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Autore: nals    24/12/2011    2 recensioni
Dorcas/Sirius| One-shot
L'estate andava scolorendosi piano tra secondi scanditi e responsabilità triplicate; Agosto avrebbe a breve pronunciato il suo ennesimo, temporaneo, addio al mondo...
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Dorcas/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Ali di carta pesta.


 


 


 

L'estate andava scolorendosi piano tra secondi scanditi e responsabilità triplicate; Agosto avrebbe a breve pronunciato il suo ennesimo, temporaneo, addio al mondo.

Quella sera la fine avrebbe fatto la sua solita decisiva entrata e un nuovo inizio avrebbe bussato lieve per poter vedere di nuovo luce, tra rami spogli e colori caldi di foglie raggrinzite.

C'era il vento, le sue falangi tiepide ed insistenti tra le ciocche scure; la luna fredda e ammutinata nella sua metà sfumata e le falene: lo sbattere continuo e disperato di ali di cartapesta attorno al vitreo calore di una lanterna annerita.

E una ragazza.

Tutta rannicchiata sugli scaloni freddi che conducevano all'ingresso della villetta verde.

La casa che aveva scelto con Emmeline. Quella piccola ed accogliente scultura che avrebbe odorato di gerbere e camelie a seconda della stagione; lì dove, si promisero, la guerra non sarebbe entrata mai.

E non era successo, non fino ad allora, almeno.

Emmeline aveva deciso di invitare gente a casa quella sera; per inaugurare l'avvento della stagione fredda, aveva detto. Motivazione del tutto improvvisata, a parere di Dorcas, che la mandò giù comunque.

Aveva accettato con un sorriso, sperando che la bionda recepisse il suo immenso grazie.

Emmeline lo aveva fatto per lei. Aveva tenuto in piedi quella copertura assurda per indebolire i suoi orribili ricordi e tenere a freno i suoi tormenti, per quel giorno almeno. Le voleva bene anche per questo. Soprattutto per questo. E non sarebbe mai riuscita a ringraziarla in modo appropriato.

Sospirando rumorosamente, tornò ad occuparsi del reale sperando che nulla le crollasse addosso come circa 90 giorni prima.

Poteva chiaramente ascoltare le risate, continue e varie, rimbombare nel salotto solitamente vuoto- se non fosse stato per l'enorme pianoforte a coda e per il divano in velluto-verde all'angolo-; sorrise sentendole cozzare in maniera così buffa con il felpato ed inconsistente suono del silenzio che l'avvolgeva.

Distrattamente si chiese se le adorabili mura avrebbero sopportato quell'estenuante trambusto. La risposta rimase vaga.

Qualche centinaio di metri più in là e una manciata di querce più avanti un gufo bubolò alle tenebre e, nello stesso istante, un leggero guaito sbriciolò la notte alle sue spalle.

Dorcas sobbalzò, voltandosi di scatto; spalancò la bocca, sorpresa.

Un enorme cane nero cominciò a zampettarle attorno, scodinzolando senza sosta. Continuò quel  buffo girotondo per un po' e quando, stanco forse, le saltò addosso leccandola dappertutto, Dorcas scoppiò a ridere, chiedendosi da dove fosse sbucato quel mattacchione.

Tastò il vuoto con le mani- gli occhi ancora serrati in modo che quelle leccate inarrestabili non la rendessero cieca- finché non riuscì ad afferrargli il muso umido e bloccare quella dolcissima e plateale dimostrazione d’affetto.

Sta' fermo, cucciolone” sussurrò accarezzandolo con dolcezza sulle testa.

Il canide, cacciando giù le orecchie, le diede magicamente retta, accucciandosi mansueto sulle sue gambe. La coda ancora in movimento.

Da dove sbuchi, piccolo?” gli sussurrò dolce in un orecchio, lui si limitò a scodinzolare più forte senza muoversi di un soffio. Si godeva le coccole, semplicemente, gli occhi socchiusi, la lingua a penzoloni e qualche guaito di contentezza.

Era senza collare, notò la ragazza, eppure il pelo era terribilmente morbido e lucido come se qualcuno si prendesse quotidianamente cura di lui.

Ne sentì la consistenza setosa tra le dita e sorrise inconsapevolmente; avrebbe potuto passare giorni a coccolarlo.

Era concentrata a lisciargli il pelo del collo quando qualcuno la chiamò da dentro. Vide il cane rizzare le orecchie, allarmato, e voltarsi a guardarla dopo aver annusato ripetitivamente l'aria.

Sta’ calmo, non è…” cominciò a dire per rassicurarlo, ma si bloccò.

Gli occhi. Quegli occhi.

Come?...”sussurrò incredula.

Qualcuno, Remus forse, urlò anche l'altro nome. Sirius.

Il cane si alzò fulmineo sulle zampe anteriori, lei si mise in piedi quasi contemporaneamente voltandosi di scatto verso la porta d’ingresso, chiusa. Le era sembrato di udire dei passi procedere in quella direzione, probabilmente fu solo suggestione. Non stava uscendo nessuno. Si mise a sedere di nuovo, la mano sul petto quasi a voler rallentare il cuore, un timido sorriso sulle labbra. Alzò lo sguardo, sicura di essersi sbagliata, di aver avuto una delle sue insolite allucinazioni, ma…non c’era più. Il cane non c’era più.

Confusa, dopo aver controllato che non ci fosse nulla di strano lì fuori, entrò in casa, superò il corridoio e fu accecata dalla luce del salotto stracolmo. Nessuno si curò di lei, troppo presi a discutere del nuovo piano elaborato da Malocchio o a ridere dell’ennesima battuta; se ne compiacque.

