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Autore: Mia Swatt    24/12/2011    8 recensioni
One-Shot partecipante al concorso "Luci di Natale", TERZA classificata.
Questa storia comincia molti anni fa, nello stato del Colorado.
Isabella Swan, diciannove anni, vive a Denver da quando è piccola. È una ragazza molto semplice che non ostenta la sua bellezza e femminilità, in quanto non è neanche convinta di averne poi tanta. Sotto Natale, per gioco, le sue due migliori amiche – Alice e Rosalie – la iscrivono al concorso di una stazione radio locale, che vuole fissare un appuntamento al buio, la sera della Vigilia di Natale, tra una ragazza e un ragazzo ideale. Il Dj, restando alle richieste della giovane, trova il ragazzo perfetto per lei: Edward Cullen. Nasce, così, l’amore. Adesso, sposati da più di quattro anni – e trasferitosi a San Francisco –, Edward e Isabella Cullen, tornano a Denver per passare lì il Natale insieme alle loro famiglie. Ma chi è realmente al settimo cielo per questa “gita di famiglia” è la piccola Renesmee, figlia di Edward e Bella. Il Natale era la festa dei bambini, dicevano in molti, e chi, meglio di Renesmee, era d’accordo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Renesmee Cullen
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Buona vigilia di Natale a tutti! Per chi mi conosce su Facebook, sapeva che oggi avrei postato questa one-shot per augurarvi un felice Natale; perciò, eccomi qui!
Premetto che questa OS ha partecipato al Contest indetto da Vanderbit (Jessica) e Serena, dal titolo "Luci di Natale"! La storia si è posizionata TERZA! E di questo sono moooolto felice! *-* ora, bando alle ciance e buona lettura! ;)




« Quando l’amore vi chiama, seguitelo,
anche se le sue vie sono ardue e ripide. »

Kahlil Gibran.

Blind Date – Un appuntamento per Natale

Denver, Colorado.
24 Dicembre 2006


Era da più di venti minuti che guardavo la mia immagine riflessa allo specchio. Alice e Rosalie – le mie due pazze migliori amiche – avevano compiuto un miracolo, su di me.
Non mi sentivo più una qualsiasi ragazza di città, insignificante, invisibile. Per la volta, in tutta la mia vita, mi sentivo bella.

Indossavo un vestito blu scuro. Era a fascia, senza spalline. Sotto il seno si collocava una fascia in sangallo bianco, arricciata. La gonna arrivava poco sopra le ginocchia. Ai piedi, un paio di sandali intrecciati fino al polpaccio facevano la loro bella figura.

I capelli erano lasciati sciolti, eccezion fatta per due piccole ciocche legata dietro con un fermaglio dello stesso colore del vestito, tempestato con strass bianchi. Erano mossi, lunghi fino a metà schiena.

Il trucco era semplice. Una sottile linea di eyeliner argento, con un ombretto che sfumava dal bianco al blu scuro. Sulle guance un leggero strato di cipria e sulle labbra un gloss trasparente, brillantinato.

― Bella, sei pronta? ― domandò Alice, entrando nella mia stanza.
― Sì, Alice. ― risposi ― Mi stavo dando un’ultima occhiata.
― Sei bellissima. Io e Rose abbiamo fatto un ottimo lavoro, ma la tua bellezza ci ha aiutate parecchio. ― disse, sorridendomi. L’abbracciai, ripensando a quanto mi fossi infuriata quando scoprii quello che quelle due pazze avevano combinato…

Che cosa?! urlai, venendo trascinata nel retro del negozio. Lavoravo alla Boutique di moda di Alice come commessa, insieme a Rosalie. Mancava una settimana a Natale.
Vedi? domandò quest’ultima ad Alice Io lo avevo detto che si incavolava!
Ma io l’ho fatto per lei! rispose, tornando a concentrarsi su di me Bella, tu sei una ragazza magnifica, ma devi far vedere questa tua magnificenza anche agli altri! strillò, isterico, il folletto dai capelli neri.
E secondo te, dovrei fare tutto questo grazie ad un appuntamento al buio indetto dalla radio locale, per attirare ascolti sotto Natale? le domandai, in tono quasi isterico.
Ok, ammetto che magari l’idea non è brillante… però ehi, hai la tua occasione di incontrare il principe azzurro!
Sì Alice, nelle favole! dissi, cercando la giacca e la borsa.
Dove te ne stai andando, scusa? domandò Rosalie, confusa.
A casa! risposi Ed esco dal retro perché nel salone c’è quel pazzo di Dj Jake e la sua truppe! Che, tanto per essere chiare, avete invitato voi!
Noi abbiamo chiamato, tu sei stata scelta. specificò Rose, la guardai in cagnesco.
Non esiste. dissi Mi dispiace, ma il ragazzo – quando e se mai vorrò trovarmelo – lo cercherò con mezzi più… più… non trovavo le parole, mentre mi infilavo la giacca in camoscio beige più normali, ecco.
Isabella Marie Swan! tuonò Alice, facendomi spaventare Ora tu vieni con noi! senza che potessi fare nulla, mi presero sotto braccio conducendomi in quella gabbia di pazzi. Cercare di scappare era inutile, perciò mi arresi.
Eccoci ragazzi, di nuovo in onda! disse Dj Jake, parlando ad un piccolo microfono La nostra Isabella Swan è tornata tra di noi! Allora, Isabella, come stai? domandò, puntandomi quel minuscolo affare nero sotto il naso.
Ehm… bene, grazie… risposi, intimorita. Questa figuraccia sicuramente me l’avrebbero pagata. E con gli interessi!
La nostra Bella, posso chiamarti così, vero? Certo che sì! Dicevo: la nostra Bella è un po’ imbarazzata, dovreste vedere come le dona il rossore alle guance! Ma bando alle ciance, amici. Siamo qui, tutti insieme, per fissare l’appuntamento da sogno tra Bella e il suo ragazzo perfetto. Magari scoccherà la scintilla, chi lo sa! Così che la nostra Bella, passerà il Natale con il ragazzo dei suoi sogni.
Il ragazzo dei sogni, pensai. Che stupidaggini. Ero un po’ troppo cresciuta per credere ancora nelle favole. I principi azzurri sui cavalli bianchi non esistevano, lo sapevo bene.

Avevo diciannove anni e non mi ero mai mossa dalla mia città natale, cioè Denver. Avevo frequentato tutto qui, dall’asilo al liceo e adesso – come se non bastassero tutti quegli anni trascorsi in questo posto – avevo cominciato il college. Volevo diventare biologa molecolare. Fin da piccola sognavo questo mestiere. Per questo Natale, per esempio, avevo chiesto ai miei genitori di regalarmi un nuovo microscopio. Ero strana, lo sapevo benissimo.
Allora Bella? mi incitò nuovamente il Dj Come vorresti che fosse il ragazzo con cui dovrai trascorrere la sera della Vigilia? ci pensai un attimo. Oramai ero in ballo, perciò, come si sul dire in questi casi, balliamo!
Non saprei… risposi, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Immaginalo. disse Dj Jake Proiettati all’appuntamento di settimana prossima e prova a visualizzare come vorresti che fosse il ragazzo che varcherà quella soglia. concluse, indicando la porta del negozio. Feci come mi era stato detto.

