolati. “Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”

“Bella, che diavolo succede?” E’ lui a parlare. Mi guarda come se venissi da Marte. “Ehi, amico. Ci sono dei problemi? Perché non ti dai una calmata, mi sembri…”

“Lasciami in pace,” sibilo, scrollando di dosso la mano che mi ha messo sulla spalla. “Sparisci,” aggiungo, guardandolo negli occhi. “Sparisci,” ripeto. “Questo riguarda me e mia moglie. Tu devi sparire.”

“Edward, tesoro, calmati.” Bella mi guarda con gli occhi sgranati, e sembra sinceramente spaventata. “Come hai fatto a trovarmi? Come hai scoperto che sarei venuta qui?” chiede.

“Ti ho seguita,” dico, decidendomi a vuotare il sacco. “E non è la prima volta. L’ho già fatto, più o meno una settimana fa. Ti ho vista qui, con lui,” dico, lanciando un altro sguardo all’uomo. Sa che sono pochi i secondi che lo separano dal finire spiaccicato sul muro come una mosca? Sa che la sua presenza su questo pianeta mi disturba, mi irrita, mi impedisce di respirare come si deve?

“Perché, Bella? Perché le bugie, perché i segreti? Perché…” Mi avvicino a lei fino a sussurrare la nuova domanda. “Perché mi tradisci? Perché? Eh, Bella? Perché?”

Bella, se possibile, allarga ancora di più gli occhi. “Tradisci?” domanda ad alta voce. “Pensi che ti abbia tradito? Pensi che io e Aro… Edward… pensi che io ti abbia tradito?”

L’uomo, Aro, dice qualcosa in una lingua che non conosco. E ride. Ride di gusto.

“Edward, non è come pensi!” esclama Bella. “Come puoi pensare… come puoi pensare che io…” Scuote il capo, si passa una mano sul viso. “Non è così,” dice. “Amore. Amore mio.” Si avvicina a me, appoggia la mano sulla mia guancia. “Dio, Edward. Come hai potuto pensare che ti stessi tradendo? Non lo sai quanto ti amo? Non lo sai?”

Il calore della sua pelle riesce a calmarmi, stranamente. “Ti ho vista,” dico, tremando. “Sono venuto qui, tu eri con lui.” Sollevo il braccio per indicare Aro, ma mi sento immobile, ferito a morte. “Lo hai… lo hai abbracciato. Perché? Che cosa hai fatto? Dimmi la verità, Bella. Ti prego.”

Bella sorride, e mi mostra due occhi pieni di lacrime. Solleva la mano libera e in essa vedo un fagotto di tessuto. “E’ questa la verità,” dice, scoprendo l’oggetto nascosto dalla stoffa. “E’ il tuo regalo, Edward. Il tuo regalo di Natale.”

“Pensavi davvero che ti stesse tradendo con me, ragazzo?” Aro, al suo fianco, ride come se questa fosse la cosa più divertente del mondo. “Tua moglie potrebbe essere mia figlia, e mia moglie mi farebbe a fette se solo pensasse che vado in giro a fare il furfante con un’altra donna.” Mi picchietta un dito sulla fronte. “Cerca di usare il cervello, la prossima volta. Ok?”

Che sta dicendo? Non è il suo amante? Il mio regalo? Che cosa sta succedendo?

“Aro mi ha aiutata a ritrovarlo, Edward. Il tuo orologio. Il tuo vecchio orologio.” Bella mi mostra il palmo della mano, e in esso c’è il mio regalo di Natale. L’orologio che il mio amico Adam mi ha regalato due giorni prima di morire.  

“Ma… questo è… Tu hai… Tu lo hai ritrovato?”

“Non io,” dice lei. “Aro. E’ stato lui. E’ stato lui a ritrovarlo.”

“Ma come… Come hai fatto?” chiedo, direttamente a lui. “Mi è stato rubato. Pensavo di… Pensavo di averlo perso durante una rapina. Ricordi,” dico a Bella. “Quella notte, quando ci hanno lasciato senza nulla? Eravamo proprio… Eravamo lì,” dico, indicando la fine del vicolo. “Come hai fatto a ritrovarlo?”