Si mosse in direzione della cucina, ci avrebbe sicuramente trovato Emmeline e Lily.

Superò indenne il gruppetto capeggiato dai fratelli Prewett, salutò James con un cenno e fissò lo splendido sorriso che Sirius stava rivolgendo a lei.

Perché Sirius, quel Sirius, stava sorridendo nella sua direzione.

Se non avesse richiamato un po’  dell'autocontrollo che la contraddistingueva, la sua mandibola avrebbe raggiunto il pavimento in un attimo, eppure non poté evitare di arrossire furiosamente e abbassare lo sguardo.

Lo stai immaginando.

Ancora immobile, a pochi passi dalla soglia che aveva puntato a raggiungere in un baleno, strinse i pugni e rinfoderando un po’ del suo coraggio, rialzò lo sguardo.

Lui era ancora lì, lo stesso sorriso, gli stessi occhi a metri da lei eppure irrimediabilmente prossimi.

Sentì il cuore battere furiosamente tra le costole e un certo calore espandersi per tutto il corpo.

Il brusio cominciò a spegnersi con lentezza, la cucina divenne un traguardo irrilevante e tutto perse di consistenza.

Rimasero solamente quelle labbra schiuse in un arco dolcissimo ed un paio d’occhi in cui perdere se stessi.

Fu così che, frugando in quelle iridi, le fu tutto chiaro.

Fu così che capì di essere completamente fregata.

Fu così che un sorriso fiorì anche sulle sue di labbra, mentre la presa possente, che nessuno avrebbe mai attribuito alla manina delicata della sua migliore amica, la trascinò nella stanza minuscola tinta di giallo che profumava di tè nero e biscotti.

 “Si può sapere che ci facevi fuori tutta sola?” urlò Emm cercando di velare la dolce preoccupazione con un cipiglio arrabbiato degno di nota.

Nella stanza accanto calò il silenzio per un attimo.

Io...” tentò di articolare in difficoltà. Avrebbe dovuto dirle del Sirius-cane?

Io cosa?” altro urlo.

Lily la guardava preoccupata, la tazza stracolma di tè a mezzaria, la bocca socchiusa.

Dorcas afferrò all’improvviso quella destinata a qualcuno- che non era lei- e ne bevve un lungo sorso, scordandosi di odiare quella bevanda scura sin da bambina e cercando disperatamente una scusa valida e probabile.

Cas?” questa volta fu un sussurro, colmo di dolcezza e straripante di preoccupazione.

Un sacco di pulci bruttino ha preteso delle coccole. Il tempo è volato. Sto bene. Davvero. Non volevo che ti preoccupassi!” sussurrò dispiaciuta, abbassando lo sguardo.

Sacco di pulci?” intervenne incredula ed entusiasta Lily.

Dorcas arrossì fino alla punta dei capelli e riafferrata la sua tazza corse fuori da quel buco per comari, ignorò i richiami di Emmeline e la risata serena di Lily e finse di non notare i vari tentativi escogitati da Sirius, per attirare la sua attenzione.

Salì su per le scale, chiudendosi in camera. Zampettò verso il letto e s’infilò sotto le coperte cercando di regolarizzare il respiro e il battito furioso nel petto.

Idiota di un Black.

E i suoi sorrisi.

Quegli occhi meravigliosi.

E la sua dolcezza.


 


 


 


 

Felpato era sul punto di varcare la soglia del buco per comari, un cipiglio preoccupato ed infastidito sul volto, intenzionato a chiedere spiegazioni riguardo alla fuga, quando un fogliettino di pergamena gli galleggiò ad una spanna dal naso.

Lo afferrò incredulo e lesse con urgenza.

Sentì il cuore gonfiarsi nel petto, il ghigno prendere spazio sulle labbra e calore ovunque.

Non aveva sbagliato niente. Non stavolta.


 

Grazie infinite, Barboncino.

D.


 


 


 

L'estate andava scolorendosi piano tra secondi scanditi e responsabilità triplicate; Agosto avrebbe a breve pronunciato il suo ennesimo temporaneo addio al mondo.

Quella sera la fine avrebbe fatto la sua solita decisiva entrata e un nuovo inizio avrebbe bussato per poter vedere di nuovo luce, tra rami spogli e colori caldi fi foglie raggrinzite.

C'era il vento, le sue falangi tiepide ed insistenti tra le fronde protese; la luna fredda e ammutinata nella sua metà sfumata e le falene: lo sbattere continuo e disperato di ali di cartapesta attorno al vitreo calore di una lanterna annerita.

E una ragazza.

Che si abbandonò all’abbraccio di Morfeo in pochi minuti.

La bacchetta appena riposta sul comodino, le labbra incurvate in un sorriso speranzoso.

Il vuoto nel petto era più leggero, e il peso doloroso di quel dannato anniversario più sopportabile.

Tre mesi prima le era stato strappato il mondo dalle mani, lo aveva visto crollare e sciogliersi senza poter far in modo che smettesse.

Un’oretta prima un cagnolone nero, dallo sguardo splendido, le aveva regalato la speranza di poterlo costruire, daccapo.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Nali's space.

Bene. Credo di aver fatto un casino e…niente.

*nalichiedescusaallaWynne*

Ho scritto una Sirius/Dorcas.

Ed è tutta colpa della crudele-zuccherosissima- sopracitata -Wynne.

E' un po' tua, cara. Nonostante non sia all'altezza delle tue meraviglie.<3


 


 

Me?


 

piesse:barboncino” è una sorta di presa in giro; un nomignolo affettuoso. Felpato è un cagnolone enorme, sì ^^”

E quel “novanta giorni” sta ad indicare, approssimativamente, la data in cui Dorcas ha perso i suoi genitori.


 

   
 
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