Un ricordo di infanzia si insinuò prepotente nella mia mente. Ero al parco, con mia madre, e notai un bambino bellissimo dall’altra parte dello stagno. Stava giocando con le rane… Ma non fu quello a catturare la mia attenzione. Il bambino era il più bello che avessi mai visto. Doveva avere qualche anno più di me.
Cappelli bronzei, lasciati indomati. cominciai, senza neppure rendermene conto Occhi verdi, come gli smeraldi grezzi. Alto e più grande di me. Deve amare gli animali, tutti gli animali. Deve essere colto e simpatico. Delle belle mani, con le dita lunghe, come quelle di un pianista. E la fossetta al lato sinistro, quando sorride.
Tutto qui? chiese, scoppiando a ridere Jake Ok Bella, vedremo cosa poter fare per te. mi baciò la mano, salutando gli ascoltatori della giornata e sparì.
Tornò quattro giorni dopo, dicendo di aver trovato il ragazzo perfetto per me
.

― Ora dobbiamo andare. ― disse Alice, sciogliendo l’abbraccio e risvegliandomi dai miei pensieri ― L’appuntamento è alle nove in negozio, sono già le otto e quarantacinque. Ci conviene andare o Rose si chiederà che fine abbiamo fatto. ― le sorrisi, presi lo scialle per la serata, e la seguii fino alla sua bellissima Porsche gialla.
― Sei nervosa? ― domandò Alice, mentre guidava per le strade di Denver – tutto era illuminato e addobbato a festa. L’indomani sarebbe stato Natale.
― Un po’. ― ammisi, torturandomi le mani, cercando – nel frattempo – di non rovinare la manicure del pomeriggio ― Credo sia normale.
― Stai tranquilla, Bella. ― mi rassicurò lei ― Con la descrizione che hai fornito ti avranno trovato un ragazzo stupendo, che ti donerà una serata incantevole.
E tra una chiacchiera e l’altra, arrivammo davanti alla sua Boutique.

L’entrata era gremita di gente. C’erano microfoni, furgoncini blu con la scritta gialla – quelli della stazione radio –, giornalisti e, come di consueto, i curiosi.

Entrammo nel negozio dal retro, evitando così i flash dei fotografi. Jacob Black – così, avevo scoperto, si chiamava il Dj – mi diede un’accoglienza da star.

― Eccoci qui con la nostra ragazza della serata! ― disse Dj Jake ― Dovreste vederla nel suo bellissimo abito blu! Sembra una vera principessa… ― ammiccò, facendomi l’occhiolino. Arrossii, non abituata a questo genere di complimenti.