Aro sorride e scuote la testa. “Un mago non svela mai i propri trucchi,” dice. “Non è stato semplice, ma la tua Bella è una donna testarda. E’ stata lei a motivarmi nella ricerca. Mi ha detto che si trattava di un oggetto importante, speciale. Il tuo regalo di Natale.”

I miei occhi ballano da Aro a Bella, e ad un tratto mi chiedo come ho fatto a pensare che fra di loro potesse esserci qualcosa. “Vi siete abbracciati,” dico senza pensarci. “Vi ho visti, la scorsa settimana. Vi stavate abbracciando.”

“E hai pensato che ti stessi tradendo?” chiede Bella. “No, Edward, no! Non è così! Sapevo quanto fosse importante quell’orologio per te, sapevo che ti avrei fatto felice con questo regalo. E in questi mesi le ricerche sono sempre andate male, tanto che perfino Aro aveva perso le speranze di venirne a capo. Quello che hai visto è stato un abbraccio affettuoso, un abbraccio fra due persone che si stavano dando coraggio. Non c’è nulla fra di noi, te lo giuro. Aro, diglielo anche tu!”

“Lo giuro sulla tomba di mia madre, che Dio l’abbia in gloria,” dice lui immediatamente, facendosi il segno della croce. “La tua Bella è venuta a trovarmi spesso in questi tre mesi, è diventata una di casa. Una cliente speciale, mettiamola così,” dice con un sorriso. “Ma la storia finisce qui. E se ora non vi dispiace,” aggiunge con un forte accento italiano, “ho diciotto persone che mi aspettano a tavola per iniziare a mangiare.” Mi dà uno schiaffetto sulla guancia. “Goditi il tuo regalo, Edward. E cerca di non far arrabbiare Bella. Fra i miei talenti non c’è solo quello di ritrovare merce rubata, ok?”

Non mi dà il tempo di rispondere, parlare, pensare, e sparisce nel palazzo in cui la sua famiglia lo attende.

Bella mi prende per mano. “Edward. Edward, amore. Guardami.” Ho ancora il cuore in gola, ma mi giro verso di lei. “Come hai potuto pensare che avessi un amante? E’ per questo che eri così turbato nelle ultime settimane? Pensavi che io…” Mi sorride, ma gli occhi sono ancora colmi di lacrime.

“Non sapevo cosa stesse accadendo,” sussurro. “Sei cambiata, Bella. Sei diventata fredda nei miei confronti, e poi le telefonate strane, i ritardi. Ti ho seguita e ti ho vista qui con lui… Bella, ho pensato di morire.” Senza pensarci due volte l’attiro a me per abbracciarla, per stringerla con tutta la forza che posseggo. Lei risponde con una stretta altrettanto forte, altrettanto piena d’amore.

E in quel momento mi rendo conto che lei e Aro mi hanno detto la verità, e che la mia è stata davvero una stupida paranoia.

“L’idea mi è venuta quando ho iniziato ad andare in palestra,” dice Bella quando si scosta da me. “Angela mi ha raccontato del regalo che pensava di fare a Ben per il suo compleanno, e…”

“Aspetta un momento. Quindi Angela esiste davvero? Non te la sei inventata?”

“No, Edward! Certo che esiste! Perché avrei dovuto inventarla?!”

Rispondere è quasi umiliante. “Pensavo che… Pensavo che l’avessi inventata per coprire… per coprire la tua nuova storia. Non l’ho mai vista, Bella, non sapevo che pensare.”

“Non l’hai mai vista perché ha tre gemelli a cui badare, Edward, e spesso è talmente impegnata che non riesce neppure a ritagliarsi un’ora per la palestra.” Inclina la testa sulla spalla, guardandomi come se fossi un cagnolino smarrito. “La conoscerai oggi pomeriggio,” dice. “L’ho convinta ad unirsi a noi, visto che lei e Ben sono rimasti in città per il Natale. Ho pensato che i suoi bambini potessero diventare compagni di giochi di Mickey. Te l’ho detto due giorni fa, non ricordi?”