― Cara Bella, abbiamo trovato il tuo principe azzurro… ― concluse Jake, indicando un ragazzo che non riuscivo a guardare bene in faccia. Indossava un completo nero, non troppo elegante ma nemmeno sciatto. La camicia era bordeaux, senza cravatta. Meglio, pensai. Odiavo i ragazzi in giacca e cravatta!
― Isabella Swan, ti presento il tuo cavaliere della serata. Lui è Edward Cullen. Ha ventidue anni, studia medicina – per diventare Pediatra. La sua passione è il pianoforte, lo suona da quando aveva cinque anni. Come puoi vedere, i capelli sono bronzei, scompigliati, e gli occhi sono di un verde particolare. ― concluse Dj Jake, lasciandomi impalata dinanzi a Edward. Pregai che la bava non mi colasse dalla bocca. Dire che era il ragazzo più bello che avessi mai visto era un eufemismo.
― Piacere Isabella. ― disse Edward, prendendo la mia mano per baciarne il dorso ― Sono Edward Cullen, lieto di fare la tua conoscenza.
Rimasi a fissarlo per un tempo che mi parve eterno. Era esattamente come lo avevo immagino, forse anche meglio di qualsiasi fantasia.
― Bella, dovresti dire qualcosa. ― mi sussurrò Rosalie all’orecchio. Ritirai la mano di scatto, imbarazzata come mai prima. Edward, dal canto suo, sorrise sghembo, mettendo in mostra una piccola fossetta sul lato sinistro. Stavo per avere un infarto!
― La nostra Isabella sembra essere rimasta affascinata dalla bellezza del signor Cullen. ― disse, sghignazzando, Jacob al microfono.
― Piacere mio, Edward. ― dissi poco dopo, con voce roca.
Passarono i minuti e venimmo invasi di domande, anche piuttosto imbarazzanti. Tutte le persone fuori dal negozio ci fissavano, come se non avessero mai visto nessuno uscire per un appuntamento. Certo, la situazione era inusuale, però… Solo allora mi resi conto di un dettaglio: non fissavano noi, squadravano lui. E come poteva essere altrimenti? Il mio accompagnatore era bello da mozzare il fiato.
― Bene ragazzi! ― strillò Leah, l’assistente del Dj ― Adesso possiamo andare a cena. Seguiteci, la macchina vi porterà al ristorante scelto per la vostra serata.
La seguimmo fuori. Edward mi offrì un braccio che accettai volentieri, mentre ci dirigevamo a bordo di una limousine nera lucida. Non ne avevo mai vista una, se non in televisione, figuriamoci salirci.
― Una macchina del genere l’ho vista solo in tv. ― disse Edward, attirando la mia attenzione. Mi voltai e lo vidi sorridere. Le mie guance presero colore, ero imbarazzata.
― Dove stiamo andando? ― domandai a Leah, cercando di calmare il mio cuore impazzito. La vidi sorridere, mentre rimetteva il tappo su una piccola bottiglietta di acqua naturale.
― Al Kevin Taylor Restaurant. ― rispose lei, mentre io sgranavo gli occhi. Quello era il locale più grande, caro e lussuoso di tutta Denver! Lo Chef, infatti, era il più importante e famoso di tutto il Colorado.
― Ah però! ― disse Edward, enfatizzando la frase con un piccolo fischio ― Ci tratta bene la radio, vedo.
― Ovviamente. ― rispose la ragazza, dando direttive all’autista.
― Allora, cosa ti ha spinta a iscriverti a questo concorso radiofonico per trovare l’anima gemella? ― domandò, improvvisamente, Edward.
― Veramente non mi sono iscritta io. ― ammisi, scrollando le spalle. Lo vidi perplesso, così mi affrettai a spiegare ― Sono state le due mie migliori amiche, Rosalie Hale e Alice Brandon. Dicono che sia ora, per me, di trovarmi qualcuno…
― Quanti anni hai? ― domandò, sorridendo.
― Diciannove.
― Le tue amiche hanno avuto un’ottima idea. ― sussurrò al mio orecchio, sorridendo sghembo.
― E tu? ― domandai, cercando di scacciare l’imbarazzo ― Cosa ti ha portato a fare la selezione per l’altra metà della serata?
― Mio fratello Emmett. ― rispose, facendo un risolino ― Non sapevo nulla. Ha fatto tutto da solo. Mi ha iscritto dopo aver sentito la tua descrizione alla radio.
― Ops. ― dissi, mordendomi il labbro inferiore ― Forse facevo meglio a descrivere un ragazzo più semplice, così non saresti finito in questo caos.
― E chi ti ha detto che mi dispiace? ― soffiò poco distante dal mio viso. I suoi occhi verdi erano due specchi splendenti, seducenti. Leah, fortunatamente, richiamò la nostra attenzione, invitandoci a scendere dalla macchina. Eravamo arrivati a destinazione. Il ristorante era in centro città, nella zona più facoltosa. L’entrata era ornata da una colonna in marmo bianco, con su scritto – nello stesso materiale, però nero – il nome del locale, in cima. Sotto un piccolo portico vi erano le due porte, costruite in vetro. Erano due grandi finestre, suddivise in piccoli quadrettini e abbellite, tutte intorno, da legno nero laccato lucido. Ai lati della porta erano appesi quadri con cornici d’oro e piante, poste in vasi antichi e piuttosto pregiati. Per terra un sontuoso tappeto scuro. Mi ricordava l’entrata della sala da ballo del Titanic. Come se non bastasse, per richiamare il periodo nel quale ci trovavamo, piccoli festoni e luci decoravano il quadro, rendendolo ancora più magico.
― Entriamo? ― ci domandò Leah, seguita da Jacob e la truppe, vedendo che né io né Edward compivamo un passo.
― Certamente. ― rispose quest’ultimo, rioffrendomi il braccio.
Il salone era uno spettacolo. Il parquet lucido, sotto i nostri piedi, luccicava a contatto con le piccole luci tonde a neon del soffitto bianco. Altre colonne, in marmo bianco – decorate con fiocchi rossi e piccole luci bianche –, erano sparse per tutto il piano. Piccoli tavolini – di massimo quattro posti – erano posizionati in maniera apparentemente causale. Eppure, il loro disordine, trasmetteva una precisione sconcertante.
Un cameriere si portò dinanzi a noi.
― Siete i ragazzi della radio, immagino. ― disse, sorridendomi.
― Esattamente, giovane! ― rispose Dj Jake, cingendolo per le spalle ― Hai preparato tutto quello che ti è stato chiesto? ― il ragazzo annuì, invitandoci a seguirlo.
Il nostro tavolo era appartato, rispetto al resto. Avevamo la sala tutta per noi, o quasi. Poco distante, Jacob Black e tutti i suoi aiutanti, non ci perdevano d’occhio nemmeno per un istante, riferendo ai radio-spettatori ogni nostra più piccola e insignificante mossa o parola.
― È imbarazzante. ― sussurrai, posando la forchetta. Non avevo toccato molto, nonostante fosse tutto buonissimo. C’era stata servita ogni specialità del ristorante, a partire dagli antipasti fino al dolce.
― Non hai toccato quasi niente, Isabella.
― Bella. ― gli dissi, evitando il suo sguardo ― Chiamami Bella, lo preferisco.
― Gli ha detto di chiamarla Bella… ― sentii dire a Jacob. Mi voltai, impercettibilmente, per poi tornare a fissare il mio piatto e Edward.
― In effetti hai ragione. ― disse il ragazzo dagli occhi verdi ― Questa situazione è assolutamente imbarazzante. Non possiamo fare nulla che quelli lo sventolano ai quattro venti! ― sorrisi, notando la sua piccola smorfia.
― Perché ridi? ― domandò Edward.
― Per la tua smorfia. ― risposi, guardandolo ― Sembravi tanto un bambino! ― sbuffò, ma rise anche lui.
― Ridono. ― sentii dire, ancora.
Proseguimmo, così, la cena in silenzio, trovando ridicolo che ogni cosa dovesse essere riferita per filo e per segno. Diamine, era il nostro appuntamento di Natale! Potevano lasciarci un po’ di privacy! Come potevo capire se Edward potesse piacermi, se non avevamo neanche mezzo secondo tutto per noi? Mi diedi della sciocca. Era solo una stupida trovata radiofonica, come potevo realmente pensare che, dopo questa serata, lui volesse rivedermi ancora? E io? Avrei voluto davvero rivedere lui?
― Che ne dici di andarcene via? ― domandò, in tono piuttosto basso. Lo sentii per pura fortuna.
― Bisbigliano… ― disse Dj Jake ― e purtroppo non riusciamo a capire cosa si stanno dicendo…
― Che intendi dire? ― risposi, usando lo stesso tono di voce e mi avvicinai di più a lui.
― Ho accettato per fare un favore a mio fratello, ma non pensavo di conoscere una ragazza davvero molto carina. ― disse, arrossendo un po’ ― Vorrei conoscerla meglio, se me lo permetti. Ma qui è impossibile! Perciò andiamocene via. Cosa ne dici? ― lo fissai, interdetta, per qualche secondo. Poi un sorriso smisurato apparve sul mio viso e annuii decisa.
― Assolutamente sì! ― risposi, cercando di trattenere l’euforia ― Andiamo via da qui.
― Perfetto allora.
― E quando? ― chiesi, vedendo che stava immergendo il cucchiaino nella mousse al cioccolato fondente.
― Con calma, Bella. ― rispose, sorridendomi ― Non dobbiamo farci notare, se no è la fine. ― in effetti il suo ragionamento non faceva una piega.