“Io… no,” rispondo. “Devo averlo dimenticato… Bella, questi giorni, queste settimane… Ero convinto di averti persa, capisci? Ero convinto che il nostro matrimonio…”

“Non mi perderai mai, tesoro,” dice lei, accarezzandomi la guancia. “E mi dispiace se in questi mesi ti ho dato l’impressione di essere lontana, di nascondere qualcosa. In realtà nascondevo due cose,” dice sorridendo. “Aro. Sapevo che lui avrebbe potuto aiutarmi a ritrovare l’orologio rubato, ne ero certa. E sapevo che sarebbe stato il regalo perfetto per te. Allora l’ho contattato, e ho cercato di ricostruire con lui quella notte, quella rapina. Il quartiere non è dei più sicuri, lo sai anche tu, ma lui ha occhi e orecchie ovunque, e ha ricordato subito quel furto. Gli ho descritto l’orologio, e lui ha iniziato le ricerche. Quando pensava di averlo ritrovato, mi telefonava per descrivermi il pezzo che aveva fra le mani, ed è per questo che mi allontanavo da te in quei momenti: non volevo che sapessi. E la scorsa settimana, quando mancava così poco a Natale, mi ha detto che nessuno dei suoi contatti era riuscito a ritrovare l’orologio. Ero triste, sconsolata. E’ per quello che l’ho abbracciato, Edward. Perché è vero quando dice che in questi mesi sono diventata di casa, per lui. Gli ho raccontato di noi, del nostro bambino. Gli ho raccontato di Adam, e di quanto fosse importante per te quell’orologio. Non era più un semplice affare per lui, non era più un lavoro. Anche Aro voleva renderti felice.”

“Ma poi… poi l’ha ritrovato,” dico, guardando fra le sue mani.

“Sì,” risponde lei, con un sorriso. “Mi ha chiamato non appena glielo hanno riportato, e mi ha detto di venirlo a prendere. Vedi, è quello di Adam,” dice, mostrandomi il cinturino di pelle ormai rovinata. “C’è la stessa croce che lui aveva inciso con il chiodo. E’ il suo. E’ il tuo.”

Durante quella rapina, dovetti scegliere fra proteggere Bella e proteggere i nostri pochi averi. Perdemmo le coperte, le bottiglie, i sacchi a pelo, i vestiti che facevano parte del nostro armadio ambulante. Persi l’orologio di Adam, l’ultimo legame con il mio migliore amico.

“Come ha fatto a ritrovarlo? Quanto ti è costato? Bella, questo Aro…”

Lei scuote subito il capo. “Non devi preoccuparti,” dice. “Aro non è un santo, non ti dirò il contrario, ma ha mantenuto fede al nostro patto. Mi ha aiutata a ritrovare l’orologio, ed è stato un gentiluomo. Serio e preciso, mai sopra le righe, mai approfittatore.”

“Quindi… è per questo che stamattina eri silenziosa? Lontana?”

Annuisce. “Ero così contenta all’idea di poterti restituire quello che ti era stato tolto, che non ho mai pensato all’eventualità di non ritrovarlo… Non ti ho neppure comprato un altro regalo!” esclama, “e questa mattina ero così triste, così rammaricata… ma poi Aro ha telefonato…”

“Dove lo ha trovato?” chiedo. “A chi apparteneva adesso?”

“Non lo so,” risponde. “Stava per raccontarmi tutto quando tu sei arrivato.” Si avvicina e appoggia una mano sul mio petto, coperto dal cappotto di lana. “Come hai potuto pensare che ti stessi tradendo?” dice a voce bassa. “Tu sei la mia vita, Edward. Con questo regalo ho cercato di ripagarti per tutto ciò che tu dai a me e a nostro figlio. Non potrei mai fare a meno di te, mai. Perché hai dubitato di me, tesoro? Sono stata davvero così assente, così distante?”