Era passata più di mezzora da quando Edward mi aveva offerto la fuga, ma stavamo ancora attendendo il momento giusto. Il Dj aveva chiesto di mettere su un po’ di musica, così ora ci trovavamo in mezzo alla sala da pranzo a ballare. Peccato che io detestassi ballare, in quanto non ne ero per niente portata.
Edward mi fece fare una piroette e tentai con tutte le mie forze di non cadere, facendo una figura del cavolo davanti ad un ragazzo tanto bello. La mia buona stella, per fortuna, si era messa a girare dalla parte giusta. Almeno per queste sera. Quando la canzone cominciò a sfumare, Edward, mi tirò a sé accompagnandomi in un dolce casquet.
― Pronta? ― sussurrò al mio orecchio, fingendo un bacio.
― Per cosa?
― Per la fuga. Quando ti dico “corri” tu inizia a correre, io ti seguo.
― E dove vado?
― La cucina. ― rispose lui ― C’è sempre una porta sul resto, capito? ― annuii e mi rimise in piedi, mentre tutta la truppe ci applaudiva.
― Adesso. ― sussurrò Edward ― Corri! ― non me lo feci ripetere due volte. Sfrecciai verso la cucina, avvertendo lo scompiglio generale. Mi voltai un po’, sperando di non cadere, per accertarmi che Edward mi stesse seguendo. Come deciso era proprio dietro di me e rideva come una matto. Visto così era ancora più bello…
― Stanno scappando! ― urlò Dj Jake, ma non gli prestai troppa attenzione.
Raggiungemmo l’uscita senza intoppi. Edward riuscì a fermare un taxi e sparimmo da quel ristorane in men che non si dica.
― Dove vi porto? ― chiese il taxista, mentre si rimetteva in carreggiata.
― Ovunque! ― rispose Edward affannato ― Basta che ci porti via di qui.
― Siete i due ragazzi della radio, vero? ― ci domando il signore. Io annuii, ma fu Edward a rispondere. L’uomo sembrava simpatico, né troppo anziano né troppo giovano. Aveva i capelli brizzolati, gli occhi azzurri e un po’ di pancetta, ma il viso era fresco e pimpante.
― Sapete che in centro hanno allestito il Luna Park di Natale? ― ci domandò il taxista. Facemmo di no con il capo, così continuò ― Se volete posso lasciarvi lì., c’è anche la pista di pattinaggio sul ghiaccio. Come primo appuntamento direi che è molto meglio per due giovani come voi. Specialmente in una notte magica come questa. ― ci sorrise calorosamente.
― Direi che la sua idea è ottima! ― rispose, entusiasta, Edward ― Tu cosa ne dici, Bella?
― Dico che è perfetto! ― lo vidi sorride di nuovo e il mio cuore fece le capriole.
Arrivammo al Luna Park di Denver nel giro di pochi minuti. Fu Edward a pagare il taxista, anche se avevo insistito perché facessimo a metà.
Come di consueto, all’entrata – passata la biglietterie –, si trovava il chioschetto dello zucchero filato. Vedevo i bambini, accompagnati dai loro genitori, in fila ad aspettare il proprio turno. Anche io da bambina mi ritrovavo là, come tutti loro. I miei genitori mi portavano spesso, sotto Natale, in questi posti – anche fuori Denver – e lo zucchero filato azzurro era un rito immancabile.
― Ne vuoi? ― domandò Edward, vedendomi fissare il chiosco da almeno venti minuti buoni. Sentii le guance diventare calde. Che imbarazzo!, pensai.
― Ehm no, grazie. Stavo solo guardando.
― Dai Bella, non c’è niente di male. ― disse, prendendomi per mano, e mi trascinò in fila ― Anche io da piccolo lo mangiavo, sai? Mi manca proprio il suo dolce sapore! Che colore: rosa o azzurro? ― domandò sorridente.
― Azzurro. ― mi sentii sussurrare e il suo sorriso si allargò ancora di più.
Passammo le ore seguenti a chiacchierare, ridere e fare giri su ogni attrazione possibile. L’unica che saltammo furono le montagne russe; odiavo l’altezza e vedere Final Destination mi aveva segnato a vita, in modo negativo ovviamente.
La serata, anche se molto diversa da come era cominciata, stava andando nel migliore dei modi.

Edward, per prima cosa, era dolcissimo e premuroso. Era davvero il ragazzo perfetto. Non solo per aspetto fisico, ma anche caratteriale. Stavo cercando di conoscerlo meglio; il meglio possibile, ovviamente. Ogni tassello che mettevo a posto non era per niente una delusione, tutt’altro. Da quello che mi aveva raccontato, Edward, era il figlio minore di due fratelli: il maggiore si chiamava Emmett. Carlisle ed Esme Cullen erano i nomi dei loro genitori; due persone fantastiche, da quel poco che mi aveva detto. Il padre, Carlisle appunto, era il primario dell’ospedale di Denver; Esme, invece, gestiva un negozio di fiori in centro città – era anche un’arredatrice di esterni.
Non avevano sempre abitato qui, mi spiegò il mio partner della serata; fino a dieci anni prima risiedeva a Chicago. Il trasferimento di Carlisle incise su tutta la famiglia.
― Quanti anni hai, Edward?
― Ne ho compiuti ventitre a Giugno. ― rispose, dandomi un’informazione in più. Adesso sapevo anche il suo mese di nascita! Non potevo esserne più contenta.
― A cosa aspiri per il futuro? ― mi chiese lui, affrontando un altro tema importante.

Ci trovavamo sulla banchina, davanti alla ruota panoramica. Le luci dell’attrazioni erano fantastiche; rendeva tutto ancora più intenso e magico.
― Adoro la scienza. ― risposi, quasi sussurrando ― Vorrei diventare biologa molecolare, anche se riconosco che il mio desiderio è ambizioso; presenta una strada lunga e tortuosa.
― Dobbiamo diventare ciò che vogliamo. ― disse Edward deciso. Gli occhi gli brillavano di tenacia ― Non importa quanto la strada possa essere in salita, se ti metti d’impegno puoi diventare tutto ciò che vuoi. ― mi sorrise, ed io sprofondai nei suoi smeraldi liquidi ― Abbiamo una sola vita da vivere, Bella. Dobbiamo goderci ogni attimo; ogni singolo momento. Ma, soprattutto, dobbiamo fare le scelte che vogliamo fare; non quelle semplici, quelle dovute, quelle imposte.
Lo osservai attenta, senza perdermi nemmeno una parola. Adoravo la sua voce. Lo avrei ascoltato parlare per giorni, mesi e, forse, perfino anni.
― Sono d’accordo con te. ― riuscii a dire poco dopo, notando il suo sguardo fisso su di me, in attesa di una risposta ― Tu, invece? Cosa hai studiato e cosa vuoi diventare?
― Ho sempre studiato moltissimo, a dire la verità. ― rispose, facendo una piccola smorfia con la bocca ― Non vorrei sembrarti un secchione o simile, solo che adoravo studiare. Uscivo anche, eh! Avevo una grande vita sociale, ma non ho mai voluto trascurare gli studi. Ho preso un diploma al conservatorio: pianoforte e chitarra classica. Amo suonare; è una passione che ho fin da piccolo, me l’ha trasmessa mia madre. ― le sue mani confermavano le sue parole. Le dita erano lunghe, affusolate, lisce e candide. Erano le mani di un pianista; di un ottimo pianista. Chissà come sarebbe sentirle sul mio corpo, mi ritrovai a pensare. Arrossii, cercando di capire da dove mi fosse venuto quell’assurdo pensiero.
― Ad un certo punto mi sono trovato dinanzi ad un enorme bivio: scegliere la strada di mio padre, diventando medico – pediatra, per essere precisi? Oppure specializzarmi in veterinaria?
― E quale hai scelto? ― chiesi curiosa.
― Di fare l’uno e l’altro! ― rispose col mio stesso tono ― O meglio, diventare pediatra ufficialmente. Poi, nel tempo libero, vado al canile municipale e do una mano lì. Odio di picchia, abbandona o maltratta gli animali. È qualcosa che non capisco né concepisco.
― A chi lo dici. ― sussurrai, guadagnandomi uno sguardo di ammirazione.
Restammo in silenzio per un po’, ma non era un momento pesante o imbarazzante, tutto il contrario. In quel mutismo c’era un velato senso di tranquillità e benessere.
― Ti va di fare un giro sulla ruota? ― domandò Edward, alzandosi in piedi e mi porse la mano. Sorrisi, afferrandola di slancio.
― Ottima idea, Edward! ― risposi e ci avviammo, mano nella mano, verso quel fantastico arcobaleno di colori.

Era il secondo giro che facevamo. Come me, Edward, apprezzava la ruota panoramica. Il motivo era molto semplice: a quell’altezza potevi vedere tutto, qualsiasi cosa. Le luci della città, gli alberi di Natale nelle piazze, le decorazione fluorescenti dei negozi… A quell’altezza tutto, perfino i tuoi problemi o le tue preoccupazioni, pareva minuscolo. Insignificante.
Mi rendevo di conto di sembrare un bambina. Ero completamente spiaccicata al vetro della nostra piccola cabina; guardavo fuori attenta, incantata.
Il nostro “alloggio” era piccolo e privato. Un ovale schiacciato e piuttosto largo, per due persone. L’esterno era rosso scuro, l’interno nero.
Percepii un ghigno di Edward, così mi voltai.
― Devo dedurre che stai ridendo di me. Sbaglio, forse?
― No, non sbagli. ― rispose lui, con moltissima sincerità ― Ma non è come pensi! Non ridevo per te, ma con te. Direi che c’è differenza.
Storsi il naso e mi accomodai davanti a lui, fissandolo negli occhi. Mi sporsi un po’ in avanti, sentendo le sue ginocchia scontrarsi con le mie. Il contatto mi fece stare bene; percepivo la solita scossa, ogni volta che mi toccava o sfiorava.
― L’unica pecca, nel suo discorso signor Cullen, è che io non stavo ridendo.
― Infatti lei stava sorridendo, signorina Swan. ― rispose, regalandomi un sorriso sghembo che mi fece sussultare. Il cuore cominciò a fare le capriole e lo stomaco mi si riempì di farfalle ― Sei molto bella. Dico davvero… Non ho mai conosciuto una ragazza come te, Isabella. Sei… sei speciale. Anche la tua bellezza lo è. Non è la solita che si trova nelle donne, è raffinata, è semplice e al contempo particolare. Prima sorridevi ed io ti fissavo e pensavo: “Dio, sono l’uomo più fortunato del mondo!”
― Non ti sembra di esagerare? ― chiesi, rossa come un pomodoro ― Insomma, non sono chissà che.
― Ti sbagli di grosso. ― affermò deciso. Si alzò e mi porse la mano perché anche io facessi lo stesso ― Questa tua insicurezza mi fa impazzire, lo sai? Tu sei una persona formidabile! Eppure non te ne rendi conto. Bella, tu sei strepitosa. Ti conosco da poche ore, eppure sembra che per tutta la mia vita è te che stessi aspettando.
― So quello che vuoi dire… ― mi lasciai scappare e lui mi alzò il viso, posizionandomi un dito sotto al mento.
― Davvero? ― domandò, con gli occhi che gli brillavano. Annuii, aspettando qualcosa che volevo da tutta la sera: il suo bacio. Quello sarebbe stato il regalo di Natale più bello che avessi mai ricevuto.
― Bella? ― mi chiamò Edward, avvicinandosi sempre di più ― Buon Natale. ― disse, posando le sue labbra sulle mie. Non appena le nostre bocche si soprapposero, cominciando una danza tutta loro, l’orologio della piazza suonò mezzanotte. Era Natale.
Quando rimettemmo i piedi a terra, non riuscivamo a staccarci l’uno dall’altra. Edward mi teneva un braccio intorno alle spalle, facendo intrecciare le nostre dita. Era una sensazione fantastica e assolutamente inebriante.
― Forse è meglio che ti accompagni a casa. ― mormorò tra un bacio e l’altro, sulla panchina appena fuori dal Luna Park. Mugugnai qualcosa di poco felice che lo fece sorridere ― Sta’ tranquilla, domani in giornata dopo il pranzo di Natale verrò a prenderti.
― Promesso?
― Promesso.
Restammo abbracciati ancora per un po’, godendoci quel giorno tanto magico. Sperai di vedere altri Natali insieme a lui, e che la nostra frequentazione non durasse poco.
Vidi Edward alzarsi e chiamare un taxi, il quale arrivò nel giro di dieci minuti. Trascorremmo il viaggio in silenzio, a coccolarci. Ci eravamo scambiati i numeri e gli indirizzi di casa, così avremmo saputo sempre dove trovarci.
Quando arrivammo davanti a casa mia, la luce del patio era ancora accesa; evidentemente, mio padre, l’aveva lasciata così di proposito.
― Sono stata bene, stasera.
― Anche io, più che bene.
Restammo a fissarci per un po’, senza parlare. Sembravano due deficienti, ma non avevamo alcuna voglia di separarci. Forse era un atteggiamento stupido e infantile, il nostro, eppure non ci importava.
― Questa è stata la prima di molte, moltissime uscite, signorina Swan.
― Lo spero proprio, signor Cullen.
Sorrise e poi riposò le sue labbra sulle mie. Il bacio fu stupendo, come tutti gli altri. Edward era un baciatore fantastico.
― Ti chiamo domani. ― disse, prima di risalire sul taxi.
Lo guardai allontanarsi, percependo il mio sorriso allargarsi sempre di più.
Non avevo ancora idea che quelle promesse sarebbero durate, davvero, moltissimo tempo.