“Un po’,” sussurro, vergognandomi di nuovo. “Non so cosa mi è preso, Bella. Probabilmente sono diventato geloso, insicuro. Forse può sembrarti una sciocchezza, ma prima… prima, quando vivevamo qui,” dico, indicando il vicolo, “certe cose erano più semplici. Eravamo noi due, eravamo soli. Non avevo paura di perderti. Ora è come se… abbiamo tante cose, tanto benessere, tante nuove opportunità. Ho pensato che io… che non fossi più abbastanza, per te. Ho pensato che magari… che magari stavo sbagliando qualcosa. Non…”

“Non pensarlo mai,” mi interrompe. “Mai più. Tu sei tutto ciò di cui ho bisogno per sentirmi appagata e felice, Edward. Ti amavo quando vivevamo sotto terra, come topi, e ti amo ora, che abbiamo una camera da letto e un giardino pieno di fiori. Ti amerò sempre, ovunque saremo. Non dubitare mai del mio amore, mai.”

Mi trovo ad annuire senza sapere come. Le sue parole, le parole di mia moglie, riescono sempre a darmi forza e coraggio.

“Mi dispiace per aver dubitato,” mormoro. Prendo il suo viso fra le mani, e al freddo della nostra vecchia casa ne bacio le guance, gli zigomi, il mento, e infine le labbra. Con dolcezza, con riverenza, e per la prima volta da troppo tempo mi lascio andare alla mia Bella, alla donna che non ha mai smesso di amarmi. “Grazie per aver ritrovato l’orologio,” le dico guardandola poi negli occhi. “Grazie per tutto l’amore che mi dai. Non pensare mai di dovermi ripagare per ciò che faccio per te e per Mickey: voi siete la mia famiglia, Bella. Andrei all’inferno per voi.” Le do un altro bacio, stavolta più profondo.

“Voglio continuare a parlarne,” dice lei, “ma credo sia ora di tornare a casa. La nostra famiglia si starà chiedendo che fine abbiamo fatto.”

“Hai ragione,” rispondo, guardandola infilare l’orologio in borsa.

“Ho preso un pacchetto,” dice con un sorriso. “Voglio fare le cose perbene. Ripulirlo e incartarlo.”

L’attiro a me di nuovo, le do un altro bacio. “Ti amo, Bella. Ti amo tanto.”

I suoi occhi si riempiono di lacrime. “Ti amo anch’io.”

 

***

 

La sera stessa, dopo un ricco pranzo e un pomeriggio divertente con Angela, Ben e i tre bambini più indemoniati del mondo, Bella ed io ci ritroviamo sotto le coperte. Il mio vecchio orologio, rovinato dal tempo ma ancora funzionante, è sul mio comodino.

Non mi vergogno a dire che ho pianto quando l’ho indossato. Ho pensato al mio amico, ho pensato ai giorni passati dormendo per strada. Ho pensato ai sogni di una vita diversa, sogni che si sono realizzati come nella più bella delle favole. Ho pensato alla fortuna che possiedo nell’avere una moglie ed un figlio che mi amano, che mi proteggono e che sono sempre pronti a rendermi felice, a farmi sorridere. Ho pensato a questo Natale, magico e perfetto sotto ogni aspetto, nonostante le mie paure e le mie insicurezze.

La mano di Bella si chiude come sempre nella mia, ma stasera è lei a portarle entrambe sul suo cuore. Rimaniamo in silenzio per un po’, fino a che non ricordo le sue parole di questa mattina.

“Hai detto che avevi due segreti,” dico, al buio della camera da letto. “Mentre eravamo in quel vicolo,” chiarisco. “Hai detto che nascondevi due cose. Una era Aro, l’altra?”

Siamo al buio, ma riesco ad avvertire il suo sorriso. “Finalmente te ne sei ricordato,” dice.

“Di cosa si tratta?” chiedo.

“Mi dispiace per aver… per averti rifiutato nelle ultime settimane,” dice a bassa voce. “Ma non… Non ero sicura di poter…”

Giro la testa verso di lei. “Che c’è, Bella? Di cosa si tratta?”

Dal cuore, Bella spinge le nostre mani verso il basso, verso il suo ventre. “Aspetto un bambino,” sussurra. “Aspettiamo un bambino.”

***

Che siate da soli o in compagnia, vicini o lontani dai vostri cari, sereni o tristi, mi auguro che questi giorni di festa siano per tutti tranquilli e pieni di piccole-grandi gioie: cibo, film, musica, coccole, libri, passeggiate, regali. Buon Natale a tutti o, se non lo festeggiate, buon Qualsiasi Cosa Festeggiate.

 

 

   
 
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