……………… Cinque anni dopo ………………

San Francisco, California.
23 Dicembre 2011

La casa era diventata un bordello. Era tutta la mattina che cercavo di dare un’aria ordinata a quel campo di battaglia, ma sembrava impossibile.
Le palline dell’albero di Natale – fatto la sera prima, nonostante la nostra imminente partenza – erano ancora sparse per tutto il salotto; così come le luci in più e le altre varie decorazioni. Sbuffai, irritata. Amavo le feste, specialmente il Natale, ma lasciavo dietro di esse un tale disastro!
Nel tentativo di mettere in ordine, stavo anche aspettando che Edward rientrasse a casa. Era andato a ritirare i nostri biglietti aerei.
Molte cose erano cambiate in cinque anni. Per prima cosa, non ero più la signorina Swan, bensì la signora Cullen. Io ed Edward c’eravamo sposati esattamente un anno dopo il nostro incontro radiofonico – il 24 Dicembre 2007. A causa del lavoro di mio marito, però, dovettimo trasferirci quasi subito dopo la luna di miele. Abitavamo a San Francisco da quattro anni, ed io non potevo essere più felice. Avevo tutto ciò che avevo sempre desiderato e, forse, anche di più.
― Mamma! ― sentii chiamarmi dal piano di sopra. Il mio piccolo terremoto si era svegliato.
― Tesoro, arrivo subito!
Ecco la seconda cosa che era cambiata nella mia giovane vita: ero diventata madre.
Renesmee Cullen, così avevamo deciso di chiamarla, aveva da poco compiuto quattro anni. Assomigliava moltissimo a suo padre: i capelli lunghi, mossi, erano di quell’insolito, quanto adorabile, bronzeo; gli occhi erano castani, come i miei, screziati di verde acceso quando c’era bel tempo. Era minuta e abbastanza alta per una bambina della sua età. Dolce e solare, era l’unione perfetta delle nostre caratteriste migliori.
― Ben svegliata, cucciola. ― sussurrai, posandole un bacio sulla guancia. Renesmee era la cosa più importante della mia vita, insieme ad Edward.
― Buongiorno mamma! ― rispose, stropicciandosi gli occhi con le manine.
― Hai fame? ― le domandai, sedendomi sul bordo del letto. Come faceva ogni mattina, si scoprì e mi gattonò in braccio. Annuì e si fece coccolare un po’.
― Dov’è papà?
― È andato a prendere i biglietti per la partenza, amore. Tra un po’ rientra.
Vidi gli occhi di mia figlia illuminarsi e si svegliò di colpo. Totalmente.
― Andiamo dai nonni! Andiamo dai nonni! Andiamo dai nonni! Andiamo… ― la interrupi quasi subito. Conoscendola, avrebbe continuato così per tutta la mattina.
― Renesmee! Datti un calmata, dai. Adesso andiamo a sciacquarti il viso e poi scendiamo a fare colazione. Ci sono i muffin al cioccolato col miele, che ne dici?
― Sì! Buoni! ― scese dal letto, mi prese per mano e mi trascinò in bagno con lei.
Mezzora dopo eravamo a tavola, a fare colazione. Renesmee indossava una salopette di jeans, con gonna, e sotto un maglioncino a collo alto rosso – come le scarpe e le calze felpate per tenerla calda. I capelli, lasciati sciolti, le ricadevano luminosi sulla spalle.
― Mamma, i tuoi muffin sono i migliore di tutto il mondo! ― disse, mentre masticava energicamente.
― Renesmee, cosa ti ha detto mille volte la mamma?
― Che non si parla con la bocca piena. ― rispose, capendo l’antifona. Rise e poi chiese scusa.
Chiacchierammo del più e del meno durante tutta la sua colazione, dopodiché tornammo al piano di sopra per lavarle i denti e finire la sua valigia di Hello Kitty.
Sentii la porta d’ingresso aprirsi e capii che anche mio marito era tornato.
― C’è nessuno?
― Edward, siamo di sopra! ― urlai, mentre cercavo di infilare l’orso preferito di mia figlia in qualche buco – inesistente – del suo piccolo bagaglio.
― Tesoro, non ci va.
― Uffa, però! Io lo voglio portare dai nonni!
― Lo capisco, ma non ci va. E la valigia di mamma e papà e piena…
― No, voglio l’orso!
Voglio non esiste neanche nel giardino del re! ― disse Edward entrando. Mi salutò, dandomi un dolce e veloce bacio a stampo e poi si precipitò sulla sua principessina ― Capito? Eh, eh? ― domandò, mentre le faceva il solletico.
― Papà, papà no! Dai, ahahah papà!
― Edward ha finito di fare colazione poco fa, dai lasciala stare.
― Guarda che ce n’è anche per te, mamma! ― mi rispose mio marito, tirandomi insieme a loro sul letto. Era un assalto in piena regola: lui mi teneva ferma e nostra figlia mi solleticava.
― Se non mi lasciate do i vostri regali al primo che passa! ― urlai tra le risate. Quei due insieme mi facevano diventare pazza.
― Oh no! ― disse Renesmee, fermandosi all’istante. Scoppiai a ridere per la sua reazione e cominciai, io, a farle il solletico.
Passammo la mattina così, a scherzare e ridere, godendoci a pieno la nostra bellissima famiglia.

***

L’International Airport di San Francisco era stracolmo di gente, tutti in partenza o in arrivo per le festività invernali.
Edward era al check-in, mentre io e Renesmee lo attendavamo all’entrata dell’imbarco.
― Non lasciare la mia mano neanche per un attimo, capito cucciola? ― ripetei per la trecentesima volta, in quell’ora.
― Shì, mammina.
Il viaggio per arrivare a Denver sarebbe durato due ore e mezza, all’incirca. Speravo, segretamente, che non vi fossero stati intoppi. In primis, odiavo i ritardi; in secundis, odiavo volare. L’aereo, però, era il mezzo più facile e veloce per tornare a casa. Non potevo fare la bambina, ormai ero una donna. Ero una moglie e una madre. Nonostante avessi appena ventitre anni, ero già all’apice della mia vita. Non potevo lamentarmene, però. Edward era una marito affettuoso e un uomo incredibile, non avrebbe potuto capitarmi persona migliore; Renesmee era stata una sorpresa inaspettata. Durante la luna di miele, troppo presi dai festeggiamenti, avevamo dimenticato le precauzioni e una settimana dopo, quella piccola bambina già cresceva dentro di me. L’emozione, quando scoprii di essere incinta, fu enorme. Non mi importava il dover abbandonare gli studi o l’essere troppo giovane, per diventare moglie e – quasi subito – madre. Non appena vidi il test positivo, desiderai quel bambino. Lo stesso fu per Edward, con la differenza che gli proibii di rinunciare alla sua carriera di pediatra.
― Possiamo andare! ― annunciò Edward, tornando da noi ― Le valigie sono imbarcate, possiamo raggiungere il gate e attendere la chiamata per Denver. Il volo è il 149, gate due.
― E poi arriviamo dai nonni? E gli zii? Ci sarà zia Rose? E zia Alice? ― ecco, mia figlia – spesso e volentieri – diventava una macchinetta. Scossi il capo, sorridente, lasciando che per un po’ se ne occupasse Edward.
Vederli insieme era fantastico. Gli occhi di mio marito brillavano più del dovuto e Renesmee adorava suo padre. Credo sia normale, pensai. E mi tornò alla mente Charlie; il mio, di padre.
― Verranno anche Alice e Jasper? ― domandò Edward, risvegliandomi dai miei pensieri. Annuii, sorridendo. Eravamo diventati tutti una grande famiglia, e non solo per modo di dire.
Alice Brandon era la mia migliore amica, di sempre, e stava con Jasper dalle superiori. Jasper Hale era il fratello maggiore della nostra migliore amica, Rosalie, la quale si sarebbe sposata a breve con Emmett Cullen, fratello maggiore di Edward.
Delle volte il destino era bizzarro, pensavo spesso. Quando quelle due pazze mi iscrissero al concorso di Natale, alla radio, nessuna di noi avrebbe mai immaginato che io e il “ragazzo ideale” ci saremmo sposati; nessuno, inoltre, avrebbe mai lontanamente pensato che anche Rosalie, grazie a quel concorso, avrebbe trovato l’uomo della sua vita. La vita è divertente, a volte, pensai con un leggero sorriso.
― Il volo 149 per Denver, partirà a breve. ― ci annunciò la voce degli altoparlanti ― Si presa ai passeggeri di recarsi immediatamente all’imbarco.
― È il nostro. ― sussurrò Edward, prendendo in braccio Renesmee e afferrando la mia mano. La strinsi con forza e mi sistemai la borsa sulla spalla sinistra.
― Si vola, si vola! Che bello, adesso voliamo! Come Babbo Natale, anche lui arriva in volo! Però lui ha una slitta! E le renne! Papà mi compri una renna?
Cercando di calmarla un po’, raggiungemmo i nostri posti, scusandoci con i passeggeri per il caos che, una sola bambina di quattro anni, stava facendo.
― È tutta sua madre.
― Che cosa vorresti insinuare? ― domandai, alzando un sopracciglio.
― Oh nulla, nulla! ― rispose, posando le sue labbra sulle mie.
― Uh, mamma e papà si baciano… ― scoppiammo a ridere, per il modo in cui nostra figlia aveva pronunciato quella frase. C’era un misto di felicità e sorpresa, ma anche venerazione, come se quel gesto per lei fosse sacro.
― Cosa facciamo, adesso? ― domandò Renesmee, guardandosi intorno.
― Adesso stiamo tranquilli e in silenzio. ― risposi alla sua domanda ― Resteremo sull’aereo per qualche ora, dopodiché ci verrà a prendere nonno Charlie e andremo dagli altri.
― Ma io mi annoio, uffa. ― sbuffò, incrociando le piccole braccia al petto.
― Ma amore! ― disse Edward, scoppiando a ridere ― Non siamo neanche partiti, ancora!
― Ma io mi annoio lo stesso, ecco.
― E cosa vorresti fare? Sentiamo. ― domandai, mettendomi un po’ di lato per fissarla negli occhi.
― Eh, non lo so. ― questa volta fu il mio turno di scoppiare a ridere.
― Ti va di dirmi come si chiamano le renne di Babbo Natale? ― intervenne Edward, che stava tentando di rimanere serio.
― Shì! Allora, le renne si chiamano: Comet, Dancer, Dasher, Prancer, Vixen, Donder, Blitzen, Cupid. ― certo, la pronuncia non era totalmente corretta, ma mi sorprese. Io alla sua età era già tanto se sapessi Cometa e Saltarello!
― La conosci la filastrocca delle renne di Babbo Natale? ― domandò Edward, mentre l’aereo stava decollando.
― Nuo. ― rispose Renesmee, guardandolo incuriosita. Stava morendo di sonno, lo capivo dai suoi occhietti lucidi. Tutto sommato era normale, solitamente di pomeriggio faceva il suo riposino, oggi non aveva potuto.
Eravamo arrivati in aeroporto alle tre; alle quattro e mezza sarebbe partito l’aereo.
― Allora facciamo così, tu mettiti tranquilla nella tua bella poltrona… ― disse Edward, sistemandola e posandole addosso il suo giubbotto ― ed io ti recito la filastrocca. Ti va? ― lei annuì, così lui cominciò:
― Non solo fanno la slitta volare e in ciel galoppano senza cadere.
Ogni renna ha il suo compito speciale, per saper dove i doni portare.

Cometa chiede a ciascuna stella dov’è questa casa o dov’è quella.
Fulmine guarda di qui e di là, per sapere se la neve verrà.
Donnola segue del vento la scia, schivando le nubi che sbarran la via.
Freccia controlla il tempo scrupoloso; ogni secondo che fugge è prezioso.
Ballerina tiene il passo cadenzato, per far che ogni ritardo sia recuperato.
Saltarello deve scalpitare, per dare il segnale di ripartire.
Donato è poi la renna postino: porta le lettere d’ogni bambino.
Cupido, quello dal cuore d’oro, sorveglia ogni dono come un tesoro.
Quando vedete la renna volare, Babbo Natale sta per arrivare. ― rimasi incantata nel vedere le labbra di mio marito muoversi così lentamente, mentre producevano un canto segreto. Non fui la sola ad apprezzare; Renesmee, infatti, si era addormentata verso la fine con un sorriso felice stampato un faccia.
― Sei il migliore. ― sussurrai al suo orecchio, accarezzandogli il viso.
― Mai quanto te, amore mio. ― rispose, baciando con passione e dolcezza ― Oggi ti ho già detto che ti amo, signora Cullen? ― domandò, quando si staccò leggermente.
― Non credo, no.
― Allora dobbiamo assolutamente rimediare! ― disse, tornando a baciarmi ― Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo… ― continuò tra un bacio e l’altro.
Passò così il nostro tempo su quell’aereo; nel modo più dolce e romantico possibile.

Alle sette in punto sbarcammo a Denver.
Renesmee non fu troppo felice di svegliarsi, perciò decidemmo che io l’avrei portata in braccio ed Edward avrebbe trascinato le nostre valigie.
All’uscita, una Wolkswagen nera ci stava aspettando.
― Bells! ― gridò mio padre, sbracciandosi per farsi vedere.
― Papà! ― lo salutai, aumentando un po’ il passo.
― Ciao Charlie. ― lo salutò Edward, porgendogli una mano.
― Ciao ragazzo, tutto bene? Il viaggio?
― Tutto ok, grazie.
― Ma guarda un po’ chi c’è! ― disse mio padre, riferendosi a mia figlia ― Microbo, non vieni a salutare il tuo nonno preferito?
― Nonno, ciao! Dov’è la nonna? E gli altri? ― domandò Renesmee, saltandogli in braccio.
― Quante domande! A volte mi ricordi Alice.
― Uh, dov’è zia Alice?
― Ora ci andiamo! ― rispose Charlie, prima di rivolgersi ad Edward ― Ti serve una mano per caricare le valigie in macchina?
― No, no, tranquillo. ― rispose, andando verso il bagagliaio. Glielo aprii e lui vi sistemò dentro i bagagli.
― Allora, andiamo? ― chiesi, non stando più nella pelle di rivedere tutti gli altri.
― Shì! Andiamo, andiamo!
Charlie sorrise e ci fece entrare tutti in macchina.
Arrivammo alla residenza Cullen – una notevole villa marrone e bianca a tre piani – circa quaranta minuti dopo. La casa era tutta illuminata da luci natalizie di ogni tipo; diedi per scontato che fosse opera di Alice e Rosalie.
Il giardino era interamente costellato da piccole lucine disperse tra i grandi alberi; sull’entrata, una ghirlanda di fiori faceva bella mostra. Aveva un fiocco rosso alla base e al centro vi era scritto “Merry Christmas!”.
― Bella! ― urlarono in coro Alice e Rosalie, prima di venirmi ad abbracciare.
― Che bello rivedervi, ragazze! ― dissi, stringendole forte.
― Ciao cognatina! ― mormorò Emmett, picchiettandomi sulla testa.
― Ciao orso!
― E tuo fratello non si saluta, mascalzone? ― domandò Edward, facendo il finto offeso.
― Io prediligo le belle donne, fratello! ― e puntò i suoi occhi azzurri su Renesmee ― E a proposito di belle donne… Nessie, vieni da zio Emmett!
Mia figlia non se lo fece ripetere, gli saltò in braccio attirando l’attenzione di tutti i presenti. Odiavo il nomignolo che le venne affibbiato fin dai suoi primi anni di vita. L’ideatore – Emmett, appunto – sosteneva che quella bambina non avesse preso né da Edward né da me, in quanto fosse un mostro di intelligente. Da lì il nomignolo Nessie.
― Che piacere rivedervi. ― disse Carlisle, alle nostre spalle.
― Ciao Carl! ― risposi entusiasta, abbracciando mio suocero ― Come stai? Ed Esme? E mia madre? ― domandai, guardandomi intorno. Non le avevo ancora viste.
― Sono andate a fare le ultime compere. ― rispose mio padre, alzando gli occhi al cielo.
Renesmee aveva manipolato completamente l’attenzione di tutti. Io ed Edward stavamo sistemando le nostre cose, nella sua vecchia stanza. Renesmee avrebbe dormito in quella vecchia di Emmett, visto che ora abitava insieme a Rosalie in centro.
― Direi che almeno ci è stata concessa un po’ di intimità, non trovi? ― domandò Edward, abbracciandomi da dietro. Aveva appoggiato il mento sulla mia spalla e ci stava dondolando a destra e sinistra.
― Intimità? E secondo te quanto durerà?
― Mamma! Papà! ― urlò Renesmee, dal piano inferiore.
― Dire poco. ― rispose mio marito, sorridendo. Si mise una mano tra i capelli; gesto che adoravo vedergli fare.
― Molto poco, direi! ― sussurrai, scuotendo il capo. Presi la mano di mio marito e scendemmo di sotto. Per quella sera non ci sarebbe stato nulla di che: una cena di bentornato e poi ci saremmo riposati.
Tutti, Renesmee soprattutto, stavamo aspettando il giorno di Natale.

***

Il 25 Dicembre arrivò in men che non si dica.
― Mamma, mamma sveglia! ― urlò Renesmee, saltando sul nostro letto ― È arrivato Babbo Natale, è arrivato! Ci sono un sacco di regali di sotto, nonna mi ha detto che sono per me! Andiamo, andiamo!
― Che succede? ― biascicò Edward, sollevandosi sui gomiti.
― Ha insistito per svegliarvi. ― disse Esme, che era sulla soglia della stanza ― Non pensavo lo avrebbe fatto in quel modo.
― Perché? ― domandò Renesmee ― Che modo? ― la sua innocenza era disarmante. Ma era questo che contraddistingueva i bambini. Erano innocenti e puri: per loro tutto era una festa, specialmente il Natale.
― Nulla! ― urlai, cominciando a sbaciucchiarmela tutta ― Dai, andiamo a vedere cosa ti ha portato Babbo Natale! ― diedi parecchie sculacciate ad Edward, per farlo alzare ― Avanti, anche tu! Edward, tua figlia ti reclama!
― Arrivo, arrivo!
Giungemmo in salotto, trovando già tutta la famiglia riunita.
I miei genitori erano seduti sul divano, si tenevano per mano. Charlie indossava un completo blu notte, come la cravatta e le scarpe, e una camicia verde scuro; Renée aveva un abito che le arrivava al ginocchio, verde pistacchio, molto semplice.
Carlisle sfoggiava un abito scuro, forse grigio piombo; camicia bordeaux e scarpe del colore del completo. Non aveva la cravatta. Esme, indossava un abito lungo, rosso scuro. Stava benissimo, possibile che non me ne fossi accorta prima?
Jasper ed Emmett indossavano dei pantaloni scuri, una camicia e un gilet. Il primo aveva camicia bianca e gilet grigio perla; il secondo camicia beige e gilet marrone scuro. Entrambi avevano le scarpe coordinate ad essi. Alice e Rosalie indossavano un vestito sbarazzino, corto. La prima lo aveva a palloncino, di un colore viola scuro, senza spalline con sopra un copri spalle; quello della seconda era nero, a maniche corte. Ricadeva dritto, fasciandole le cosce.
― Siete stupendi. ― sussurrai, notando che a differenza loro noi fossimo ancora in pigiama. È imbarazzante, pensai.
― Ho già preparato la vostra roba! ― saltellò allegramente Alice ― Il tempo di far contenta la piccola Nessie e poi andrete a cambiarvi! ― annuii, sorridendo e mi avvicinai a mia figlia.
― Apri quello grande! ― le stava suggerendo Edward. Glielo passò e lei lo aprì.
― È proprio quello che volevo! ― strillò, trovandosi di fronte un’enorme villa per le bambole, bianca.
― Babbo Natale è stato bravo, allora. ― le sussurrai all’orecchio, sedendomela in braccio.
L’albero che Alice aveva allestito era qualcosa di incredibile. Il classico abete che si vedeva solo nei film, durante questo tipo di festività. Lo aveva cosparso di leggera neve artificiale, le palline erano miste e richiamavano i classici colori di Natale: rosso, oro, argento e blu. Le punte erano ornate da fiocchetti rossi e i festoni ricadevano sottili e argentati in tutta la grandezza di quell’albero. Le luci, intermittenti, erano bianche, quasi azzurre; il puntale in alto era una stella d’oro.
Le risate di Renesmee mi fecero tornare al presente. Ero felice nel vederla felice. Sorrideva, con gli occhi che le brillavano per la gioia. Continuava ad aprire pacchetti su pacchetti, di qualsiasi colore e dimensione.
Fino ad ora aveva ricevuto: la casa delle bambole, una bicicletta, un piccolo pianoforte, un sacco di peluches… Ma anche cose utili, tipo: vestiti, cappellini per il freddo, un paio di orecchi in oro bianco di Hello Kitty e molto altro.
― Abbiamo una cosa per te anche noi. ― disse Edward, afferrando il pacchetto quadrato, che avevo impacchettato la sera prima. La carta da regalo era rossa, con le renne, e al centro c’era un grande fiocco dorato.
Renesmee lo prese al volo e cominciò a strappare tutta la carta. Quando ebbe concluso, si ritrovò in mano un album fotografico, piuttosto voluminoso, rosa antico. Sulla copertina, al centro, era raffigurata una fresia bianca.
― Che cos’è? ― domandò Renesmee incuriosita.
― È un portafoto. ― risposi dolcemente.
― E a cosa serve?
― A tenere in ordine tutte le fotografie a cui tieni. ― rispose Edward, aprendolo ― Guarda, lo abbiamo iniziato noi per te.
La prima foto era un’immagine mia col pancione. Ero sdraiata sul divano e dormivo profondamente.
― Tu eri qui dentro. ― dissi a mia figlia, indicando la mia pancia. Renesmee fece una graziosa “O” con la bocca, ma non fiatò. Voleva saperne di più.
La seconda fotografia ritrattava me ed Edward, in ospedale. In braccio tenevo un fagottino appena nato, dai riccioli bronzei. Andando avanti vi erano immagini di ogni tipo: Renesmee nella culla che dormiva; lei col suo orsacchiotto preferito; lei con i nonni, con gli zii, con Edward o con me. Renesmee che compiva un anno; poi tutto ciò che aveva fatto quando aveva due anni e via, via fino ad arrivare a questo Natale. L’ultima fotografia ritraeva una bambina di quattro anni. Aveva un pantalone rosso, una camicia bianca e sopra un golfino rosso con fantasie natalizie abbinato al piccolo capellino che portava in testa. Sorrideva felice e spensierata.
― Grazie. ― disse, dopo averlo sfogliato tutto ― È bellissimo!
― Ed è tutto da finire, gioia mia. ― sussurrò Edward, avvolgendoci in un caldo abbraccio ― Da adesso in poi lo continuerai tu.
Restammo per terra, sotto le luci dell’albero di Natale ancora un po’. Notai che le nostre famiglie si erano dileguate, forse per lasciarci un po’ di privacy insieme a nostra figlia.
Quando guardai l’orologio mi resi conto che era quasi mezzogiorno, così proposi di andare a vestirci. Edward prese a cavalluccio Renesmee e salì di sopra, mentre la nostra bambina rideva come un pazza.
A guardare quella scena il mio cuore si scaldò di gioia. Il Natale è la festa dei bambini, pensai. E mai prima di allora compresi quanta verità ci fosse in quella semplicissima frase.

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Buona Natale a tutti!
  
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